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Correlati Neurali del Deficit Mnesico: Studio VBM e DTI in soggetti affetti da Disturbo Soggettivo di Memoria, Mild Cognitive Impairment e Malattia di Alzheimer

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

SCUOLA DI DOTTORATO IN NEUROSCIENZE DI BASE ED APPLICATE

Direttore Prof. R. Corradetti

DOTTORATO IN NEUROSCIENZE XXII CICLO

Coordinatore Prof. L. Massacesi

Settore scientifico-disciplinare MED/26 Neurologia

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INDICE

INTRODUZIONE……….1

Disturbo Soggettivo di Memoria, Mild Cognitive Impairment, Malattia di Alzheimer: un continuum del deficit mnesico? ………. .1

L’atrofia della sostanza grigia nel declino cognitivo: metodiche di analisi e profilo delle anomalie ……….5

La metodica delle “Region of Interest” (ROI)………6

La Voxel-Based Morphometry (VBM)……….7

Profilo delle anomalie VBM in AD e MCI………8

Studi di correlazione VBM-misure neuropsicologiche……….9

La degenerazione della sostanza bianca nel declino cognitivo: metodiche di analisi e profilo delle anomalie………10

Il diffusion tensor imaging (DTI)………...13

Tract-based spatial statistics (TBSS)...14

Profilo delle anomalie DTI in AD e MCI……….15

Studi di correlazione DTI-misure neuropsicologiche………...16

OBIETTIVI..………....17

SOGGETTI E METODI……….18

Soggetti………...18

La valutazione neuropsicologica………18

Acquisizione ed analisi delle immagini RM………..19

Analisi delle immagini………20

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RISULTATI………..24

Caratteristiche clinico-demografiche della popolazione………24

Valutazione RM soggettiva………24 VBM………...25 TBSS………...26 TABELLE E IMMAGINI DISCUSSIONE………..27 CONCLUSIONI………35 BIBLIOGRAFIA……….37

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1 INTRODUZIONE

Disturbo Soggettivo di Memoria, Mild Cognitive Impairment, Malattia di Alzheimer: un continuum del deficit mnesico?

La malattia di Alzheimer (AD) rappresenta la più frequente causa (50-60% dei casi) di deterioramento cognitivo nei paesi occidentali (Fratiglioni et al., 1991; Lobo A et al., 2000). Presenta un decorso caratterizzato da un prevalente ed iniziale deficit di memoria episodica seguito dal progressivo, sequenziale impoverimento delle funzioni attentive ed esecutive, della memoria semantica, del linguaggio, dell’orientamento, delle abilità visuo-spaziali e della prassia (Perry et al., 2000). I markers istopatologici distintivi della malattia sono le placche senili, i grovigli neurofibrillari e l’angiopatia amiloide. A prescindere dalla cascata di eventi patogenetici antecedenti - accumulo della beta-amiloide e/o alterazioni del citoscheletro neuronale - la via finale comune sul piano strutturale è rappresentata dalla crescente estensione della neurodegenerazione. Alcuni studi istopatologici, sulla base della distribuzione topografica dei NFT in pazienti a diversi livelli di gravità del deterioramento mentale, hanno ipotizzato una progressione per stadi, in cui alcune regioni verrebbero colpite prima di altre: all’interessamento precoce ed importante della regione transentorinale (stadi I-II), e successivamente (stadi III-IV) delle strutture limbiche (corteccia entorinale, subiculum e complesso ippocampale CA1), seguirebbe il coinvolgimento della neocortex temporale e delle aree associative parietali e frontali (stadi V-VI) (Hyman et al.,1990; Braak  Braak, 1991). Al contrario la corteccia motoria primaria, la corteccia sensitiva e quella visiva sarebbero risparmiate anche negli stadi più avanzati della malattia. Questo pattern di progressione della patologia, pur non essendo condiviso unanimamente (Galton et al., 2000), ha ricevuto particolare consenso, in quanto ben riflette le diverse fasi di

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2 coinvolgimento cognitivo. Un ruolo centrale viene così attribuito ai disturbi dell’elaborazione mnestica dell’informazione, ritenuti un tratto essenziale e precoce del quadro neuropsicologico dell’AD; pertanto, l’interessamento negli stadi precoci della malattia delle strutture temporali mesiali, incluso il complesso ippocampale, area cruciale nell’acquisizione di nuovi ricordi (Squire, 1992), bene si attaglia all’iniziale compromissione della memoria episodica.

La messa a punto di criteri internazionalmente accettati per la diagnosi clinica di demenza -ICD-10, 1992; DSM-IV, 1994- ed in particolare di quelli formulati dal Work

Group on Dementia per la malattia di Alzheimer (NINCDS-ADRDA) (McKhann et al.,

1984) ha consentito il raggiungimento di elevati livelli di sensibilità e specificità rispetto alla diagnosi istopatologica che rimane l’unica di certezza (Mirra et al., 1991). Negli ultimi anni, per la scoperta di presidi terapeutici disease-modifying, si è assistito ad una progressiva anticipazione della diagnosi e si è sentita la necessità di proporre nuovi criteri diagnostici (Dubois et al., 2007), basati sul possibile utilizzo di alcuni markers biologici. Si è quindi posta l’attenzione, tra gli altri, alle modificazioni dei volumi di regioni cerebrali specifiche come il lobo temporale mesiale e, sul piano clinico-neuropsicologico, al deficit della memoria episodica e alle fasi precliniche di malattia, quali, prima fra tutte, il Mild Cognitive Impairment (MCI).

L’MCI è definito come un declino cognitivo maggiore rispetto a quello che ci si può attendere in un individuo di pari età e grado di scolarità, ma con un deficit funzionale insufficiente per porre la diagnosi di demenza (Petersen et al., 1999). Questa condizione sottende un’ampia eterogeneità di quadri clinici pre-demenza con diversi sottotipi. Quello più noto e meglio definito sul piano diagnostico è l’MCI amnesico, che si presenta clinicamente con deficit mnesici come caratteristica principale, sebbene possano essere coinvolti altri domini cognitivi, configurando in tal caso la forma di MCI “amnesico-multidomain” (Petersen et al., 2001). L’MCI amnesico è la condizione in cui

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3 è stata dimostrata il più elevato tasso di conversione ad AD (Petersen et al., 2001), mentre i quadri di MCI non amnesico possono progredire verso altre forme di demenza (Knopman et al., 2003). Gli studi longitudinali di popolazione hanno mostrato che non tutti i soggetti affetti da MCI sviluppano AD ed il tasso di conversione annuale varia dal 10 al 15%, mentre la reversibilità si verifica in circa il 40% degli individui (Modrego et al., 2005; Ganguli et al., 2004). L’utilizzo di biomarkers capaci di identificare i pazienti con MCI che sono più a rischio per lo sviluppo di demenza potrebbe perciò essere utile, specialmente quando siano disponibili interventi di prevenzione. L’ipotesi che l’MCI costituisca uno stadio di transizione tra normalità e progressione ad AD sembra confermata da studi di neuroimaging che hanno indagato le strutture meso-temporali, in particolare l’ippocampo, il giro para ippocampale, la corteccia entorinale e peririnale, tutte fondamentali per le attività mnesiche. Uno studio longitudinale effettuato con Risonanza Magnetica (RM) su un gruppo di soggetti con declino cognitivo lieve ha permesso di evidenziare come una maggior atrofia dell’ippocampo si associ ad un aumentato rischio di evoluzione a demenza (Jack et al., 1999). L’osservazione successiva che nei soggetti MCI sia presente una riduzione del volume della corteccia entorinale maggiore rispetto a quella ippocampale ha fatto ritenere che possa essere la corteccia entorinale l’area cerebrale colpita più precocemente dall’ atrofia, e la sua riduzione di volume un marker di MCI (Pennanen et al., 2004).

L’identificazione del “brain at risk” prima dell’MCI è quindi un importante obiettivo per la possibilità di utilizzare terapie “disease-modifying”, associate a trattamenti mirati alla prevenzione della comorbidità e al potenziamento della riserva cerebrale, prima della comparsa della sintomatologia. Dal momento che il deficit di memoria è il sintomo più precoce e rilevante nell’AD e l’unico nell’MCI, condizione che a sua volta può preludere all’AD, è d’interesse stabilire la relazione tra queste entità nosologiche e il Disturbo Soggettivo di Memoria (DSM), una categoria difficilmente inquadrabile il cui valore

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4 clinico è ancora molto dibattuto (Abdulrab et al., 2008). Questo temine indica una condizione in cui il soggetto “riporta delle lamentele riguardo l’efficienza della propria memoria. Questo deficit non è in relazione né con l’età né con la demenza e non ha ripercussioni in altri aspetti della vita” (Guarach et al., 2004) e, secondo le più recenti linee guida (Reid et al., 2006), non è accompagnato da una compromissione rilevabile da test neuropsicologici. Sia nel Disturbo Soggettivo di Memoria (DSM) che nell’MCI non ci sono limitazioni nelle attività della vita quotidiana, ma, a differenza di quest’ultimo, nel DSM il deficit mnesico è avvertito esclusivamente dal soggetto e non da chi vive a stretto contatto con esso. Considerando solo gli studi di popolazione la prevalenza del DSM varia dal 25% a più del 50% (Jonker et al., 2000). Schofield e coll. in uno studio risalente al 1997 evidenziavano una forte relazione tra il DSM e la conversione a demenza, ma solo nel sottogruppo che presentava già una compromissione cognitiva oggettivabile alla prima valutazione. Ad una attenta revisione della letteratura (Jonker et al., 2000) emerge che esiste una relazione più forte tra DSM e disturbi depressivi che tra DSM e declino cognitivo1. Alcuni studi longitudinali indicano che il disturbo soggettivo possa predire il declino cognitivo al follow up o la conversione a demenza (Dik et al., 2001), in particolare nei portatori di allele ε4 dell’Apolipoproteina E (APOE)2, e altri ritengono al contrario che questa relazione manchi di validità (Schofield et al.,1997). Dai risultati ad oggi presenti in letteratura possiamo affermare che il DSM sembra correlare con un futuro declino cognitivo o demenza solo in quei soggetti che presentino al basale qualche alterazione rilevabile ai test neuropsicologici. D’altra parte sono state

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Questo però si evidenzia solo in studi in cui venivano arruolate esclusivamente persone che si erano recate spontaneamente dallo specialista lamentando il disturbo di memoria (self-referrals) e non in quelli condotti su una ampia popolazione di anziani residenti in comunità. Analogamente Elfgren e coll. (2003) hanno suggerito come aver vissuto eventi stressanti possa interferire con l’integrità dei processi mnesici e predisporre al DSM.

2

L’APOE è una proteina coinvolta nel trasporto del colesterolo, dei fosfolipidi e degli ormoni steroidei, ha un ruolo nella modulazione della crescita neuritica, nella rigenerazione neuronale, nella plasticità e nel rimodellamento sinaptico. Delle tre isoforme – E2, E3, E4 - la APOE-E4 rappresenta il maggior fattore di rischio genetico per lo sviluppo di AD tardivo, sia sporadico che familiare.

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5 individuate, nei soggetti affetti da DSM dimensioni dell’ippocampo (van der Flier et al., 2004) e della corteccia entorinale ridotte rispetto a quelle previste in base all’ età (Jessen et al., 2006) e studi post-mortem hanno evidenziato un quadro anatomopatologico correlato a quello della malattia di Alzheimer in soggetti non dementi, ma affetti da un lieve disturbo cognitivo non rilevabile ai comuni test neuropsicologici (Bennett et al., 2006).

Da quanto detto si evince che, negli ultimi anni, si è sentita la necessità di una diagnosi sia clinica che strumentale sempre più precisa e precoce, per poter, dove possibile, intraprendere una terapia farmacologia e/o riabilitativa. Anche alla luce della proposta di nuovi criteri diagnostici (Dubois et al., 2007), seppur non unanimemente approvati, diventa quindi di grande interesse l’identificazione di uno strumento diagnostico sufficientemente sensibile alle più precoci modificazioni cognitive o biologiche rilevate in AD, che allo stesso tempo sia in grado di differenziare tra AD precoce, MCI, DSM ed invecchiamento fisiologico e che possa contribuire a far luce sugli aspetti ancora non chiariti del processo neurodegenerativo che conduce alla demenza.

L’atrofia della sostanza grigia nel declino cognitivo: metodiche di analisi e profilo delle anomalie

Le moderne tecniche di RM sono adesso ampiamente usate per indagare i deficit di volume regionale ed altre anomalie strutturali associate alla vulnerabilità allo sviluppo di AD e alla sua progressione (Teipel et al., 2008).

Sia negli studi morfometrici che in quelli funzionali in AD, gli indici regionali sono normalmente ottenuti in gruppi di soggetti affetti e confrontati con quelli di gruppi di controllo di soggetti sani, appaiati per caratteristiche demografiche. I due approcci più utilizzati per effettuare queste analisi quantitative e per fare confronti tra gruppi sono quello delle “Region of Interest” (ROI) ed le metodiche di analisi voxel per voxel.

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6 La metodica delle “Region of Interest” (ROI)

L’approccio delle ROI consiste nell’analisi di strutture cerebrali precedentemente selezionate, nella maggior parte dei casi manualmente, in modo da ottenere informazioni quantitative su tali regioni. Perciò, tale metodica non permette la misura di volumi regionali cerebrali in una maniera “whole-brain”. Negli studi morfometrici in AD l’approccio basato sulle ROI è stato impiegato per ottenere indici volumetrici nella maggior parte nell’ippocampo o in altre selezionate strutture temporo-mesiali (Callen et al., 2001, Jack et al., 2004, Wang et al., 2006; Aposoltova et al., 2006). Le misure manuali sono effettuate in alcune fette sottili lungo l’estensione di strutture di interesse e perciò comportano un intenso lavoro in termini di tempo e sono soggette ad errori da parte dell’osservatore. Recentemente sono stati messi a punto metodiche automatizzate per misurare i volumi ippocampali in una maniera più veloce, attraverso algoritmi parametrici (Wang et al., 2006). Tuttavia tali strumenti richiedono ulteriori valutazioni; inoltre, i confini anatomici utilizzati variano nei differenti studi ROI manuali ed automatizzati (Callen et al., 2001, Jack et al., 2004, Wang et al., 2006; Aposoltova et al., 2006), limitando così i confronti tra lavori diversi e la conduzione di metanalisi sui risultati ottenuti. Come alternativa alle misure basate sulle ROI, molti studi di

neuroimaging nelle ultime due decadi hanno utilizzato metodi automatizzati che

permettono un confronto di indici regionali all’interno di tutto l’encefalo in una maniera libera da ipotesi, senza la necessità di una selezione a priori delle regioni anatomiche e con perfetta riproducibilità. Questo stesso approccio è stato in origine utilizzato per i lavori PET del metabolismo regionale di glucosio o del flusso regionale basato sullo studio delle mappe statistiche parametriche (SPM) (Friston et al., 1991); più recentemente lo stesso concetto è stato applicato alle misure morfometriche di volume regionale di sequenze RM.

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7 La Voxel-Based Morphometry (VBM)

L’applicazione di un approccio voxel-based per il confronto di volumi regionali di sostanza grigia tra differenti gruppi di soggetti studiati mediante RM è denominato Voxel-Based Morphometry (VBM).

La VBM nasce dall’esigenza di confrontare gruppi di soggetti omogenei eliminando le differenze interindividuali. Utilizzando immagini RM ad alta risoluzione spaziale e di contrasto, la VBM permette di ordinare queste stesse immagini in uno spazio stereotassico comune eliminando dunque le differenze di posizione e volume individuali, operando in altri termini una “normalizzazione” spaziale. È una metodica completamente automatica che consente di analizzare voxel per voxel l’intero encefalo al fine di evidenziare aree di atrofia loco-regionale senza necessità di ipotesi a priori. L’analisi VBM prevede a partire da immagini T1 pesate una serie di passaggi. Per prima cosa occorre creare un template, ovvero una immagine di riferimento specifica (spazio standard di Talairach), utilizzando software appositi con template preconfezionati o creati de novo a seconda delle esigenze; le immagini originali vengono poi normalizzate al template e sottoposte a segmentazione che consiste nell’individuare e selezionare la sostanza bianca, quella grigia e il liquido cerebrospinale al fine di poterli analizzare separatamente. Si effettua quindi il cosiddetto smoothing spaziale per mediare i valori dei vari voxel in un range determinato così da aumentare il segnale delle immagini e riportare i dati da analizzare in una distribuzione gaussiana. Per riportare le varie misure ottenute in volume assoluto ogni singolo voxel viene moltiplicato per una costante e questo procedimento prende il nome di modulazione. Infine si procede con l’analisi statistica effettuata voxel per voxel. Vengono a definirsi quindi dei cluster (somma di più

voxel) che individuano una porzione di volume analizzato diversa (ad esempio una

riduzione od aumento della sostanza grigia, sostanza bianca o spazi liquorali) fra casi e controlli ai quali si assegna un valore p (corretto per confronti multipli) che indica la

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8 significatività statistica del cluster stesso (Ashburner and Friston, 2000; Good et al., 2001).

La VBM dunque permette di analizzare, in gruppi di pazienti omogenei e senza ipotesi a priori, la distribuzione nell’intero sistema nervoso centrale del volume della sostanza bianca, grigia e del liquido cerebrospinale

Profilo delle anomalie VBM in AD e MCI

Svariati studi VMB hanno valutato le differenze nei volumi regionali di sostanza grigia in campioni di AD in confronto a soggetti sani. Il risultato più consistente che emerge da tali studi è la presenza di atrofia nelle strutture del lobo temporale mesiale quali ippocampo, amigdala, corteccia entorinale e giro paraippocampale (Rombouts et al., 2000; Xie et al., 2006; Kinkingnéun et al., 2008), che sono già evidenziabili in stati precoci di malattia. Comunque, con un minor grado di riproducibilità, sono state descritte riduzioni di volume in altre aree cerebrali, che includono la neocortex temporale (Baron et al., 2001; Matsuda et al., 2002), parietale (Xie et al., 2006; Frisoni et al., 2002), l’insula, il precuneo, la corteccia del cingolo anteriore, del cingolo posteriore (Frisoni et al., 2002), la corteccia frontale (Xie et al., 2006; Frisoni et al., 2002), il talamo ed il caudato; infine, riduzioni di volume AD-correlate sono state occasionalmente riportate nel putamen, cuneo, corteccia occipitale ed ipotalamo (Xie et al., 2006). Essendo l’ MCI associato con un aumentato rischio di AD (Petersen et al., 1999) variazioni potenziali di morfologia globale e regionale associate con l’MCI sono di speciale interesse. Dato questo assunto, i pazienti con MCI dovrebbero condividere alcune anomalie di neuroimaging con i pazienti AD, sebbene di minor intensità. Infatti, un certo numero di lavori VBM hanno dimostrato anomalie regionali MCI-correlate della sostanza grigia simili a quelle osservate nei pazienti AD. Queste includono: atrofia dell’ippocampo e dell’amigdala e riduzione della sostanza grigia in altre regioni -

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9 sebbene in maniera più circoscritta di quanto descritto nell’AD - che interessano principalmente la neocortex frontale e temporo-parietale e, meno frequentemente, deficit della sostanza grigia nel giro del cingolo, nell’insula, nel talamo e nel nucleo caudato (Pennannen et al., 2004; Bozzali et al., 2006; Shiino et al., 2006; Chetelat et al., 2002; Bell-McGinty et al., 2005). Quando confrontati direttamente con gli AD, i pazienti MCI presentano relativo risparmio delle cortecce associative posteriori, del cingolo posteriore e dell’amigdala sinistra (Karas et al., 2004; Chetelat et al., 2002). Studi di VBM di tipo longitudinale, interessati ad identificare quali tra i pazienti MCI fossero destinati a sviluppare AD (Chételat et al., 2005) hanno dimostrato che in questi ultimi esiste una maggiore atrofia nelle aree temporali e del cingolo posteriore e del precuneo rispetto ai “non converters”.

Studi di correlazione VBM-misure neuropsicologiche

Accanto al più comune utilizzo di confronto tra gruppi (cioè l’analisi di coorte), la VBM permette di poter effettuare analisi di regressione per esplorare possibili correlazioni tra le performance a test cognitivi e aspetti di morfologia cerebrale locale. Tale tipo di analisi sono state effettuate in vari gruppi di pazienti, inclusi quelli con schizofrenia (Rush et al., 2007), ipertensione arteriosa (Gianaros et al., 2006), fibromialgia (Luerding et al., 2008) ed afasia primaria (Amici et al., 2007). Questi lavori hanno indagato primariamente la working memory e le funzioni esecutive. Ad oggi, solo pochi studi hanno utilizzato la VBM per valutare correlazioni tra performance cognitiva e morfologia locale cerebrale in pazienti AD (Di Paola et al., 2007; Thomann et al., 2008; Berlingeri et al., 2008) e MCI (Chételat et al., 2003; Hamalainen et al., 2007; Barbeau et al., 2008; Thomann et al., 2008) mostrando che riduzioni volumetriche nell’intero encefalo o in circoscritte regioni cerebrali quali l’ippocampo, la corteccia entorinale, il giro paraippocampale, il giro temporale medio, il giro del cingolo anteriore e la

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10 corteccia parietale posteriore possono essere associate con una peggior performance cognitiva globale o con specifici deficit nella memoria a lungo termine, visuo-spaziali, delle funzioni esecutive e di calcolo (Di Paola et al., 2007; Thomann et al., 2008; Berlingeri et al., 2008). D’altra parte per MCI ed AD, è di particolare interesse la performance a test di memoria episodica. In un recente lavoro (Schmidt-Wilke e tal., 2009) condotto in 36 soggetti (18 MCI e 18 controlli), attraverso una analisi di regressione è stato dimostrato che i punteggi a test di memoria verbale (richiamo immediato) correlavano con valori della sostanza grigia nella parte anteriore dell’ippocampo sinistro, mentre la performance al richiamo differito correlava con valori di sostanza grigia nella parte posteriore dell’ippocampo sinistro e nel giro fusiforme ed entrambi con la parte posteriore del precuneo; è stato pertanto ipotizzato che le regioni anatomiche associate con la memoria verbale a lungo termine e con la

working memory fossero strutturalmente segregate all’interno dell’ippocampo. In un

altro recente ed elegante lavoro (Serra et al., 2010) il deficit mnesico indagato in pazienti AD ed MCI correlava con l’atrofia in alcune strutture temporali mesiali e con l’atrofia del precuneo.

La degenerazione della sostanza bianca nel declino cognitivo: metodiche di analisi e profilo delle anomalie

Come precedentemente accennato, l’attenta analisi istologica dei cervelli di individui affetti da AD ha rivelato il probabile substrato del deficit mnesico nella degenerazione preferenziale delle cortecce perinale ed entorinale, che impedisce verosimilmente il trasferimento di informazioni dalla neocortex all’ippocampo (Ball, 1978; Braak & Braak, 1991; Gomez-Isla et al., 1996; Hyman et al., 1984, 1986), degradando così la processazione e l’immagazzinamento dell’input sensitivo. Lo strato II della corteccia entorinale mostra infatti profonde alterazioni, che includono la perdita sostanziale di

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11 neuroni anche negli stadi precoci della malattia (Gomez-Isla et al., 1996). La zona di proiezione delle terminazioni di queste fibre nel giro dentato della formazione ippocampale è anch’essa caratterizzata da alterazioni degenerative, che esitano in una disconnessione tra cortecce associative e limbica (Hyman et al., 1984, 1986) implicando quindi che il danno della connettività regionale possa in effetti contribuire al declino cognitivo. Studi istologici hanno dimostrato che anche la sostanza bianca degenera in AD (Brun e Englund, 1986; Englund e Brun, 1990; Englund et al., 1988; Hyman et al., 1986). Brun e Englund (1986) hanno riportato degenerazione, perdita assonale e oligodedriale con gliosi nelle sostanza bianca profonda, indipendente dalle alterazioni della sostanza grigia, nel 60% di pazienti affetti da AD. Gli Autori hanno suggerito che la degenerazione potesse essere potenzialmente legata a fattori di comorbidità come l’ipertensione. Tuttavia, sono state riportate alterazioni della sostanza bianca all’autopsia di individui affetti da AD pura, senza presenza di alterazioni cerebrovascolari (Sjobeck et al., 2006). Inoltre la mielina è ridotta nella via perforante, la principale via di proiezione neocorticale di informazioni dalla corteccia entorinale alle cellule granulari del giro dentato nella formazione ippocampale (Hyman et al., 1986). Questi reperti suggeriscono che almeno alcune delle alterazioni della sostanza bianca non siano dovute a fattori di comorbidità, ma che siano verosimilmente associate con il processo patologico dell’AD che include la patologia corticale temporo-mesiale. Il coinvolgimento patologico della via perforante e la riduzione dell’integrità della mielina di questo fascicolo sottolinea la potenziale influenza della connettività regionale nella propagazione degli eventi neurodegenerativi. Quindi, secondo questi dati il danno della sostanza bianca è suggestivo di degenerazione Walleriana che si verifica secondariamente alla perdita neuronale delle cortecce associative (Brun and Englund, 1986). Le alterazioni della sostanza bianca riscontrate nell’AD potrebbero però essere spiegate anche dal modello della “retrogenesi” (Reisberg et al., 1999), secondo cui la

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12 degenerazione riflette un danno della mielina che si sviluppa seguendo un pattern inverso rispetto a quello della mielogenesi. In accordo con questo modello, i fasci e le vie costituite da fibre di grosso calibro, le prime a mielinizzarsi nello sviluppo, come le fibre motorie primarie, sono le ultime ad essere interessate dal processo neuropatologico dell’AD; al contrario, i fasci e le vie costituite da fibre di piccolo calibro, come le fibre associative neocorticali e allocorticali, sono le prime ad essere colpite dal processo neurodegenerativo (Bartzokis, 2004). Secondo il modello della “retrogenesi”, poiché le vie di associazione cortico-corticale sono quelle costituite da fibre più tardivamente mielinizzate, seguite dalle vie limbiche e dalle commissure (Kinney et al., 1988), esse sono particolarmente vulnerabili alla degenerazione dell’AD. D’altra parte molte di queste fibre tardivamente mielinizzate si connettono alle strutture temporo-mesiali ed è quindi possibile che queste alterazioni della sostanza bianca possano riflettere anche la degenerazione Walleriana secondaria alla perdita neuronale (Coleman, 2005).

Una domanda aperta è se questo principio di degenerazione nelle regioni connesse anatomicamente si estenda al di là dei reperti documentanti nella via perforante. Il panorama di degenerazione dei tratti assonali nell’AD precoce potrebbe perciò includere la sostanza bianca del giro paraippocampale ed il fascio del cingolo posteriore; ci potrebbe essere una estensione della degenerazione della sostanza bianca da queste aree fino ad aree laterali, specialmente, posteriori temporo-parietali; la degenerazione preferenziale di queste cortecce associative posteriori potrebbe portar alla degenerazione di connessioni di sostanza bianca interemisferiche che passano attraverso il corpo calloso caudale; le fibre che connettono il lobo temporale mesiale e il diencefalo attraverso il fornice potrebbero degenerare e ci potrebbe essere un relativo risparmio della sostanza bianca nelle aree prefrontali, nel polo temporale e nelle aree occipitali caudali (Acosta-Cabronero et al., 2009).

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13 Il passo successivo agli studi anatomo-patologici è stata la ricerca di tali alterazioni in

vivo.

Il diffusion tensor imaging (DTI)

La mappatura delle alterazioni dei tratti di sostanza bianca è al momento uno dei maggiori temi di ricerca per capire lo sviluppo, l’invecchiamento e la patologia del sistema nervoso centrale. Il diffusion tensor imaging (DTI) è stato estensivamente applicato per studiare la base regionale della degenerazione tissutale in una varietà di condizioni cliniche, incluso l’invecchiamento fisiologico (Moseley et al., 2002; Pfefferbaum et al., 2000; Sullivan and Pfefferbaum, 2006). Il DTI permette la quantificazione della diffusione tridimensionale dell’acqua dentro i tessuti mediante la definizione di due parametri denominati diffusività media (MD) ed anisotropia frazionale (FA) (Basser, 1995; Basser and Pierpaoli, 1996), dà informazioni riguardo alla forma, alla grandezza e all’orientamento delle strutture cerebrali e permette di stimare anormalità nelle microstrutture del sistema nervoso, in particolare della sostanza bianca dove le guaine mieliniche creano barriere che ostacolano la diffusione protonica perpendicolarmente all’assone, mentre la favoriscono lungo il maggior asse dell’assone stesso. In particolare, la FA descrive il grado di anisotropia di una porzione di tessuto, ovvero la direzione prevalente della diffusione nello spazio delle molecole di acqua: con le mappe di FA è possibile individuare i fasci di sostanza bianca in base alla loro direzione. La MD è una misura media di diffusione che fornisce il grado medio di diffusività dell’acqua nel tessuto nervoso considerato globalmente (sostanza grigia e sostanza bianca) e rappresenta un indice più generale di organizzazione strutturale. Un danno delle fibre si traduce in una riduzione della FA ed un aumento della MD anche in aree encefaliche in cui il segnale dell’encefalo è normale nelle immagini convenzionali.

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14 Più recentemente è stato dimostrato che la diffusività può essere ulteriormente suddivisa in componenti assiali e radiali, con informazioni relative alla alterazione selettiva dell’assone o della mielina (Song et al., 2002; 2003); in particolare vengono misurati il coefficiente di diffusione lungo la direzione di massima apparente diffusione (1 o diffusività assiale) e i due coefficienti di diffusione lungo le due direzioni ortogonali all’interno del piano che passa perpendicolarmente alla principale direzione di diffusione (RD o diffusività radiale che è la media dei due coefficienti).

Tract-based spatial statistics (TBSS)

Il Tract-based spatial statistic (TBSS) è un metodo di recente introduzione (Smith et al., 2006; Smith et al., 2007), automatico e osservatore indipendente, di allineamento delle mappe di FA, MD, 1, RD di gruppi di soggetti, che permette l’analisi voxel-wise di dati di DTI. L’utilizzo del TBSS è molto complesso e richiede delle tappe preliminari al fine di eliminare errori nelle sequenze analizzate. Per prima cosa si acquisiscono delle immagini T2 pesate per valutare la presenza di anormalità, quindi, si procede alla valutazione delle immagini DTI pesate per evidenziare artefatti di movimento che potrebbero inficiare l’applicazione del TBSS su queste stesse immagini. Oggi è possibile processare queste immagini utilizzando la TBSS-tool facente parte del programma FSL sviluppato dall’Oxford Centre for Functional MRI of the Brain (FMRIB).

L’approccio TBSS comprende quattro diversi passaggi che possono essere così riassunti:

1. identificazione di strutture di riferimento comuni (“target”), con allineamento delle immagini di FA di tutti i soggetti a questo target,

2. creazione della media di tutte le immagini allineate di FA e di un immagine di “FA scheletrica media” che rappresenta la soglia,

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15 3. proiezione di ogni singola immagine di FA all’interno dello scheletro,

4. analisi statistica, in modo “voxel-wise”, dei dati di “skeleton-space FA” dei soggetti (Smith et al., 2007).

Profilo delle anomalie DTI in AD e MCI

Rose e coll. hanno dimostrato alterate misure di diffusione nello splenio del corpo calloso, nel fascicolo longitudinale superiore, nel cingolo, e nella capsula interna di pazienti con AD e nella sostanza bianca paraippocamaple, talamica e del cingolo in soggetti con MCI (Rose et al., 2006). Altri studi hanno trovato alterazioni delle misure di diffusione nei pazienti affetti da AD nel fascicolo uncinato e in quello occipitale inferiore (Taoka et al., 2006), nel corpo calloso e nella sostanza bianca dei lobi frontali, parietali e temporali (Bozzali et al., 2002) ed è stato dimostrato che alterazioni nelle misure di diffusione della sostanza bianca lobare posteriore in AD differivano da quelle osservate nell’invecchiamento fisiologico (Head et al., 2004; Medina et al., 2006). I meccanismi delle alterazioni della sostanza bianca nell’AD sono stati indagati attraverso l’analisi contemporanea della diffusività assiale e radiale, ma ancora non è presente una visione univoca su quale possa essere il meccanismo patologico primario, se cioè la compromissione della mielina (Choi et al., 2005) o il danno assonale (Huang et al., 2007). Un lavoro molto recente condotto in 20 pazienti affetti da AD ed in 54 anziani non dementi ha evidenziato alterazioni bilaterali della FA nel precuneo e maggiori alterazioni della diffusività assiale nella sostanza bianca paraippocampale, suggerendo che la patologia in questa regione include una qualche forma di demielinizzazione (Salat et al., 2010). Un altro recente lavoro su 25 pazienti AD e 13 controlli di pari età, focalizzatosi sulle diverse misure di diffusione, ha evidenziato che l’aumento assoluto (assiale, radiale e medio) della diffusività nell’AD era altamente più significativo ed ampiamente più sensibile delle riduzioni della FA (Acosta-Cabronero et al., 2009). In

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16 particolare, le prime tre misure identificavano alterazioni della sostanza bianca confluenti nel giro paraippocampale e nel cingolo posteriore, estendendosi lateralmente nelle adiacenti regioni temporo-parietali così come nello splenio e nel fornice, in accordo con un pattern di degenerazione dei tratti che connettono il circuito di Papez (Acosta-Cabronero et al., 2009).

Studi di correlazione DTI-misure neuropsicologiche

Di nuovo, come già verificato per gli studi VBM sulla sostanza grigia, accanto al più tradizionale confronto tra gruppi, si può effettuare una analisi di regressione al fine di ricercare le possibili correlazioni tra alterazioni della sostanza bianca, evidenziate tramite DTI, e punteggi a test neuropsicologici. Considerando le varie misure di DTI come misure specifiche dell’integrità dei tratti di sostanza bianca, queste possono indirettamente essere misura della connettività strutturale. Per esempio, è stata riportata una robusta associazione tra riduzione dell’intergità del fascio fronto-occipitale inferiore destro ed il deficit età-correlato nella processazione e percezione dei volti (Thomas et al., 2008).

Ad oggi solo un lavoro, peraltro molto recente, è stato condotto utilizzando tale tipo di analisi su pazienti affetti da declino cognitivo: Serra et al. (2010) hanno studiato 9 pazienti AD, 16 pazienti MCI e 13 soggetti di controllo e hanno mostrato la presenza di correlazioni tra performance a prove di memoria a lungo termine e FA nella radiazione talamica anteriore, nel fornice e nel ginocchio del corpo calloso. In questo lavoro, ben condotto dal punto di vista metodologico, emerge comunque la limitazione derivante dalla bassa numerosità del campione e la necessità di ampliare la popolazione includendo soggetti con un ampio range di declino cognitivo.

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17 OBIETTIVI

Ci sono ormai forti evidenze che la neuropatologia dell’AD sia presente molti anni prima che la sintomatologia si manifesti (Braak and Braak, 1997; Bennet et al., 2006) e che il primo sintomo cognitivo, cioè il disturbo di memoria, rappresenti una falla in un meccanismo di compenso e di riserva cerebrale, un punto critico nella evoluzione successiva del danno neuronale prodotto dalla patologia (Smith, 2007). È ormai noto inoltre che le alterazioni neuropatologiche dell’AD coinvolgono sia la sostanza grigia che la bianca, e le anomalie in entrambi i tessuti sono state correlate con misure di declino cognitivo in pochi lavori e con popolazioni di limitata numerosità. Sta diventando quindi sempre più evidente che per raggiungere una visione globale dell’evoluzione dell’AD, gli studi debbano essere basati sui dati neuropsicologici ed anatomici derivanti da un’ampia popolazione di pazienti in diversi stadi di malattia. Su questa base gli scopi del presente studio sono stati:

- indagare, in una estesa popolazione di soggetti affetti da Disturbo Soggettivo di Memoria, Mild Cognitive Impairment e Malattia di Alzheimer lieve, atta a rappresentare così una sorta di continuum del disturbo di memoria, le possibili correlazioni tra deficit mnesico ed atrofia della sostanza grigia misurata attraverso la VBM

- indagare, nella stessa popolazione, l’eventuale presenza di una associazione tra deficit mnesico ed alterazioni microstrutturali della sostanza bianca misurate attraverso la DTI-TBSS

al fine di fornire una visione completa sui differenti meccanismi fisiopatologici (atrofia della sostanza grigia, degenerazione Walleriana, disconnessione cerebrale) e sulle loro possibili associazioni con gli aspetti clinici del declino cognitivo.

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18 SOGGETTI E METODI

Soggetti

Nell’ambito di uno studio longitudinale sulle fasi precliniche della demenza, abbiamo arruolato 86 soggetti che, afferiti alla Clinica Neurologica I del Policlinico di Careggi dal gennaio 2006 al dicembre 2008, lamentavano deficit mnesici, e 15 controlli, selezionati tra coniugi e parenti non consanguinei dei soggetti in studio. Ogni soggetto ha fornito il proprio consenso informato per la partecipazione allo studio. Tutti sono stati sottoposti ad un protocollo standardizzato che include una raccolta dettagliata di dati anamnestici familiari e personali, una visita neurologica, un’estesa valutazione neuropsicologica, la tipizzazione del genotipo APOE e l’esecuzione di RM encefalo con un apparato da 1.5 T. Sono stati esclusi dallo studio quei soggetti affetti da patologia cerebrovascolare, da altre malattie neurologiche o malattie sistemiche in atto, coloro che avevano una storia di pregresso trauma cranico, sintomi psicotici, depressione maggiore, alcolismo o abuso di sostanze stupefacenti. Un follow-up clinico neuropsicologico e strumentale è stato effettuato a distanza di due anni dall’ingresso nello studio (è quindi tuttora in corso).

La valutazione neuropsicologica

Tutti i soggetti in studio, inclusi i controlli, sono stati sottoposti alla versione italiana del Test di Intelligenza Breve (TIB), prova di lettura finalizzata ad ottenere una stima dell’intelligenza pre-morbosa (Sartori et al.,1995, Colombo et al., 2002). Le funzioni cognitive sono state valutate per mezzo di un’estesa batteria, già standardizzata su 146 soggetti normali, che include una scala di depressione (Hamilton Rating Scale for Depression - HRSD), misure globali (Test di Informazione-Memoria-Concentrazione - IMCT - e Mini Mental State Examination – MMSE; Folstein, 1975) così come test

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19 neuropsicologici che esplorano la memoria a breve e lungo termine, verbale e spaziale (Digit span, Test di Corsi, Cinque Parole -Acquisizione, Richiamo a 10’ e 24h-, Parole Accoppiate -Acquisizione, Richiamo a 10’ e 24h-, Breve Racconto -Richiamo

Immediato e dopo 10’-), il linguaggio (Test dei Gettoni e Fluenza Verbale per

Categoria-Set Test), l’orientamento, la lettura, la scrittura ed il calcolo (Clifton-Assessment-Schedule), la performance psicomotoria (Gibson Maze) e le capacità visuo-spaziali (Copia di Disegni) (Bracco et al., 1990). Da cinque test, selezionati dalla batteria, in grado di meglio differenziare vari livelli di deficit cognitivo (Bracco et al., 1990) si ottiene la Canonical Variable (CV1), un punteggio composito, indice del disturbo di memoria; più il punteggio è negativo e migliore è la prestazione ad alcune prove di memoria contenute nella batteria. Ogni soggetto è stato inoltre sottoposto ad un test di memoria visuo-spaziale a lungo termine (Figura Complessa di Rey-Osterrieth- Rey, 1941), ad un test di memoria ecologica (Rivermead Behavioural Memory Test -RMBT- Wilson et al. 1989) e a prove di attenzione e funzioni esecutive (Dual Task - Baddeley et al. 1997), Trail Making A-B Test (Reitan, 1958), Test di Stroop (Stroop, 1935) e Fluenza Verbale per Lettera (Novelli et al., 1986). In particolare, la differenza dei tempi di esecuzione tra parte B e parte A del Trail Making Test è stata impiegata come indice della componente esecutiva della prova (TMT B-A). I punteggi ai test sono corretti per età e scolarità. Il tempo complessivo per la somministrazione della batteria è di circa 90 minuti.

Acquisizione ed analisi delle immagini RM

I pazienti ed i controlli hanno eseguito un esame RM in un unico centro con un apparato da 1.5 T (Philips Intera, Best the Netherland) con gradiente massimo di 33mT/m e bobina a tecnologia SENSE. Per ciascun soggetto è stata acquisita una sequenza 3D turbo gradient echo T1 pesata a voxel isotropico di 1 mm di [tempo di ripetizione (TR) =

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20 8.1 ms; tempo di echo (TE) = 3.7 ms; flip angle = 8°; tempo di inversione = 764 ms; campo di vista (FOV) = 256 mm; matrice 256x256, 160 fette contigue, spessore = 1mm]. Allo scopo di valutare le eventuali alterazioni del segnale della sostanza bianca encefalica sono state inoltre acquisite immagini DP/T2 assiali (TR= 2242 ms; TE = 90/20 ms; FOV = 230 mm; 40 fette contigue; spessore 5 mm) e immagini FLAIR coronali (TR = 11000 ms;TE =140 ms; FOV = 230 mm; 40 fette contigue; spessore 5 mm).

Analisi delle immagini

Valutazione soggettiva. Un operatore con sette anni di esperienza nella diagnostica RM,

cieco ai dati clinici e neuropsicologici ha valutato le immagini FLAIR e DP/T2 di tutti i soggetti per valutare l’estensione di eventuali aree di per intensità del segnale nelle sequenze T2-pesate, la cosiddetta leucoaraiosi (LA). La quantificazione di tali alterazioni di segnale è stata ottenuta utilizzando una scala visiva di valutazione semiquantitativa proposta a tale scopo da Fazekas e coll. (Fazekas et al., 1997). Tale scala ha un range ha un range da 0 a 6 e ha il pregio, per la semplicità di utilizzo, di avere una buona corrispondenza inter-operatore (Mascalchi et al., 2002).

VBM eDTI. In via preliminare le immagini T1 sono state valutate visivamente per

individuare artefatti di movimento, prima di proseguire all’elaborazione dei dati. Le analisi di seguito riportate riguardano quindi soltanto le sequenze prive di artefatti di movimento. L’analisi dei dati è stata eseguita su un PC dotato del software FMRIB Software Library (FSL) 4.0 package (FMRIB Image Analysis Group, Oxford UK) (Smith et al., 2004).

Protocollo VBM. I dati strutturali sono stati analizzati utilizzando FSL-VBM, un'analisi

di tipo voxel-based morphometry (Ashburner and Friston, 2000; Good et al., 2001) inclusa nel software FSL 4.0 (FMRIB Software Library) (Smith et al., 2004). Per prima

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21 cosa è stato estratto l'encefalo da ciascuna immagine T1 escludendo le componenti del cranio non appartenenti al sistema nervoso centrale utilizzando il programma BET (Brain Extraction Tool) (Smith, 2002). Gli encefali così ottenuti sono stati segmentati in sostanza grigia, sostanza bianca e spazi liquorali attraverso FAST (FMRIB's Automated Segmentation Tool) versione 4 (Zhang et al., 2001). I volumi di sostanza grigia così ottenuti sono stati allineati allo spazio standard MNI152 standard utilizzando una registrazione affine effettuata dal programma FLIRT (FMRIB's Linear Image Registration Tool) (Jenkinson et al., 2001, 2002), seguito da una registrazione non-lineare attraverso FNIRT (FMRIB's Non-linear Image Registration Tool)(Andersson et al., 2007a, 2007b), che utilizza una rappresentazione “b-spline” della registrazione “warp field” (Rueckert et al.,1999). Le immagini così ottenute sono “mediate” al fine di creare un template “study-specific”, a cui le immagini originali di sostanza grigia sono ri-registrate in modo non-lineare. Le immagini di volume parziale registrate vengono poi modulate (al fine di correggere le espansioni e le contrazioni locali) dividendo per il Jacobiano del “warp field”. Le immagini modulate e segmentate subiscono poi lo

smoothing attraverso un kernel Gaussiano isotropico con un sigma che può essere

variato dall'operatore.

Protocollo DTI. Attraverso il programma FSL sviluppato dall’Oxford Centre for

Functional MRI of the Brain (FMRIB) sono state create le mappe di Fractional Anisotropy (FA), Mean Diffusivity (MD), 1 o diffusività assiale e diffusività radiale (RD). Le mappe sono poi state inserite in TBSS in modo da ottenere una proiezione di ogni singola immagine FA all’interno di una immagine di “FA scheletrica media”. Lo scheletro è ottenuto con allineamento delle immagini di FA tutti i soggetti all’interno di uno spazio comune definito da una immagine “target” (il template fornito dal FMRIB). I dati FA di ciascun soggetto sono poi proiettati nello scheletro e viene ottenuta una analisi statistica, in modo “voxel-wise”, dei dati di “skeleton-space FA” dei soggetti

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22 (Smith et al., 2007). Le stesse applicazioni e procedure di normalizzazione vengono applicate alle immagini MD, 1, RD.

Analisi statistica

I dati clinico-demografici e neuropsicologici sono stati analizzati utilizzando il programma SPSS (versione13.0). L’ANOVA con la correzione post-hoc di Bonferroni è stata impiegata per i confronti tra gruppi su variabili continue, il test del Chi-quadro su variabili non continue. È stato considerato un valore significativo di p<0.05.

Le analisi di correlazione tra risultato di VBM, FA, MD, 1, RD ed età dei 101 soggetti e poi tra risultati di VBM, FA, MD, 1, RD e punteggio ai test neuropsicologici sono state effettuate con il software Randomise 2.0 incluso in FSL 4.0, utilizzando come strumento statistico un test di inferenza non parametrico basato sulla permutazione, che tiene conto del raggruppamento per cluster (Nichols and Holmes, 2002). Abbiamo usato una soglia di significatività statistica restrittiva (soglia cluster-based t>3, p<0.05, corretta per comparazioni multiple) (Smith et al., 2006).

In modo da ridurre il numero di test statistici (rischio di errore di tipo I) sono stati introdotti nell’analisi di correlazione soltanto i punteggi ad alcuni test neuropsicologici, quali test di memoria a lungo termine sia verbale che visuo-spaziale (CV1, RMBT, Breve Racconto, richiamo della Figura Complessa di Rey-Osterrieth), una prova che esplora le funzioni attentive/esecutive (Trail Making Test), ed un test di comprensione verbale (Test dei Gettoni).

Preliminarmente è stata valutata la correlazione tra dati strutturali RM ed età nell’intero campione di pazienti e controlli. L’età è stata poi inserita come covariata “non di interesse” nell’analisi di correlazione tra il punteggio ai test neuropsicologici e i dati VBM e DTI. Per la descrizione topografica delle aree statisticamente più significative

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23 all’interno dei clusters di sostanza grigia abbiamo usato le coordinate fornite dall’atlante del Montreal Neurological Intitute (MNI). L’identificazione dei tratti anormali di sostanza bianca rivelati dal TBSS si è basata sugli Atlanti della Johns Hopkins University (Wakana et al., 2004), di Schmahmann et al. (2007) e sul libro di testo “Cranial neuroimaging and Clinical neuroanatomy” di Kretschmann e Weinrich (2004).

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24 RISULTATI

Caratteristiche clinico-demografiche della popolazione

In base alla valutazione clinico-neuropsicologica i pazienti sono stati classificati come affetti da Disturbo Soggettivo di Memoria (DSM, n=35, 24 femmine, 11 maschi, età 65±9 anni), Mild Cognitive Impairment amnesico (MCI, n=30, 17 femmine, 13 maschi, età 69±8 anni) e Malattia di Alzheimer in fase iniziale (AD, n= 21, 18 femmine, 3 maschi, età 74±7 anni). Abbiamo formulato la diagnosi di DSM per i soggetti che lamentavano deficit mnesici ma che presentavano punteggi nella norma a tutti i test neuropsicologici effettuati. I pazienti affetti da MCI amnesico sono stati diagnosticati secondo i criteri adottati universalmente (Petersen et al., 2001). I criteri diagnostici utilizzati per l’AD erano quelli dell’ NINCDS-ADRDA (McKhan et al., 1984). In Tab.1 vengono fornite le caratteristiche clinico-demografiche e neuropsicologiche (relativamente ai test inseriti nell’analisi di correlazione con i dati RM) di ciascun gruppo e vengono presentati i confronti tra gruppi. I pazienti affetti da AD risultano avere un’età più avanzata e minor anni di scolarità rispetto ai soggetti con DSM e presentano performance peggiori a tutti i test rispetto a tutti gli altri gruppi. I pazienti con MCI hanno peggiori prestazioni rispetto ai controlli e rispetto ai soggetti con DSM a test che esplorano le funzioni mnesiche. Non si è rilevata alcuna differenza ai test neuropsicologici tra i pazienti con DSM e controlli.

Valutazione RM soggettiva

Il punteggio LA non è significativamente differente tra controlli sani (media 1.01 ± 0.7) e pazienti con disturbo soggettivo di memoria (0.89 ± 0.8), pazienti con MCI (0.97 ± 0.9) e pazienti con AD in fase precoce (1.19 ± 0.9).

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25 VBM

Correlazioni tra volume della sostanza grigia ed età. L’età è risultata correlare

inversamente con il volume della sostanza grigia in molteplici ed estese strutture encefaliche sia sopra che sottotentoriali (Fig. 1 e Tab. 2).

Correlazioni tra volume della sostanza grigia e dati neuropsicologici. Relativamente ai

test che esplorano la memoria a lungo termine si è osservata una correlazione tra punteggio CV1 e volume della sostanza grigia a livello dell’amigdala di sinistra, del precuneo bilateralmente, e dell’ippocampo bilateralmente (Fig. 2), tra il punteggio all’ RMBT e ed il volume dell’ amigdala, dell’ippocampo, del precuneo, del giro del cingolo posteriore, della corteccia laterale dei lobi occipitale e temporale e del giro parietale superiore bilateralmente (Fig. 3), e tra il punteggio al Breve Racconto ed il volume dell’amigdala e dell’ippocampo di destra (Fig. 4).

Si è evidenziata una correlazione tra la performance al Trail Making Test ed il volume dell’amigdala e dell’ippocampo di destra e del giro fusiforme destro. Non abbiamo osservato correlazioni tra punteggi al test di rievocazione della Figura Complessa di Rey-Osterrieth e al Test dei Gettoni ed il volume regionale della sostanza grigia encefalica.

Le coordinate dei volumi delle regioni di sostanza grigia encefalica che correlano con i punteggi dei test neuropsicologici sono riportati in Tab. 3.

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26 TBSS

Correlazioni tra alterazioni della sostanza bianca ed età. L’età è risultata correlare con

tutte le misure di DTI in maniera diffusa a livello della sostanza bianca (Fig. 5).

Correlazioni tra alterazioni della sostanza bianca e dati neuropsicologici.

I valori di FA sono risultati inversamente correlati con il punteggio CV1 nella sostanza

bianca sottocorticale temporo-parietale, nel fascicolo longitudinale inferiore, nel fornice, nel peduncolo temporale, nel fascicolo longitudinale superiore, nel corpo e nello splenio del corpo calloso (Fig. 6) e direttamente correlati con il punteggio al richiamo della Figura di Rey-Osterrieth a livello del tronco e dello splenio del corpo calloso, della corona radiata bilateralmente, della capsula esterna sinistra e del braccio posteriore della capsula interna (Fig.7). È stata evidenziata inoltre una correlazione diretta tra FA e punteggio al test dei Gettoni nel corpo calloso e nella sostanza bianca del precuneo di sinistra e del giro del cingolo.

I valori di RD sono risultati direttamente correlati con il punteggio CV1 nel fascicolo

fronto-occipitale inferiore destro e nel peduncolo del temporale e nella corona radiata superiore bilateralmente ed inversamente correlati con i punteggi al RMBT nel fascicolo fronto-occipitale destro, nella corona radiata superiore e nella porzione posteriore del corpo calloso bilateralmente.

I valori di λ1 sono risultati direttamente correlati con il punteggio al Breve Racconto nel

corpo e nel ginocchio del corpo calloso e nel fascicolo fronto-occipitale sinistro (Fig.

8).

I valori di MD non sono risultati correlare significativamente con alcuna misura

neuropsicologica.

Le coordinate dei cluster di sostanza bianca che correlano con i punteggi ai test neuropsicologici sono riportati in Tab. 4-5-6.

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27 DISCUSSIONE

Le indagini neuropatologiche suggeriscono che i processi neurodegenerativi che si verificano nell’AD sono localizzati inizialmente nella corteccia entorinale, parte del lobo temporale mediale, e poi si estendono al corno di Ammone e alle altre regioni neocorticali (Braak and Braak, 1991; Gomez-Isla et al., 1996). Questa successione di eventi fisiopatologici riflette il progressivo accumularsi di deficit cognitivi. In questa prospettiva, i pazienti con MCI amnesico rappresentano il più precoce stadio - la comparsa del deficit mnesico - della patologia dell’AD individuabile attraverso strumenti clinici.

Ad oggi, molti lavori di neuroimaging hanno indagato le alterazioni strutturali cerebrali in pazienti affetti da AD e MCI (Bozzali et al., 2006; Chètelat et al., 2005; Killiany et al., 2002; Karas et al., 2008), basandosi sull’idea generale che un progressivo accumulo di beta-amiloide e di grovigli neurofibrillari nel tessuto cerebrale si traduca effettivamente in una atrofia cerebrale diffusa e recenti sudi di follow-up, che hanno utilizzato la VBM, hanno mostrato in pazienti con MCI amnesico una stretta associazione tra l’estensione dell’atrofia regionale della sostanza grigia e il rischio di conversione ad AD in breve tempo (Bozzali et al., 2006; Chètelat et al., 2005; Chètelat et al., 2008).

Alterazioni regionali della sostanza bianca sono state documentate sia in pazienti AD che in pazienti affetti da MCI, dove studi DTI-RM hanno riportato specifici patterns di anomalie regionali della sostanza bianca, che in alcuni casi erano correlate a misure di declino cognitivo (Rose et al., 2000; Bozzali et al., 2001). Damoiseaux e coll., utilizzando TBSS per indagare le alterazioni della sostanza bianca nell’invecchiamento e in presenza di AD, hanno riportato una riduzione della FA nel lobo temporale nei pazienti AD rispetto a soggetti sani appaiati per età (Damoiseaux et al., 2008).

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28 I nostri dati, che si inseriscono pertanto all’interno di un contesto di ricerca in cui si sente la necessità ottenere un quadro completo dell’evoluzione ad AD, che si basi sia sulle informazioni neuropsicologiche che su quelle strutturali, confermano il ruolo delle aree temporo-parietali mesiali nei processi mnesici e contribuiscono ad arricchire la conoscenza delle relazioni tra il deficit di memoria episodica, la riduzione regionale di sostanza grigia cerebrale e le alterazioni microsrutturali della sostanza bianca in una ampio campione di soggetti affetti da diversi gradi di deficit cognitivo.

Correlazioni tra volume della sostanza grigia e performance neuropsicologica

Ad oggi, solo pochi studi hanno utilizzato la VBM per studiare i rapporti tra atrofia e deficit neuropsicologico in pazienti con AD e MCI ed hanno dimostrato che riduzioni volumetriche nell’intero encefalo o in circoscritte regioni cerebrali quali l’ippocampo, la corteccia entorinale, il giro paraippocampale, il giro temporale medio, il giro del cingolo anteriore e la corteccia parietale posteriore, possono essere associate ad una peggior performance cognitiva globale o a deficit specifici nella memoria a lungo termine, visuo-spaziali, delle funzioni esecutive e di calcolo (Berlingeri et al., 2008; Di Paola et al., 2007; Serra et al., 2010; Chetelat et al., 2003; Hamalainen et al., 2007; Barbeau et al., 2008; Thomann et al., 2008; Schmidt-Wilke et al., 2009).

Il nostro lavoro conferma il dato di correlazione fra il punteggio a test di memoria a lungo termine e l’area temporale mesiale, interessata bilateralmente per quanto riguarda il punteggio CV1 e RMBT e limitata all’ippocampo destro per il Breve Racconto. Questi dati sono in accordo con la letteratura che mostra correlazioni tra scarse abilità mnesiche a lungo termine, sia in fase di acquisizione che di richiamo, e l’atrofia nell’ippocampo e nelle altre aree dei lobi temporali nei pazienti affetti da MCI ed AD (Di Paola et al., 2007; Fjell et al., 2008).

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29 L’associazione, riscontrata nel nostro lavoro, tra il deficit di memoria episodica (CV1)e l’atrofia nel precuneo bilateralmente appare in linea con la letteratura recente che indica un precoce interessamento di questa regione nella AD (Raji et al., 2009) ed un suo coinvolgimento nei processi mnesici. Il precuneo infatti, area ampiamente connessa attraverso fasci cortico-corticali con le adiacenti cortecce del cingolo posteriore e retrospleniali, è implicata nelle funzioni cognitive di “alto livello” tra cui la memoria episodica ed autobiografica (Cavanna and Trimble, 2006; Eustache et al., 2004). L’associazione tra atrofia del precuneo e deficit mnesico è inoltre stata riscontrata in un recente lavoro condotto con una metodica similare a quella utilizzata nel presente studio (Serra et al.; 2010).

Analogamente, la correlazione evidenziata tra punteggi a test di memoria episodica e comportamentale e il volume regionale a livello del cingolo posteriore si allinea con quanto presente in letteratura. L’ipometabolismo del giro del cingolo posteriore è infatti la più grave lesione metabolica della AD in fase precoce (Minoshima et al., 1997; Nestor et al., 2003) e, sebbene l’ipometabolismo del cingolo posteriore sia stato interpretato come una conseguenza remota della degenerazione della corteccia temporo-mesiale, recenti studi volumetrici di RM hanno evidenziato che anche quest’area è atrofica nella AD in fase iniziale (Choo et al., 2008; Pengas et al. 2010). La relazione tra cingolo posteriore e sistema colinergico, così come le sue connessioni con l’ippocampo e la regione paraippocampale è stata messa in causa nell’MCI e le anomalie del cingolo posteriore sono state correlate, attraverso lavori di RM funzionale, con la performance a test di richiamo differito, espressione della memoria episodica (Gündel et al., 2003). La corteccia parietale, in particolare il giro parietale superiore bilaterale, è emersa nelle correlazioni tra volume regionale e punteggi al RMBT. Questo dato non è affatto sorprendente, in considerazione del notevole incremento di letteratura di imaging funzionale sul contributo delle cortecce parietali, incluso il lobulo parietale superiore,

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30 nel richiamo di memorie episodiche (Cabeza et al., 2008) ed in particolare nella distinzione tra gli aspetti di familiarità/novità (Wagner et al., 2005), item facente parte dell’RMBT. Quindi, nel complesso, i nostri dati confermano il ruolo delle strutture parietali (soprattutto mesiali posteriori, quali il cingolo posteriore ed il precuneo) nel deficit di memoria episodica in associazione ed interscambio con le strutture amigdalo-ippocampo-entorinali.

Il punteggio al Trail Making Test, prova che esplora l’attenzione e le funzioni esecutive, è inaspettatamente risultato correlare con il volume dell’ippocampo di destra. D’altra parte l’alto carico visuo-spaziale della prova potrebbe rendere ragione del pattern di lateralizzazione osservato; infatti il test indaga contemporaneamente sia la capacità di esplorazione spaziale attraverso l’esecuzione di un compito visuo-motorio, che la capacità di seguire mentalmente due sequenze alternate, con una manipolazione dell’informazione che implica continuamente di focalizzare e spostare l’attenzione nello spazio (Perry e Hodges, 1999). Pur non avendo riscontrato, come ci saremmo attesi per questo test, alcuna correlazione con le aree frontali, non è inaspettato il piccolo, ma significativo, cluster di correlazione a livello del giro fusiforme di destra, area associativa ad alta integrazione deputata al mappaggio della localizzazione spaziale di eventi sensitivi salienti e alla messa in atto di strategie motorie (Kim et al., 1999; Nobre et al., 1997).

In linea con quanto atteso è invece la mancata correlazione tra atrofia della sostanza grigia e il deficit delle funzioni linguistiche (Test dei Gettoni), deficit generalmente più marcato nei quadri di AD conclamati. Non è stata evidenziata inoltre alcuna correlazione tra volume regionale della sostanza grigia ed un test che esplora la memoria a lungo termine (richiamo differito della Figura Complessa di Rey-Osterrieth). Si può ipotizzare che l’analisi VBM sia meno efficace nell’individuare il substrato morfologico del deficit di esecuzione di un test sotteso ad un network neuronale molto

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31 ampio, quale il richiamo differito di materiale visivo complesso, che prevede l’utilizzo di molte funzioni cognitive tra le quali la capacità di organizzazione del ricordo, squisitamente frontale, e di pianificazione visuo-spaziale (Di Paola et al., 2007).

In generale quindi possiamo affermare che i nostri dati confermano l’indubbio ruolo del giro del cingolo posteriore e del precuneo nei processi mnesici e si allineano con i risultati derivanti da studi con approcci metodologici diversi quali quelli esclusivamente clinico-neuropsicologici e di neuroimaging sia strutturale che funzionale.

Correlazioni tra alterazioni della sostanza bianca e performance neuropsicologica Ad oggi è noto che le alterazioni patologiche dell’AD coinvolgono sia la sostanza grigia che quella bianca e le anomalie della connettività cerebrale sono considerate un tratto preminente dell’AD e dell’MCI (Delbueck et al., 2003; Rossini et al., 2007; Bracco et al., 2009). Il danno della sostanza bianca è suggestivo di degenerazione Walleriana che si verifica secondariamente alla perdita neuronale delle cortecce associative, in accordo con lavori neuropatologici post-mortem su AD che dimostrano perdita di mielina, di assoni e di oligodendrociti (Brun et al., 1986). In alternativa, le alterazioni della sostanza bianca riscontrate nell’AD potrebbero essere spiegate dal modello della “retrogenesi” (Reisberg et al., 1999), secondo cui la degenerazione riflette un danno della mielina che si sviluppa seguendo un pattern inverso rispetto a quello della mielogenesi, con una maggior vulnerabilità delle vie di associazione cortico-corticale, delle vie limbiche e delle commissure, costituite da fibre più tardivamente mielinizzate (Kinney et al., 1988; Stricker et al., 2009).

Gli studi DTI condotti in AD ed in MCI tipicamente mettono a confronto gruppi di pazienti con gruppi di controllo sani, appaiati per età, escludendo soggetti con danno vascolare significativo o fattori di rischio vascolare in modo da ridurre il contributo dei processi vascolari alla patologia della sostanza bianca. Tali lavori hanno mostrato

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