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La sicurezza delle sale operatorie: valutazione di un intervento di ristrutturazione e di riorganizzazione delle sale operatorie di un ospedale di rilievo nazionale

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

La sicurezza delle sale operatorie: valutazione di un

intervento di ristrutturazione e di riorganizzazione delle

sale operatorie di un ospedale di rilievo nazionale

Relatore

Candidato

Prof. Angelo Baggiani

Andrea Macchi

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INDICE

TITOLO:

La sicurezza delle sale operatorie: valutazione di un intervento di ristrutturazione e di riorganizzazione delle sale operatorie di un ospedale di rilievo nazionale

INTRODUZIONE

Le infezioni del sito chirurgico

1.1 Le infezioni correlate all’assistenza: definizione ed epidemiologia………..3

1.2 Le infezioni del sito chirurgico: impatto clinico……….7

1.3 Le infezioni del sito chirurgico: impatto economico………9

La prevenzione delle infezioni del sito chirurgico 2.1 La sorveglianza………..12

2.2 Le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità……….13

2.3 Le norme di comportamento per l'operatore sanitario………20

La sicurezza delle sale operatorie: pulizie e qualità dell'aria 3.1 La pulizia ambientale e la gestione dei rifiuti………22

3.2 La classificazione delle sale operatorie……….23

3.3 Le metodiche di campionamento del particolato………..25

3.4 La contaminazione microbiologica delle superfici……….28

3.5La contaminazione microbiologica dell'aria………29

3.6 La valutazione degli altri parametri di qualità dell'aria: microclima, gradiente di pressione, ricambi d'aria e volume d'aria………..30

3.7 Gli impianti di ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata ………33

3.8 Le normative italiane sugli impianti VCCC………..35

Il contesto dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana………..39

MATERIALI E METODI………..42

RISULTATI E DISCUSSIONE………48

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Le infezioni del sito chirurgico

1.1 Le infezioni correlate all’assistenza: definizione ed epidemiologia

Con infezioni correlate all’assistenza (ICA) si intendono quelle infezioni contratte dai pazienti al momento della ricezione delle cure mediche all’interno del loro percorso assistenziale.1 Questo genere di infezioni veniva denominato in passato con il termine

di infezione nosocomiale, facendo dunque riferimento alla infezioni incorse durante il ricovero dei pazienti o nel periodo subito successivo alla loro dimissione.2 Con le recenti

innovazioni dei sistemi sanitari, abbiamo assistito alla nascita di nuovi servizi ospedalieri alternativi al ricovero come day hospital, day surgery e assistenza ambulatoriale, oltre che allo sviluppo di una rete di servizi territoriali come strutture residenziali fino a prestazioni medico infermieristiche svolte direttamente al domicilio del paziente. Con l’aumento dei servizi disponibili per i pazienti, sono aumentati allo stesso modo gli scenari che predispongono al rischio di infezione. Questa consapevolezza ha portato la necessità di ampliare la terminologia, sostituendo la precedente, ormai divenuta obsoleta, con il concetto allargato di ICA. Il Center for Desease Control and Prevention (CDC) definisce le ICA come una “condizione sistemica o localizzata dovuta ad una reazione avversa alla presenza di uno o più agente/i patogeno/i o della/e sua/e tossina/e. Non devono esserci evidenze che l’infezione fosse presente o in incubazione al momento dell’ammissione”.3

Le ICA rappresentano oggi come nel passato una delle reazioni avverse in ambito medico più frequenti e più diffuse a livello globale, con un impatto negativo sulla morbilità e mortalità dei pazienti.1Considerando le difficoltà incontrate dai ricercatori nell’usufruire

di dati affidabili e la mancanza di una procedura standardizzata, il peso globale delle ICA è al giorno d’oggi sconosciuto.1 Mediante l’analisi delle informazioni a disposizione si

stima che il fenomeno interessi largamente sia i paesi a medio - basso reddito che quelli ad alto reddito, con un tasso endemico di circa due - tre volte nel caso dei primi rispetto ai secondi.1

La situazione italiana negli ospedali per acuti è stata recentemente delineata all’interno di uno studio di prevalenza redatto nel 2016 a cura dell’Università di Torino. Tra i 135 ospedali distribuiti in 19 regioni/province autonome partecipanti allo studio e i 28.157

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pazienti di cui sono stati registrati i dati, è stato selezionato un campionamento di 56 strutture per un totale di 14.773 pazienti. La prevalenza dei pazienti selezionati con almeno una ICA in corso è stata dell’8,03%; considerando solamente le ICA in corso correlate agli ospedali presi in esame la prevalenza è scesa al 6,9%, generando una media di 5,07% tra le prevalenze di ciascun ospedale4

Fra i fattori in grado di influenzare la prevalenza delle ICA la dimensione dell’ospedale preso in considerazione rappresenta uno dei più rilevanti: la prevalenza infatti sale al 9,32% nei grandi ospedali (numero posti letto superiore a 500), mentre si attesta al 6,34% negli ospedali di piccole dimensioni (numero di posti letto inferiore a 200). Altri fattori che rappresentano un rischio per lo sviluppo di ICA sono: la tipologia di reparto, con un tasso di prevalenza che raggiunge il 23,0% nei reparti di terapia intensiva contro l’1,3% in psichiatria; le età dei pazienti, in quanto osserviamo una prevalenza del 9,12% negli over 65 contro il 3,56% dei pazienti pediatrici sotto i 18 anni; la gravità clinica dei casi in esame, che vede una prevalenza del 5,3% nei casi di patologia non fatale fino a salire al 18,8% nei casi di patologia immediatamente fatale; e la presenza di un dispositivo invasivo, con il 7,13% nei pazienti non sottoposti a intubazione contro il 32,5% dei pazienti intubati.4 Per quanto riguarda i distretti più interessati, circa il 75%

delle ICA colpisce quattro principali distretti: l’apparato urinario, il sito chirurgico, l’apparato respiratorio e il distretto sistemico. Le più diffuse sono le infezioni respiratorie, con una prevalenza del 23,5%, seguono le batteriemie, le infezioni del tratto urinario e quelle del sito chirurgico, rispettivamente con 18,3%,18,0% e 14,4%.4

Negli ultimi anni la tendenza indica una leggera diminuzione delle ICA a carico del tratto urinario a fronte di un aumento della prevalenza delle infezioni sistemiche e del tratto respiratorio. Questo trend è da ricercarsi nell’aumento di fattori specifici, come l’aumento dei livelli di antibiotico resistenza e la maggiore diffusione di presidi medicochirurgici invasivi come i cateterismi vascolari.5 In merito agli agenti patogeni

responsabili, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’inversione di tendenza: negli anni Ottanta i batteri gram negativi erano i maggiori responsabili delle ICA, Escherichia coli e

Klebsiella pneumoniae su tutti; con il crescente utilizzo di antibiotici e l’avvento di nuovi

materiali di origine plastica abbiamo assistito ad un sorpasso delle infezioni causate da batteri gram positivi come Enteroccocchi e Staphylococcus epidermidis, assieme a quelle da causata da miceti come Candida.5

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Con particolare riferimento alle infezioni del sito chirurgico (SSI), queste vengono definite dall’European Centre for Disease and Prevention come infezioni secondarie a procedure operatorie che sopraggiungono entro un periodo di 30 giorni dall’intervento o entro un anno in caso di apposizione di un dispositivo permanente.6 Le infezioni del

sito chirurgico si dividono a loro volta in tre sottogruppi distinti, ognuno con i propri criteri diagnostici7: infezioni superficiali, profonde e con coinvolgimento di organi o

spazi.

Le infezioni superficiali del sito chirurgico si definiscono come infezioni che si limitano alla cute e ai tessuti sottocutanei in corrispondenza dell’incisione. Le infezioni devono incorrere entro 30 giorni dall’intervento chirurgico ed essere accompagnate da almeno uno dei criteri seguenti:

a) Presenza di secrezione purulenta in corrispondenza dell’incisione, senza necessità di una conferma laboratoristica;

b) Presenza di microrganismi su colture asettiche provenienti da fluidi o tessuti ottenuti dall’area di incisione chirurgica;

c) Presenza di uno o più segni e sintomi di infezione: dolore, arrossamento, tumefazione e calore più riapertura intenzionale della ferita da parte del chirurgo, ad esclusione dei casi in cui la coltura ha avuto esito negativo;

d) Diagnosi di infezione del sito chirurgico ad opera del chirurgo o del medico curante.

Non si considerano invece infezioni superficiali del sito chirurgico la formazione di microascessi in sede dei punti di sutura, le infezioni incorse in caso di episiotomia o circoncisione nel neonato, le infezioni legate ad ustioni ed il coinvolgimento infettivo della fascia muscolare e dei muscoli limitrofi alla sede di intervento.

Per infezioni profonde del sito chirurgico si intende infezioni che sopravvengono entro trenta giorni dal momento di un intervento chirurgico senza apposizione di impianti protesici o entro un anno dal momento di un intervento chirurgico con apposizione di impianti e che coinvolgono i tessuti molli profondi adiacenti all’incisione, in presenza di almeno uno dei seguenti criteri:

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a) Presenza di secrezione purulenta originatasi da tessuti molli profondi senza il coinvolgimento di organi o spazi adiacenti alla sede di intervento;

b) Incisione chirurgica profonda deiscente o volontariamente riaperta dal chirurgo in presenza febbre (>38°) e/o dolore e/o sensazione di tensione, ad esclusione di esami colturali negativi;

c) Osservazione di ascessi o di altri segni di infezione all’esame diretto, in occasione di re-intervento, o mediante esami radiologici o istopatologici;

d) Diagnosi di infezione profonda del sito chirurgico ad opera del chirurgo o del medico curante.

Infine, le infezioni del sito chirurgico con il coinvolgimento di organi o spazi si definiscono come Infezioni che sopravvengono entro trenta giorni dal momento di un intervento chirurgico senza apposizione di impianti protesici o entro un anno dal momento di un intervento chirurgico con apposizione di impianti e che coinvolgono, oltre alla sede di incisione, un qualsiasi altro organo o spazio anatomico manipolato o inciso a sua volta nel corso dell’operazione, in presenza di almeno uno dei seguenti criteri:

a) Riscontro di secrezione purulenta proveniente da tubi di drenaggio posizionati nel contesto di un organo o di uno spazio anatomico;

b) Presenza di microrganismi su colture asettiche provenienti da fluidi o tessuti ottenuti da organi o spazi anatomici;

c) Formazione di ascesso o riscontro di altre caratteristiche di infezione all’esame diretto, in corso di re intervento o mediante esami radiologici o istopatologici; d) Diagnosi di infezione del sito chirurgico con coinvolgimento di organi o spazi

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1.2 Le infezioni del sito chirurgico: impatto clinico

L’incidenza delle SSI ha un peso notevole per i sistemi sanitari di tutto il mondo. Nei paesi a medio-basso reddito si tratta della tipologia di ICA più frequente e colpisce con una frequenza di uno su tre chi si sottopone a procedura chirurgica, con un’incidenza complessiva di 11,8 su 100 interventi. Sebbene nei paesi a reddito elevato le SSI abbiano un impatto minore rispetto ad altre zone del mondo, rimangono tra le reazioni avverse diffuse, causando circa un quarto del totale delle ICA, con conseguenze pesanti sulla mortalità e morbilità dei pazienti8.

Negli Stati Uniti, nel biennio 2009-2010, uno studio ad opera del National Healthcare

Safety Network ha preso in considerazione 69.745 infezioni acquisite in seguito a

procedure assistenziali: le SSI hanno composto da sole il 23,1% del totale.9 Uno studio

più recente ha preso in esame 183 ospedali suddivisi in 10 stati federali partecipanti, tra le ICA, le SSI hanno eguagliato in prevalenza le polmoniti, con una incidenza stimata di 157.000 infezioni all’anno (21,8%).10 Secondo i dati del CDC, la prevalenza delle SSI è

diversa a seconda della tipologia di intervento chirurgico considerato: la specialità più interessata è risultata la chirurgia ortopedica con il 40%, a seguire la chirurgia addominale con il 22,5%, la cardiochirurgia con 21,9%, e la chirurgia ginecologica e ostetrica con il 9,6%.11

Il quadro europeo non si discosta da quello statunitense: in uno studio di prevalenza a cura dell’European Centre for Desease Control and Prevention (ECDC), su 231.459 pazienti provenienti da 947 ospedali situati in 30 paesi, la prevalenza delle ICA è risultata del 6%, con delle differenze tra i singoli paesi dal 2,3% al 10,8%. Tra le ICA registrate il 19,6% del totale è risultato essere causato da SSI, classificando questa tipologia di reazione avversa al secondo posto tra le ICA, dopo le infezioni del tratto respiratorio. Dallo stesso studio, gli agenti patogeni responsabili delle infezioni sono risultati in maggior parte cocchi gram positivi (46,3%), a seguire le Enterobacteriacae (32,5%) e i batteri gram negativi non fermentanti (12,8%).12 Grazie ai dati forniti da 1.574 ospedali

divisi su 15 paesi europei compresi nell’Annual Epidemiological Report del 2016, è stato possibile registrare ben 10.304 casi di SSI su 630.551 operazioni chirurgiche eseguite nello stesso anno; di queste, il 48% è stato classificato come infezione superficiale, 31% come infezione profonda, il 21% come infezione con coinvolgimento di organi e spazi e

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lo 0,4% come casi non specificati. Per quanto riguarda il rapporto tra infezioni superficiali e infezioni profonde e con coinvolgimento di organi e spazi, è emersa una significativa differenza in base alla specialità chirurgica presa in considerazione: la percentuale di infezioni profonde o con coinvolgimento di organi e spazi passa dal 17% nelle operazioni di parto cesareo al 75% negli interventi di protesi d’anca. Il 34% di queste infezioni è stato diagnosticato in ospedale, il 51% è stato diagnosticato dal medico curante a seguito della dimissione, mentre nel 14% la tempistica non è stata specificata. Le percentuali di SSI variano largamente in base alla tipologia di intervento chirurgico, con un minimo dello 0,5% in interventi di protesi del ginocchio fino ad un massimo del 9% in caso di chirurgia del colon. Questa variazione così significativa tra le diverse procedure è da ricercarsi sia nelle diverse età dei sottogruppi di popolazione più frequentemente soggetti a questo tipo di interventi sia nelle diverse condizioni di pulizia e contaminazione di ciascuna chirurgia. Un altro dei parametri da tenere in considerazione è l’andamento delle SSI nel tempo: nel triennio 2013-2016 l’incidenza di queste ultime è aumentata nelle laminectomie, mentre è diminuita nelle chirurgie del colon, del ginocchio e di parto cesareo.13

La situazione italiana è riportata invece in uno studio di sorveglianza nazionale della durata di un mese in 48 reparti di chirurgia nazionali. Sono stati presi in considerazione per 30 giorni dalla loro dimissione 4.665 pazienti sottoposti a chirurgia, prendendo in considerazione interventi di chirurgia mammaria, chirurgia del colon, parti cesarei, colecistectomie, interventi d’ernia, isterectomie vaginali e isterectomie addominali. Tra questi interventi, il tasso di SSI si è attestato al 5,2%, con una grande variabilità tra le tipologie di intervento, passando dal 18,9% della chirurgia del colon fino al 2,6% di interventi cesarei. Utilizzando l’analisi multivariata, i fattori indipendenti di rischio si sono dimostrati gli interventi svolti in urgenza (Odds ratio 1,73; Intervallo di confidenza 95%; 1,22-2,44; p=0,02), un National Nosocomial Infections Surveillance (NNIS) maggiore di 0 (Odds Ratio 3,34; Intervallo di Confidenza 95%; 1,41-7,93; p=0,006), la permanenza postoperatoria in reparto maggiore di un giorno (Odds Ratio 1,45 Intervallo di Confidenza 95%; 1,06-1,98; p=0,02) e la presenza di drenaggi (Odds Ratio 2,17; Intervallo di Confidenza 95%; 1,39-3,43; p<0,001). Tra le 241 SSI indentificate, furono 93 (38,6%) quelle identificate mediante la sorveglianza post dimissione di trenta giorni. I fattori di rischio in questo caso si sono dimostrati NNIS maggiore di 1, giornate di

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degenza post-intervento maggiori di uno, presenza di drenaggi e utilizzo di antibiotico profilassi post operatoria.14

1.3 Le infezioni del sito chirurgico: impatto economico

Le ICA non rappresentano solo un problema dal punto di vista sanitario, con un aumento dei tassi di mortalità e di morbilità dei pazienti, ma anche dal punto di vista economico per le famiglie dei pazienti e per i sistemi sanitari chiamati a contrastarle. Oltre ai risvolti negativi di carattere socioeconomico, con riduzione della capacità lavorativa e una riduzione complessiva della qualità della vita, le ICA sono responsabili di un aumento notevole dei costi di gestione sanitari, con un aumento delle giornate di degenza previste, insorgenza di disabilità croniche e incremento dei fenomeni di antibiotico resistenza.15–18

Secondo stime recenti, ogni anno in Europa si verificano circa 4,1 milioni di infezioni correlate all’assistenza, responsabili direttamente di un numero compreso tra i 90.000 e i 100.000 decessi e di costi diretti di circa sette miliardi di euro l’anno, con un totale stimato di 16 milioni di giornate di ricovero addizionali.19,20

La situazione italiana si mantiene in linea con i valori europei, con una spesa sanitaria addizionale dovuta al fenomeno di circa un miliardo di euro annuale, circa lo 0,8% del Pil nazionale.14 Questo aumento si deve principalmente alla necessità di prolungare la

degenza dei pazienti, con una spesa media di circa € 4.000 per un posto letto in Medicina fino ad un massimo di € 28.000 per uno in Terapia Intensiva.14

Tra le infezioni acquisite in ambito ospedaliero, le infezioni del sito chirurgico sono al quarto posto per impatto in ottica di comorbilità e complicanze. Tipicamente le SSI determinano una maggiore permanenza nelle strutture di ricovero, con una media di 7-10 giorni aggiuntivi rispetto ai normali pazienti; inoltre, i soggetti affetti hanno un incremento del 60% del rischio di essere ricoverati in terapia intensiva, un rischio cinque volte maggiore rispetto ai non colpiti da infezione di necessitare di una nuova ospedalizzazione e un rischio doppio di morire nel decorso post-operatorio.16,21–23 Le SSI

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di dolore cronico post operatorio, di cicatrici e di limitazioni della funzionalità articolare, tutte condizioni associate ad uno scadimento della qualità della vita generale.24–26

Negli ultimi anni numerosi studi hanno cercato di approfondire il peso economico delle SSI sulle economie sanitarie globali. La difficoltà nel disporre di dati precisi è dovuta in parte alla grande variabilità dei costi a seconda della tipologia di infezione e del suo livello di gravità, dall’ambito chirurgico preso in considerazione e dalle diverse strategie adottate nei differenti contesti nazionali.22,27–29

Le SSI risultano la tipologia di ICA più costosa negli USA, con una incidenza media di 1 paziente colpito su 10 sottoposti a chirurgia e con un costo per il singolo caso che può raggiungere un massimo di $ 34.670, con una spesa media per SSI che si attesta su $ 25.90017. Considerando i costi relativi, i pazienti con SSI determinano una spesa media

per la struttura di 1,43 volte quello di un paziente non affetto, cifre giustificate da un aumento della durata della degenza e un maggior numero di visite in pronto soccorso e di re-ospedalizzazioni, costo che, per le infezioni superifciali, è di 1.25 volte.30

In Europa, i dati a disposizione in letteratura sono limitati e comprendono uno studio condotto in Gran Bretagna, dove, nel biennio 2010-2012, su 14.300 interventi chirurgici complicati da infezione presi in esame, si è registrata una degenza media di 10 giorni, il doppio rispetto ai casi non complicati da SSI. Il costo medio per singolo evento di infezione è stato di £5.239, per un costo del fenomeno complessivo di £2.491.424.31

Per quanto riguarda il nostro paese, il peso economico delle SSI è stato recentemente indagato nell’ambito della chirurgia ortopedica e traumatologica. Il costo addizionale medio per paziente affetto da infezione chirurgica si è attestato su € 9.569, raggiungendo un picco per singolo caso di € 32.000.32

A conferma della grande variabilità dei costi determinati dalla tipologia di SSI e dalle branca di chirurgia prese in esame, in una revisione sistematica a cura del Canadian

Patient Safety Institute, il costo mediano per paziente con SSI nel campo della chirurgia

ortopedica è risultato di $31.52724; $16.560 per i pazienti sottoposti a chirurgia

addominale33, $26.273 per pazienti operati per neoplasie della testa e del collo34;

$14.934 per pazienti con bypass aorto-coronarico (CABG)35, e una cifra compresa tra

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Il problema delle SSI non è determinato solamente dell’aumentare dei costi di gestione dei pazienti a carico dei sistemi sanitari. Spesso dietro ad ogni caso si celano problematiche difficili da stimare che determinano un rimborso non coerente da parte degli enti pagatori nei confronti delle strutture ospedaliere, determinando una perdita economica per gli ospedali stimata intorno ai $ 12482 per paziente.37 Anche i danni a

carico dei pazienti e la società sono tendenti alla sottostima. Non esistono indici efficaci che permettano di conoscere con precisione l’ammontare delle perdite relative alla riduzione della capacità lavorativa e del reddito dei pazienti e delle loro famiglie, considerando che nell’assistenza di questi pazienti si generano costi aggiuntivi relativi alla primary care anche nel decorso post dimissione.

La prevenzione delle infezioni del sito chirurgico

Sebbene l’impatto delle SSI appaia così pesante sia in termini di salute dei pazienti che per l’economia sanitaria, è importante specificare quanto in realtà gran parte di questo problema sia prevenibile, e quindi evitabile, da semplici quanto economiche misure di prevenzione. Secondo una stima ad opera del CDC infatti, la quota di infezioni del sito chirurgico che si è rivelata evitabile raggiunge circa il 65% del totale.38 Questo indica

quanto una corretta strategia preventiva possa abbattere enormemente il costo sanitario di questo fenomeno. È molto importante dunque individuare e diffondere le buone norme di pratica clinica in grado di limitare al massimo l’incidenza di queste infezioni.

2.1 La sorveglianza

Tra le strategie più incisive da mettere in pratica nella lotta alle SSI, troviamo in primis la sorveglianza.39 Per un ospedale, la possibilità di raccogliere e analizzare dati

epidemiologici in collaborazione con i reparti di chirurgia permette di individuare e valutare sul campo l’eventuale efficacia di piccoli cambiamenti nella pratica operatoria quotidiana. Il risultato complessivo è quello di abbattere l’incidenza finale delle infezioni del sito chirurgico attraverso l’applicazione di misure preventive gratuite o a basso

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costo. Un sistema di sorveglianza per essere efficace deve essere semplice da mettere in pratica, in grado di ottenere il massimo grado di partecipazione del personale, utilizzare uno standard metodologico e avere un’adeguata sensibilità e specificità dei suoi risultati. Una buona organizzazione di questo sistema può influire notevolmente sulle dimensioni del problema.40 I sistemi di sorveglianza messi in atto si rivolgono

principalmente a tre distinti settori: le tipologie di microrganismi, i degenti colpiti e gli ambienti di lavoro. Tra questi diversi aspetti, la sala operatoria e gli strumenti di lavoro sono un campo in cui la ricerca e l’innovazione nelle metodiche e nei materiali adoperati sono in grado di dare enormi risultati. Questo rende ragione della grande attenzione che sta suscitando ultimamente questo campo nell’impiego di nuovi materiali monouso e di nuovi prodotti per la disinfezione.

2.2 Le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità

Il 3 Novembre 2016 ha rappresentato una data di fondamentale importanza nella lotta globale alle infezioni del sito chirurgico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha per la prima volta messo a disposizione le prime linee guida globali per la prevenzione delle SSI. Il documento in questione è andato ad inserirsi in un contesto segnato dalla coesistenza di molteplici linee guida sull’argomento emesse a livello nazionale, contenenti informazioni discordanti e in alcuni casi addirittura contrastanti. Le nuove linee guida hanno il pregio di essere progettate per avere una validità globale, supportando le loro affermazioni con evidenze scientifiche provenienti dalla letteratura esistente, riportando per ciascuna voce il livello di evidenza e la forza di raccomandazione. La natura multifattoriale delle SSI ha richiesto uno studio complessivo della gestione del paziente da momento della presa in carico del paziente fino al periodo post-operatorio. Il successo nella prevenzione di questa reazione avversa sta in un approccio multimodale in grado di articolare tra loro vari comportamenti virtuosi ad opera delle diverse figure professionali del blocco operatorio, non solo quindi il personale medico, ma anche il personale infermieristico, tecnico e il personale adibito alla pulizia degli ambienti e alla sterilizzazione dello strumentario chirurgico. La validità del documento deriva dalla metodica utilizzata per la stesura. Per prima cosa sono stati individuati dei punti critici e obiettivi da raggiungere, da questi obiettivi sono scaturiti

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dei quesiti modello PICO (Popolazione, Intervento, Confronto, Outcomes) ai quali sono state ricercate risposte mediante una metodologia standardizzata, attingendo dalle revisioni sistematiche più autorevoli. Le risposte individuate sono state sottoposte ad una verifica della qualità di evidenza, portando infine ad una stesura finale di raccomandazioni incorporate in linee guida e alla pianificazione di una strategia perché esse ottengano la maggiore diffusione possibile. Le linee guida contengono dunque 29 raccomandazioni inerenti 23 ambiti cruciali . 1

Misure preoperatorie

La prima raccomandazione emessa verte sul ruolo del disinfetto della cute nel paziente in fase preoperatoria. Al fine di rendere la cute più pulita possibile, e di limitarne dunque la carica batterica, viene raccomandato che il paziente effettui una doccia o un bagno preoperatorio con sapone semplice o antimicrobico il giorno stesso o precedente all’operazione. L’impiego di salviette imbevute di CHG (clorexidina-gluconato) è una questiona ancora irrisolta sulla quale il panel ha deciso di non esprimersi. I dubbi sulla pratica riguardano la possibilità di causare una sensibilità ridotta nei pazienti41 e sulla

scarsa sostenibilità della pratica nei paesi a risorse limitate.

La seconda raccomandazione riguarda l’utilizzo di topico di mupirocina al 2% in pazienti identificati portatori nasali di Staphylococcus Aureus a prescindere che abbiano fatto o meno il lavaggio del corpo con CHG. A Fronte di evidenze moderate, questo trattamento viene considerato una raccomandazione forte nei pazienti che devono sottoporsi a cardiochirurgia o chirurgia ortopedica, mentre viene considerata una raccomandazione condizionale nei pazienti che devono sottoporsi a d altri interventi differenti.

A causa di mancanza di evidenze non è stata formulata una raccomandazione sull’esecuzione di uno screening per enterobatteri secernenti betalattamasi. Il panel sostiene che questa pratica possa causare un aumento dell’uso di antibiotici a largo spettro e favorire l’insorgenza di batteri antibioticoresistenti, essendo le opzioni a disposizione sempre più limitate.42

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Nelle linee guida sono state inserite raccomandazioni sul corretto timing per la somministrazione degli antibiotici per la profilassi preoperatoria. Perché l’antibiotico sia presente nel sangue in concentrazioni efficaci, il panel raccomanda che l’antibiotico-profilassi venga effettuata nella finestra temporale dei 120 minuti (tenendo conto delle differenti emivite) antecedenti all’operazione anziché subito successivamente. Questo perché è stato dimostrato che bassi livelli nel sangue di antibiotico al momento della chiusura della ferita possono aumentare il tasso di SSI.43,44 Su questo argomento la

qualità delle evidenze riportate è moderata ma viene considerata una raccomandazione forte.

La quarta raccomandazione fornita dal panel riguarda la preparazione dei pazienti che devono sottoporsi a interventi di chirurgia colorettale. Una revisione sistematica delle fonti ha confermato l’efficacia della preparazione meccanica intestinale (MPB) in associazione con la somministrazione di antibiotici per via orale. È stato dimostrato che le combinazione di queste due pratiche abbia buon esito nella riduzione delle SSI, mentre non sono stati riscontrati benefici nella somministrazione dei soli antibiotici in assenza di MPB.45

Per quanto riguarda la tricotomia in fase preoperatoria la revisione sistematica della letteratura non ha dimostrato effetti sull’incidenza delle SSI, pertanto la sua pratica viene sconsigliata a meno che essa non sia strettamente necessaria.46,47 In tal caso è

comunque raccomandato che la tricotomia venga effettuata mediante l’utilizzo di un tricotomo e non mediante rasatura.48Questa pratica viene infatti sconsigliata in qualsiasi

fase, sia preoperatoria che post-operatoria.

Per quanto riguarda il trattamento preoperatorio della cute integra del sito di incisione e delle zone ad essa circostanti, il panel si è espresso a favore della scelta di utilizzare soluzioni disinfettanti a base alcolica rispetto a soluzioni a base acquosa.49,50

In merito all’utilizzo di sigillanti antimicrobici, il panel si è espresso contrario non formulando alcuna raccomandazione. In letteratura non sono emersi dati a favore di tale pratica confermando al contrario l’ininfluenza di tale pratica in aggiunta al trattamento preoperatorio della cute integra del paziente nel contrastare le SSI.51

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L’ultima raccomandazione sulle pratiche preoperatorie compresa nelle linee guida OMS 2016 tratta le corrette modalità del lavaggio delle mani. Per approfondire l’argomento si rimanda al paragrafo delle buone pratiche degli operatori.

Misure pre e/o intraoperatorie

La malnutrizione, condizione molto diffusa nei paesi in via di sviluppo e nelle fasce anziane nei paesi ad alto reddito, rappresenta un importante fattore di rischio di infezione postoperatoria. Al fine di ridurre l’insorgenza di SSI in pazienti sottopeso che devono sottoporsi a chirurgia anche se si tratta di una raccomandazione condizionale con qualità delle evidenze molto bassa, si consiglia di procedere con una somministrazione per via orale o enterale di integratori multinutrienti contenenti in combinazione arginina, glutammina, acidi grassi, omega-3 e nucleotidi52. La

somministrazione per via parenterale non è stata presa in considerazione a causa del rischio intrinseco di infezione della sede dell’accesso venoso.

Per quanto riguarda la sospensione della terapia immunosoppressiva nei pazienti che devono sottoporsi a intervento chirurgico, evidenze di basso livello hanno messo in evidenza un possibile danno causato dalla sospensione preoperatoria del Metotrexato53

mentre alcuni studi hanno suggerito un parziale beneficio nell’interruzione dell’anti-TNF.54. A fronte della scarsità delle evidenze riportate in letteratura sul beneficio

dell’interruzione dell’anti-TNF e di una possibile pericolosità dell’interruzione del Metotrexato, il panel consiglia la non sospensione della terapia.

L’ossigenazione perioperatoria nei pazienti adulti sottoposti ad anestesia generale con intubazione endotracheale è consigliata. Con una raccomandazione forte si dispone che i pazienti ricevano ossigenoterapia ad elevata saturazione (FiO2 80%) in fase

intraoperatoria e per 2-6 ore in fase postoperatoria.55

Nonostante sia espressa come raccomandazione condizionale, è consigliato l’utilizzo di dispositivi riscaldanti in sala operatoria con lo scopo garantire la normotermia del paziente. La perplessità del panel ha riguardato principalmente il numero esiguo di pubblicazioni e la mancanza di studi che indagassero il riscaldamento corporeo come outcome di SSI. Tuttavia sono stati sottolineati dei parziali benefici del riscaldamento

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corporeo come il calo degli eventi del miocardio, dei sanguinamenti e della necessità di trasfondere il paziente.56

Un’altra raccomandazione condizionale rappresenta il controllo intensivo in fase perioperatoria della glicemia sia in pazienti diatetici che non. Evidenze di basso livello hanno suggerito che l’applicazione di un rigido protocollo di monitoraggio della glicemia apporti dei benefici rispetto all’applicazione di un protocollo convenzionale. Non sono state altresì trovate differenze di beneficio nella popolazione diabetica rispetto alla popolazione non diabetica.57

Delle evidenze di basso livello hanno suggerito un beneficio nella riduzione delle SSI nell’utilizzo della fluidoterapia intraoperatoria rispetto ad una gestione standard dei fluidi per garantire il mantenimento della volemia.58

Durante le operazioni chirurgiche, il panel raccomanda l’utilizzo di teli e camici sterili monouso non tessuti o in alternativa teli e camici sterili in tessuto riutilizzabili.59 Per

quanto riguarda i teli da incisione adesivi il loro utilizzo è sconsigliato anche in caso di proprietà antimicrobiche.60

L’utilizzo di dispositivi di protezione delle ferite (WP) per aumentare l’isolamento dei lembi della ferita chirurgica è consigliato negli interventi chirurgici addominali contaminati nella popolazione adulta con raccomandazione condizionale.61

L’irrigazione della ferita con soluzione salina ha lo scopo di mantenere l’idratazione della ferita e quello di facilitare la rimozione fisica di detriti e batteri superficiali. Nonostante questa pratica sia molto diffusa tra i chirurghi62, il panel non ritiene che le evidenze a

sostegno siano tali da permettere di formulare una raccomandazione. L’irrigazione salina con PVP-I può essere comunque presa in considerazione in caso di ferita chirurgica pulita o pulita-contaminata. Mentre l’irrigazione della ferita con antibiotici viene sempre sconsigliata.63

Per quanto riguarda la terapia profilattica con terapia a pressione negativa (NPWT), ovvero la creazione in sede della ferita chirurgica di una camera chiusa collegata ad una pompa da vuoto in grado di esercitare una pressione negativa, il panel si è espresso a favore della pratica. Alcune considerazioni sono stata tuttavia espresse il merito alla sostenibilità della procedura per le realtà più povere, invitando quindi ad una

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considerazione costo/beneficio in base alle varie disponibilità. Sebbene con evidenze non numerose, l’NPWT si è dimostrata efficace negli adulti su incisioni chirurgiche ad alto rischio di chiusura primaria.64

Nessuna raccomandazione è stata fornita invece in merito al migliore utilizzo di guanti chirurgici. La letteratura non ha fornito dati dirimenti né sull’efficacia dell’utilizzo di un doppio guanto chirurgico o sul cambio di guanti in corso di intervento, né sul tipo specifico di guanto.65

Il panel ha deciso di non formulare raccomandazioni anche in merito al cambio di strumentazione chirurgica in corso di intervento in occasione della chiusura della ferita chirurgica. Sebbene sia lecito pensare che gli strumenti chirurgici svolgano un ruolo nella contaminazione della ferita, le revisioni sistematiche della letteratura non hanno evidenziato sostanziali benefici nell’uso di tale pratica.66

Una pratica al contrario consigliata è quella di rivestire la ferita chirurgica con Triclosan per contrastare la colonizzazione dei materiali della sutura, a prescindere dalla tipologia di intervento preso in considerazione. Diversi studi hanno confermato come il Triclosan sia capace di ridurre la carica batterica sia in vitro che nei tessuti in vivo.67

I sistemi di aerazione a flusso laminare rappresentano oggi lo standard per le sale operatorie in classe ISO 5 adibite agli interventi di chirurgia complessa. Alcune evidenze hanno però messo in mostra come la ventilazione laminare non apporti nessun beneficio nello specifico di interventi sia di artroplastica totale dell’anca (THA) che del ginocchio (TKA). Al contrario, l’utilizzo di una ventilazione convenzionale, seppur non molto significativi, ha fatto registrare dei benefici.68

Misure postoperatorie

Per quanto riguarda il trattamento postoperatorio il panel ha espresso una raccomandazione forte con qualità moderata delle evidenze in merito all’utilizzo degli antibiotici nel decorso postoperatorio. A fronte delle evidenze disponibili, è stato dimostrato che il prolungamento della profilassi antibiotica a seguito dell’intervento non apporti significativi miglioramenti nella riduzione del tasso di SSI rispetto alla somministrazione singola.69 Un’eccezione a quanto affermato sembra essere

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cardiochirurgica, chirurgia vascolare e ortognatica, ma il numero esiguo e la bassa qualità delle evidenze a disposizione non ha permesso l’espressione di una raccomandazione sull’argomento.70

In merito alla scelta della tipologia di medicazione più efficace nel prevenire l’insorgenza di SSI nelle ferite chirurgiche a chiusura primaria, sono state messe a confronto le medicazioni standard (asciutte e assorbenti) con medicazioni di tipo avanzato (idrofibre, idrocolloidi, poliesametilene biguanide e medicazioni contenenti argento). I risultati degli studi non hanno evidenziato un beneficio dall’applicazione di queste ultime.71 Per

via della scarsa qualità delle evidenze disponibili questa consiste comunque in una raccomandazione di tipo condizionale.

L’ultima raccomandazione compresa nelle linee guida per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico riguarda la profilassi antibiotica nei pazienti con drenaggio e la corretta tempistica per la rimozione dello stesso. Il posizionamento di tubi di drenaggio a seguito di un intervento è una pratica ampliamente diffusa tra i chirurghi di tutto il mondo. Sebbene questi facilitino la rimozione di accumuli di fluidi e sangue accumulati nelle cavità del corpo formatesi a seguito di un intervento, la presenza dei tubi espone il paziente ad un maggior rischio di contrarre un’infezione postoperatoria. Per questo motivo, il posizionamento di un drenaggio postoperatorio è sempre stato associato ad un prolungamento della profilassi antibiotica postoperatoria. Numerose revisioni sistematiche sono state condotte sull’effettivo beneficio di questo prolungamento della terapia. Stando alle evidenze disponibili, il prolungamento della profilassi antibiotica non sembra dare vantaggi rispetto alla singola somministrazione preoperatoria.72

Considerando le problematiche riguardanti i fenomeni di antibiotico-resistenza, è stato deciso all’unanimità di non formulare una raccomandazione su questa pratica. Per quanto riguarda il corretto timing della rimozione dei drenaggi post-operatori, le evidenze non hanno identificato la prevalenza di una tempistica rispetto alle altre, rimettendo pertanto la decisione ai chirurghi in base a criteri di appropriatezza clinica.73

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2.3 Le norme di comportamento per l’operatore sanitario

Il comportamento degli operatori sanitari all’interno della sala operatoria è

fondamentale per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico minimizzando il trasferimento di microrganismi durante la procedura. Per questo motivo, tutto il personale deve essere adeguatamente formato sulle procedure da seguire nella fase pre-, intra- e postoperatoria, nonché sull’importanza di tali buone pratiche per prevenire le infezioni e dell’impatto delle stesse sulla salute del paziente.

In particolare, tutto il personale deve seguire alcune procedure sia prima dell’ingresso in sala operatoria che durante la procedura chirurgica. Prima indossare specifici indumenti idonei, è necessario rimuovere i gioielli da mani e polsi, nonché rimuovere unghie artificiali e provvedere alla pulizia delle unghie. Per quanto riguarda l’igiene delle mani, questa ha un ruolo cruciale nella prevenzione delle infezioni: tutto il team chirurgico deve lavarsi le mani precedentemente al primo intervento in lista

utilizzando una soluzione acquosa antisettica idonea a scopo chirurgico, ponendo particolare attenzione alle unghie. Prima delle operazioni successive, è sufficiente utilizzare un gel alcolico od una soluzione antisettica chirurgica se le mani non sono visibilmente sporche; in tal caso sarà necessario ripetere il lavaggio delle mani come descritto precedentemente. Le tecniche per il corretto lavaggio chirurgico delle mani sono riportate nella figura 1, presente nelle Linee Guida internazionali per la

prevenzione delle infezioni del sito chirurgico, a cura dell’OMS1. Il personale deve

inoltre indossare guanti sterili: l’efficacia dell’utilizzo di un solo paio o di un doppio paio di guanti per la prevenzione delle infezioni è ancora discussa, tuttavia è stato osservato che l’utilizzo di due paia di guanti riduce il numero di microperforazioni nel guanto a contatto con la cute dell’operatore sanitario. Per questo motivo, le linee guida NICE consigliano l’utilizzo di due paia di guanti sterili in condizioni di elevato rischio per prevenire il rischio di contaminazioni a protezioni tanto del personale quanto del paziente.

Il team dovrà inoltre indossare una vestaglia sterile. Risulta inoltre importante limitare il più possibile movimenti fuori e dentro la sala operatoria al fine di limitare la

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La sicurezza delle sale operatorie: pulizie e qualità dell'aria

La cura e l’igiene degli ambienti di lavoro non sempre sono stati argomenti centrali nella lotta alla diffusione delle ICA. Oggi, al contrario, le evidenze presenti in letteratura hanno dimostrato quando la pulizia e la decontaminazione degli ambienti medici abbia un ruolo fondamentale nel limitare la diffusione dei microorganismi.74,75

Per contrastare le SSI è quindi molto importante che la sala operatoria sia sottoposta a cicli di pulizia giornalieri completi e che l’aria sia filtrata meccanicamente per limitare al minimo la contaminazione del sito chirurgico da parte dei microrganismi presenti nell’aria e per ridurre la presenza dei microrganismi sulla cute.76

3.1 La pulizia ambientale e la gestione dei rifiuti

Il livello igienico sanitario del blocco operatorio, e in maggior ragione della sala operatoria, è importante sia per i pazienti che per gli operatori. È fondamentale dunque che gli ambienti siano tenuti il quanto più possibile privi di polvere, sporcizia e contaminanti. In merito all’argomento si è espressa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con delle raccomandazioni contenute nelle linee guida internazionali per la prevenzione delle infezioni del sito chirugico.1

Le zone della sala operatoria si suddividono in base all’utilizzo e alla loro interazione con gli operatori. Per le superfici di contatto minimo, come pavimento, pareti, finestre e davanzali, è sufficiente una pulizia a cadenza regolare, o in occasione di contaminazione, mediante passaggio di un panno umido, che non rilasci residui di fibre, imbevuto di detergente neutro, in modo che la pulizia sia più efficace e si contrasti la formazione di un biofilm. La detersione delle superfici deve avvenire dalle zone più pulite in direzione di quelle più sporche e dall’alto verso le parti più declivi77, così che eventuali detriti

cadano sul pavimento.

Le superfici con contatto manuale frequente necessitano invece di una pulizia più assidua. Tavolo operatorio e lettino, materasso compreso, devono essere puliti dopo ogni singolo intervento. Dopo l’applicazione del detergente occorre in questo caso utilizzare una soluzione disinfettante alle concentrazioni specificate dal produttore.

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I rifiuti prodotti in sala operatoria devono essere raccolti in appositi contenitori e sigillati a tenuta stagna; le garze contaminate da fluidi biologici devono essere anch’esse raccolte in contenitori di plastica, mentre i taglienti devono essere raccolti separatamente in contenitori di plastica rigidi e sigillati quando da capienza raggiunge i due terzi.

3.2 La classificazione delle sale operatorie

Le sale operatorie sono tra gli ambienti ospedalieri che più necessitano il massimo livello di sterilità possibile: oltre alle pulizie, i restanti parametri di sicurezza dell’ambiente chirurgico e la qualità dell’aria al suo interno giocano un ruolo fondamentale nella prevenzione delle SSI. Si stima infatti che il 98% delle SSI derivi da particelle aerodisperse trasportanti microrganismi patogeni.28 Le fonti dalle quali questo particolato può avere

origine sono molteplici e difficili da contrastare: fibre tessili, polvere, gocce di condensa emessa con la respirazione e cellule esfoliate durante il fisiologico turnover della cute.78 Figura 2: Alcuni esempi di frequenza delle pulizie per zone di rischio riportati nelle Linee Guida OMS 2016 per la Prevenzione delle Infezioni del Sito Chirurgico

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La pericolosità di queste particelle deriva dalla possibilità che svolgano il ruolo di carrier per i microrganismi, contribuendo alla contaminazione delle superfici. Gli organismi patogeni hanno la capacità di aderire alle particelle e formare degli aggregati definiti

colony-forming units (CFUs). Mentre le particelle dotate di un diametro inferiore agli

0,5µm rimangono in sospensione in aria, le particelle più grandi, in virtù della loro massa, possono depositarsi sulle superfici o viaggiare trasportate dai flussi d’aria presenti in sala operatoria e inocularsi nella ferita chirurgica.79,80

Data l’importanza della qualità dell’aria in sala operatoria, la normativa UNI EN ISO 14644-181 stabilisce una classificazione delle camere bianche e degli ambienti controllati

associati in classi ISO in funzione del numero massimo di consentito di particelle aerosospese in un determinato volume d’aria. Seconda la definizione contenuta nella norma, una camera bianca si può definire “pulita” quando la concentrazione del particolato al suo interno è stata classificata e tenuta sotto controllo nella sua generazione, introduzione e ritenzione. Per quanto riguarda le sale operatorie, la norma fa riferimento a tre specifiche classi per livello di prestazioni richieste.

La classe ISO 5, o superiore, è richiesta per le sale operatorie che necessitano del massimo livello di protezione delle zone a rischio, ovvero le sale operatorie destinate all’esecuzione degli interventi di chirurgia più specializzati come trapianti d’organo, impianti di protesi e altri interventi complessi che richiedano un tempo di esecuzione superiore a 60 minuti. La classe ISO 7, o superiore, è necessaria per le sale operatorie nelle quali vengono svolti interventi con un minore livello di invasività, ma che richiedono comunque un elevato livello di protezione. Di questi fanno parte gli interventi nei quali non è prevista l’apposizione di protesi come interventi artroscopici, chirurgia vascolare, cateterismi cardiaci e tagli cesarei. La classe ISO 8 è richiesta sia per sale operatorie e ambienti chirurgici destinati a interventi di bassa complessità e breve durata o interventi su tessuti normalmente contaminati, come interventi di chirurgia viscerale, chirurgia urologica e interventi di day surgery, che per locali adibiti alla conservazione di materiali sterili.

Per limitare al massimo la carica batterica e il conseguente rischio di infezioni post-operatorie, è necessario che le sale classificate ISO 5 dispongano di un impianto di areazione a flusso laminare; il flusso in questione deve investire tutto il campo

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operatorio, tavolo e operatori compresi. Nelle sale classificate ISO 7, invece, è sufficiente la presenza di un impianto a flusso turbolento.

Nella tabella sottostante82 si riportano i limiti massimi di concentrazione accettati per

classe ISO. In considerazione della capacità di adesione alle particelle dei microrganismi, il parametro da prendere in considerazione per il controllo delle sale operatorie è la concentrazione delle particelle aventi 0,5 µm di diametro.

Tabella 1: Valori massimi di particolato previsti per classe ISO82

3.3 Le metodiche di campionamento del particolato

Al fine di mantenere la classe ISO assegnata ad una specifica sala operatoria, è necessario che i valori di particolato aerodisperso siano tenuti sotto controllo con regolarità. Per le sale operatorie di classe ISO 5, la cadenza dei controlli deve essere di tipo semestrale, oltre che in seguito a significativi interventi di manutenzione degli impianti di aerazione. Per le sale operatorie di classe ISO 7 invece la cadenza prevista è di tipo annuale.

Le misurazioni devono essere effettuate da personale qualificato e addestrato all’utilizzo di dispositivi specifici per la misurazione. Al fine di rendere minime le interferenze con il campionamento, il personale addetto alla misurazione deve indossare gli stessi abiti e dispositivi di protezione individuale del personale dell’equipe chirurgica, provvedere alla

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disinfezione delle superfici della strumentazione e ad una sua attivazione in remoto a distanza. Il dispositivo utilizzato deve possedere un certificato di taratura aggiornato ed essere conforme alla norma UNI EN 13205:200283, ovvero in grado di registrare numero

e volume delle particelle presenti in sospensione nell’aria e di discernerne la dimensione in modo da poter misurare la concentrazione delle particelle dotate del volume desiderato. Il posizionamento delle sonde dipende dalla tipologia di flusso d’aria presente in sala operatoria: in direzione del flusso d’aria in caso di flusso unidirezionale o con la sonda rivolta verso l’alto in caso di flusso turbolento. Il volume del campionamento viene ottenuto mediante l’utilizzo dell’equazione 𝑉 = (20𝐶) ∙ 20 dove “V” rappresenta il volume espresso in litri, “C” il limite del numero di particelle con il maggior diametro considerato e “20” il numero minimo di particelle rilevabile per concentrazione al limite della classe. In caso di un volume risultante troppo grande, per diminuire il tempo di campionamento si può procedere con un campionamento sequenziale come riportato nell’appendice F della norma UNI EN ISO 14644-181. In ogni

caso il volume dei campioni rilevati per ogni punto di misurazione deve avere una capacità minima di 2 litri, con un tempo di campionamento non inferiore a 1 minuto per punto di rilevazione. Per quanto riguarda la localizzazione dei punti di misurazione, è importante che le zone campionate dalle sonde siano distribuite omogeneamente all’interno della sala, e che siano rappresentative delle zone di lavoro degli operatori chirurgici, sia per altezza dal suolo che per zona della sala. Il numero adeguato di punti di campionamento è indicato nella tabella 2, riportata nella norma ISO 14644-1:2015, nella quale viene associato un numero minimo di campionamenti in basse alla superficie della sala espressa in m2.

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Il campionamento della sala operatoria deve essere svolto in condizione definita at rest, ovvero con sala operatoria allestita e pronta all’utilizzo ma in assenza di equipe chirurgica al suo interno.84 Per essere valido, il risultato di ogni misurazione deve essere

inferiore ai limiti indicati sempre nello stesso documento. Nel caso della classe ISO 5, per esempio, deve essere al di sotto del valore di 3520 particelle.

Tabella 2: Numero minimo di campionamenti in base alla superficie del locale

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Utile per determinare la capacità dell'installazione di eliminare le particelle sospese nell'aria è la determinazione del recovery time.

Il recovery time è la valutazione delle prestazioni di recupero, dopo un evento di generazione di particelle, rappresenta una prova di efficienza e di efficacia dell'installazione. Nella pratica si sottopone il sistema a un carico di particolato (ad esempio scuotendo vigorosamente la teleria operatoria), e si valuta, in maniera seriata, con la metodologia illustrata nella UNI EN 14644-3:201985 come il sistema è in grado di

ripristinare le condizioni basali..

3.4 La contaminazione microbiologica delle superfici

I controlli microbiologici in sala operatoria hanno l’obiettivo fondamentale di verificare l’efficacia dei protocolli di disinfezione e sanificazione adottati dal blocco operatorio, e di una loro adeguata applicazione.

Il campionamento deve essere condotto da personale adeguatamente formato e aggiornato per la tipologia di campionamento svolto

I metodi principali di prelievo adottati sono il metodo per contatto e il metodo con tampone.

Il metodo per contatto, secondo la norma UNI EN ISO 14698-186, deve essere effettuato

possibilmente su superficie piana con l’utilizzo di piastre RODAC (Replicate Organism

Direct Agar Contact) delle dimensioni di 24 cm2; il tempo di contatto della piastra sulla

superficie dovrà essere di una durata superiore o uguale ai 10 secondi, curando di applicare una pressione costante e uniforme sull’intera area. Per quanto riguarda l’incubazione delle piastre, occorre osservare le diverse caratteristiche specifiche per la crescita dei microrganismi interessati (temperatura e tempo di incubazione) nel minor tempo possibile e in ogni caso non oltre le 12 ore dall’esecuzione del campionamento. Il metodo con tampone può essere utilizzato sia sulle superfici piane che non. Il metodo in questione è preferibile in caso di zone difficili da raggiungere con il metodo da contatto (cavità, tubi, giunture ecc). La natura dell’analisi è prevalentemente qualitativa o, al massimo, semi quantitativa.

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La superficie della zona campionata deve essere nota e registrata in quanto il risultato viene espresso come UFC/cm2; prima dell’utilizzo, il tampone deve essere umidificato

con un liquido sterile e isotonico; durante l’applicazione occorre individuare una zona prescelta e strusciare il tampone lungo linee ravvicinate con andamento parallelo e perpendicolare tra di loro, ruotando il tampone durante lo striscio.

I controlli microbiologici devono essere effettuati con cadenza almeno semestrale. In caso di multipli superamenti dei limiti di riferimento, interruzione dell’attività della sala operatoria e interventi significativi di manutenzione a carico del sistema di ventilazione, procedure di sanificazione e disinfezione, eventi incidentali che potrebbero contribuire alla contaminazione microbiologica della sala, si rende necessaria la ripetizione delle verifiche a cadenza ravvicinata. In ogni caso, i campionamenti devono essere condotti su superfici tornate asciutte al termine delle operazioni di sanificazione e disinfezione, dopo un’attesa di 30-60 minuti (tempo necessario per l’azione dei disinfettanti) con sala operatoria chiusa e in assenza di personale.

In ogni caso, i prelievi devono essere condotti su superfici asciutte, dopo il termine delle operazioni di sanificazione della sala e dopo che questa sia rimasta chiusa e vuota per almeno 30-60 minuti (tempo ritenuto sufficiente per l’azione dei disinfettanti).

3.5 La contaminazione microbiologica dell’aria

Il livello di contaminazione microbiologica dell’aria in sala operatoria è direttamente proporzionale al numero di personale presente all’interno della sala, ai comportamenti adottati, nonché dalle specifiche caratteristiche e dal funzionamento dell’impianto di VCCC presente. Per questo motivo, è fondamentale che in ogni blocco operatorio sia attivato un percorso di continua formazione del personale per limitare al minimo i rischi di contaminazione ambientale e promuovere un corretto comportamento.

Inoltre, la verifica della presenza di microrganismi in aria rappresenta un sistema per verificare un adeguato funzionamento dell’impianto VCCC e il relativo grado di sicurezza di operatori e operandi.

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I controlli vengono condotti in varie situazioni, fondamentalmente per la verifica periodica del funzionamento dell’impianto VCCC e/o la valutazione degli interventi di manutenzione, per la verifica dell’osservanza delle procedure comportamentali e in casi di evidenza epidemiologica (ricerche specifiche).

Le modalità per il campionamento microbiologico dell’aria sono due: con sala pronta per l’utilizzo ma in assenza di personale (at rest), oppure con sala operatoria operativa in presenza dell’equipe chirurgica (operational). Nel primo caso viene valutato prevalentemente il funzionamento degli impianti VCCC, mentre nel secondo caso, oltre al funzionamento degli impianti, è possibile una valutazione delle procedure adottate.

3.6 La valutazione degli altri parametri di qualità dell'aria: microclima,

gradiente di pressione, ricambi d'aria e volume d'aria

Con il termine microclima intendiamo l’insieme dei parametri ambientali di temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria, che, insieme, determinano l’entità dello scambio termico tra l’ambiente e gli individui al suo interno. Il microclima, così come l’inquinamento indoor, è uno degli agenti responsabili della qualità degli ambienti in cui le persone lavorano o anche semplicemente vivono, determinando quindi il loro benessere. Per questo il benessere termico, inteso come sensazione soggettiva di piena soddisfazione nei confronti dell’ambiente circostante ottenuto con minimo lavoro del sistema di termoregolazione interno, deve risultare una condizione prioritaria per la garanzia del benessere totale.87 In ambito lavorativo e nello specifico in ambito medico,

il raggiungimento dei parametri termoigrometrici ideali è essenziale affinché gli operatori siano messi in condizione di espletare le loro mansioni specifiche senza elementi di disturbo, andando a tutelare sia la propria salute che quella dei pazienti. I limiti di riferimento per garantire un microclima idoneo sono: temperatura tra 20°C e 24°C, umidità relativa tra 40% e 60%, velocità dell’aria entro i limiti più bassi possibili (non inferiore a 0,05 m/s). Per quanto riguarda la valutazione del grado di benessere termico avvertito dagli operatori si utilizzano i parametri Voto Medio Previsto (PMV) e Percentuale di Insoddisfatti (PPD), che devono essere rispettivamente più o meno 0,5 e meno del 10%.

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In conformità alla norma tecnica UNI EN ISO 7726:200288, per la valutazione dei

parametri sopraindicati, è consigliato l’uso dei seguenti strumenti: centralina microclimatica computerizzata provvista di un globo termometro, psicrometro, anemometro a filo caldo. Durante la misurazione le sonde devono essere posizionate in sala in modo tale da indagare sia l’omogeneità termica del locale che il livello di esposizione degli operatori coinvolti, con almeno un punto di campionamento che corrisponda per altezza dal suolo e zona della sala operatoria, allo spazio occupato dagli operatori al lavoro. Una volta effettuato il campionamento, attraverso il calcolo dell’isolamento termico conferito dal vestiario degli operatori e luna stima del dispendio metabolico generato, il macchinario effettuerà una stima degli indici PMV e PPD, con i quali potremmo verificare il grado di benessere termico degli addetti.

Per una verifica efficace dei parametri termoigrometrici è importante che le misurazioni vengano effettuate a cadenza regolare con intervallo semestrale, comprensivi di interventi di misurazione straordinaria in seguito a malfunzionamenti o interventi di manutenzione straordinaria significativi o qualora si verificassero delle sensazioni di discomfort da parte degli operatori coinvolti

Il gradiente di pressione generato dall’impianto di ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata ha invece lo scopo di impedire il passaggio di aria contaminata esterna alla sala operatoria all’interno di quest’ultima, preservando quindi le corrette condizioni igienico ambientali. Affinché questa barriera pressoria svolga la sua funzione, il gradiente tra i locali adiacenti deve attestarsi su un valore uguale o superiore ai 5 Pascal.81 Per una corretta misurazione, la registrazione dei valori pressori

deve essere effettuata in corrispondenza del punto di passaggio tra un locale e l’altro, previa chiusura di ogni punto di comunicazione (porte e finestre) tra di essi. Per la misurazione è consigliato l’utilizzo di un manometro differenziale con una sensibilità di misurazione compatibile con i livelli di pressione da indagare (più o meno 1 Pascal e una tolleranza di più o meno 1% di lettura).

Un altro parametro da considerare è il volume d’aria immessa, in quanto con la misurazione della portata d’aria si può ottenere una stima del funzionamento dell’impianto di condizionamento. Il volume d’aria immessa viene calcolato con due metodiche diverse a seconda della natura dell’impianto stesso.

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Per gli impianti a flusso turbolento la portata dell’aria deve essere misurata direttamente a valle del filtro in sala operatoria dopo aver smontato l’anemostato. Per la misurazione risultano idonei sia anemometri a filo caldo o a ventolina o dispositivi di cattura dell’aria immessa da ciascun filtro. Se si utilizzano anemometri a filo caldo o a ventolina, i punti di misurazione devono essere scelti a distribuzione omogenea sulla superficie complessiva del filtro, osservando una distanza di circa 15-30 cm dal punto di immissione dell’aria. Considerando le velocità differenti delle turbolenze dei flussi d’aria immessi dalla bocchetta, tra i vari dispositivi, è consigliato l’utilizzo di uno strumento in grado di catturare interamente l’aria immessa dal filtro finale. Al termine delle singole misurazioni si può determinare la portata complessiva del sistema di areazione sommando tra di loro le portate delle singole bocche d’emissione.

Per gli impianti a flusso unidirezionale, invece, il calcolo della portata dell’aria immessa si deve misurare in sala operatoria in corrispondenza del plenum di immissione dell’aria. Per la misurazione possono essere utilizzati anche in questo caso anemometri a filo caldo e dispositivi simili. I punti di misurazione devono essere scelti in numero pari a 10 volte la radice quadrata della superficie in metri quadri del flusso d’aria emesso, con un numero comunque non inferiore a quattro. Nel caso del flusso unidirezionale la sonda deve essere disposta in senso perpendicolare alla direzione del flusso, facendo attenzione che non si frapponga nulla tra di essa ed il filtro, in modo che non si formino turbolenze nel flusso d’aria.

Lo scopo del ricambio dell’aria all’interno della sala chirurgica è quello di diluire e limitare la presenza di particelle inquinanti eventualmente presenti. La corretta diluizione dell’aria dipende sia delle caratteristiche strutturali della stanza che dalla presenza e diposizione di personale e strumentazioni. Queste variabili impongono che per una corretta misurazione del ricambio d’aria non si tenga conto semplicemente del volume di aria immessa sul volume totale dell’ambiente, ma la reale capacità del sistema di aerazione di diluire gli inquinanti più rappresentativi. La capacità necessaria a garantire un giusto ricambio è indicata nel DPR 14.01.199789 e si attesta a 15 ricambi di

aria totali per ora di tempo.

Per la misurazione non è ancora possibile fare affidamento a metodiche standardizzate, per questo è consigliato fare fede a quanto contenuto all’interno della normativa UNI

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EN ISO 146444-3:200681. Per il calcolo del ricambio d’aria è previsto l’impiego di un

tracciante specifico per l’uso in sala operatoria e di un dispositivo atto a misurarne dinamicamente la concentrazione ambientale presente. Per un corretto campionamento è importante che la sonda sia localizzata ad un’altezza di circa 150 cm da suolo in corrispondenza della zona occupata dagli operatori chirurgici. La concentrazione deve essere misurata sia in condizioni di sala sgombra che at rest.

3.7 Gli impianti aeraulici nelle strutture sanitarie: gli impianti di

Ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata

L’impianto aeraulico, come viene definito dalla norma UNI 1033990, è l’insieme di

dispositivi, apparecchiature e accessori disposti al raggiungimento delle ideali condizioni di qualità dell’aria all’interno di un ambiente chiuso. Dal suo funzionamento infatti dipendono le caratteristiche termiche, igrometriche, di inquinamento e di quantità di ricambio d’aria. Nonostante gli impianti aeraulici possano essere chiamati a ricoprire funzioni differenti a seconda delle necessità degli ambienti e delle scelte tecniche in fase di progettazione, possiamo riconoscere per ognuno di questi dispositivi delle componenti fondamentali91:

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1. Unità di trattamento aria (UTA): con la funzione di trattare l’aria indirizzata ai locali serviti modificandone i parametri termici e igrometrici in base ai valori richiesti.

Figura 3 Schema strutturale di un'UTA91

2.

Le condotte areauliche: sono canali di comunicazione aventi lo scopo di convogliare l’aria trattata dalle UTA ai locali destinati o, al contrario, dai locali alle UTA. A seconda del verso percorso dall’aria al loro interno distinguiamo le condotte di mandata, nel primo caso, e condotte di ripresa nel secondo. I materiali da costruzione più utilizzati rea la realizzazione delle condotte aerauliche sono la lamiera zincata e il pannello preisolato.

3.

Terminali aeraulici: sono i dispositivi posti al termine delle condotte aventi funzione di regolare la quantità e la dinamica di immissione dell’aria. La conformazione dei terminali (tramatura, posizionamento delle componenti, ecc.) varia a seconda delle necessità dei locali, determinando il funzionamento stesso dell’impianto areaulico.

4.

Componenti di linea: in questa categoria rientrano varie apparecchiature che possono essere presenti o meno all’interno della rete di canalature a seconda delle necessità tecniche dell’impianto. Tra queste componenti sono presenti giunti antivibranti, condotte flessibili, filtri e i rispettivi portafiltri (in caso essi non

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fossero già posti sulle UTA), serrande di taratura, serrande tagliafuoco, serrande di sovrapressione, plenum, silenziatori, batterie ad acqua o elettriche, regolatori di portata e cassette miscelatrici.

All’interno di una struttura sanitaria complessa come l’ospedale coesiste un grande eterogeneità di ambienti e di situazioni (sale operatorie, terapie intensive e sub-intensive, laboratori, camere bianche) che richiedono specifiche soluzione impiantistiche. Le sale operatorie, in virtù dell’inevitabile rischio di infezione al quale vengono sottoposti i pazienti durante gli interventi chirurgici, rappresentano un locale critico nel quale il mantenimento delle corrette condizioni igienico ambientali risulta di fondamentale importanza. Per questo motivo, gli impianti aeraulici utilizzati all’interno dei blocchi operatori sono chiamati a svolgere funzioni specialistiche, assumendo la definizione speciale di impianti di ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata (VCCC). Oltre alla generazione e al mantenimento delle caratteristiche igro-termiche ideali, i VCCC, attraverso il movimento di elevate portate d’aria appositamente filtrata nelle UTA, permettono di svolgere ulteriori funzioni essenziali come:

• il mantenimento della concentrazione particellare aerodispersa e degli inquinanti chimici volatili entro determinati limiti,

• il controllo della velocità e della direzione dei flussi d’aria al fine di evitare la formazione di sacche di ristagno e la contaminazione del sito chirurgico da parte dei contaminanti,

• il mantenimento di un gradiente pressorio positivo tra la sala operatoria e i locali meno puliti adiacenti.

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