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L'importanza del luogo di lavoro: verso la creazione di una nuova realtà riabilitativa nella prima infanzia

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale

Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie

Il luogo di lavoro: verso la creazione di una nuova realtà

riabilitativa nella prima infanzia

CANDIDATO RELATORE

Sabrina Del Secco

Prof. Alfonso Cristaudo

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A chi sta in piedi in mezzo alla tempesta, nonostante in piedi non potrà star mai. A chi sorride con l’innocenza di un bambino, forse noncurante che resterà innocente per sempre. A chi ogni giorno si sveglia e rivolge uno sguardo alla propria mamma, ed è l’unico modo che ha per dire “Ti voglio bene”. A voi, piccoli guerrieri.

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Indice

INTRODUZIONE ... 6

IL LUOGO DI LAVORO AI SENSI DEL D.LGS 81/2008 ... 8

SICUREZZA SUL LAVORO IN AMBITO SANITARIO ... 11

OBBLIGHI FONDAMENTALI ... 20

AMBIENTE DI LAVORO E PRODUTTIVITÀ ... 24

LA VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE DELLE PERFORMANCE IN SANITÀ ... 29

PARTE SPERIMENTALE ... 38

BACKGROUND E RAZIONALE ... 38

ANALISI DELL’ATTUALE SITUAZIONE DEL REPARTO DI NEUROLOGIA DI PRIMA INFANZIA DELL’IRCCS FONDAZIONE STELLA MARIS ... 46 La mission ... 48 Il personale ... 49 Le attività ... 51 Criticità evidenziate ... 54 PROPOSTE DI MIGLIORAMENTO ... 58 IL PROGETTO ... 59 I FONDI ... 62 DISCUSSIONE ... 64 CONCLUSIONI ... 69

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BIBLIOGRAFIA ... 71 SITOGRAFIA ... 77 RINGRAZIAMENTI ... 78

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Introduzione

Il luogo di lavoro è un concetto ampio, definito – secondo l’art. 62, comma 1, del D.Lgs 81/2008 – come “l’insieme dei luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”.

Si evince come, anche in sanità, il luogo di lavoro comprenda spazi anche molto diversi tra loro e frequentati da personale a vario titolo, ma anche da visitatori e collaboratori esterni. Il luogo di lavoro assume un significato importante, non solo legato alla concezione spaziale del termine, ma diviene mezzo, e altresì strumento, per la produttività dell’azienda, per il benessere dei lavoratori e – in ambito sanitario – per la soddisfazione del paziente. Data la natura del lavoro in Sanità, che comporta grande coinvolgimento dei professionisti, alta complessità operativa, fattori giuridici/burocratici pressanti e crescita costante d’informatizzazione, l’importanza dell’analisi delle attività svolte, dell’ambiente di lavoro e della definizione del carico di lavoro risulta di primaria importanza. Problematiche relative all’organizzazione del lavoro e ad ambienti lavorativi poco consoni alle attività svolte, sono in grado di impattare pesantemente, a volte in modo dannoso, sulla sicurezza e sul benessere dei professionisti e quindi dei pazienti.

Nello specifico di questa tesi, andremo ad analizzare una realtà riabilitativa della prima infanzia, quella dell’IRCCS Fondazione Stella Maris (PI), volendo sottolineare come un ambiente di lavoro positivo, che sia in grado di supportare il lavoratore e le attività da lui svolte, sia in grado di incidere significativamente sul benessere dei lavoratori, che già si trovano ogni giorno a contatto con pazienti e relative situazioni familiari altamente complessi. Una volta evidenziate le principali criticità dell’ambiente lavorativo, che possono ostacolare questo difficile processo di assistenza, presenteremo un progetto, sviluppato congiuntamente con il personale riabilitativo della Sezione di Neurologia di Prima Infanzia, volto a ridurre le criticità e a creare la miglior condizione possibile per il

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lavoratore e per il paziente. Auspicandoci che l’attuazione dello stesso possa essere utile in prospettiva futura, sarà indispensabile prevedere una valutazione approfondita delle modifiche attuate, di competenza del Dirigente, a breve-medio e lungo termine.

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Il luogo di lavoro ai sensi del D.Lgs 81/2008

La giurisprudenza, anticipando quanto previsto dall’articolo 62 del D.Lgs 81/2008, da tempo definisce “ambiente di lavoro” quello che circonda il lavoratore in tutta la fase in cui si svolge l’attività lavorativa, compresi i luoghi in cui i lavoratori devono recarsi per incombenze di qualsiasi natura (Cass. pen. sez IV del 25 Novembre 1961 e del 6 Novembre 1980, Terenziani).

Generalmente, il luogo di lavoro può essere determinato dal contratto d’impiego stipulato dalle parti, oppure può essere desunto dagli usi o dalla natura della prestazione stessa. Dunque, il luogo di lavoro può esser rappresentato da un unico spazio fisico o coincidere con più sedi, o addirittura con un ambito territoriale più o meno indeterminato e vasto.

Per dare una definizione più precisa del Luogo di lavoro, dobbiamo necessariamente citare il D.Lgs 81/2008 – Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro – e nello specifico il Titolo II, dedicato ai luoghi di lavoro. In particolare, l’art. 62, comma 1, li identifica come quelli “destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro.” Successivamente, una sentenza della Corte di Cassazione ha precisato la definizione sopra riportata sottolineando come, ai fini della normativa antinfortunistica, per luogo di lavoro debba intendersi “qualsiasi posto in cui il lavoratore acceda o transiti, anche solo occasionalmente, purchè lo faccia per provvedere alle incombenze affidategli.” Da un punto di vista puramente lessicale, la dizione “luogo di lavoro” risulta anche intercambiabile con quella di posto o ambiente di lavoro; sotto il profilo della normativa prevenzionistica, invece, occorre distinguere nettamente tra loro questi postulati, pur in assenza di specifiche definizioni rintracciabili nella legislazione.

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La realtà ospedaliera

La definizione “luogo di lavoro” viene a rappresentare un termine molto generico per poter definire la struttura ospedaliera, in quanto essa comprende anche luoghi frequentati non solo dai lavoratori interni a qualsiasi titolo, ma anche dagli utenti, dai visitatori, dai fornitori, dagli informatori, dai manutentori etc. Questo vale per le strutture pubbliche ma è altrettanto veritiero per strutture di assistenza, cure e riabilitazione, poiché l’idea di fondo è volta sempre più verso la realizzazione di un luogo integrato alla vita di tutti i giorni.

Negli ultimi anni, infatti, concetti quali “soddisfazione del cliente”, “efficacia dei messaggi”, “efficienza dei servizi”, sono entrati a far parte del sentire comune, e pertanto lo stesso paziente valuta e sceglie (se e quando è in grado di farlo) il servizio sanitario più confacente alle sue esigenze.

Anche le stesse esigenze dei pazienti nel corso degli anni sono mutate; i progressi scientifici e tecnologici hanno aperto nuovi orizzonti di cura e prevenzione nei confronti di patologie altrimenti non trattabili; la crescente consapevolezza dei cittadini del proprio ruolo attivo nella gestione della salute ha fatto uscire la medicina e le sue strutture dall’ambito strettamente diagnostico-terapeutico e ha modificato le richieste e le aspettative degli utenti.

Del resto anche l’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la salute come “uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità”.

Mentre alle origini degli ospedali, non avendo molte disponibilità mediche e tecnologiche, la cura degli infermi e dei malati era accentrata soprattutto su un sostegno morale e religioso; con il progresso tecnologico l’attenzione si è spostata dalla relazione con la persona malata a quella con la malattia: questa prerogativa della medicina occidentale ha stravolto il ruolo tradizionale del terapeuta, sostituendolo con quello del tecnico e dello specialista.

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Ciò ha portato, nel corso degli anni, a trascurare spesso il rapporto umano con il paziente e con i suoi parenti, a trascurare cioè la componente relazionale della medicina; oggi c’è un ritorno al passato, infatti, pur disponendo di avanzate tecnologie e strumentazioni, di personale medico altamente specializzato, si tende a impostare (anche dal punto di vista strutturale ed architettonico) ed organizzare gli ospedali in modo da far ritornare la “persona” al centro di tutto. La componente relazionale, infatti, non fatta solo di parole ma anche di colori, di immagini, di suoni è fattore imprescindibile in ogni attività che preveda l’interazione tra individui; tale valutazione ha costretto a riflettere sulla necessità di sviluppare nuovi modelli di intervento che promuovano la cosiddetta

umanizzazione degli ospedali.

In linea con questi concetti, l’Azienda Ospedaliera Pediatrica di Parma, ad esempio, ha messo in atto un progetto, per i ragazzi ricoverati, chiamato “Stanze Aperte in

Ospedale”: il progetto consisteva nell’installazione di un sistema audiovisivo per la

gestione delle immagini e comunicazioni tra le diverse stanze di degenza; tale sistema è diventato un piacevole passatempo per i ragazzi degenti ed un sistema di controllo discreto per i medici.

Ma sono molti gli esempi che possiamo fare in tal senso. L’Ospedale Civile di Legnano, già dal 1998, ha messo in atto un progetto denominato Iris, che prevede l’attuazione periodica di attività di riduzione dell’ansia e dello stress, quali ad esempio l’apertura dei reparti al mondo esterno in occasione di eventi concertistici e mostre e al coinvolgimento del personale.

All’ASL di Bologna, dal 2003, è stato invece attuato un progetto che punta a rafforzare l’attendibilità e la capacità d’attrazione dei servizi ospedalieri pubblici, puntando ad un concetto di comfort globale, che comprenda l’accoglienza, la personalizzazione dei servizi, la cura degli aspetti estetici, di disponibilità di servizi di ristorazione, comunicazione etc. Questi servizi non sono nati per esser destinati solo al cittadino degente, ma alla collettività che ruota intorno a lui: familiari, amici, visitatori occasionali. Ancora una volta si sottolinea come il “cliente interno”, punto di riferimento del progetto, assuma un ruolo centrale e come si dia importanza a cercare di mantenere il più possibile una linea con la sua quotidianità al di fuori dell’ospedale.

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È evidente che tali accortezze risultano ancor più importanti, se non fondamentali, in realtà ospedaliere pediatriche. I piccoli pazienti, in alcuni casi, possono continuare a condurre una vita “quasi normale” sebbene ricoverati in ospedale, quando l’ospedale stesso riesce a riprodurre un ambiente molto simile a quello di casa o di una scuola e quando i piccoli pazienti sono occupati da attività didattiche o ricreative.

In alcuni ospedali, soprattutto del Nord Europa, ormai da anni è stato introdotto un servizio di baby sitting gratuito, a disposizione dei genitori, che permetta a questi ultimi di effettuare con tranquillità tutte le analisi e i controlli medici di cui necessitino. Questo è particolarmente utile per i genitori soli, che altrimenti non saprebbero dove collocare il proprio figlio e dovrebbero pagare un baby sitter - o chi per lui - appositamente per andare in clinica.

Quanto sopra esposto, sebbene di grande utilità per un miglioramento della qualità dei servizi, per la realizzazione di un ambiente di lavoro più sereno e tranquillo, al momento è lasciato alla libera iniziativa della direzione ospedaliera e pertanto sarebbe auspicabile che ogni ospedale, in base alle risorse di personale ed economiche, possa tendere ad una maggiore applicazione dell’umanizzazione ospedaliera.

Sicurezza sul lavoro in ambito sanitario

Il D.Lgs. n. 81 dd. 9/04/2008 e ss.mm. è il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Prosegue il percorso intrapreso con il D.Lgs. 626/1994 che imponeva un cambio di mentalità e un’attenzione costante ai problemi legati alla sicurezza sul lavoro. La normativa è rivolta a tutte le attività, sia pubbliche che private. Il Decreto coinvolge tutte le figure presenti in azienda: dal Datore di Lavoro ai lavoratori.

Il Documento più importante previsto dal D.Lgs. è il D.V.R. Documento di valutazione dei rischi. Rappresenta un’importante attestazione di tutte le misure di prevenzione e

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protezione che sono state adottate all’interno dell’azienda per migliorare i servizi di sicurezza. Per effettuare la valutazione dei rischi di un’attività lavorativa occorre individuare tutti i pericoli connessi all’attività svolta e quantificare il rischio, ossia la probabilità che un pericolo si tramuti in danno.

La valutazione dei rischi è uno degli obblighi principali del Datore di Lavoro.

Il “datore di lavoro”, per dare una definizione, è il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.

La valutazione dei rischi deriva quindi da un’attenta analisi che il Datore di Lavoro effettua insieme ad altre importantissime figure aziendali:

- Il responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione: persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dei rischi.

- Il Medico competente: medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al D.Lgs 81/2008.

e con parere del/dei Rappresentante/i dei Lavoratori per la Sicurezza: persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro.

I numeri della sanità, in Italia, sono degni di nota: circa 400.000 lavoratori sono impegnati quotidianamente nelle strutture ospedaliere italiane, sono oltre 1300 gli

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ospedali pubblici e privati e 230.000 i posti letto, a 800.000 ammontano i lavoratori del comparto Sanità e a 10.000.000 le persone che ogni anno usufruiscono delle strutture ospedaliere, ma anche a 35.000 gli infortuni denunciati nella Sanità e a 15.000 quelli denunciati nel settore ospedaliero.

Ormai tutte le aziende ospedaliere, hanno personale apposito che si occupa di “sicurezza in ospedale”, e questo costituisce un valido strumento per affrontare con spirito risolutivo, insieme al coinvolgimento di tutto il personale competente, la valutazione dei rischi e la programmazione degli interventi di miglioramento costante delle condizioni di sicurezza ed igiene in ambienti di lavoro ad altissima valenza sociale. Considerando la storia degli ospedali e tutti i cambiamenti attuati dalla loro nascita, tra cui di particolare rilevanza la riforma sanitaria del 1978, un’informazione significativa, facendo una prima analisi superficiale, è sicuramente l’anno di costruzione della struttura. Ciò infatti influenza significativamente le varie ristrutturazioni o adeguamenti edilizi, organizzativi e di sicurezza.

Nel grafico sono riportati i risultati di un’analisi condotta dal CNR in cui erano stati raccolti gli anni di costruzione degli ospedali stimati fino al 1980 ed i dati ISTAT 2002 per gli anni successivi.

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Come si evince, circa un quarto degli ospedali italiani sono collocati in edifici storici, cioè con data di costruzione antecedente rispetto al 1900 e conseguentemente spesso con vincoli architettonici, strutturali, impiantistici che ne condizionano anche il funzionamento e la disponibilità degli spazi e dei servizi.

Tali strutture, per la maggior parte oggi inglobate completamente nel centro urbano, hanno raramente la possibilità di estendersi e di adeguarsi alle nuove necessità d’impianti, di apparecchiature, di sicurezza, d’igiene, di logistica, ma pur sempre sono e restano nella tradizione, nella memoria e nelle consuetudini dei cittadini, i quali a malincuore li sostituirebbero con strutture più moderne. Nuovo impulso alla costruzione di ospedali è stato dato dalle due guerre mondiali e poi negli anni ’60 con il consolidarsi di una rete ospedaliera e di sanatori per la lotta contro la tubercolosi, gestita dall’INPS, e da centri ortopedici - traumatologici, gestiti dall’Inail, atti alla cura e recupero degli infortunati sul lavoro.

Solo la riforma ospedaliera del 1978 e del dato un nuovo impulso all’edilizia sanitaria in modo tale da poter fronteggiare le nuove esigenze strutturali e organizzative.

La tipologia costruttiva degli ospedali è variata nei secoli e poi, sempre più velocemente con la tecnologia, nei decenni; da assistenza più spirituale che fisica dei primi ospedali, realizzati in ampie camerate con l’altare in fondo, si è passati ad un’assistenza e cura sempre più specialistica, prima in strutture a padiglioni, tali da rendere possibile l’isolamento fisico delle malattie di origine e natura diversa, e successivamente a strutture a monoblocco, a poliblocco, a monoblocco con piastra per arrivare poi alla suddivisione strutturale e/o organizzativa in dipartimenti.

Le diverse strutture rispecchiano le diverse necessità che nel corso degli anni si sono concretizzate in seguito alle svariate scoperte scientifiche sull’origine e sulla cura delle malattie, al supporto ed all’ausilio di tecnologie e metodiche sempre più sofisticate ed, in taluni casi, anche in seguito alla necessità di ridurre i costi, gli spazi, i percorsi, il numero di servizi. La tipologia della struttura edilizia, l’età dell’ospedale, la fattibilità degli interventi edilizi ed impiantistici, i costi di manutenzione, la disponi- bilità di adeguate zone di parcheggio, nonché la facilità di accesso spesso influenzano nella fase

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di progettazione, nella scelta sull’opportunità di realizzare una nuova struttura oppure se intervenire su quella già esistente.

La ristrutturazione di un ospedale esistente è molto onerosa dal punto di vista economico non solo nella fase di realizzazione, ma anche nella fase di mantenimento in efficienza. Inoltre, soprattutto per edifici con un numero di posti letto limitato o con una capacità inferiore alla richiesta del territorio, la fase di ristrutturazione richiede uno sforzo organizzativo e gestionale non indifferente al fine di poter mantenere sicure, efficienti e funzionali le unità operative non interessate dai lavori.

Anche dal punto di vista della sicurezza la scelta di intervenire mediante la ristrutturazione degli edifici comporta delle problematiche differenti rispetto a quella di costruirne uno nuovo. Infatti, non solo nel primo caso occorre garantire l’efficienza del servizio, ma occorre anche tener conto della presenza di personale esterno (manovali, impiantisti, ecc.), estranei alle attività proprie dell’ospedale, l’eventuale presenza di polveri, di rumore, l’inaccessibilità di alcune zone e/o di servizi, la dislocazione dei malati, delle apparecchiature, la variazione della segnaletica, nuove procedure di emergenza e di evacuazione, l’erogazione in continuo di energia, di acqua, del sistema antincendio, etc. Tutto ciò non è assolutamente insormontabile se all’interno della struttura ospedaliera vige una buona gestione e un buon coordinamento tra il personale e le diverse unità operative, ma comporta naturalmente uno sforzo ulteriore del personale.

Mettiamo luce sulla distribuzione delle strutture pubbliche e private accreditate per tipologia di assistenza erogata: ospedaliera, specialistica (clinica, laboratorio, diagnostica strumentale e per immagini) ambulatoriale, territoriale residenziale, territoriale semiresidenziale, altra assistenza (centri dialisi, stabilimenti idrotermali, centri di salute mentale, consultori materno-infantili e centri distrettuali).

Mentre nel 1999 le strutture territoriali pubbliche erano in media il 52% delle strutture totali, dal censimento effettuato nel 2009 ed inserito nell’annuario (pubblicato a gennaio 2012) si evince come le strutture private siano ora in percentuale maggiore rispetto a quelle pubbliche. Entrando nel dettaglio, le strutture pubbliche erogano in

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maggioranza assistenza ospedaliera (54,4%) ed altra assistenza territoriale (88,6%), mentre le strutture accreditate sono maggiormente concentrate nell’erogazione di assistenza specialistica ambulatoriale (60,2%), nell’assistenza territoriale residenziale (74,2%) e semiresidenziale (59,9%) e nell’assistenza riabilitativa (75,8%).

Figura 2: strutture pubbliche e private accreditate nel 2009.

Dunque, possiamo affermare che siamo nell’era dell’altissima tecnologia diagnostica e curativa, dell’umanizzazione degli ospedali e delle biotecnologie; la medicina, pienamente partecipe del mondo della scienza, vive con una certa sofferenza le sfide che l’attendono cariche di dubbi etici e di interrogativi morali. Ma siamo anche nell’epoca di una continua richiesta di adeguatezza delle strutture e di servizi erogati e dell’insufficienza delle risorse rispetto ai bisogni: scarse le prime, incontrollabili i secondi nella logica di un consumismo medico sfrenato e di una crescente aspettativa di vita della popolazione del Vecchio Continente.

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L’ospedale non è solo un ambiente di lavoro, ma è anche, e soprattutto, una struttura a cui ogni cittadino si rivolge carico di aspettative relativo alla salute ed in cerca di rapporti interpersonali che gli consentano di capire, in uno stato di stress, un mondo organizzativo e gestionale a lui sconosciuto. Tenendo conto di ciò risulta evidente come la tipologia di struttura, le indicazioni scritte e verbali più o meno chiare ed efficaci, l’accoglienza ricevuta, la formazione del personale hanno una notevole influenza sul comportamento degli utenti e di conseguenza sulle condizioni lavorative dei dipendenti. Il problema “sicurezza” non riguarda solo la categoria dei lavoratori, come nei principali ambienti di lavoro, ma indirettamente è esteso anche a tutti i pazienti e visitatori. La cultura della sicurezza e della prevenzione, in via di diffusione già da decenni, in passato era legata principalmente alla sicurezza del paziente ed alla qualità del servizio e pertanto gestita, quasi esclusivamente, sotto la responsabilità della direzione sanitaria (programmi di medicina preventiva per la tutela da malattie infettive, da esposizione ad agenti chimici, per la formazione del personale, per il controllo dei processi di disinfezione e sterilizzazione, ecc).

Nel 1955 fu emanata la prima norma di sicurezza, a carattere prescrittivo, per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547; tale norma è rimasta vigente fino al D.Lgs. del 9 aprile 2008, n.81, norma che costituisce la pietra miliare dei diritti dei lavoratori in quanto definisce i requisiti minimi di sicurezza che devono essere rispettati negli ambienti di lavoro; questi ultimi costituiscono il punto di riferimento anche in un eventuale contenzioso.

Col tempo e con la nuova normativa di sicurezza ed igiene sul lavoro (D.Lgs. 626/1994 prima e D.Lgs. 81/2008 poi) il ruolo della direzione sanitaria è andato modificandosi: dalla preminente responsabilità per gli aspetti igienisti, affrontati soprattutto con programmi di prevenzione, ad un ruolo attivo “a tutto campo” (in strutture ove ruoli ed attività erano ben organizzati, suddivisi e gestiti) nel processo di individuazione dei rischi e dei soggetti esposti, di coordinamento delle attività di prevenzione e protezione, di individuazione di soluzioni operative ed organizzative, di vigilanza sulla applicazione di tutte le misure necessarie al mantenimento o al ripristino di corrette procedure di

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lavoro, di programmazione delle attività formative ed informative, sino alla partecipazione nella stesura del documento di valutazione.

Le strutture di ricovero e cura, ospedali e non solo, sia pubbliche che private, rientrano nell’ambito della normativa che riguarda i luoghi di lavoro, e devono quindi risultare conformi ai requisiti definiti nel capo I del Titolo II (artt 62-64) del Testo Unico sulla Sicurezza. Rispetto alle disposizioni generali riferibili a qualsiasi luogo di lavoro, esistono tuttavia già nel D.Lgs 81/08 alcune importanti precisazioni per alcune tipologie di Ospedali, per esempio l’istituzione del Servizio di Prevenzione e Protezione interno all’azienda è obbligatorio per le strutture di ricovero e cura con oltre 50 lavoratori (oltre che per altre tipologie di aziende come elencate nel c6 dell’art 31).

Un intervento ministeriale del Settembre 2002 con l’emissione della “regola tecnica di

prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio delle strutture sanitarie pubbliche e private” recentemente aggiornato da un successivo decreto

ministeriale, in vigore dal 24 Aprile 2015 (D.M del 19/03/2015 “Aggiornamento della

regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio delle strutture sanitarie pubbliche e private di cui al decreto 18 settembre 2002”),

definiscono di fatto tutti i requisiti infrastrutturali, strutturali e di progettazione, le

misure di prevenzione, gli aspetti della formazione e le disposizioni in materia di

protezione e gestione delle emergenze negli istituti di ricovero e cura.

Gli istituti di ricovero e cura sono luoghi di lavoro alquanto eterogenei e complessi (si pensi ad ambulatori, day hospital, degenza, laboratori, radioterapia ecc) e ricoprono una vasta serie di casistiche riconducibili a rischi sui luoghi di lavoro molteplici ed a volte complessi; in considerazione della complessità del luogo di lavoro i rischi inerenti le differenti attività devono essere valutati studiando gli ambienti di lavoro ed analizzandone le caratteristiche, sia strumentali che infrastrutturali, con lo scopo di elaborare un Documento di Valutazione dei Rischi che tenga conto anche delle interferenze tra un ambiente e l’altro.

Di seguito, prenderemo brevemente in considerazione quelli che sono i principali rischi in un ambiente lavorativo:

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> Rischio incendio: è importante valutare con attenzione tutte le possibili sorgenti di innesco, ad esempio reagenti chimici infiammabili, presenza di materiali che possono facilmente prendere fuoco, e di strumentazioni e attrezzature elettriche

> Attrezzature: oltre alla possibilità di incendio, i principali fattori di rischio possono essere dati dalla presenza di strumenti diagnostici emettitori di radiazioni ionizzanti (apparecchi per radiografie e radioterapie), a strumenti emettitori di forti campi elettromagnetici (Risonanze Magnetiche) e da strumenti ed attrezzature pericolosi perché taglienti (bisturi e siringhe).

> Rischio biologico: può interessare sia i lavoratori che i dirigenti. gli ospedali sono il luogo per definizione, in cui le forme batteriche vengono introdotte spontaneamente (per curarle) e la capacità di trasmettersi attraverso il vettore umano, congiuntamente alla possibile condizione di riduzione delle difese immunitarie per cause patologiche o terapeutiche, rendono il rischio biologico uno dei più significativi in una struttura ospedaliera.

> Rischio chimico: altrettanto importante e legato alla presenza di sostanze di laboratorio, farmaci, reagenti pericolosi (chemioterapici, stupefacenti, ecc.) che devono essere mantenuti, manipolati e smaltiti correttamente secondo procedure standardizzate, onde evitarne la dispersione accidentale o l’utilizzo improprio.

> Movimentazione manuale dei carichi: per lo più per le attività di assistenza e

sollevamento di degenti non deambulanti o non autosufficienti. Anche questo

rischio deve essere attentamente valutato e gestito con l’ausilio di strumenti di sollevamento meccanici. Nello specifico della struttura che andremo ad analizzare, il reparto di Neurologia di Prima Infanzia dell’IRCCS Fondazione Stella Maris, faremo particolare attenzione alla valutazione di tale rischio, in quanto risulterà fondamentale aiutare gli operatori, che ogni giorno si trovano a contatto con pazienti non deambulanti, nella loro attività clinica, con strumenti appositi che li sollevino da tale rischio ma non ne limitino l’efficienza lavorativa.

> Stress lavoro correlato: Infine, non meno impattante, è il rischio c.d. Stress Lavoro Correlato, legato sia alla presenza di una forte componente emotiva e di responsabilità che si può naturalmente sviluppare nei confronti degli

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ammalati, sia al fenomeno conosciuto come “burn-out”, tipico e originario proprio nel personale che presta attività di tipo assistenziale.

Obblighi fondamentali

Per la valutazione e la gestione di tali rischi, esiste del personale apposito. Infatti, come in qualsiasi altro posto di lavoro, anche in un ospedale, deve esistere un organigramma della sicurezza che faccia capo ad un Datore di Lavoro (spesso identificato per esempio nel direttore scientifico, piuttosto che in un membro del Consiglio di Amministrazione o nella proprietà in caso di aziende private).

Vi sono poi eventualmente le figure dei dirigenti per la sicurezza identificabili per esempio nei direttori di dipartimento o nei medici primari di reparto; ed infine i preposti che spesso vengono identificati nel personale di capo area, capo reparto infermieristico, responsabili di laboratorio o responsabili di sala.

Il datore di lavoro, responsabile organizzativo ed “economico” dell’attività, deve nominare il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (art. 17), il Medico competente (art. 18) nei casi previsti, far eleggere o designare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (art. 47), ma soprattutto deve effettuare la valutazione dei rischi (art. 17) al fine di poter attuare una programmazione degli interventi preventivi e protettivi, nell’ottica di un miglioramento continuo delle condizioni di igiene e sicurezza sul lavoro.

La responsabilità della valutazione dei rischi è del datore di lavoro (art. 17 D.Lgs. 81/2008), che deve essere univocamente individuato.

Nello specifico settore sanitario, inoltre, con il D.M. 18 settembre 2002, dopo 18 anni di attesa, viene emanata la regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la

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costruzione e l’esercizio delle strutture sanitarie pubbliche e private che detta delle regole molto restrittive a salvaguardia di tutte le persone presenti: lavoratori, utenti e visitatori. La regola tecnica di prevenzione incendi condiziona prepotentemente la progettazione di nuove strutture e la ristrutturazione di quelle esistenti.

Le strutture ospedaliere si devono pertanto adeguare alle norme di sicurezza antincendio, ma anche sul piano della metodologia di lavoro e organizzativo- gestionale per poter far fronte a tutte le normative già pubblicate o in via di definizione.

Il datore di lavoro, sebbene possa e debba definire ruoli, competenze e responsabilità in procedure scritte e condivise dagli interessati, deve prima di tutto verificare il livello di applicazione della normativa vigente.

La valutazione dei rischi è la metodologia con la quale vengono individuati gli interventi e le relative priorità, da attuare al fine di sanare eventuali carenze normative e di raggiungere gli obiettivi esplicitati nella politica della sicurezza.

La valutazione dei rischi, obbligo non delegabile del Datore di lavoro (art. 17), il quale però si può avvalere della consulenza di un servizio di prevenzione e protezione interni, di medici competenti, di esperti qualificati, del direttore sanitario, dell’ingegneria clinica, dell’ufficio tecnico e di manutenzione o di consulenti esterni per tematiche particolari o altamente specialistiche.

Prima di procedere nell’analisi del processo di valutazione dei rischi è indispensabile che il Datore di Lavoro abbia piena contezza del numero di lavoratori dipendenti diretti, di ditte esterne o di cooperative collaboranti, delle loro mansioni/attività e degli ambienti abitualmente frequentati; deve essere in possesso delle planimetrie aggiornate dell’intera struttura con destinazione d’uso dei locali e gli impianti presenti; elenco completo di apparecchiature, macchine e dispositivi.

Nel processo di valutazione dei rischi deve essere consultato anche il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) (artt. 29 e 50 D.Lgs. 81/2008), al fine di individuare preventivamente i criteri da adottare per la sua redazione, e tempestivamente per verificarne i risultati, ovvero la valutazione, le misure di prevenzione e protezione da assumere ed il programma di attuazione di tali misure.

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In una struttura ospedaliera tale valutazione deve risultare in un documento scritto, datato, a firma del datore di lavoro e concordato con tutte le parti in gioco: RSPP, Medico competente e RLS.

Il rischio non è una condizione immutabile e sempre costante; infatti se i fattori di rischio mutano, il rischio cambia immediatamente e simultaneamente. La valutazione dei rischi deve essere pertanto flessibile, ma allo stesso tempo costante, in modo tale da poter recepire nell’immediato i mutamenti in corso.

La valutazione dei rischi deve essere, pertanto, aggiornata qualora ci siano variazioni delle attività, introduzione di nuove sostanze, tecnologie, apparecchiature/impianti/macchine o qualora subentrino delle variazioni strutturali che influiscono sul sistema dei percorsi e delle vie d’esodo in caso di emergenza. Dalla nuova valutazione emergerà un nuovo programma di miglioramento delle condizioni di igiene e sicurezza sul lavoro.

L’informativa sull’aggiornamento della valutazione dei rischi avviene nel corso della Riunione periodica (art. 35 del D.Lgs. 81/2008), almeno annuale, a cui partecipano il Datore di lavoro, il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls), il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) ed il Medico competente (MC) o Medico Coordinatore.

Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all’esame dei partecipanti il documento di valutazione dei rischi, l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali e della sorveglianza sanitaria, i criteri di scelta, le caratteristiche tecniche e l’efficacia dei dispositivi di protezione individuale, i programmi di informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti e dei lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute. Nel corso della riunione possono essere individuati e proposti i codici di comportamento e le buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e di malattie professionali e gli obiettivi di miglioramento della sicurezza complessiva sulla base delle linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro. La riunione periodica quindi rappresenta il momento di confronto tra tutti i soggetti della sicurezza, compreso il rappresentante/i dei lavoratori, fondamentale ai fini della informazione, della proposizione, dell’organizzazione e del riesame.

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La valutazione dei rischi, soprattutto quando parte dal basso (previa formazione di tutti i lavoratori) ha una valenza di controllo costante sui luoghi di lavoro e sulle attività, in tal modo si ha un riscontro quasi immediato di eventuali problemi di sicurezza ed igiene segnalati direttamente dalle unità operative o dai servizi; compito fondamentale del dirigente è quello di ascoltare i campanelli di allarme che riceve e di dar seguito alle eventuali segnalazioni pervenute.

Ciò consente di dare credito al metodo applicato, fare sentire ogni lavoratore al centro dell’attenzione e di risolvere tempestivamente o in modo programmato, in base alla gravità, eventuali problemi; una valutazione dei rischi realizzata a “misura di quel determinato ospedale” deve fornire gli elementi utili a riconoscere il rischio ed a gestirlo, con il massimo dell’efficienza ed efficacia. In funzione dell’analisi dei rischi effettuata, il Datore di lavoro deve adottare misure di prevenzione o, in subordine, di protezione programmando gli interventi, anche in base alle risorse finanziarie disponibili.

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Ambiente di lavoro e produttività

L’ambiente lavorativo viene spesso sottovalutato, ma costituisce il fattore determinante per il successo di un’azienda.

I dipendenti felici producono di più e sono tipicamente meno disposti a cercare un’altra occupazione o a lasciarla a seguito di altre offerte di lavoro: in un mondo in cui i lavoratori sono risorse valide e indispensabili è bene fare il possibile per creare le migliori condizioni lavorative al fine di evitare un alto turnover.

Ma come creare un ambiente ideale nel contesto lavorativo? Di seguito alcuni consigli dati da esperti del settore su come rendere l’ufficio un luogo stimolante, per avere un rendimento e una soddisfazione del personale pari al 100%.

L’illuminazione è un fattore cruciale quando si parla di comodità dei luoghi di lavoro. Un’illuminazione troppo debole rischia di abbassare la produttività causando affaticamento degli occhi, mal di testa, sonnolenza e mancanza di concentrazione. Al contrario, l’illuminazione troppo forte rischia di provocare fastidiose emicranie.

La giusta soluzione sta nel mezzo: un’illuminazione che non stanchi la vista e, allo stesso tempo, sia abbastanza forte per lavorare davanti agli schermi del computer. Inutile dire che la luce naturale sarebbe davvero l’ideale nelle ore diurne: oltre ad essere la più efficace, è quella che secondo le ricerche aumenta il grado di felicità e di attenzione nei lavoratori. La luce solare, infatti, aumenta la produttività dei lavoratori e anche la loro salute. Sono stati condotti numerosi studi che hanno collegato la luce solare alla produttività sul posto di lavoro. In particolare, in una ricerca intitolata “L’impatto dell’esposizione diurna sul posto di lavoro sul sonno, l’attività fisica e la qualità della vita” si legge che “rispetto al gruppo senza finestre, i lavoratori con finestre sul posto di lavoro hanno avuto il 173% in più di esposizione alla luce bianca durante la giornata lavorativa e hanno dormito in media 47 minuti in più a notte. C’è stata anche una tendenza per i lavoratori con la finestra ad avere più attività e una maggiore efficienza

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del sonno rispetto a quelli senza”. Nei casi in cui lavorare vicino ad una finestra sia impossibile, per questioni organizzative e/o di spazio, quello che gli esperti consigliano è valutare un’illuminazione a LED intelligente, che imiti la luce solare naturale e possa aiutare a mantenere il ritmo circadiano del corpo.

Inoltre, come si legge in uno studio della Cornell University, le temperature inferiori a 20 gradi centigradi comportano maggiori errori e una minore produttività. Temperatura superiori a 20 gradi avrebbero invece l’effetto opposto. Per citare lo studio, quando la temperatura dell’ufficio in uno studio di un mese è aumentata da 20 a 25 gradi centigradi, gli errori di battitura sono diminuiti del 44% e l’output di digitazione è salito del 150%”.

Sono tanti gli studi scientifici recenti che dimostrano come uffici più verdi aumentino il benessere e la produttività dei lavoratori. Secondo una ricerca condotta nel 2014, mettere una pianta sulla propria scrivania, o comunque in ufficio, aumenta la produttività addirittura del 15%; le piante negli spazi lavorativi, insomma, hanno effetti benefici sulla qualità della vita di chi ci lavora, ma anche sull’efficienza.

Lo studio dei colori è, da sempre, un fattore presente nella psicologia dei lavoratori. Esistono decine di studi che dimostrano e indagano gli effetti che alcuni colori hanno sul nostro umore.

La verità è che ogni colore trasmette un’energia diversa: nonostante siamo abituati ad uffici con pareti del classico bianco, fino ad arrivare alle sfumature del grigio, ci sono tanti altri colori da sperimentare che possono aiutare a ritrovare la concentrazione. Ecco quali sono i colori migliori:

Il giallo stimola la mente ed è perfetto abbinato con il verde che aiuta la

concentrazione

Il bianco comunica ordine, ma anche asetticità e straniamento, due sentimenti

che a lungo andare non incentivano la produttività. Da usare con parsimonia e magari intervallato da altri colori pastello come l’indaco, il beige o il lilla;

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Il blu tenue ha potere calmante e scarica lo stress. Perfetto in abbinamento al

bianco o al giallo.

Quali sono, invece, i colori da evitare? Sicuramente i toni molto scuri, che rischiano di trasmettere un senso di oppressione. Un no deciso dunque ai marroni e al nero.

Una pratica molto comune all’estero per aumentare la produttività, è invece quella del

walk and talk. Già nell’antichità l’uso del passeggiare per pensare, insegnare e anche per

parlare era una pratica consolidata, un’abitudine sana e utile. Socrate, Cicerone, i peripatetici, ma anche molti grandi scrittori, politici, uomini di business dei giorni nostri hanno mantenuto questa abitudine. I vantaggi del walk and talk sono una migliore concentrazione e gestione dello stress grazie al movimento, oltre ai notevoli benefici sull’organismo, sull’umore e anche psicologici. La motivazione? Ognuno di noi quando cammina, anche se non ha una meta ben precisa, ha l’impressione di star andando verso una direzione. Ecco, metaforicamente parlando questo potrebbe essere molto utile in sede di riunione: magari stiamo camminando verso la soluzione di un problema.

Gli articoli sull’argomento presenti ad oggi in letteratura si riferiscono soprattutto alle aziende e/o a luoghi di lavoro strutturati in uffici.

Per le attività ospedaliere il discorso è un po’ diverso, anche se le principali linee guida sono le stesse. Infatti, la realtà ospedaliera è un luogo dove sono particolarmente importanti le accortezze strutturali, di illuminazione e di comfort sopra citate. Questo è vero sia per l’operatore, che deve passare molte ore in ambulatorio, spesso con molti pazienti in una giornata lavorativa e poche pause, sia per il paziente e per la sua famiglia, che devono poter trovare nell’ambiente di cura un luogo adatto alle loro esigenze, confortevole e che ricordi il più possibile un luogo accogliente simile a quello che hanno a casa.

Inoltre, come accennato sopra, negli ultimi anni siamo passati da una “medicina centrata sulla malattia” ad una “medicina centrata sulla persona” (Rogers, 1942, 1951.; Szasz, 1956; Balint, 1957; Jaspers, 1959; Illich, 1976; Byrne, Long, 1976; Brown et al.,1986; Levenstein et al.,1986; Stewart et al., 1986; Stewart, Roter, 1989).: la persona-paziente

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è considerata come un partner attivo da coinvolgere nel processo di recupero del proprio stato di salute. I sentimenti, le cognizioni, le aspettative della persona assumono quindi importanza significativa per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici.

Ma c’è di più. Nell’ambito dell’evoluzione del concetto di salute al quale si assiste negli ultimi decenni, tale concetto si interfaccia anche con una prospettiva ecologica.

Infatti, secondo il Nuovo Zingarelli l’ecologia è così definita:

“Branca della biologia che studia i rapporti reciproci fra organismi viventi e ambiente circostante, specie per limitarne o eliminarne la nocività: ecologia umana, animale, vegetale, marina.”.

Il termine “ecologia umana” esprime il concetto che, se tutto è in relazione, allora l’essere umano non può essere considerato solo un mero osservatore esterno al sistema dentro cui è immerso, ma anche come componente di esso e interagente con le altre parti. Ogni organismo inoltre deve essere considerato come un sistema complesso che interagisce con gli altri organismi, appunto, in modo complesso.

Secondo tale prospettiva tutti gli organismi viventi sono elementi componenti di sistemi più ampi (come ad esempio l’ “individuo” fa parte del sistema “famiglia” che a sua volta fa parte del sistema “società”) e gli organismi stessi sono al loro interno riconducibili a sottoinsiemi (un sottoinsieme dell’ “individuo” potrebbe essere il “sistema nervoso” che a sua volta contiene il sottoinsieme “cervello”). Qualunque effetto su un componente del sistema determina conseguenze sull’intero sistema.

Questo è strettamente correlato al benessere e al concetto di salute di un individuo e conseguentemente ai determinanti di salute. Si evince dunque l’importanza strategica del luogo di lavoro nel processo di promozione della salute.

Secondo la definizione dell’OMS “Lo stile di vita consiste in un modo di vivere impostato secondo modelli di comportamento identificabili, che sono frutto dell’azione reciproca delle caratteristiche proprie di un individuo, delle interazioni sociali con le condizioni di vita di carattere socioeconomico e ambientale. Questi modelli di comportamento

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vengono continuamente interpretati e vagliati in situazioni sociali diverse e non sono quindi immobili, bensì soggetti al combiamento.” (Glossario Promozione della Salute – WHO 1998).

Il luogo di lavoro rappresenta uno dei settori strategici della società per l’attuazione di interventi e programmi di Promozione della Salute. Già all’interno della Carta di Ottawa era promossa l’idea di ritenere opportuno (e addirittura indispensabile) la creazione di ambienti di lavoro che promuovessero il benessere: “lavoro e tempo libero devono divenire fonte di benessere per tutti. Il modo stesso in cui la società organizza il lavoro deve contribuire a renderla più sana” (OMS, 1986). L’importanza dell’ambiente lavorativo come contesto all’interno del quale possano essere promosse iniziative di promozione della salute è stato poi ribadito nella Dichiarazione di Jakarta, in cui si afferma che “gli ambienti organizzativi offrono concrete opportunità per la realizzazione di strategie globali: questi ambienti comprendono le megalopoli, le isole, le città, i paesi e le comunità locali, i loro mercati, le scuole, gli ambienti di lavoro e le strutture sanitarie” (OMS, 1997).

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La valutazione multidimensionale delle performance in

sanità

La normativa italiana, a partire dalla fine degli anni Ottanta, contiene riferimenti puntuali sulla necessità di introdurre e applicare in modo diffuso nell’amministrazione pubblica, principi e criteri aziendali idonei a coniugare la legittimità dell’azione amministrativa con l’efficacia delle politiche di intervento pubblico, l’efficienza nell’impiego delle risorse e l’economicità della gestione.

In molte indicazioni degli organismi internazionali, tra cui la BCE e l’OCSE, è richiesta all’Italia l’introduzione di un sistema di indicatori per la valutazione dei risultati, in particolare nei servizi sanitari, quale strumento di risanamento e rilancio dell’economia del Paese: le organizzazioni che erogano servizi di pubblica utilità, benché possano non avere finalità di profitto, devono operare per creare valore e le loro strategie e capacità gestionali devono essere valutate proprio in questa ottica.

Le aziende sanitarie pubbliche sono dunque chiamate a dotarsi di sistemi manageriali per il governo delle strategie e delle performance, in risposta ai bisogni di un ambiente esterno caratterizzato da dinamismo epidemiologico, demografico, sociale, tecnologico ed economico.

Nell’ambito della sanità la valutazione della performance riveste grande importanza a causa delle molteplici sfide che il sistema deve affrontare: conseguire l’efficacia e l’appropriatezza medica delle prestazioni, evitare o ridurre le disuguaglianze di accesso alle prestazioni, assicurare la soddisfazione lavorativa dei professionisti e i trattamenti adeguati ai pazienti. Sono obiettivi sempre più difficili da conseguire, soprattutto per la sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale, e dunque lo sforzo di valutazione dei risultati diventa fondamentale.

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Il concetto di performance: complessità e multidimensionalità

Il termine performance ha subito una profonda evoluzione nel corso degli anni. Fino alla fine degli anni Ottanta, la prevalente concezione autoreferenziale delle amministrazioni pubbliche, il loro orientamento ai compiti e la considerazione del cittadino in posizione “sottoposta”, ha portato ad affermare una nozione di performance legata alla necessità di legittimare l’azione della pubblica amministrazione, declinandola nei termini di rispetto delle norme e degli atti amministrativi, senza considerare altri importanti aspetti. Tutta l’attenzione si concentra sull’uso adeguato delle risorse e la correttezza è valutata in termini di legittimità della spesa: gli esiti della misurazione sono destinati soprattutto ai controllori esterni e le informazioni rilevanti sono patrimonio di pochi soggetti e non certo oggetto di diffusione pubblica (Perez, 2010).

Con gli anni Novanta, l’introduzione di logiche manageriali derivate dal New Public Management all’interno della pubblica amministrazione (Pollit e Bouckaert, 2002), evidenzia l’inadeguatezza del concetto tradizionale di performance. La progressiva centralità del cittadino, visto come cliente dell’amministrazione e non solo come semplice destinatario dei servizi, sposta l’attenzione sulla qualità dei servizi erogati e sull’efficienza della produzione: l’orientamento al risultato viene progressivamente a sostituire l’orientamento ai compiti.

In anni più recenti, si è fatto strada un nuovo modello di performance vista come “creazione di valore pubblico”, secondo il noto “triangolo strategico” di Moore (1995). Il modello valorizza i risultati conseguiti dalle amministrazioni pubbliche, nel contesto socio-economico di riferimento, ai fini della valutazione dell’azione amministrativa. L’autore dimostra che il successo dell’azione pubblica dipende dalla capacità di un’organizzazione di realizzare simultaneamente tre condizioni:

a) essere legittimata dai clienti/cittadini/utenti e dalle diverse tipologie di stakeholder interni ed esterni, che mettono a disposizione risorse finanziarie e sostegno (authorizing

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b) intraprendere iniziative sostenibili dal punto di vista organizzativo: le risorse da destinare alle politiche pubbliche devono essere adeguate agli obiettivi istituzionali (operational capacity);

c) produrre risultati oggettivamente validi per i soggetti pubblici, per i cittadini e per gli stakeholder (public value).

Nel solco di queste coordinate, l’adozione di un sistema di governance orientato alla creazione di valore pubblico consente di arrivare a definire un modello multidimensionale e integrato di misurazione e valutazione delle performance, fondato su queste articolazioni (vedi figura 3):

• la sostenibilità istituzionale, sociale ed ambientale;

• la qualità dei processi di erogazione dei servizi e delle prestazioni; • la competitività territoriale e le dimensioni dell’etica e della

responsabilità sociale;

• la trasparenza, come capacità di render conto ai diversi portatori e gruppi di interesse, interni ed esterni all’organizzazione (accountability); • l’equità nei confronti di gruppi di utenti e di stakeholder esterni a debole

capacità contrattuale;

• l’efficienza tecnica ed economica che garantisce la produttività;

• l’efficacia (come rapporto tra risultati ed obiettivi) e l’economicità (come capacità, nel lungo periodo, di soddisfare in modo adeguato i bisogni della comunità di riferimento).

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Figura 3: valutazione multidimensionale delle performance nelle amministrazioni pubbliche

La parola valutazione, in qualsiasi ambiente lavorativo e non, assume un’importanza fondamentale poiché guida verso il successo e verso il miglioramento continuo delle performances.

Il sistema sanitario pubblico, per recuperare efficienza, qualità e fiducia da parte del cittadino, deve introdurre sistemi di valutazione dei risultati in cui le parole chiave siano: misurazione, multidimensionalità, confronto, merito e reputazione.

Da molti, e non solo in Italia, viene sottolineata la necessità di orientare in modo significativo la ricerca nell’ambito del management pubblico sui fattori che determinano la scarsa produttività del settore pubblico.

Per contrastare l’implosione dei servizi pubblici verso modelli sempre più statici e incapaci di rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini e di “creare valore”, in particolar modo in ambito sanitario, in molti paesi è stato dato spazio alla “scelta del cittadino”, ossia si è tentato di creare condizioni di concorrenza tra erogatori che potessero spingere le istituzioni pubbliche verso una maggiore produttività e qualità.

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Non si può negare, e non solo in Italia, che nel sistema sanitario siano presenti carenze organizzative e talvolta qualitative, che vi siano ancora tantissime sacche di inefficienza, che vi sia spesso più attenzione alle procedure e al sistema di potere che alla effettiva congruenza delle scelte fatte rispetto ai risultati raggiunti. Ma un’iniezione di mercato e di competizione per obbligare il sistema pubblico a recuperare in efficienza, qualità e fedeltà del cittadino, può essere la soluzione da cercare? In base alle esperienze condotte negli ultimi anni nel contesto sanitario, il mercato non è una panacea anzi può determinare più problemi che soluzioni. La risposta più efficace è sintetizzabile in alcune parole chiave: misurazione, multidimensionalità, confronto, merito e reputazione. La normativa italiana, a partire dalla fine degli anni Ottanta, contiene continui e sempre più puntuali riferimenti alla necessità di introdurre e applicare in modo diffuso nell’amministrazione pubblica italiana, a tutti i livelli, principi e criteri aziendali, idonei a coniugare la legittimità e la correttezza dell’azione amministrativa con l’efficacia delle politiche di intervento pubblico, l’efficienza nell’impiego delle risorse, l’economicità della gestione.

Le organizzazioni che erogano servizi di pubblica utilità quali quelli sanitari, benché possano non avere finalità di profitto, debbono infatti operare per creare valore e le loro strategie e capacità di gestione devono essere valutate proprio in quest’ottica. Secondo la definizione di Ouchi (1977), la valutazione della performance consiste nel «processo di monitoraggio dei risultati da comparare con un qualche standard di riferimento che determina “rewards” o correzioni di linea di azione», intendendola quindi come un processo cibernetico. Questo processo non va inteso come strumento per il controllo gerarchico, tra l’altro poco efficace nelle organizzazioni pubbliche con elevate professionalità caratterizzate da forme di «burocrazia professionale», ma come un meccanismo da integrare nell’evoluzione delle forme organizzative del sistema stesso, sempre più complesso e strutturato secondo le logiche di rete orizzontale e di struttura verticale.

La complessità del tema nasce in primo luogo dalla tipologia dell’oggetto da valutare, ossia i risultati conseguiti che, per loro natura, sono articolati, di vasto spettro,

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condizionati dall’ambiente e interrelati tra loro. Nell’ambito della sanità il tema riveste grande rilevanza a causa, in primo luogo, della criticità di questi servizi in cui l’utente è in condizioni di asimmetria informativa e inoltre per il loro rilevante assorbimento di risorse finanziarie. Il consumo crescente di risorse è dovuto sia all’aumento esponenziale dei bisogni sanitari percepiti dai cittadini sia dall’evoluzione delle

tecnologie e della ricerca.

Questi aspetti hanno imposto in tutti i paesi occidentali, con i servizi a copertura universale, l’introduzione di strumenti e sistemi di governo complessi.

Elementi cardine di questi sistemi di governo sono stati la misurazione dei risultati con modalità multidimensionali, capaci cioè di cogliere la complessità dell’output erogato dal soggetto pubblico. A titolo di esempio, con questi presupposti, è stato introdotto nel sistema sanitario della Regione Toscana dal 2004 il sistema di valutazione della performance, progettato dal Laboratorio management e sanità della Scuola superiore “Sant’Anna” di Pisa, che misura in tutte le aziende sanitarie, comprese quelle ospedaliero-universitarie, i risultati conseguiti in ottica multidimensionale. Si tratta di un sistema che è diventato nel tempo uno strumento fondamentale che affianca e sostiene la funzione di governo a livello regionale. Si basa sul monitoraggio di 130 indicatori, raggruppati in 50 indicatori di sintesi costruiti ad “albero”, classificati in sei dimensioni di valutazione, ossia lo stato di salute della popolazione, la capacità di perseguire le strategie regionali, la valutazione sanitaria, la valutazione della soddisfazione e dell’esperienza dei cittadini, la valutazione dei dipendenti e infine la valutazione della dinamica economico-finanziaria e dell’efficienza operativa.

Per rappresentare la valutazione conseguita, con una graduazione da 0 a 5, è stata adottata la simbologia del bersaglio a cinque fasce di colore, dove sono rappresentati più vicini al centro del bersaglio i risultati con più elevata performance in quanto hanno centrato maggiormente l’obiettivo previsto. Il modello è semplice e complesso insieme. Semplice, perché la metafora del bersaglio che è stata utilizzata è di immediata chiarezza, ma anche complesso, perché, come in un gioco a scatole cinesi, partendo da un dato di sintesi, permette di analizzare con passaggi di sempre ulteriore dettaglio i dati di origine e le loro determinanti. Ha alcune caratteristiche fondamentali: è trasparente e condiviso, è capace di monitorare non solo i risultati delle istituzioni sanitarie in termini

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economico-finanziari, ma anche le modalità con cui queste si organizzano e ottengono risultati nel processo di erogazione, la qualità clinica e la soddisfazione dei cittadini. Questo è molto importante perché l’efficienza fine a se stessa, intesa come semplice riduzione di risorse, non ha senso nei servizi pubblici. L’efficienza è infatti un concetto relativo: misura le risorse utilizzate rispetto ai risultati conseguiti. Non basta misurare i processi mediante cui si contengono le risorse utilizzate: queste vanno continuamente raffrontate con i risultati, di varia natura, conseguiti. Efficienza è allora riorganizzazione dell’allocazione delle risorse per ottenere, a parità di costi sostenuti, output superiori in termini di servizio reso e di qualità.

Figura 4: sistema di pianificazione della performance, ideato dalla Scuola Superiore Sant’Anna

Questo sistema di valutazione è stato adottato nel 2008 anche dalla Regione Liguria e nel 2009 dalle Regioni Piemonte e Umbria. Il confronto non sarà più solo a livello regionale ma infraregionale. Alcuni indicatori monitorati sono chiaramente differenti perché diverse possono essere le priorità strategiche e il contesto di ciascuna regione, ma la maggior parte sono misure condivise perché, al di là dei modelli organizzativi adottati dal sistema regionale, sugli stessi obiettivi di appropriatezza, qualità ed

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efficienza le Regioni sono chiamate a rispondere ai cittadini. La misurazione sistematica dei risultati a confronto infraregionale permette di verificare la validità delle scelte di assetto organizzativo adottate. Nel contesto sanitario lo strumento del benchmarking appare essenziale. In un ambito in cui si tende ad attivare strategie collaborative e non competitive tra gli attori del sistema, il benchmarking, ossia l’insieme delle misure a confronto, rappresenta lo strumento fondamentale per evitare l’autoreferenzialità e per

attivare processi di apprendimento dalle best practices.

In molte dimensioni, non esistono standard di riferimento su cui basare la valutazione e le organizzazioni possono solo verificare se il risultato ottenuto risulta migliore o peggiore rispetto all’anno precedente. Questo tipo di approccio può essere estremamente riduttivo in quanto tende a monitorare solo gli interventi di miglioramento incrementale rispetto ad una struttura e ad un assetto dato, ma impedisce di verificare se l’impostazione complessiva è corretta, adeguata e sostenibile. Se ad esempio un servizio ottiene il 70% di utenti soddisfatti con un miglioramento di due punti percentuali rispetto all’anno precedente si può ritenere che sia stata raggiunta una buona performance in termini specifici di trend, ma la valutazione si modifica sostanzialmente se si scopre che, rispetto ad altri servizi comparabili come struttura e missione in territori limitrofi, questo risulta il servizio che consegue il risultato più basso

in termini di utenti soddisfatti.

Non solo. Risultati nettamente differenti, a parità di risorse e condizioni di funzionamento, possono evidenziare soluzioni organizzative sostanzialmente diverse adottate da altri soggetti del sistema a cui l’istituzione non aveva pensato, troppo spesso impegnata ad introdurre miglioramenti marginali e non ad attivare cambiamenti organizzativi sostanziali. Diventa allora essenziale adottare il confronto con l’esterno quale metodo di lavoro permanente. Confrontarsi seriamente tra istituzioni del sistema a livello regionale e nazionale, ma anche in dimensione internazionale, sui numeri, le scelte e i risultati, in modo trasparente e pubblico, non è soltanto il modo con cui il sistema pubblico può e deve rendere conto ai cittadini della sua azione, ma rappresenta anche lo strumento essenziale per imparare, per individuare le proprie debolezze e con coraggio affrontarle. Ben vengano quindi i sistemi di benchmarking sui risultati, le indagini con i sistemi a confronto, ma anche lo studio di altre realtà per trovare spunti di miglioramento.

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Dal confronto inoltre è possibile misurare, con un elevato livello di attendibilità, l’entità degli spazi di miglioramento percorribili. Dall’analisi della performance conseguita dagli altri e dalla misurazione degli “spazi” tra il risultato conseguito dalla singola istituzione e dagli altri soggetti a confronto è infatti possibile individuare gli obiettivi effettivamente perseguibili perché già raggiunti da altri.

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Parte sperimentale

Background e razionale

Come premesso nei capitoli precedenti, il luogo di lavoro assume un’importanza fondamentale per il clima aziendale, per il benessere del lavoratore e per la soddisfazione del cliente. Nel caso di strutture ospedaliere, preposte al ricovero e cura di pazienti in età pediatrica come nel nostro caso, questo è ancora più importante, per accogliere il paziente e la sua famiglia nel migliore dei modi e per dargli i migliori strumenti per interagire con l’ambiente circostante. Con i nostri pazienti, diventa fondamentale ricreare un ambiente che soddisfi le loro esigenze e possibilmente che sia riproducibile anche a casa. I genitori, infatti, sovente prendono spunto da ciò che vedono nella struttura riabilitativa, per ricreare a casa un ambiente simile, che permetta al loro bambino di interagire con l’esterno e apprendere più facilmente. Infatti, è fondamentale in un’ottica riabilitativa e di empowerment della famiglia che tutto ciò che è nelle stanze (giochi, ambienti, arredi come tappeti, tavolini, seggioline, ma anche illuminazione) siano facilmente riproducibili dai genitori. Non vogliamo presentare loro strumenti troppo tecnologici, costosi e quindi poco riproducibili che sappiamo già non potranno riproporre al bambino in una situazione di vita quotidiana. In questa ottica, abbiamo sentito l’esigenza di stendere un progetto che modifichi il nostro reparto, ed in particolare la stanza di riabilitazione visiva. Per fare ciò ci siamo ispirati a vari metodi, tra cui il metodo Snoezelen che andrò a presentare di seguito.

Il metodo Snoezelen nasce verso la fine degli anni 70 da due terapisti Olandesi. La loro idea era quella di ricreare degli apposti ambienti dove i pazienti con disturbi mentali potessero essere stimolati attraverso luci, suoni, colori, sapori e manipolazioni, al fine di creare suggestioni attraenti che incrementino la percezione.

Il termine Snoezelen nasce dalla combinazione delle due parole “snuffeln” (esplorare) e “doezelen” (rilassarsi). I pazienti con disabilità, infatti, poichè possono avere difficoltà a

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capire e percepire ciò che gli sta attorno, all’interno di tali ambienti vengono spinti ad esplorare e ad entrare maggiormente in contatto con il mondo circostante; ogni componente d’arredo all’interno ha il preciso scopo di stimolare uno dei 5 sensi, aiutare il paziente a prenderne coscienza e generare un diffuso senso di benessere e calma. La stimolazione sensoriale, dunque, va ad assumere un ruolo centrale all’interno del metodo, per comprendere il mondo circostante e per aiutare a sperimentare e reagire all’ambiente circostante. La sua funzione, all’interno del metodo, è riassunta di seguito:

- approccio mirato a stimolare i cinque sensi in maniera controllata - passaggio da cognitivo a “sensoriale”

- riorganizzazione del rapporto con il mondo esterno teso a migliorarne la comprensibilità e la fruibilità

- la stimolazione ripetuta e costante può esercitare un apprendimento implicito (abitudine ad uno stimolo specifico)

Sono tre i principi costituenti la Stimolazione Sensoriale (Baker R., 2001):

1. La stimolazione visiva, uditiva, tattile e olfattiva viene offerta ai pazienti spesso in una stanza o in un ambiente appositamente progettati, usando diversi tipi di luci, musiche stimolanti, aromi e oggetti tattili.

2. Lo staff lavora vis-à-vis con gli individui, adottando un approccio non-direttivo e stimolante, nel quale le necessità del paziente vengono messe in primo piano. I soggetti vengono incoraggiati a sperimentare gli stimoli sensoriali che hanno a disposizione.

3. Gli stimoli utilizzati non sono obbligatoriamente sequenziali o strutturati, ma possono essere sperimentati momento dopo momento senza dover ricorrere alla memoria a breve termine; essi richiedono poche abilità attenzionali e intellettuali nei pazienti con demenza.

Secondo la definizione di Ad Verheul lo “Snoezelen” è una offerta selezionata di stimoli primari in un ambiente attraente e, ancora, è definito come un ambiente specialmente progettato dove il benessere è prodotto da stimoli multisensoriali controllabili.

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Come accennato prima, nasce nei Paesi Bassi, da difficoltà assistenziali e di cura di persone con grave disabilità mentale, che venivano esclusi da qualsiasi tipo di attività riabilitativa a causa dell’ambiente poco idoneo al loro quadro clinico e sensoriale. Le prime esperienze furono attività occupazionali a domicilio, costruzione e utilizzo di semplici oggetti, tentativi di risvegliare l’interesse ed incentivare l’attività.

Figura 5 e Figura 6: le prime idee riconducibili al Metodo Snoezelen

I responsabili delle prime attività, presso De Hartenberg, furono Jan Hulsegge e Ad Verheul. Le prime esperienze, presso il centro De Hartenberg, furono le tende sensoriali (1978), per arrivare alla costruzione delle prime “stanze Snoezelen” (1984).

Le tende sensoriali, erano pensate come un luogo di raccoglimento dove il paziente potesse trovare la sua dimensione e interagire meglio con l’ambiente circostante. Erano solitamente così costituite:

- Ventilatore che soffiava su ritagli di carta e palloni

- Angolo soffice con cuscini e fieno (con giocattoli nascosti, emettenti diversi suoni)

- Effetti di proiezione su soffitto

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- Reparto odori, profumi, saponi, erbe

- Oggetti tattili su soffitto (fili di lana, giocattoli) - Vassoi con cibi salati, dolci, amari

- Grandi vasche con sabbia e ghiaia

Figura 7 e Figura 8: le tende sensoriali

Gli obiettivi del metodo Snoezelen, per come lo intendiamo oggi, sono riassunti di seguito:

- Gestione dei disturbi comportamentali - Favorire il rilassamento

- Stimolare l’esplorazione dell’ambiente

- Favorire il contatto e la relazione interpersonale - Instaurare relazioni positive nella cura quotidiana - Promuovere il benessere della persona

- Ri-attivazione della persona

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