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Evoluzione storica dello screening del primo trimestre. Dall'eta materna ai markers ultrasonografici addizionali. La nostra esperienza

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Indice

Introduzione

pagg. 3-72

• Cenni storici

pagg. 3-14

Metodologia di esecuzione, cenni di fisiopatologia dell’aumento dello spessore della plica nucale fetale

e gli studi FaSTER e SURUSS pagg. 15-33

La translucenza nucale oggi e i nuovi algoritmi

diagnostici pagg. 33-65

Introduzione allo studio pagg.65-66

Materiali e metodi ed analisi statistica

pagg. 67-72

Risultati

pagg. 73-81

• #NT+MA pagg.73-74 • #NT+NB pagg.74-75 • #NT+BIO pagg.75-76 • #NT+NB_BIO pagg.76-77 • #NT+NB_ULTRA pagg.78-79

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Conclusioni

pagg. 82-88

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Introduzione

1.Cenni storici

Le aneuploidie sono la maggiore causa di morte perinatale e di handicap neonatale. L’identificazione dei disordini cromosomici costituisce la più frequente indicazione all’esecuzione di test invasivi per la diagnosi prenatale. Tuttavia, l’amniocentesi e la villocentesi (CVS) sono gravate da un significativo rischio di aborto (circa l’1%) e quindi vengono eseguite esclusivamente in quelle gravidanze considerate ad alto rischio per anomalie cromosomiche.

In quest’ottica, lo screening prenatale non invasivo è diventato nel corso degli ultimi venti anni un campo di studio e di interesse sempre crescente per via delle sue implicazioni etiche e della enorme carica emozionale che lo investe, rendendolo uno strumento di counseling ostetrico sempre più prezioso eppure delicato.

Le più frequenti cromosomopatie umane sono rappresentate dalla trisomia 21, dalla sindrome di Turner o di Ullrich-Turner, dalla trisomia 18 e dalla trisomia 13 (1-3)

La trisomia 21 (sindrome di Down) si associa a ritardo mentale, malformazioni cardiache, del tratto gastrointestinale, del complesso craniofacciale, oltre ad essere associata allo sviluppo precoce di malattia di Alzheimer. Il rischio di aver un feto affetto da trisomia 21 è di circa 1 su

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700 nati vivi (sebbene la prevalenza risenta di diverse variabili socioculturali); il rischio di un feto affetto al secondo trimestre è invece di 1 su 270 in donne dai 35 ai 40 anni di età e di 1 su 100 in donne oltre i 40 anni di età (1).

La sindrome di Turner si presenta in 1 su 2000/2500 nate femmine ed è caratterizzata da micrognazia, pterigium colli, bassa statura, valgismo, ipogonadismo che porta ad amenorrea primaria e una predisposizione maggiore ad ipotiroidismo, diabete, problematiche cardiache, osteoporosi (per via della ridotta densità ossea), malformazioni congenite a carico dei grossi sistemi come cuore, tratto urinario, oltre che a tumori del colon e del retto. Le malformazioni osservate a carico del cuore e del sistema dei grossi vasi sono la coartazione aortica, valvola aortica bicuspide, prolasso della valvola mitralica che possono dunque predisporre la popolazione affetta da sindrome di Turner a ipertensione, ischemia cardiaca e arteriosclerosi (2). La trisomia 18 (sindrome di Edwards) si presenta in un nato su 12500 ed è associata a basso peso alla nascita, ritardo sviluppo psico-motorio; ipotonia muscolare; pugno chiuso con indice sovrapposto al medio (a uncino); micrognazia (mento piccolo); impianto basso dei padiglioni auricolari; malformazioni cardiache e renali, piede equino. Il 90% dei bambini affetti muore nei primi sei mesi di vita per problematiche cardiache (3).

La trisomia 13 (sindrome di Patau) si presenta in un nato su 33000 circa, si associa a malformazioni quali labioschisi e palatoschisi, polidattilia, occhi

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piccoli, ritardo psico-motorio, cardiopatia grave e malformazioni oculari

quali anoftalmia, criptoftalmia fino alla ciclopia. La maggior parte degli

individui muore entro i primi tre mesi di vita (3).

Negli anni 70, il principale metodo di screening per le aneuploidie era rappresentato dall’età materna. Infatti, l’età materna avanzata rappresenta uno dei fattori di rischio maggiormente riconosciuti per la maggior parte dei difetti genetici nell’uomo.

Da studi di biologia molecolare condotti su modelli animali, recentemente si è evidenziato che, dal momento che esistono diversi meccanismi correlati all’età nell’insorgenza di aneuploidie - difetti nella formazione del complesso sinaptonemico (4), nel mantenimento dei telomeri (5), sui livelli di acetilazione degli istoni (6), nella forza di coesione dei cromatidi e a livello del SAC (spindle assembly checkpoint) (7), l’età materna si presenta in realtà come un vasto spettro di difetti con multipli meccanismi sottostanti. Inoltre, non sembrerebbero interessati solo i processi di meiosi, data la presenza di difetti di ricombinazione e a livello delle sinapsi negli oociti fetali. Sembra probabile che una quota parte di oociti siano settati sulla non disgiunzione a causa di eventi che si sviluppano già nell’ovaio fetale (8).

La prima osservazione riguardante l’età materna e il rischio di feti cromosomicamente anomali risale al 1933 – un quarto di secolo prima dell’identificazione della trisomia 21 da parte di Lejeune e collaboratori (9)

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– anno in cui Penrose dimostrò che la sindrome di Down era maggiormente frequente nelle donne di età avanzata (10). Successivamente, diversi studi osservazionali condotti a cavallo degli anni 60-70 e fino agli anni 80 confermarono ed integrarono tale associazione (11-2)

Si iniziò, dunque, a proporre l'analisi del cariotipo fetale alle donne di età superiore a 35 anni, ritenute arbitrariamente “a rischio”, poiché i primi dati sul reale rischio di sindrome di Down in base all'età materna vennero pubblicati solo alla fine del 1984 (tabella 1).

Il rischio per aneuploidie aumenta, dunque, con l’età materna ma diminuisce con l’età gestazionale ,dal momento che è altamente probabile che i feti aneuploidi muoiano in utero rispetto a quelli euploidi. Infatti, il tasso di morte fetale tra la 12esima settimana di amenorrea e il termine di gravidanza è del 30% per la trisomia 21 e dell’80% per le trisomie 18 e 13 (13-8).

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Tabella 1

Rischio di nascita di un feto affetto da anomalia cromosomica ed età materna (da Hook EB Rates of

chromosomal abnormalities at different maternal ages Obstet Gynecol. 1981 Sep;58(3):282-5. e Hook EB, Cross PK, Schreinemachers Chromosomal abnormality rates at amniocentesis and in live-born infants. DM. JAMA. 1983 Apr 15;249(15):2034-8.)

Età materna Rischio di sindrome di Down Rischio di una qualche anomalia cromosomica* 20 1/1667 1/526 22 1/1429 1/500 24 1/1250 1/476 26 1/1176 1/476 28 1/1053 1/435 30 1/952 1/384 32 1/769 1/323 34 1/500 1/238 35 1/385 1/192 36 1/294 1/156 37 1/227 1/127 38 1/175 1/102 39 1/137 1/83 40 1/106 1/66 41 1/82 1/53 42 1/64 1/42 43 1/50 1/33 44 1/38 1/26 45 1/30 1/21 46 1/23 1/16 47 1/18 1/13 48 1/14 1/10 49 1/11 1/8

*47,XXX esclusa per le età da 20 a 32 (dati non disponibili).

I rischi stimati di trisomia fetale in una donna gravida di 20 anni di età a 12 settimane di amenorrea per la trisomia 21, 18 e 13 sono rispettivamente 1 su 1000, 1 su 2500 e 1 su 8000, e i rischi per questa donna di partorire un feto affetto a termine sono rispettivamente 1 su 1500, 1 su 18 000 e 1 su 42 000. La stessa donna a 35 anni di età e alla stessa epoca gestazionale

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avrebbe un rischio di trisomia 21, 18 e 13 rispettivamente di 1 su 250, 1su 600 e di 1 su 1800, così come il rischio di partorire un feto affetto a termine rispettivamente di 1 su 350, 1 su 4000 e di 1 su 10 000.

La sindrome di Turner non è invece correlata all’età materna e la sua prevalenza è di circa 1 su 1500 a 12 settimane di amenorrea e di 1 su 2500 a 40 settimane. Per tutte le altre anomalie cromosomiche sessuali – come 47, XXX, 47, XXY e 47,XYY – non ci sono correlazioni significative con l’età materna e, dal momento che il tasso di mortalità neonatale non è più alto rispetto ai feti euploidi, la prevalenza totale – circa 1 su 500 – non diminuisce con l’epoca gestazionale. Infine, anche la triploidia non è correlata all’età materna, si presenta in meno dell’1% dei feti esaminati ed è gravata da un’elevata mortalità in utero già in epoca precoce con una prevalenza a 12 settimane di circa 1 su 2000 che crolla drasticamente a circa 1 su 250000 a 20 settimane di amenorrea (16).

È indubbio che la sola età materna come solo metodo per identificare la popolazione ostetrica ad alto rischio è poco attendibile. Infatti, negli anni 70 le gravide di età superiore a 35 anni costituivano solo il 6-8% della popolazione ostetrica generale ed inoltre partorivano non più del 25-30% dei bambini con sindrome di Down. Da ciò si può dedurre che circa il 70% dei feti affetti nasce da donne più “giovani” e quindi considerate non a rischio elevato. Pertanto, la sola età materna riesce ad identificare solo il

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30% dei feti affetti da aneuploidia con una percentuale di falsi positivi del 5%.

Negli anni 80 invece l’attenzione si focalizzò sullo studio di alcuni ormoni dell’unità feto-placentare presenti nel sangue materno e sulla integrazione dei loro livelli con l’età materna misurati nel secondo trimestre di gravidanza oltre che con un dettagliato studio ultrasonografico come metodo di screening per anomalie cromosomiche.

Le gravidanze con feti aneuploidi sono infatti associate a modificazioni di diversi marcatori sierici materni, inclusa la alfafetoproteina (AFP), la gonadotropina corionica umana (hCG o la sua frazione libera beta), l’inibina A, l’estriolo non coniugato (uE3) e la proteina plasmatica A associata alla gravidanza (PAPP-A) (19-24).

La alfafetoproteina (AFP) AFP venne identificata per la prima volta nel 1956 come una globulina fetale specifica. È sintetizzata dal sacco vitellino, dal tratto gastrointestinale e dal fegato fetale. Il picco plasmatico fetale si registra dalle 10 alle 13 settimane di amenorrea per poi decrescere progressivamente fino al termine della gravidanza, laddove i livelli plasmatici materni raggiungono i loro massimi nel terzo trimestre (19). L’integrazione della sola AFP con l’ecografia ostetrica riconosce il 21% delle gravidanze affette da trisomia 21, tuttavia esponendo anche il 5% delle gravidanze euploidi all’amniocentesi (25). I suoi livelli aumentati invece costituiscono un ottimo strumento nell’ambito del triple-test per

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l’identificazione dei difetti del tubo neurale, riuscendo a riconoscere il 90% delle gravidanze anencefaliche e fino all’80% dei casi di spina bifida, sebbene tale reperto biochimico si associ anche ad altre condizioni (tabella 2)

Tabella 2

Condizioni in cui sono presenti elevati livelli sierici materni di AFP

La hCG è prodotta esclusivamente dal sincizio trofoblasto subito dopo l’impianto all’interna della cavità uterina (21). I suoi livelli aumentano rapidamente fino a 8 settimane di amenorrea per poi diminuire progressivamente fino a 20 settimane, epoca nella quale raggiungono un plateau di concentrazione (21). Il peso materno e la parità ne influenzano i livelli plasmatici. Livelli aumentati di hCG sono un ottimo marker di trisomia 21 (26), laddove livelli ridotti si riscontrano nella trisomia 18 e 13

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(27). Nelle gravidanze affette da difetti del tubo neurale invece non si registrano modificazioni dei livelli plasmatici di hCG. L’aggiunta della hCG alla AFP nello screening per sindrome di Down ne incrementa la detection rate di circa il 45% (28)

L’estriolo non coniugato (uE3) viene prodotto dalla placenta da precursori provenienti dalle ghiandole surrenali e dal fegato fetali. Esso incrementa progressivamente per tutto l’arco della gravidanza fino a raggiungere livelli plasmatici più alti di quelli normalmente prodotti dalle ovaie (27). I suoi livelli sono diminuiti nella trisomia 21 e 18 (28).

L’inibina A, infine, una glicoproteina sintetizzata dalle gonadi, dal corpo luteo, dalla decidua e quindi dalla placenta è stato uno degli ultimi marker introdotti nei test di screening per cromosomopatie in diversi studi clinici (29-30).

Tutti i test di screening che integrano markers biochimici si basano sullo stesso principio matematico (il teorema di Bayes) e funzionano combinando una precedente probabilità derivata esclusivamente dall’età materna ad una data epoca gestazionale con un quoziente di probabilità basato su due funzioni di distribuzione Gaussiana multivariata. Nel caso specifico dello screening combinato del primo trimestre, il rischio correlato all’età materna per trisomia 21 viene calcolato e quindi aggiustato per l’epoca gestazionale al tempo dell’esecuzione dello screening. La NT misurata e i valori biochimici vengono convertiti in multipli della mediana

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(MoM) per quella specifica epoca gestazionale e quindi viene calcolato un quoziente di probabilità (LR) a partire dalle due distribuzioni Gaussiane

che si ottengono a partire dai log10 di questi MoM nelle gravidanze affette e

in quelle sane.

A questo punto la LR ottenuto viene moltiplicata per il rischio materno legato alla sola età a priori ottenendo una ragionevole stima del rischio di avere un feto affetto da aneuploidia e riservando test invasivi diagnostici solo a quella sottopopolazione ostetrica il cui rischio supera uno specifico valore cut-off (31).

L’integrazione di questi marcatori nello screening per aneuploidie nel secondo trimestre dimostrò un sostanziale miglioramento della detection rate della trisomia 21, comparata con il solo screening effettuato mediante l’età materna.

Infatti, con una percentuale di falsi positivi del 5%, la detection rate passava dal 30% ottenuta solo mediante il cut off dei 35 anni dell’ età materna al 60-65% combinando l’età materna con la AFP sierica e la free β-hCG (bi-test), al 65-70% con l’aggiunta dell’ uE3 (tritest) fino al 75% con l’aggiunta dell’inibina A (test quadruplo). Se si utilizza la hCG intatta invece della free β-hCG, inoltre, la detection rate si riduce di circa il 5%. (31-34) (tabelle 3a e 3b)

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Tabella 3a

Performance dei differenti metodi di screening per trisomia 21 (da Nicolaides KH. Screening for fetal aneuploidies at 11 to 13 weeks. Prenat Diagn 2011. 31:7-15)

Tabella 3b

Strategie di screening prenatale (da Reynolds T. The triple test as a screening technique for Down syndrome: reliability and relevance. Int J Womens Health. 2010 Aug 9;2:83-8.

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L’ultimo ventennio ha visto un crescente interesse nell’anticipare lo screening per le aneuploidie al primo trimestre. Infatti, grazie all’introduzione di macchine ecografiche a sempre maggiore risoluzione e all’introduzione della sonda endovaginale, è stato possibile studiare l’anatomia normale del feto e diagnosticare o sospettare un gran numero di anomalie fetali maggiori già al primo trimestre.

Negli anni 90 venne dimostrato come la maggior parte dei difetti cromosomici fetali potesse essere diagnosticata tramite l’associazione dell’età materna con la misurazione dello spessore della plica nucale fetale ottenuto per via ultrasonografica eseguita nel primo trimestre– ovvero con la misurazione della translucenza nucale (NT).

Nel 1866 Langdon Down osservò che gli individui affetti da trisomia 21 avevano una cute poco elastica, particolarmente ridondante in alcuni punti come la nuca, oltre a presentare naso piccolo e volto piatto (35). Solo negli anni 90 si realizzò che questo eccesso di cute potesse in realtà essere dovuto ad un accumulo di liquidi nello spazio sottocutaneo e che, dunque, fosse possibile osservarlo ecograficamente come incremento della spessore della plica nucale nel terzo mese di vita intrauterina (36).

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2.Metodologia di esecuzione, cenni di fisiopatologia dell’aumento dello spessore della plica nucale fetale e gli studi FaSTER e SURUSS

Un’estesa ricerca nell’arco degli ultimi venti anni ha stabilito che la translucenza nucale fetale (NT) è un ottimo strumento per lo screening precoce delle maggiori anomalie cromosomiche, oltre ad esser associata ad un gran numero di anomalie fetali maggiori (33, 37-8).

Quando la NT viene misurata in una maniera specifica da parte di ultrasonografisti e ostetrici che hanno preso parte ad un definito programma di training e di successivi audit, in combinazione all’età materna, ha una detection rate del 70-75% a fronte di una FPR del 5% per la trisomia 21 e in maniera simile per le trisomie 13 e 18.

L’organo supervisore di riferimento è rappresentato dalla Fetal Medicine Foundation. Si tratta di una fondazione non profit che, grazie alla ricerca scientifica, da circa venti anni, ha fornito e continua a fornire corsi di apprendimento su diversi aspetti dello screening del primo trimestre e ha elaborato degli algoritmi specifici fornendo il software con il calcolo del rischio per la diagnosi prenatale delle maggiori aneuploidie solo a quei medici ecografisti che diventano competenti nell’esecuzione dell’esame per la traslucenza nucale.

Esistono dei criteri stabiliti appunto dalla FMF per quanto concerne la corretta misurazione dello spessore della plica nucale fetale. L’epoca

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gestazionale ottimale per la misurazione dello spessore della translucenza nucale (NT) è compresa tra 11 e 13 settimane e 6 giorni di amenorrea. La lunghezza vertice-sacro (crown-rump length o CRL) dovrebbe essere di almeno 48 mm fino ad un massimo di 84 mm. Il limite inferiore è stabilito per permettere all’ecografista di porre diagnosi della maggior parte delle anomalie fetali che altrimenti andrebbero perse per la piccola epoca gestazionale, mentre quello superiore è stabilito in modo tale da permettere a donne con feti affetti l’opzione di una interruzione in tempi precoci della gravidanza stessa. La misurazione ecografica della NT può essere ottenuta per via trans addominale o per via vaginale e con risultati sovrapponibili. Si dovrebbe ottenere una buona visiona sagittale della testa fetale in posizione neutra quindi procedere alla quantificazione dello spessore della translucenza sottocutanea tra la pelle e i tessuti molli che ricoprono il tratto cervicale della colonna vertebrale. L’immagine ecografica dovrebbe essere ingrandita prima della misurazione per una migliore risoluzione degli spazi sopradetti comprendendo solo la testa e la parte superiore del torace.

La visione medio - sagittale della testa fetale è definita dalla presenza della punta ecogena del naso e dalla forma quadrangolare del palato anteriormente, dal diencefalo translucente nel mezzo e dalla membrana nucale posteriormente (39). Deviazioni dall’esatto piano mediano risultano in una non visualizzazione della punta del naso fetale e dalla visibilità del processo zigomatico della mascella.

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Esistono tre elementi che possono introdurre bias legati all’operatore ecografista e che rischiano, pertanto, di sovra o sottostimare la sua misurazione, aumentandone quindi la sua variabilità e interferendo con la sua riproducibilità. Il primo consiste nella scelta dello spazio esatto dietro il collo fetale contenente la massima distanza verticale tra la membrana nucale e il margine dei tessuti molli che ricoprono il tratto cervicale della colonna vertebrale, dal momento che le due linee non sono di solito parallele; il secondo, invece, risiede nella scelta del settaggio ottimale della macchina per ridurre lo spessore di queste linee e il terzo ovviamente nell’esatto posizionamento dei calipers.

In modo da evitare questi problemi di inaccuratezza, è stato messo recentemente a punto un sistema semiautomatico di misurazione della NT che ha il fondamentale compito di ridurre la variabilità inter e intra-operatore a partire però da una corretta immagine ecografica (40).

Nell’ambito dello screening combinato, ci sono essenzialmente due approcci per quantificare la deviazione della NT dalla linea mediana. Un approccio consiste nel sottrarre il valore mediano dalla misurazione della NT producendo una deviazione in millimetri definita come delta NT (41-2). L’altro approccio è di dividere il valore mediano per la NT misurata in modo da produrre un valore multiplo della mediana (MoM) (43). Nel primo caso, si assume che ci sia una distribuzione dei valori di delta NT indipendente dal CRL nelle gravidanze affette da trisomia 21 e un’altra

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distribuzione nelle gravidanze non affette. Nel secondo metodo che utilizza il valore MoM, si assume che la distribuzione dei logaritmi dei valori MoM sia Gaussiana nella popolazione affetta da trisomia 21 e in quella non affetta.

Recentemente, è stato proposto un nuovo modello – detto modello misto - per quantificare la deviazione della NT misurata dai valori mediani normali. Esso è basato sull’ osservazione che, sia nei feti euploidi sia in quelli aneuploidi, la NT fetale segua due distribuzioni: una CRL-dipendente ed un’altra che è CRL-inCRL-dipendente (44).

Nello specifico, è stato osservato che nella popolazione ostetrica non affetta la maggior parte dei feti dimostra un aumento della NT in relazione al CRL e in una minoranza dei casi la NT tende a essere relativamente più ampia ed indipendente dal CRL. Nelle gravidanze affette da aneuploidia si osserva un diverso comportamento della distribuzione delle NT, con una minoranza di casi che segue la stessa distribuzione CRL-dipendente come nella popolazione non affetta, e la maggior parte dei feti che ha una distribuzione CRL-indipendente con un valore medio ed una deviazione standard (DS) più alta rispetto alla controparte euploide.

Il modello misto di distribuzione delle NT fetali ben si accorda con quanto conosciamo riguardo ai processi fisiopatologici della translucenza nucale aumentata (45-52).

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Infatti, il fisiologico sviluppo della regione nucale fetale dalle 11 alle 13 settimane di amenorrea spiegherebbe la distribuzione CRL-dipendente nella popolazione ostetrica non affetta; l’aumentata NT CRL-indipendente che si osserva nei feti aneuploidi potrebbe essere una conseguenza di quella vasta gamma di ben documentate anomalie non cromosomiche quali difetti cardiaci, disordini ematologici, scheletrici e altri tipi di malformazioni e sindromi genetiche.

Esistono diversi meccanismi ritenuti responsabili di una NT aumentata: un malfunzionamento cardiaco in associazione ad anomalie del cuore e dei grossi vasi, una congestione venosa della testa e a livello del collo, un’alterata composizione della matrice extracellulare, un alterato drenaggio linfatico dovuto ad anomalie di sviluppo o ritardi nello sviluppo del sistema linfatico, una anemia fetale o ipoproteinemia, e da ultimo un’infezione congenita.

Centrale all’ipotesi che lo scompenso cardiaco contribuisca ad una aumentata NT vi è l’osservazione che sia nei feti euploidi sia nella controparte con anomalie cromosomiche esiste una alta associazione tra aumentata NT e anomalie del cuore e dei grossi vasi. Tuttavia, la validità di questa ipotesi è smentita dal fatto che non esiste differenza tra i feti con difetti cardiaci con o senza aumentata NT sia per quanto riguarda il tipo di difetto cardiaco sia per la dimensione del cuore sia per la frazione di eiezione ventricolare (53-4). Studi Doppler hanno inoltre evidenziato un

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anomalo flusso nel dotto venoso in feti con anomalie cromosomiche e/o cardiache ed aumentata NT (55-6).

Molte delle proteine della matrice extracellulare sono codificate da geni presenti sui cromosomi 21, 18 e 13, come evidenziato da studi di immunoistochimica (57-8).

Dei componenti della matrice extracellulare l’acido ialuronico è quello maggiormente espresso a livello della regione nucale dei feti affetti da sindrome di Down. In particolare, responsabile dell’accumulo di acido ialuronico sarebbe la sovraespressione della superossido dismutasi, il cui gene si trova sul cromosoma 21, che protegge contro la degradazione mediata da radicali liberi dell’acido ialuronico (58). La sovrapproduzione di superossido dismutasi nei feti con trisomia 21 porta ad un incremento dell’acido ialuronico, capace di intrappolare una grande quantità di acqua, che, a sua volta, determina un aumento dello spazio sottocutaneo, visibile ecograficamente come incremento della NT.

Inoltre, l’alterata composizione della matrice extracellulare può essere il meccanismo che è alla base di un gran numero di sindromi genetiche associate al metabolismo del collagene (come la acondrogenesi tipo II), ad anomalie dei recettori per fattori di crescita per fibroblasti (come la displasia tanatoforica) o all’alterato metabolismo del fattore di biogenesi per perossisomi (come nella sindrome di Zellweger) (59-60)

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Un possibile meccanismo per la NT aumentata è rappresentato dalla dilatazione dei vasi linfatici giugulari a causa di un ritardato sviluppo delle connessioni con il sistema venoso o ad una anomala dilatazione primaria dei canali linfatici o ad una proliferazione anomala dei vasi linfatici stessi con un flusso normale tra il sistema linfatico e quello venoso, con alterata espressione dei proteoglicani come principale responsabile dell’accumulo di liquido (58).

In circa il 10% dei casi di idrope fetale inspiegabile al secondo o terzo trimestre, è stata avanzata l’ipotesi che essa possa essere causata da infezioni materne recenti con il feto che in questi casi risulta anch’esso infetto. Tuttavia, l’unica infezione che è stata descritta in associazione con NT aumentata è quella da parvovirus B19.

In questa condizione, l’aumento della NT è stato attribuito a disfunzione miocardica o ad anemia fetale causata dalla soppressione dell’emopoiesi ad opera del virus infettante (61-2).

Da ultimo l’anemia fetale sembrerebbe esser responsabile dell’aumentata NT per via del circolo iperdinamico che si instaura. Cause genetiche di anemia fetale come l’alfa-talassemia, la porfiria eritropoietica congenita, l’anemia di Fanconi e verisimilmente l’anemia correlata ad una possibile infezione congenita possono presentarsi in feti con NT aumentata (63). L’esame ecografico del primo trimestre permette di identificare un gran numero di anomalie fetali maggiori, come, ad esempio, l’oloprosencefalia,

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l’onfalocele, la megavescica e l’ernia diaframmatica che si riscontrano rispettivamente in circa 1 su 1300, 1 su 400 , 1 su 1600 e 1 su 4000 dei feti al primo trimestre, e di anomalie scheletriche maggiori il cui riscontro rappresenta un campanello di allarme per un approfondimento ultrasonografico ulteriore.

Diversi studi, dunque, riportano che un gran numero di anomalie fetali maggiori si associano ad una aumentata NT fetale (tabella 4).

Tabella 4

Relazione tra la translucenza nucale aumentata e i difetti cromosomici, la morte fetale e le maggiori anomalie fetali

Nuchal translucency Chromosomal defects Fetal death Major fetal abnormalities <95th centile 0.2% 1.3% 1.6% 95th-99th centiles 3.7% 1.3% 2.5% 3.5-4.4 mm 21.1% 2.7% 10.0% 4.5-5-4 mm 33.3% 3.4% 18.5% 5.5-6.4 mm 50.5% 10.1% 24.2% >6.5 mm 64.5% 19.0% 46.2%

Soprattutto la trisomia 13 e 18 sono associate a oloprosencefalia, onfalocele, ernia diaframmatica e megavescica rispettivamente nel 65% , 55%, nel 30% e nel 25% dei casi (64). La prevalenza di tali anomalie aumenta contestualmente all’aumentare dello spessore della plica nucale passando dall’1.6% in quei feti con NT sotto il 95esimo percentile (60) al 2.5% in quei feti con NT tra il 95esimo e il 99esimo percentile fino ad

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aumentare esponenzialmente fino a quasi il 45% per una NT di 6.5 mm o più (65-6).

Un recente studio retrospettivo condotto su oltre 13000 feti ha dimostrato come lo studio ecografico al primo trimestre sia in grado di identificare circa il 50% delle anomalie strutturali maggiori in feti cromosomicamente normali in gravidanze singole, con detection rates per difetti cardiaci maggiori e difetti scheletrici (69% e 52%, rispettivamente) che risultano notevolmente migliorate dall’introduzione della misurazione della NT (anomalie riscontrabili nel 30% circa dei feti esaminati) (67)

Nell’intervallo tra la 11° e la 13+6 settimana di amenorrea, l’incidenza di onfalocele è di 1 su 1000, che è 4 volte più alta di quanto si osserva nei nati vivi. Inoltre, l’incidenza di difetti cromosomici, soprattutto la trisomia 18, è di circa il 60% comparato al 30% che si osserva a metà gravidanza e del 15% nei neonati a termine. Un’ aumentata NT si osserva in circa l’85% dei feti aneuploidi e nel 40% dei feti euploidi con onfalocele (68). Tuttavia, è stato recentemente descritto che oltre l’80% dei casi di onfalocele che contiene solo intestino e che viene osservato nell’intervallo tra la 11esima e la 13esima settimana di gestazione si risolve spontaneamente entro le 20 settimane.

Uno studio che esaminava 145 feti con megavescica – diametro longitudinale della vescica maggiore di 7 mm a 11-13+6 settimane di amenorrea – riportava che quando il diametro longitudinale della vescica

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era di 7-15 mm l’incidenza di difetti cromosomici, soprattutto trisomia 13 e 18, era del 23.6%, laddove nella controparte euploide si assisteva ad una risoluzione spontanea nel 90% dei casi. Al contrario, con un reperto di megavescica con diametro superiore ai 15 mm, l’incidenza di anomalie cromosomiche era dell’11.4%, e nella controparte euploide l’evoluzione clinica inevitabile era una grave uropatia ostruttiva progressiva (69).

Una NT aumentata si ritrova associata a megavescica nel 75% dei casi di feti affetti da anomalie cromosomiche, soprattutto trisomia 13, e in circa il 30% dei feti con cariotipo normale (70).

La sempre maggiore attenzione all’esame ecografico del primo trimestre come primo step di un percorso di screening ha successivamente portato all’integrazione della misurazione della plica nucale con l’età materna e il dato biochimico (livelli sierici di PAPP-A e della frazione libera della gonadotropina corionica).

Allo scopo di migliorare ulteriormente la performance dello screening combinato del primo trimestre vennero introdotti due modelli matematici che sfruttavano l’aggiunta dei markers del secondo trimestre in maniera integrata: lo screening integrato e lo screening sequenziale.

Nello screening integrato, il rischio viene calcolato integrando appunto quello ottenuto al primo trimestre dalla misurazione della translucenza nucale con la PAPP-A e la free β-hCG con quello ottenuto dal triple test o dal test quadruplo nel secondo trimestre. Per ottenere una detection rate

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dell’85%, il valore cut-off dovrebbe essere scelto a 1 a 120, un livello al quale la percentuale di falsi positivi sarebbe dello 0.9%. Utilizzando il miglior test di screening nel secondo trimestre (quadruple test) o quello migliore nel primo trimestre (test combinato), sarebbe necessario un valore cut-off più basso (1 a 630 o 1 a 540, rispettivamente) per ottenere la stessa detection rate con una percentuale di falsi positivi però notevolmente più alta (9.8% e 4.9%)

La riduzione della percentuale di falsi positivi risulta essere maggiormente evidente nelle donne con età maggiore di 35 anni. In questa sottopopolazione, la percentuale di falsi positivi nel test integrato è del 3.3% utilizzando un valore cut-off di 1 a 120, in confronto al 19% del solo test triplo (valore cut-off di 1 a 250). Quindi l’utilizzo dello screening integrato abbassa notevolmente la percentuale di falsi positivi portandola allo 0.9 % con una detection rate dell’85% e riducendo drasticamente dal 5 all’1% la percentuale di ricorso a test invasivi diagnostici (tabella 5a e 5b) (33).

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Tabella 5

a) Detection rate della sindrome di Down con FPR fissa a 1% e al 5% di diversi metodi di screening

b) Detection rate della sindrome di Down a FPR prefissate e FPR detection rates prefissate in base al tipo di screening utilizzato

Nello screening sequenziale, invece, la translucenza nucale viene utilizzata come metodo di screening nella popolazione ostetrica assumendo come valore cut-off un valore maggiore o uguale a 2.5 mm. In questa maniera si

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ha una detection rate del 58% e una percentuale di esecuzione di test invasivi diagnostici molto bassa (attorno al 2.4%). Alle donne con NT inferiore a questo cut-off viene eseguito attorno alle 16 settimane il triple test nel quale, utilizzando come valore cut-off un rischio di 1 a 250 si ottiene una detection rate finale di circa il 95% a fronte di una percentuale di screening invasivo del 7.2% (71).

Un largo studio multicentrico coinvolgente 25 centri di unità di screening prenatale (di cui 24 nel Regno Unito e uno in Austria) e con dati raccolti tra Settembre 1996 ad Aprile 2000 (Serum, Urine and Ultrasound Screening Study ovvero lo studio SURUSS) dimostrò che il test di screening più efficace era rappresentato dal test integrato con una percentuale di detection rate dell’85% a fronte di una percentuale di falsi positivi (FPR) dell’1.2% se la PAPP-A veniva misurata a 10 settimane complete di amenorrea e se la misurazione della NT era ottenuta in maniera ottimale (72).

La performance era migliore - con minore FPR per la stessa detection rate – di ogni altra combinazione di markers al primo trimestre o di ogni altra combinazione di markers al secondo trimestre, fornendo inoltre un metodo molto più sicuro (tabella 6).

Il beneficio di integrare i risultati dello screening con markers attraverso i due trimestri di gravidanza è più grande di quanto ci si possa attendere intuitivamente: in questa maniera si diminuisce il tasso di falsi positivi,

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comparato con quello che si osserva nello screening effettuato nei singoli trimestri. Pertanto, il test integrato ha una maggiore capacità di ridurre il numero di donne da sottoporre a test invasivi diagnostici rispetto agli altri test di screening, riducendo quindi il rischio di aborto in quelle gravidanze che non sono affette da cromosomopatie.

Tabella 6

FPR con detection rate dell’85% a seconda dei test di screening impiegati nel primo trimestre, secondo trimestre (14-20 ws), o entrambi i trimestri (tutti i test di screening tengono conto dell’età materna) (da SURUSS study 2003 on Health Technology Assessment 2003; Vol. 7: No. 11)

Per quelle donne che invece giungono al secondo trimestre di gravidanza senza aver effettuato alcun test di screening precedentemente, lo studio SURUSS stabilisce che il gold standard è rappresentato dal test quadruplo, confermando i risultati ottenuti in studi precedenti (73).

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Un altro importante studio multicentrico condotto in 15 centri di medicina preventiva prenatale negli Stati Uniti a cavallo tra il 1999 il 2002 e pubblicato nel 2005 (First and Second Trimester Evaluation of Risk ovvero il trial FaSTER) confermò che lo screening combinato effettuato al primo trimestre è altamente efficace (85% di detection rate con FPR di 3.8%), sebbene le combinazioni dei markers ottenuti al primo e al secondo trimestre attraverso un approccio integrato forniscano detection rate più alte a fronte di percentuali di falsi positivi uguali o addirittura più basse (95% di detection rate con FPR del 4% e 88% di detection rate con FPR dell’1 %) (tab. 7)

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Tabella 7

Performance dei tests di screening per la sindrome di Down con i markers del primo trimestre misurati a 11, 12 e 13 settimane complete di gestazione e con i markers del secondo trimestre misurati dalla 15° alla 17° settimana completa di gestazione (da Malone FD, Canick JA, Ball RH et al. and Second-Trimester Evaluation of Risk (FASTER) Research Consortium. First-trimester or second-First-trimester screening, or both, for Down's syndrome. N Engl J Med. 2005 Nov 10;353(19):2001-11.)

Inoltre, venne evidenziata per la prima volta la possibilità di ottenere risultati ottimali già a partire dalla 11° settimana; infatti, sebbene l’efficacia dello screening attraverso la misurazione della fβhCG migliora se viene eseguita tra la 11° e la 13° settimana, l’efficacia dello screening utilizzando la translucenza nucale e la PAPP-A diminuisce in quest’intervallo di tempo. Pertanto, tutti i programmi di screening che utilizzano i markers di

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screening del primo trimestre, come lo screening integrato o lo screening sequenziale, sono necessariamente soggetti ad una diminuzione in termini di detection rate se lo screening del primo trimestre viene ritardato fino alla 13esima settimana.

Inoltre, come emerso dallo stesso studio, lo screening ottenuto attraverso il test quadruplo del secondo trimestre ha una FPR superiore rispetto allo screening combinato del primo trimestre eseguito a 11 o a 12 settimane, con un chiaro vantaggio nell’utilizzo dello screening del primo trimestre rispetto al test quadruplo in termini di FPR e di detection rate se questo viene eseguito nella 11° settimana ma non se eseguito oltre (81% di detection rate con FPR del 5% per il test quadruplo vs 87% di detection rate e stessa FPR per il test combinato eseguito alla 11° settimana) (74). Evidenti rimangono comunque gli svantaggi di questi approcci attraverso i primi due trimestri di gravidanza: in primis, la rassicurazione nei confronti di coppie con basso rischio di aneuploidia è ritardata di qualche settimana; in seconda istanza, fatto eticamente non accettabile, molte donne con feti affetti sono private della loro possibilità di interrompere quanto più precocemente e in maniera più sicura la propria gravidanza e, da ultimo, fatto non altrettanto trascurabile. molte donne non completano il test di screening a due step essendo di fatto sostanzialmente private di un vero screening.

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Studi condotti negli ultimi dieci anni hanno dimostrato che ad una FPR del 5% lo screening combinato del primo trimestre identifica circa il 90% dei feti affetti da trisomia 21 (75-78).

È inoltre stato evidenziato come nello sviluppo degli algoritmi di rischio per lo screening combinato la stima del rischio paziente-specifico necessiti di aggiustamenti nei valori misurati della fβ-hCG e della PAPP-A che prendano in considerazione la loro associazione con l’epoca gestazionale, la parità, il peso materno, l’etnicità, l’abitudine al fumo e il metodo di concepimento.

Infatti, ad esempio, i livelli sia di PAPP-A sia di free β-hCG sono fortemente influenzate dall’etnicità della madre. Il risultato più impressionante osservato in un largo studio multicentrico furono gli incrementi di più del 50% nei livelli di PAPP-A e del 10% circa in quelli di free β-hCG osservati in donne di origine Afro-caraibica rispetto a donne di origine Causasica.

Se non venisse presa in considerazione l’etnicità si assisterebbe ad una sostanziale sottostima del vero rischio di trisomia 21 nelle donne di origine Afro-Caraibica. Allo stesso modo, valutazioni errate del rischio di aneuploidia possono essere fatte nel caso in cui non vengano presi in considerazione l’abitudine al fumo e il metodo di concepimento; infatti, in donne che fumano e donne che hanno concepito tramite PMA si osservano livelli di PAPP-A più bassi che altrimenti potrebbero essere interpretati

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come fattore di rischio aumentato per trisomia 21 e comportare, inoltre, un sostanziale aumento della FPR.

3. La translucenza nucale oggi e i nuovi algoritmi diagnostici

Una opzione per lo screening combinato del primo trimestre per la trisomia 21 è rappresentata dall’esecuzione del test biochimico e della misurazione della translucenza nucale così come del counseling in un presidio ospedaliero per la valutazione one-stop del rischio clinico di aneuploidia (OSCAR) (78).

Quest’approccio è stato reso possibile dall’introduzione di macchine capaci di fornire misurazioni precise, automatiche e riproducibili entro 30 minuti dall’esecuzione del prelievo ematico (Kryptor system, Brahms AG, Berlin, Germany or Delfia Express System, Perkin Elmer, Waltham, MA, USA). L’epoca gestazionale ideale per il modello OSCAR è 12 settimane dal momento che lo scopo della valutazione ecografia al primo trimestre non è solo screenare le gravidanze affette da trisomia ma anche diagnosticare un numero sempre crescente di malformazioni fetali e in questa ottica la finestra della 12esima settimana è ottima per una visualizzazione chiara dell’anatomia fetale (79).

Un largo studio prospettico coinvolgente oltre 55000 gravide in cui è utilizzato un modello del calcolo del rischio di trisomia 21 basato sulla

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distribuzione mista della NT ha dimostrato che nel test combinato, per FPR fisse del 3 e del 5%, le detection rates stimate sono del 92% e del 94% rispettivamente a 11 settimane, dell’85% e del 90% a 12 settimane e infine del 79% e 83% a 12 settimane di gestazione. Una strategia alternativa è rappresentata dall’esecuzione del test biochimico a 9-10 settimane di gestazione e dall’esecuzione dello screening ecografico a 12 settimane (80). È stato stimato che la detection rate in questo caso con FPR del 3% e del 5% diventa rispettivamente del 94% e del 96%.

Un’ulteriore strategia consiste nell’eseguire il controllo ecografico con relativa misurazione della translucenza nucale a 12 settimane di gestazione e nel dosare la PAPP-A a 9 settimane e la free β-hCG all’epoca del controllo ecografico a 12 settimane o addirittura più avanti con una stimata detection rate del 96% circa a fronte di una FPR ridotta di circa un punto percentuale.

Questi due metodi sono nati a seguito dell’osservazione precedentemente descritta nello studio FaSTER e confermata appunto in larghi studi prospettici successivi che esiste una variazione temporale delle concentrazioni dei markers biochimici nel primo trimestre di gestazione nei feti affetti da trisomia 21 (81-82).

Ad ogni modo, il potenziale vantaggio del metodo di screening combinato a due o tre step in termini di detection rate è sicuramente annullato dalla scarsa compliance delle pazienti a seguire gli step diagnostici successivi.

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In aggiunta alla misurazione dello spessore della plica nucale (NT), nel corso degli anni sono stati valutati altri markers ultrasonografici altamente specifici per trisomia 21 e le altre trisomie maggiori come la frequenza cardiaca fetale, l’assenza dell’osso nasale, l’aumentata impedenza di flusso nel dotto venoso, il rigurgito tricuspidale e l’angolo facciale.

La FMF ha sviluppato algoritmi specifici che ne permettono l’integrazione all’interno del test combinato del primo trimestre grazie ai quali, in media, si raggiunge una detection rate del 95% a fronte di una FPR del 2,5%, migliorandone, di fatto, la performance con risultati sovrapponibili sia nel caso vi si sottoponga l’intera popolazione ostetrica sia nel caso in cui vi si sottoponga solo la popolazione a rischio intermedio – ovvero quella con un rischio di aneuploidia tra 1 a 51 e 1 a 1000 - e ciò per ognuno dei markers ecografici in questione.

Un recente studio prospettico ha preso in considerazione il nuovo algoritmo che integra la NT con i markers sonografici addizionali come osso nasale, rigurgito tricuspidale e valutazione doppler del dotto venoso ottenendo una affascinante detection rate del 100% con una FPR del 3,4%, sebbene gli stessi autori tengano a precisare che, data l’esiguità del numero di donne con feti affetti da trisomia 21, tale risultato deve esser interpretato con attenzione (83)

In una gravidanza fisiologica assistiamo ad una diminuzione della frequenza cardiaca nell’intervallo tra la 10° e 14esima settimana di

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gestazione. Infatti, si passa dai 110 bpm a 5 settimane ai 170 bpm registrati alla 9° settimana per poi scendere progressivamente ai 150 bpm della 13esima settimana (84-85). L’iniziale precoce incremento della frequenza cardiaca sarebbe la conseguenza dello sviluppo morfologico del cuore mentre la successiva diminuzione il risultato della maturazione funzionale del sistema parasimpatico (86).

La frequenza cardiaca fetale (FHR) risulta aumentata tra il 10 e 20% dei feti affetti da trisomia 21, nel 67% dei feti con trisomia 13 e nel 52% dei feti affetti da sindrome di Turner, con valori in tutti i casi superiori al 95esimo percentile. La trisomia 18 risulta, invece, solitamente associata a valori di FHR inferiori al 5° percentile nel 40% dei casi (87).

Una possibile spiegazione della tachicardia associata a feti con trisomia 21 potrebbe essere una alterazione nel normale sviluppo del sistema parasimpatico che, conseguentemente, ritarderebbe il declino fisiologico della FHR osservata a 9 settimane (88). Alternativamente, potrebbe essere un meccanismo compensatorio di un precoce scompenso cardiaco a sua volta responsabile dell’aumentata NT riscontata nei feti trisomici (89). È interessante notare come la tachicardia si associ a quelle cromosomopatie caratterizzate da restringimento dell’istmo e del tronco arterioso – vasi di efflusso del ventricolo sinistro – e che essa può venir mediata dall’azione dei barocettori situati a livello dell’arco aortico. Infatti, nella vita fetale, dal momento che il cuore lavora all’incirca vicino al picco della curva di

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Frank-Sterling della funzione ventricolare (90), la tachicardia è una fisiologica risposta compensatoria all’aumentato output cardiaco per via del flusso ostruito dal cuore sinistro (91).

Di contro, la bradicardia associata a feti con trisomia 18 sarebbe conseguenza del quadro di severo ritardo di crescita embrionale che caratterizza la sindrome (92). Il ritardo nello sviluppo è, infatti, più evidente e severo nei feti con trisomia 18 rispetto a quelli trisomia 21 o con trisomia 13 tanto che la maturazione della FHR in tali feti sarebbe equivalente a quella dell’8° settimana di gestazione. Pertanto, la bradicardia osservata in alcuni di questi feti potrebbe anche rappresentare un quadro preagonico (93) (tabella 8a).

Ad un FPR del 3%, le detection rates stimate per la trisomia 21,18 e 13 usando l’algoritmo specifico per la trisomia 21 sono rispettivamente del 90%, 74% e 77%. Quando si prende in considerazione la frequenza cardiaca fetale all’interno dello screening combinato e si prendono in considerazione gli algoritmi specifici per trisomia 18 e 13 assieme all’algoritmo specifico della trisomia 21 si passa ad una detection rate rispettivamente di circa il 91% dei feti con trisomia 21 e del 97% e del 94% in media di quelli affetti da trisomia 13 e 18 con una FPR totale del 3.1%. L’inclusione della frequenza cardiaca fetale all’interno dell’algoritmo dello screening combinato del primo trimestre contribuisce, comunque, in maniera esigua a migliorare la detection rate della trisomia 21 e 18,

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sebbene aumenti dello 0,1% la FPR complessiva ed abbia un impatto considerevole nella detection rate delle trisomie 13, portandola dal 77 all’88%. Integrando gli algoritmi di screening per trisomia 21, 18 e 13 a fronte di una FPR del 3.1% la detection rate addirittura passa rispettivamente al 91%, 97% e 94% (tabelle 8a e 8b). Inoltre, la valutazione della frequenza cardiaca fetale risulta dirimente nella diagnosi differenziale tra trisomia 18 e 13, altrimenti accomunate da valori elevati di NT e ridotti livelli sierici di free b-hCG e di PAPP-A (94).

Soggetti con sindrome di Down sono caratterizzati da un fenotipo craniofaciale peculiare con fronte prominente, complesso craniofaciale di dimensioni ridotte e sottosviluppo della regione frontonasomascellare con osso nasale piccolo o addirittura assente (95).

Dai dati combinati di quattro studi radiologici postmortem su un totale di 105 feti con trisomia 21 a 12-15 settimane di gestazione è stata evidenziata l’assenza dell’ossificazione dell’osso nasale nel 32,4% dei casi e l’ipoplasia dell’osso nasale nel 21,4% (96-99).

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Tabella 8

a) Detection rates della trisomia 21, 18 e 13 per valori di FPR fissi ottenute utilizzando algoritmi specifici per la trisomia 21, 18 e 13, basati sull’età materna, sulla NT fetale, sui livelli sierici di free b-hCG e di PAPP-A e sulla frequenza cardiaca fetale (FHR) (Kagan KO et al, 2008)

b) FPR complessive e detection rates utilizzando i tre algoritmi specifici per trisomia 21, 18 e 13 combinati tra di loro (Kagan Ko et al 2008)

A sinistra vengono indicate le FPR fisse utilizzando gli algoritmi specifici per trisomia 18 e 13. Ad esempio con una FPR del 3% con l’algoritmo specifico per trisomia 21 e aggiungendo una FPR dello 0.2% se si integrano anche gli algoritmi specifici per trisomia 18 e 13 si ottengono detection rates per trisomia 21 18 e 13 rispettivamente del 91%, 97% e 94%

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Studi ultrasonografici a 11-14 settimane di gestazione dimostrano che all’incirca il 65-70% dei feti con trisomia 21 presentano ipoplasia o addirittura osso nasale assente (100-105).

L’osso nasale si sviluppa da ambo i lati a partire dal setto nasale cartilagineo a partire da 10 settimane di gestazione. Pertanto, l’incapacità di visualizzare l’osso nasale non può essere interamente attribuita alla piccola epoca gestazionale. A ulteriore conferma di quanto sopradetto, vi è il dato che già in un feto con CRL di 42 mm sono state evidenziate istologicamente le ossa nasali (106).

A 11–14 settimane di gestazione l’osso nasale non è visibile all’esame ecografico in circa il 70% dei feti affetti da trisomia 21, oltre che in un terzo di quelli affetti da altre cromosomopatie e in meno dell’1% dei feti euploidi (107).

Con un valore cut-off di 1 a 100 sul rischio totale di trisomia 21, 18, 13 e della sindrome di Turner, la detection rate è del 91% con una FPR del 3%, ottenuta combinando l’età materna, i markers biochimici, la misurazione dello spessore della plica nucale e la valutazione della frequenza cardiaca fetale (108) (tabella 9a e 9b).

Sull’assenza dell’osso nasale influisce non solo il cariotipo fetale ma anche l’etnicità materna – più frequente in donne di origini Afro-Caraibiche rispetto a donne bianche -, il CRL fetale e i livelli sierici di PAPP-A – essendo inversamente correlata ad essi , e la NT fetale – essendo ad essa

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direttamente correlata. Conseguentemente, la sua incidenza risente del ceppo di origine materna e dalla distribuzione di CRL, NT e PAPP-A (108).

Tabella 9

a) Detection e FPR per valori cut-off fissi nello screening per il rischio totale di trisomia 21, 18 e 13 basato sul modello introdotto da Kagan KO et al con o senza la valutazione qualitativa dell’osso nasale (X/Y in ogni casella)

b) Distribuzione del rischio ed efficacia dello two-stage screening che utilizza la valutazione qualitativa dell’osso nasale

Nel primo step dello screening le pazienti sono suddivisi in tre categorie di rischio per aneuploidia dopo lo screening per età materna, NT fetale, markers biochimici e frequenza cardiaca fetale. Le pazienti con un rischio di 1 a 50 sono considerate positive. Le pazienti con un rischio inferiore a 1 a 1000 sono considerate negative. Alle pazienti con rischio intermedio – tra 1 a 51 e 1 a 1000 – viene

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offerto un ulteriore step di screening con la valutazione dell’osso nasale. Se il rischio che ne risulta è di 1 a 100 o più le pazienti sono considerate positive.

La valutazione qualitativa dell’osso nasale necessita di un opportuno training degli ecografisti e dell’aderenza ad una specifica tecnica di visualizzazione del profilo fetale come precedentemente descritto per la misurazione della NT (figura 1a e 1b).

La valutazione dell’osso nasale è addirittura più difficile di quella della translucenza nucale e, pertanto, è categorico che i medici ecografisti che si dedicano alla valutazione del rischio per aneuploidie attraverso la valutazione del profilo fetale ricevano tale accurato training e la certificazione di competenza. È stato calcolato che un ecografista accreditato per la misurazione della NT necessita di almeno 80 scansioni ecografiche dell’osso nasale per esser competente in questo tipo di esame (109).

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Figura 1

a) Immagine ultrasonografica che dimostra le due linee ecogene orizzontali parallele a livello del naso, con la superiore che rappresenta la cute e quella inferiore che si riferisce all’osso nasale e alla sua cartilagine. è evidente anche la punta del naso che rappresenta la terza linea ecogena da individuare, quasi continua con la cute.

a) Profilo fetale in un feto affetto da trisomia 21. Si noti la linea della cartilagine nasale meno ecogena rispetto a quella della pelle. In questo caso, l’osso nasale non è calcificato e pertanto viene classificato come assente

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Studi anatomopatologici sul cuore e i grossi vasi a seguito di interruzione di gravidanza hanno evidenziato, sia in feti euploidi sia in quelli con aberrazioni cromosomiche, entrambi con aumentata NT, un’aumentata prevalenza di tali anomalie (110-8). La lesione cardiaca di più frequente riscontro in feti affetti da trisomia 21 è il difetto del setto ventricolare o atrioventricolare. La trisomia 18 si associa, invece, a difetti del setto ventricolare e/o ad anomalie polivalvolari. Nella trisomia 13 di frequente riscontro sono i difetti del setto ventricolare e atrioventricolare, anomalie valvolari e il restringimento dell’istmo o del tronco arterioso. La sindrome di Turner anche essa si associa a restringimento del lume di tutto il tratto aortico. Inoltre il restringimento del lume dell’istmo aortico è significativamente maggiore in feti con aumentato spessore della plica nucale. La controparte euploide, solitamente, è interessata da restringimento del lume soprattutto a livello istmico e a difetti valvolari (113).

Inoltre, diversi studi hanno dimostrato una correlazione significativa tra NT aumentata ed anomalie del flusso nel dotto venoso, sistema unico di shunting che trasporta il sangue ossigenato dalla vena ombelicale verso la circolazione coronarica e cerebrale veicolandolo preferenzialmente attraverso il forame ovale nell’atrio sinistro (119-121).

Dai dati combinati di otto studi che esaminavano il dotto venoso fetale in 791 feti euploidi con aumentata NT, alterazioni flussimetriche nel dotto

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venoso vennero osservate nell’87% di quelli con difetti cardiaci congeniti e nel 20% circa di quelli senza malformazioni cardiache e dei grossi vasi (122).

Inoltre, un’alta proporzione di feti affetti da trisomia 21 ed altre cromosomopatie presentano alterazioni di flusso nel dotto venoso a 11-13 settimane di gestazione. Flusso assente o invertito durante l’onda a o valori Doppler alterati a livello del DV si osservano nel 65% dei feti aneuploidi e nel 70% circa dei feti con un outcome avverso. Nello specifico un flusso anomalo nel dotto venoso si osserva rispettivamente in circa il 70%, 72%, 80% e 60% dei feti affetti da trisomia 21, 18, 13 e nella sindrome di Turner (tabella 10) (123-6).

Tabella 10

Studi che riportano l’incidenza di un flusso anomalo nel dotto venoso nel primo trimestre in feti euploidi e in quelli con trisomia 21, 18 e 13 e con altre anomalie cromosomiche

Un flusso anomalo viene definite da onda A assente o invertita oppure da indici di pulsatilità del dotto venoso al di sopra del 95esimo percentile

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In feti euploidi con valori di NT nella norma, il valore predittivo per malattie cardiache congenite delle alterazioni flussimetriche a livello del dotto venoso è di circa 1/20. Se si associa anche un valore elevato al di sopra del 95esimo percentile della NT, allora il rischio aumenta di circa il doppio.

Nelle gravidanze gemellari, la valutazione flussimetrica sul dotto venoso ha applicazioni simili a quelle per le gravidanze singole laddove nelle gravidanze monocoriali esso è anche uno strumento di precoce identificazione di sindrome da trasfusione tra gemelli, condizione associata ad elevata mortalità in utero, soprattutto nel secondo trimestre di gestazione (122).

Un valore flussimetrico alterato a livello del dotto venoso costituisce, dunque, un ottimo strumento indipendente rispetto alla sola NT nello screening per malattie cardiache congenite e integrativo rispetto alla sola NT nello screening per aneuploidie, oltre ad essere indicazione ad un esame ecocardiografico accurato da parte di uno specialista (126).

Inoltre, dal momento che tra le varie ipotesi di eziopatogenesi di translucenza nucale aumentata osservata nei feti aneuploidi vi è la precoce disfunzione cardiaca, l’importante associazione tra anomalie flussimetriche del dotto venoso e NT aumentata supporta tale ipotesi (127).

Valori di NT elevati e/o anomalie di flusso nel dotto venoso non sembrano essere confinate a determinati difetti cardiaci congeniti (124), sebbene nei

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feti euploidi con un valore normale di translucenza nucale tutti i difetti sono a carico del cuore di destra (tabella 11).

Inoltre, la prevalenza del flusso invertito sul dotto venoso durante la contrazione atriale (onda a) non è influenzata solo dal cariotipo fetale ma anche dall’etnicità materna, essendo maggiormente frequente in donne di origini Afro-Caraibiche rispetto a quello del ceppo Causasico, oltre ad essere inversamente correlata al CRL fetale e ai valori di PAPP-A (128).

Tabella 11

Incidenza di NT aumentata sopra il 95esimo percentile e onda a invertita sul dotto venoso per differenti categorie di difetti cardiaci maggiori

Gli immaturi ventricoli fetali sono svantaggiati per quanto riguarda il loro ottimale riempimento dal momento che hanno un adattamento miocardico meno organizzato, un minor numero di sarcomeri, un diametro minore e lavorano a frequenze cardiache significativamente più alte, lasciando poco tempo all’inattivazione della contrazione ventricolare. Il miocardio fetale sviluppa una tensione considerevolmente maggiore a riposo rispetto a quando è stirato e sviluppa comunque una tensione minore a qualunque

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lunghezza di riposo quando comparato a quello di un adulto. Perciò, nel feto, c’è uno spostamento verso l’alto della relazione pressione-volume a fine diastole con pressioni più alte a qualunque volume. La minore compliance del cuore fetale comparata con quello di un adulto è dimostrata da studi Doppler di riempimento ventricolare che evidenziano la predominanza della onda a della contrazione atriale, laddove nel cuore adulto è maggiore l’onda del precoce riempimento ventricolare, o onda E. Questo sottolinea come il miglioramento nello sviluppo della funzione diastolica inizi già al primo trimestre (129-131).

In aggiunta, nel primo trimestre, il postcarico cardiaco è significativamente maggiore rispetto alle altre fasi della gestazione per via delle elevate resistenze placentari e il feto non è ancora in grado di contrastare ogni tipo di tendenza alla ritenzione di fluidi a causa di una funzione renale non ancora sviluppata (132).

Pertanto, una piccola disfunzione diastolica aggiuntiva può essere in grado di produrre una disfunzione cardiaca evidente attraverso una aumentata NT appunto e una inversione di flusso nel dotto venoso.

Ad ogni modo, i meccanismi sottostanti l’associazione tra le alterazioni di flusso nel dotto venoso e i difetti cardiaci congeniti non sono tuttora conosciuti (133-4).

La corretta valutazione Doppler del dotto venoso è vincolata a determinati criteri utilizzati nell’ottica di una migliore riproducibilità ed interpretazione

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del marker ultrasonografico. In primis l’esame deve essere eseguito in condizioni di quiescenza fetale; in secondo luogo, in modo da mettere in evidenza in maniera ottimale il dotto venoso, si dovrebbe ottenere un immagine ecografica a pieno schermo che contenga il torace fetale e l’addome; terzo criterio è rappresentato dal piano di scansione ottimale che è quello che consente la visione medio sagittale del tronco fetale di modo da applicare successivamente il Doppler al fine di identificare il dotto venoso, la vena ombelicale e il cuore fetale; in quarta istanza, il campionamento Doppler pulsato dovrebbe essere piccolo (0.5–1 mm) in modo tale da evitare contaminazioni da parte dei vasi sanguigni viciniori ed applicato nella porzione del torace fetale immediatamente sopra il seno ombelicale; inoltre, l’angolo di insonazione non deve essere inferiore ai 30° e, da ultimo, è bene settare l’ecografo a basse frequenze (50–70 Hz) di modo che l’onda a sia ben visibile e con una opportuna velocità di campionamento (2–3 cm/s) allo scopo di una migliore valutazione della onda a (136-7).

La morfologia delle onde determinate dalla velocità del flusso sanguigno attraverso il dotto venoso di Aranzio viene studiata facendo ricorso al pulsatility index o P.I in maniera quantitativa, oppure in maniera qualitativa, definendo l’onda a positiva, assente o con flusso invertito (123).

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Contaminazioni da parte della vena cava inferiore o delle stesse vene epatiche può mimare una onda a invertita, e, di contro, la contaminazione da parte della vena ombelicale può nascondere un’onda a invertita. Inoltre, sembra che nella contaminazione da parte della vena cava inferiore o delle vene epatiche diventino evidenti due linee a forma di V mentre nel caso di un flusso attraverso il dotto venoso altamente compromesso la contaminazione da parte della vena ombelicale determina una linea a forma di V tronca che incontra la linea di base (fig. 2 e 3).

Figura 2

Dotto venoso e color Doppler (a sinistra) e onde doppler del dotto venoso che dimostrano le tre fasi: (S) sistole, (D) diastole, e (a) contrazione atriale

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Figura 3

Onde di velocità di flusso nel dotto venoso: onda normale ( a ), onda a invertita ( b ), contaminazione da parte della vena ombelicale ( c ) con la linea a forma di V tronca e la contaminazione da parte delle vene epatiche ( d ) con ben evidenti le due linee a forma di V sovrapposte

La performance dello screening del primo trimestre per la trisomia 21 risulta migliorata dall’aggiunta della valutazione qualitativa del flusso a livello del dotto venoso a 11-13 settimane di gestazione con un opportuno algoritmo con un incremento della detection rate fino al 96% dei feti affetti da trisomia 21, al 92% dei feti affetti da trisomia 18 e al 100% dei feti affetti da trisomia 13 e dalla sindrome di Turner, riducendo la FPR a circa il 2,5% (128) (tabella 12).

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Tabella 12

Detection rates per FPR fisse nello screening combinato del primo trimestre con e senza la valutazione del dotto venoso

Da diversi studi il rigurgito della valvola tricuspide è stato osservato in misura variabile, a seconda dalla popolazione scelta per l’analisi e dalla grandezza del campione , in circa il 3% dei feti euploidi, nel 65-75% dei feti affetti da trisomia 21, nel 50% di quelli affetti da trisomia 18 e in circa un terzo di quelli affetti da trisomia 13 e sindrome di Turner.

In aggiunta, un reperto di rigurgito tricuspidale in feti euploidi aumenta di circa 8 volte il rischio di cromosomopatie (138-140). Questa elevata associazione trova conferma nei risultati di uno studio ecocardiografico condotto su topi a 11-14 giorni di gestazione, laddove il rigurgito tricuspidale (TR) venne riscontrato in circa il 25% dei 20 topi affetti da trisomia 16, che rappresenta il modello animale di studio della trisomia 21 nell’uomo (141).

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È stato osservato che la sua prevalenza diminuisce al crescere dell’epoca gestazionale e aumenta all’aumentare della NT, essendo sostanzialmente più alta in quei feti con una concomitante malformazione cardiaca e/o dei grossi vasi anziché a quelli senza (142).

In aggiunta, tale parametro non è influenzato solo dal cariotipo fetale ma anche dall’abitudine al fumo materno – essendo più alta nelle pazienti fumatrici - dal peso materno – diminuendo all’aumentare del peso materno - mentre, sia nei feti aneuplodi sia nella controparte euploide, i livelli sierici di free β-hCG e di PAPP-A sono indipendenti dalla presenza o assenza di rigurgito tricuspidale (142).

Dal momento che la prevalenza delle anomalie cromosomiche e dei difetti cardiaci aumenta in maniera direttamente proporzionale allo spessore della plica nucale fetale sia nei feti aneuploidi sia nella controparte euploide (143-5), l’elevata prevalenza di TR in feti aneuploidi può essere in parte attribuita alla concomitante presenza di difetti cardiaci (138).

Per quanto riguarda l’associazione tra NT aumentata e TR anche nei feti euploidi, esistono diverse condizioni patologiche caratterizzate da alterazioni del precarico, come nell’idrope fetale non-immune, nelle fistole arterovenose e nel feto accettore nella sindrome da trasfusione tra gemelli (twin-to-twin transfusion syndrome), o da alterazioni del postcarico cardiaco, come nel ritardo di crescita severo (146-47). In aggiunta, tale

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alterazione emodinamica si può anche sviluppare in un cuore con una comune valvulopatia atrioventricolare o con un’ anomalia di Ebstein (148). Alla luce di queste premesse, la presenza o l’assenza di rigurgito tricuspidale può essere utilizzata per modificare il rischio di aneuploidia legato all’età materna e alla NT fetale e, in seconda istanza, per modificare il rischio di difetti cardiaci congeniti correlato ad una NT aumentata nei feti con corredo cromosomico normale.

La valutazione del TR può essere integrata tramite opportuno algoritmo assieme alla NT fetale e i markers biochimici nell’ambito del test combinato migliorando la detection rate dal 90% circa al 95% con la stessa FPR del 5%, oppure con una detection rate fissa del 90% diminuendo la FPR del 60% per la trisomia 21, con l’identificazione simultanea del 90% dei feti affetti da trisomia 18 e del 100% dei feti affetti da trisomia 13 e da sindrome di Turner (149) (tabelle 13 e 14).

Tabella 13

Prevalenza del rigurgito tricuspidale in feti euploidi e in feti aneuploidi in presenza o in assenza di un concomitante difetto cardiaco

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Tabella 14

Detection rates per valori fissi di FPR nello screening del primo trimestre con età materna, NT, FCF, markers biochimici con o senza valutazione del flusso attraverso la tricuspide in tutte le gravidanze

La diagnosi di rigurgito tricuspidale a 11-13 settimane di gestazione è vincolata ad una corretta visualizzazione apicale delle quattro camere e degli efflussi ed afflussi tramite color-Doppler ed è basata sull’utilizzo del Doppler pulsato a livello dell’orificio della valvola tricuspide nell’atrio destro. Il volume di campionamento di 2.0-3.0 mm è posto con un angolo di insonazione inferiore a 30° (figura 4).

Figura 4

Visione apicale delle quattro camere cardiache a 12 settimane. Il volume di campionamento è posizionato a livello dell’orifizio della valvola tricuspide ed include l’atrio destro e il ventricolo omolaterale.

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