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Diabete mellito in età pediatrica: un modello di transizione dalle cure pediatriche a quelle del diabetologo dell' adulto. Analisi della casistica della Diabetologia pediatrica dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

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(1)

1

S

OMMARIO

RIASSUNTO ... 3

MALATTIE CRONICHE IN ETÀ EVOLUTIVA E PROCESSO DI TRANSIZIONE DALLE CURE PEDIATRICHE A QUELLE DEL MEDICO DELL’ADULTO ... 5

Definizione ed epidemiologia ... 5

Complessità della gestione clinica di un bambino con malattia cronica ... 7

Gestione del dolore ... 8

Gestione dei problemi psicologici e comportamentali ... 8

Impatto sulle famiglie ... 9

Continuità delle cure ... 9

LA TRANSIZIONE DELLE CURE DAL CENTRO PEDIATRICO A QUELLO DELL’ADULTO PER GLI ADOLESCENTI CON MALATTIA CRONICA ... 10

Definizione di transizione delle cure. Entità del fenomeno ... 10

Indicazioni condivise per la transizione delle cure ... 12

Misure d’intervento per migliorare la transizione delle cure ... 12

Interventi sullo staff sanitario ... 12

Interventi sull’erogazione dell’assistenza sanitaria ... 14

Interventi rivolti all’adolescente ... 15

LA TRANSIZIONE NEL DIABETE MELLITO ... 18

Ostacoli presenti al momento del passaggio per gli adolescenti con DMT1A ... 18

Ostacoli emozionali nell’équipe medica ... 19

Ostacoli emozionali nei pazienti e nei loro familiari ... 20

Importanza della transizione e suo razionale ... 20

Problemi legati alla transizione delle cure ... 22

Abbandono del follow-up ... 22

Riduzione della frequenza delle visite di controllo ... 23

Peggioramento del controllo glicemico ... 23

Aspettative dell’adolescente riguardo al processo di transizione ... 24

Misure d’intervento per migliorare il processo di transizione delle cure nel DMT1A .... 24

Misure relative al paziente ... 24

(2)

2

Misure relative ai servizi ... 28

L’esperienza italiana nel processo di transizione ... 28

Modalità della transizione delle cure nel diabete mellito e linee guida ... 29

Procedura aziendale dell’Azienda Ospedaliera Pisana (AOUP) sulla transizione delle cure nel diabete mellito ... 31

SCOPO DELLO STUDIO ... 32

METODI ... 33

Disegno dello studio ... 33

Campione dello studio... 33

Impatto della transizione ... 34

Analisi statistica ... 36

RISULTATI ... 37

Valutazione del gradimento riguardo alle modalità della transizione ... 41

DISCUSSIONE ... 42

CONCLUSIONI ... 46

(3)

3

RIASSUNTO

Il diabete mellito di tipo 1A (DMT1A) rappresenta la seconda malattia cronica più comune nei bambini in età scolare e la sua incidenza sta globalmente aumentando, soprattutto nei più giovani.

Nel 2020 la prevalenza del DMT1A in Europa aumenterà del 70% nei soggetti con età <15 anni e, come risultato di tale aumento, un crescente numero di adolescenti con DMT1A eseguirà il processo di transizione dal Centro di Cura Pediatrico a quello dell’Adulto.

Durante la transizione, gli adolescenti possono incontrare difficoltà nell’adattarsi ad alcuni aspetti del Centro Diabetologico dell’Adulto, che riguardano modalità diverse nell’approccio, nella gestione del diabete mellito, nelle tematiche culturali. Tutto questo può condurre a un peggioramento del controllo metabolico e all’abbandono del Centro per Adulti, con richiesta di essere reinseriti in quello Pediatrico.

Il presente lavoro di tesi ha valutato l’impatto sul controllo metabolico (valore di HbA1c) e su altre variabili (numero di visite specialistiche, frequenza di complicanze acute e croniche del diabete) del programma strutturato di transizione per le cure del DMT1A, introdotto nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP) nel 2008.

È stato svolto uno studio retrospettivo su un campione di pazienti che ha effettuato il passaggio dalla Diabetologia Pediatrica, U.O. Pediatria Universitaria al Centro di Diabetologia dell’Adulto, U.O. Malattie Metaboliche e Diabetologia nel periodo compreso dal 2008 al 2015.

Il campione preso in esame è composto da 71 pazienti, 45 maschi e 26 femmine, con un’età media al momento del passaggio di 20.5 anni ± 2.2 DS. La durata media del diabete al momento del passaggio era di 11.1 anni ± 4.7 DS.

È stato studiato l’andamento del controllo metabolico, inteso come valore di emoglobina glicata (HbA1c), tra l’ultimo prelievo effettuato nell’ambulatorio pediatrico e il prelievo effettuato due anni dopo la transizione nel Centro dell’Adulto. È stato inoltre confrontato il numero di visite ambulatoriali effettuate prima e dopo la transizione, oltre alla frequenza di complicanze acute e croniche osservata nel periodo compreso tra gli ultimi due anni di cure presso la Diabetologia Pediatrica e i primi due anni nel Centro dell’Adulto.

(4)

4 Non è stata registrata alcuna variazione statisticamente significativa di tali variabili, ad eccezione del numero di retinopatie diabetiche, aumentato significativamente nel periodo post-transizione. Non vi è stata alcuna richiesta di ritornare in “ambito pediatrico”.

Questi risultati, nel loro complesso, testimoniano l’efficienza dell’attuale procedura di transizione ed evidenziano l’alto livello di collaborazione tra le diverse Unità Operative coinvolte nel processo.

È stata inoltre indagata la presenza di potenziali fattori con valore predittivo per il peggioramento degli esiti di salute durante la transizione ed è emerso che, valori elevati di HbA1c e una maggiore durata del diabete al momento del passaggio si associano a un peggior controllo metabolico a due anni dalla transizione.

Infine è stato valutato il gradimento da parte dei pazienti riguardo all’avvenuta transizione, tramite la somministrazione del questionario messo a punto dall’Associazione dei Medici Diabetologi (AMD).

È stata espressa una generale soddisfazione per le modalità del passaggio, per l’esaustività delle informazioni ricevute dai team della Diabetologia Pediatrica e di quella dell’Adulto e per il rapporto instaurato con il personale sanitario del nuovo Centro di riferimento.

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5

MALATTIE

CRONICHE

IN

ETÀ

EVOLUTIVA

E

PROCESSO

DI

TRANSIZIONE

DALLE

CURE

PEDIATRICHE

A

QUELLE

DEL

MEDICO

DELL’ADULTO

D

EFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA

La patologia cronica, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, possiede una o più delle seguenti caratteristiche:

 è permanente;

 tende a sviluppare un tasso di disabilità variabile;  è causata da un’alterazione patologica non reversibile;

 richiede una formazione speciale per il raggiungimento di una buona qualità della vita;

 ha bisogno di un lungo periodo di controllo, osservazione e cura.

Le malattie croniche dell’infanzia sono condizioni complesse ed estremamente dinamiche. Rispetto alle malattie croniche dell’adulto, quelle infantili sono decisamente meno comuni e con una grandissima eterogeneità clinica.

I Pediatri che si occupano di bambini con malattia cronica devono acquisire competenze sia nella prevenzione delle gravi patologie acute conseguenti al quadro cronico, sia nel migliorare l’aspettativa e la qualità di vita di bambini che, fino a pochi decenni fa, sarebbero deceduti nei primi anni di vita.

Questi fattori hanno reso l’epidemiologia delle malattie croniche dell’infanzia estremamente più dinamica rispetto a quella delle malattie dell’adulto.

Dati di sorveglianza nazionale americana mostrano come addirittura il 30% fra tutti i bambini abbia una qualche forma di malattia cronica[1]. I dati ISTAT riferiscono che in Italia l’8.7% dei bambini di età compresa tra gli 0 e i 14 anni è affetto da almeno una malattia cronica; tale percentuale sale al 13.5% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 17 anni.

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6 Addirittura il 15-20% dei bambini è affetto da malattie croniche organiche, dell’apprendimento o dello sviluppo[1], con una prevalenza maggiore nei maschi rispetto alle femmine.

La più comune malattia cronica dell’infanzia è l’asma, con un 12% di bambini affetti; la metà di questi bambini manifesta i sintomi asmatici già nei primi dodici mesi di vita. Le malattie mentali e i disturbi del comportamento rappresentano un gruppo di patologie croniche ampio ed in continua crescita[2]. È stato stimato che quasi il 21% dei bambini americani tra i 9 e i 17 anni di età abbia un disturbo psichiatrico o del comportamento associato con una compromissione funzionale; tale compromissione è grave nell’11% dei casi[3]. Altre stime indicano che circa il 5% della popolazione pediatrica sia affetto da depressione maggiore e che circa il 6% abbia la sindrome da iperattività e deficit di attenzione. Il sovrappeso non è comunemente definito come una malattia cronica; tuttavia, nel 2008 il 12% dei bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni, il 17% di quelli dai 6 agli 11 anni e il 18% di quelli con più di 12 anni hanno un indice di massa corporea superiore al novantacinquesimo percentile[4].

La gravità e l’impatto sulla qualità della vita delle malattie croniche possono variare in maniera notevole. Circa il 9% dei bambini presenta delle limitazioni nelle proprie attività come diretta conseguenza di una o più patologie croniche. Tra di essi, il 40% ha patologie dello sviluppo o dell’apprendimento, il 35% ha malattie organiche croniche e il 25% invece disturbi psichiatrici cronici[3].

La prevalenza delle malattie croniche dell’infanzia mostra un chiaro aumento nelle ultime tre decadi. Nel 2009 risultava che il 9% dei bambini fosse affetto da una patologia cronica invalidante; nel 1960 questa percentuale non raggiungeva il 2%[5].

Questa variazione di prevalenza è certamente influenzata dai miglioramenti dei metodi di sorveglianza, degli strumenti di diagnosi, dall’aumentata sensibilizzazione generale nei confronti delle patologie del comportamento e dello sviluppo; tuttavia è altrettanto chiaro che la prevalenza di alcune malattie croniche è in aumento.

Ad esempio, la frequenza dell’asma è salita da <4% nel 1980 al 9.5% nel 2011, con una prevalenza ancora maggiore nei bambini dei paesi in via di sviluppo. È aumentata sensibilmente anche la prevalenza della sindrome da iperattività e deficit di attenzione, così come quella dei disturbi dello spettro autistico[3].

(7)

7 I miglioramenti della sopravvivenza dei neonati prematuri, con anomalie congenite e malattie genetiche, hanno contribuito ad aumentare la prevalenza dei giovani con malattia cronica, ma solo in una modesta percentuale.

Le malattie croniche richiedono notevoli investimenti nell’ambito della spesa sanitaria; inoltre sono responsabili di gravi manifestazioni acute, di ospedalizzazioni e rappresentano un’importante causa di mortalità infantile, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti.

In uno studio eseguito su 37 ospedali pediatrici americani è stato riscontrato che i bambini con patologia cronica abbiano determinato il 19% delle ammissioni in ospedale e il 23% del totale delle spese di ricovero[5].

I bambini con malattia cronica sono ospedalizzati quattro volte più spesso e richiedono ricoveri di durata maggiore rispetto ai bambini non affetti da patologie croniche. Le stime suggeriscono che le malattie croniche siano responsabili della maggior parte delle ospedalizzazioni pediatriche per cause non traumatiche, un dato che è più che raddoppiato nelle ultime quattro decadi.

È aumentato significativamente anche il numero delle ospedalizzazioni annue da parte dei bambini con patologie croniche, specialmente per quelli con patologie neoplastiche o neurologiche. Oggi la maggior parte delle morti pediatriche non correlate al trauma è determinata proprio dalle malattie croniche.

Questo cambiamento storico nella distribuzione delle ospedalizzazioni e della mortalità in età pediatrica riflette non solo l’aumento della prevalenza delle patologie croniche dell’infanzia, ma anche una notevole diminuzione dell’incidenza e della mortalità legata a malattie acute[6].

C

OMPLESSITÀ DELLA GESTIONE CLINICA DI UN BAMBINO CON MALATTIA CRONICA

I bambini con patologia cronica richiedono solitamente una gestione clinica intensa, sia in comunità che in ambiente ospedaliero. È necessaria una stretta comunicazione tra il medico e il paziente, così come frequenti visite ambulatoriali, in modo da attuare una stretta sorveglianza sulla progressione della malattia, dei sintomi e dei possibili effetti avversi delle terapie. Può risultare estremamente complesso gestire le ammissioni in ospedale e pianificare i ricoveri per questi giovani pazienti; inoltre l’assistenza a loro

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8 riservata è un processo che deve coinvolgere necessariamente diverse figure mediche e risorse di comunità.

G

ESTIONE DEL DOLORE

I bambini con patologie croniche gravi possono soffrire di dolore cronico (artrite reumatoide, paralisi cerebrale), di dolore ricorrente durante le esacerbazioni di malattia (malattie infiammatorie croniche intestinali, anemia falciforme) oppure di dolore acuto, determinato da procedure mediche e chirurgiche. Il dolore può alterare il comportamento dei bambini e influenzare il loro sviluppo scolastico e sociale; inoltre diminuisce la qualità della vita non solo del paziente, ma di tutta la sua famiglia. Gestire il dolore in bambini molto piccoli o in quelli con alterazioni dello sviluppo è una sfida complessa, nella quale si dovrebbe sempre considerare i fattori socioculturali e psicologici, così come il grado di sviluppo del bambino. Siccome il dolore cronico nel bambino è un’evenienza rara, la sua gestione dovrebbe coinvolgere uno specialista dedicato. Il tributo emozionale versato dai genitori di un bambino affetto da dolore cronico è estremamente alto e richiede anch’esso una particolare attenzione da parte del personale medico.

G

ESTIONE DEI PROBLEMI PSICOLOGICI E COMPORTAMENTALI

La patologia cronica aumenta le probabilità che un bambino sviluppi problemi relativi alla sfera psicologica e del comportamento; tuttavia l’incidenza di disturbi del comportamento nei bambini con patologia cronica non si discosta significativamente da quella dei propri coetanei sani.

I disturbi del comportamento tendono generalmente a manifestarsi subito dopo l’accertamento della diagnosi della patologia cronica, mentre la loro insorgenza non sembra associata alla gravità del quadro clinico[7]. Essi possono esordire nel contesto di qualsiasi patologia cronica, ma sono particolarmente frequenti e gravi nei pazienti con malattie del sistema nervoso centrale (paralisi cerebrali, traumi cranici, complicanze relative alle terapie verso patologie intracraniche)[8].

I bambini con i livelli più alti di abilità cognitive risultano meno a rischio di sviluppare gravi alterazioni del comportamento e/o della psiche. I conflitti familiari e le malattie

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9 mentali nel nucleo familiare (soprattutto la depressione maggiore nella madre) sono associate ad un aumentato rischio nell’insorgenza di tali disturbi.

I

MPATTO SULLE FAMIGLIE

La presenza di un figlio determina sempre un insieme complesso di sfide per una famiglia, a maggior ragione se affetto da una patologia cronica, un notevole onere aggiuntivo che coinvolge molteplici aspetti della vita quotidiana. La famiglia deve far fronte ogni giorno alle cure quotidiane e agli speciali bisogni di assistenza del proprio figlio, particolarmente gravosi quando il bambino, a causa dell’età o della gravità della sua condizione clinica, non è in grado di eseguire le normali mansioni quotidiane, quali lavarsi, vestirsi, usare i servizi igienici e nutrirsi.

In secondo luogo, l’assistenza richiesta da un bambino con malattia cronica potrebbe distogliere le attenzioni dagli altri fratelli e dalle normali dinamiche familiari.

Una delle maggiori difficoltà connesse alla malattia cronica è l’impossibilità, quasi sempre presente, di predirne l’evoluzione clinica e stabilire a quale grado di disabilità condurrà il giovane paziente. I medici dovrebbero essere in grado di capire quanto sia difficile per una famiglia vivere con un bambino le cui condizioni di salute potrebbero peggiorare repentinamente e senza una causa apparente. Se le condizioni cliniche del bambino peggiorano in maniera irreversibile, al punto che qualsiasi intervento medico si rivelasse inutile, il settore delle cure palliative pediatriche potrebbe fornire l’assistenza sanitaria più adeguata e contribuire a lenire il dolore della famiglia.

C

ONTINUITÀ DELLE CURE

I bambini con malattia cronica sono particolarmente dipendenti da una relazione stabile e duratura con i medici e con i sistemi di assistenza sanitaria[9]. La durata e la complessità della malattia cronica richiede che il medico responsabile delle cure del bambino abbia un’ottima conoscenza della storia clinica del paziente, che includa anche le modalità di presentazione delle esacerbazioni di malattia e le risposte ai farmaci somministrati nel tempo. La continuità delle cure mediche serve da fondamenta per la costruzione di un rapporto di fiducia e di una comunicazione efficace tra le famiglie e i medici.

(10)

10 I medici inoltre dovrebbero prevenire l’isolamento delle famiglie dei malati, favorendo la loro relazione con le famiglie di altri bambini con malattie simili.

LA

TRANSIZIONE

DELLE

CURE

DAL

CENTRO

PEDIATRICO

A

QUELLO

DELL’ADULTO

PER

GLI

ADOLESCENTI

CON

MALATTIA

CRONICA

D

EFINIZIONE DI TRANSIZIONE DELLE CURE

.

E

NTITÀ DEL FENOMENO

Blum ha definito la transizione come quel processo propositivo e pianificato che affronta le esigenze mediche, psicosociali, educative e professionali di adolescenti e giovani adulti dal momento in cui lasciano il Centro di Cure Pediatrico per affidarsi al Centro per Adulti[10]. La transizione delle cure da parte di giovani con malattia cronica è un fenomeno in crescita. Solo negli Stati Uniti circa dieci milioni di giovani tra gli 0 e i 17 anni hanno speciali bisogni di assistenza sanitaria.

La proporzione di soggetti con bisogni speciali aumenta con l’età: circa il 9% dei bambini sotto i sei anni ha bisogno di assistenza sanitaria, ma questa percentuale raggiunge circa il 17% fra coloro di età compresa tra i 12 e i 17 anni.

Oggi circa il 90% dei bambini con malattia cronica sopravvive fino all’età adulta e, solo negli USA, 500.000 giovani con speciali bisogni di salute (GSBS) ogni anno compiono diciotto anni[3]. Questo grande numero di GSBS è il risultato dei progressi compiuti nelle ultime 3 decadi nelle terapie, nella farmacologia, nelle tecniche chirurgiche e nella tecnologia medica[11].

La transizione alle cure dell’adulto è spesso disorganizzata, a causa di barriere che includono sfide emozionali e di sviluppo cognitivo e le difficoltà nella comunicazione e nella coordinazione tra i Centri di Cura Pediatrici e quelli dell’Adulto[12].

Il processo di passaggio è senza dubbio influenzato da una precoce educazione del paziente, delle famiglie e del personale sanitario. Dovrebbero quindi essere sviluppate e promosse politiche di assistenza sanitaria che supportino gli unici bisogni di salute di questa popolazione.

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11 Gli obiettivi dell’assistenza sanitaria durante la transizione sono quelli di preparare adeguatamente il giovane e i suoi familiari al trasferimento, facendo migliorare le loro abilità individuali di autogestione e sviluppando dei programmi di assistenza.

Un altro obiettivo fondamentale è preparare il personale medico a fornire un’assistenza sanitaria adeguata e continuativa al GSBS.

Alcuni dati, derivanti dalla Sorveglianza Nazionale condotta nel 2001 negli Stati Uniti, mostrano come meno del 50% dei genitori dei bambini con malattia cronica abbia discusso con il medico del figlio riguardo alla transizione delle cure e che meno del 30% abbia ricevuto un programma strutturato della transizione.

La Sorveglianza Nazionale della Transizione e della Salute del 2007 ha riscontrato che solo la metà dei soggetti tra i 19 e i 23 anni ha ricevuto informazioni dettagliate riguardo alla transizione. I pazienti che si sono dichiarati maggiormente preparati al passaggio sono gli stessi che hanno riferito di aver instaurato un miglior rapporto di comunicazione con il proprio medico[14, 15], riscontro che evidenzia ulteriormente l’importanza del rapporto medico-paziente per la gestione di un periodo delicato come quello della transizione delle cure.

Questi dati suggeriscono che molti giovani, indipendentemente dalla gravità della propria malattia, non hanno ricevuto una guida anticipatoria al processo di transizione.

I giovani quindi, senza aver compreso l’importanza del futuro follow-up o senza possedere le abilità e le conoscenze necessarie per partecipare al Centro di cura per adulti, vivono la transizione come un evento traumatico, con conseguenze rilevanti sia dal punto di vista psicologico che della gestione della propria patologia cronica.

La ricerca sulla transizione è stata condotta in popolazioni selezionate di pazienti, incluse quelle con fibrosi cistica[16],cardiopatie congenite[17], diabete[18], HIV[19], malattie infiammatorie croniche intestinali, malattie mentali, reumatologiche e neuromuscolari.

(12)

12

I

NDICAZIONI CONDIVISE PER LA TRANSIZIONE DELLE CURE

Il processo di transizione è estremamente complesso in quanto non coinvolge solamente gli aspetti clinici e terapeutici, ma anche quelli psicologici ed emotivi del paziente. Questi dovrebbe essere supportato quindi da professionisti che possiedano competenze non solo cliniche, ma anche psicosociali ed educative. L’intero processo deve essere flessibile e pronto a rispondere ai cambiamenti delle necessità dell’adolescente, oltre che ai i bisogni dei suoi familiari.

La transizione delle cure è un processo multifasico che dovrebbe iniziare già dalla prima adolescenza e dovrebbe comprendere:

a) una fase preparatoria durante il periodo delle Cure Pediatriche; b) il trasferimento al Centro dell’Adulto;

c) una fase di sostegno a seguito del passaggio.

Sebbene alcune linee guida indichino una particolare età in cui debba avvenire il trasferimento, è sempre più evidente come la preparazione al cambiamento (in termini di competenze sia pratiche che psicologiche), indipendentemente dall’età, sia il miglior indicatore per il momento del passaggio.

Ci sono invece poche evidenze riguardo a quale sia l’età in cui si possa considerare completato il processo di transizione. Uno studio che si è occupato dello sviluppo cerebrale nei pazienti con patologia cronica ha ipotizzato che l’età successiva ai 25 anni sia la più idonea per considerare il paziente totalmente inserito nel Servizio di Cura dell’Adulto[20].

M

ISURE D

INTERVENTO PER MIGLIORARE LA TRANSIZIONE DELLE CURE INTERVENTI SULLO STAFF SANITARIO

Una salda relazione terapeutica tra il paziente e il suo medico di riferimento e la presenza continuativa durante la transizione di poche figure professionali, con cui l’adolescente abbia però instaurato un rapporto di fiducia, sono elementi assolutamente imprescindibili per conseguire una transizione delle cure graduale ed efficace[22-24].

Gli adolescenti desiderano che il proprio medico specialista possieda un insieme ben preciso di qualità, che comprendono la confidenzialità, la competenza, l’onestà e

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13 soprattutto un approccio che non si limiti alla gestione della sola patologia cronica, ma che prenda in considerazione il paziente nella sua globalità (approccio olistico)[23].

Una buona relazione medico - paziente conduce allo sviluppo di fiducia reciproca e si deve fondare su un atteggiamento paternalistico, comprensivo e non giudicante da parte del medico. La continuità del personale sanitario che gestisce le cure dei pazienti è ritenuta fondamentale da parte dei giovani con diabete[24] e con artrite, così come dai loro familiari[25]. Il dato riguardante le ospedalizzazioni dei pazienti con DMT1A supporta questo rilievo: nei Centri in cui è promossa attivamente la continuità dei professionisti sanitari infatti, i tassi di ospedalizzazione per complicanze acute del diabete sono significativamente inferiori[26].

Per garantire la continuità nella gestione delle cure è indispensabile la collaborazione tra i Pediatri e gli Internisti, ad esempio tramite l’instaurazione di Cliniche Congiunte, o la nomina di un professionista che abbia il ruolo di intermediario tra i Servizi (ad esempio un infermiere specializzato o un coordinatore della transizione).

Cliniche Congiunte o dell’adolescente

Si tratta di servizi di recente istituzione, orientati sulla centralità del paziente, all’interno dei quali gli adolescenti sono visitati sia dai pediatri che dai medici dell’adulto. Esse si prefiggono di rendere il passaggio delle cure il meno traumatico possibile e di rispondere alle particolari esigenze dell’età adolescenziale. Questa forma di istituzione si caratterizza per l’estrema flessibilità della sua organizzazione: gli adolescenti possono prenotare appuntamenti anche al di fuori dell’orario lavorativo, scegliere se essere visitati in presenza o meno dei genitori o di altri giovani affetti dalla stessa malattia, ricevere un costante supporto psicologico da parte di professionisti specializzati. Inoltre, i medici delle Cliniche Congiunte devono avere confidenza con gli strumenti di comunicazione maggiormente utilizzati dagli adolescenti, in particolare con i social network, per rinforzare il legame con il paziente ed incentivare la sua attiva partecipazione al follow-up.

Una recente revisione sistematica, tuttavia, ne ha messo in discussione l’efficacia clinica. Soltanto tre degli otto studi presi in esame hanno riportato un miglioramento dei risultati clinici dei pazienti arruolati[21]. La principale conclusione di questi studi è che molti giovani, prima di essere trasferiti, hanno il desiderio di incontrare i membri dello staff del Centro medico per Adulti[27-29].

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14 La dispersione della responsabilità delle cure tra diverse figure professionali che si verifica all’interno di queste istituzioni potrebbe determinare in realtà una discontinuità nelle cure mediche.

Inoltre, la pratica di consultarsi con i giovani pazienti come “team multidisciplinare”, il più delle volte è vissuta negativamente. Una stanza piena di professionisti, tra i quali alcuni sconosciuti, può essere scoraggiante per chiunque e a maggior ragione per un adolescente[26]. Allo stesso modo potrebbe essere poco gradita una serie di colloqui faccia a faccia tra il giovane e il medico dell’adulto.

Coordinatore della transizione

La stessa revisione ha riportato un miglioramento clinico dei pazienti se la procedura di transizione coinvolge la figura di un coordinatore[21].

Tale figura professionale potrebbe avere competenze amministrative e aiutare l’adolescente ad integrarsi nel sistema di cura degli adulti, prenotando appuntamenti e ricordandone al paziente le scadenze[30], oppure avere capacità di relazione con i giovani adulti, sostenendoli dal punto di vista psicologico[31].

I

NTERVENTI SULL

EROGAZIONE DELL

ASSISTENZA SANITARIA

Adattare l’assistenza, in modo di soddisfare bisogni dei giovani pazienti, è un altro aspetto fondamentale del processo di transizione delle cure. Sia il team pediatrico che quello del Centro dell’Adulto dovrebbero fornire un servizio in linea con le esigenze dell’adolescente, ad esempio consentendogli di essere visitato in assenza dei genitori, tra pari e utilizzando i mezzi di comunicazione preferiti dai giovani[25][32].

Le cliniche dell’adolescente presentano tutte queste caratteristiche e la loro istituzione è raccomandata da diverse linee guida[21], in quanto rispondono alle esigenze dei pazienti relative alla scuola, all’università e al lavoro e utilizzano metodi di comunicazione innovativi (messaggi di testo, social network)[33].

“Sweet Talk” è un nuovo tipo di intervento per supportare l’adolescente con diabete mellito tra una valutazione e l’altra e si basa sull’invio di messaggi di testo da parte del personale sanitario, con lo scopo di incentivare la partecipazione al follow-up specialistico dei pazienti diabetici[34].

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15 I metodi di comunicazione che si servono di Internet rafforzano le relazioni tra i pazienti, in quanto permettono di condividere in maniera rapida e informale le proprie esperienze di vita[36], incrementano le loro abilità di autogestione[35, 36] e li supportano durante la fase critica della transizione[37].

Tali strumenti innovativi sono fondamentali per rispondere ad una delle maggiori preoccupazioni degli adolescenti, cioè il rischio di perdere i contatti con il personale sanitario una volta effettuata la transizione delle cure. Essi infatti passano dall’ambiente familiare del Centro Pediatrico a quello formale e distaccato del Centro dell’Adulto, nel quale lo specialista diabetologo, in genere, non segue nel tempo sempre lo stesso paziente, facendo sì che, di volta in volta, quest’ultimo si trovi di fronte un professionista diverso e si senta in un certo senso abbandonato a sé stesso.

INTERVENTI RIVOLTI ALL’ADOLESCENTE

La transizione è un processo orientato sul paziente e sulle necessità particolari di un periodo critico come quello adolescenziale e, per questo, deve comprendere piani di passaggio personalizzati, elaborati di comune accordo tra i medici, il paziente e la sua famiglia, nei quali vengano posti obiettivi chiari per tutti le componenti del processo[36]. La transizione inoltre deve includere programmi di educazione e training per migliorare le abilità di autogestione del paziente e per aumentarne il livello di autonomia, non solo nei confronti del personale medico, ma anche verso i propri familiari.

Diversi studi dimostrano che i pazienti arruolati in programmi strutturati di transizione hanno una maggior probabilità di partecipare in maniera proficua ai Servizi dell’adulto[28] e hanno migliori risultati di salute (diversi a seconda della specifica patologia cronica)[38, 39].

Uno dei problemi che si possono verificare durante l’età adolescenziale e che si associa alla perdita del follow-up specialistico, ad una scarsa aderenza alle terapie[42][43] e quindi al deterioramento della gestione della malattia cronica, è lo sviluppo di comportamenti a rischio, come l’abuso di droghe e di alcolici[41]. Per limitare questi comportamenti è fondamentale che il personale sanitario possieda competenze in ambito psicosociale e fornisca un supporto costante al paziente e alla sua famiglia. Il medico che si occupa della transizione deve sviluppare una buona capacità motivazionale, essenziale per convincere il paziente dell’importanza di alcuni aspetti, come l’aderenza alle cure e la continuità del

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16 follow-up specialistico, non sempre chiara agli adolescenti, che non hanno ancora preso coscienza delle possibili conseguenze a lungo termine di una cattiva gestione della patologia cronica[45]. Nel processo di transizione dovrebbero essere coinvolti i professionisti delle scienze sociali, esperti dell’educazione e dell’occupazione giovanile e in grado di fornire informazioni esaustive riguardanti la sfera sessuale e le dipendenze da alcol, fumo e droghe. Diversi studi riportano il notevole livello di soddisfazione espresso dai pazienti nei confronti di quei Centri in cui tali figure professionali fanno parte del team della transizione[44].

Uno strumento molto utile per supportare e rendere meno traumatica la transizione delle cure è rappresentato dalle checklist[46, 47], soprattutto per la loro capacità di fornire quelle informazioni pratiche di cui il paziente ha bisogno, in modo che non si senta abbandonato a sé stesso, ma che venga gradualmente guidato nel nuovo ambiente di cure.

La transizione delle cure non può prescindere da un elevato livello di preparazione dell’adolescente. Egli deve innanzitutto aver accettato di convivere con una patologia cronica che necessita di cure e attenzioni costanti e che comporta l’acquisizione di competenze pratiche e teoriche, fondamentali per la rivendicazione della propria indipendenza dalla famiglia e dal personale medico, ma anche per il miglioramento della propria autostima e delle capacità relazionali, conseguenze dirette di un rapporto maggiormente sereno e consapevole nei confronti della propria gestione clinica.

I pazienti che possiedono tali competenze invariabilmente ottengono ottimi risultati clinici durante la fase di passaggio[21].

Molti protocolli clinici promuovono l’acquisizione di abilità per la transizione che, tuttavia, non sono misurabili, impedendo di valutare in modo oggettivo il reale livello di preparazione al passaggio. Ad esempio, uno studio eseguito sui Centri di Cura della fibrosi cistica ha riscontrato che meno della metà di tali Centri aveva valutato il grado di preparazione dei pazienti alla transizione e meno del 20% aveva istituito dei programmi per aumentare le abilità e le conoscenze necessarie per affrontare il passaggio.

La valutazione del grado di preparazione alla transizione e, in particolare, delle sue conseguenze sugli esiti di salute degli adolescenti di un diverso livello di preparazione sugli esiti di salute del paziente, non è stata analizzata ancora in maniera consistente. L’ostacolo principale all’incorporazione di questo parametro nella pratica clinica è

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17 rappresentato dalla scarsità di dati su uno strumento validato, che valuti la reale prontezza ad affrontare il passaggio da parte del paziente, nonché le sue competenze in merito alla gestione delle cure. Sono state elaborate delle scale di valutazione della preparazione, come, ad esempio, il Transition Readiness Assessment Questionaire (TRAQ). I pazienti sottoposti a TRAQ che hanno ottenuto i punteggi più elevati hanno conseguito ottimi risultati relativamente alla gestione della propria patologia cronica durante la transizione[14].

Questi strumenti di valutazione dovrebbero essere ulteriormente studiati, in modo da essere definitivamente introdotti come indicatori oggettivi delle competenze al processo di transizione.

È necessario, inoltre, considerare che anche i genitori compiono una sorta di transizione, dall’accudire un bambino dipendente, ad un adulto autosufficiente. Tale cambiamento rappresenta una sfida ardua per i genitori di ogni adolescente, a maggior ragione per quelli con un figlio malato e/o disabile. Il genitore diventa gradualmente da responsabile primario della salute del figlio, a un attore secondario, con l’adolescente che dovrebbe, almeno in teoria, assumere maggiori responsabilità riguardo alla propria gestione clinica.

Quando l’adolescente acquisisce maggiori competenze, assume il ruolo di gestore delle proprie cure, mentre il genitore diventa prima supervisore, per poi perdere la centralità del proprio ruolo.

Un recente studio sulla transizione dei pazienti con DMT1A identifica il coinvolgimento dei genitori nel processo di transizione come un elemento chiave nel supportare la continuità delle cure. Assicurare ai genitori che continueranno ad essere coinvolti è fondamentale, specialmente quando il giovane inizia ad essere considerato un soggetto indipendente[31].

Sono stati elaborati dei piani di transizione per i genitori, simili a quelli dei pazienti, con risultati per adesso confortanti.

(18)

18

LA

TRANSIZIONE

NEL

DIABETE

MELLITO

L’incidenza del diabete mellito tipo 1A (DMT1A), la forma più frequente di diabete in età evolutiva, sta globalmente aumentando, soprattutto nei più giovani[48]. Il DMT1A rappresenta la seconda malattia cronica per incidenza nei bambini in età scolare[49], con una prevalenza in Europa, per i soggetti con meno di 15 anni, che aumenterà del 70 % nel 2020[48].

Un crescente numero di adolescenti con DMT1A, quindi, eseguirà il processo di transizione dal Centro di Cura Pediatrico al Centro di Cura dell’Adulto.

La letteratura attuale sulla transizione di pazienti con DMT1A, è spesso limitata dalla presenza di dati clinici incompleti e dalla mancanza di gruppi di controllo e di dati di follow-up[21, 50].

L’idea di tracciare un percorso per la gestione della transizione del giovane con DMT1A dal Centro Pediatrico a quello dell’adulto nasce dalla consapevolezza che tale passaggio, sebbene sancito nei piani sanitari regionali, rimane ancora affidato all’iniziativa di singoli medici, i quali, non disponendo, spesso, di un modello organizzativo di riferimento, si trovano costretti ad operare in maniera spontaneistica ed improvvisata.

Allo stato attuale, infatti, l’integrazione tra le strutture diabetologiche pediatriche e quelle dell’adulto è molto scarsa, manca un percorso strutturato che identifichi con chiarezza i ruoli e definisca i tempi e le modalità per il trasferimento dei giovani con DMT1A, con notevole disagio dei pazienti e dei loro familiari.

O

STACOLI PRESENTI AL MOMENTO DEL PASSAGGIO PER GLI ADOLESCENTI

CON

DMT1A

Non vi è dubbio che il passaggio dalla Diabetologia Pediatrica a quella dell’Adulto sia un momento delicato e che richieda particolare attenzione, anche perché coincide con il “passaggio” più generale dall’adolescenza all’età adulta, con tutte le problematiche psicologiche ad esso correlate.

In questa età, la presenza del diabete con le specifiche esigenze di cura (monitoraggio della glicemia, somministrazione di insulina, adesione al piano nutrizionale), finisce con l’aumentare nei giovani pazienti i vissuti di diversità rispetto ai loro coetanei.

(19)

19 La gestione del passaggio di struttura assistenziale si va, inoltre, ad aggiungere alla gestione di cambiamenti più profondi, di natura psicologica e relazionale, propri di questa fase della vita[51]. Il giovane potrebbe sentire di non avere risorse sufficienti ad affrontare tutti i cambiamenti che l’attendono e decidere di tornare alle cure del Centro Pediatrico. Studi condotti negli Stati Uniti dimostrano che mediamente intercorrono più di sei mesi tra l’ultimo controllo diabetologico presso il Centro Pediatrico e la prima visita nel Centro degli Adulti[52].

Tale discontinuità nelle cure coincide con una fase critica della vita, in cui i giovani si trovano ad affrontare importanti cambiamenti, per motivi di studio o di lavoro, e sono spesso così assorbiti dalle nuove esperienze da ridurre o tralasciare l’automonitoraggio della glicemia.

Gli ostacoli alla transizione sono molteplici e sono da ricercare a più livelli. Certamente c’è l’ansia, talvolta il rifiuto, dell’adolescente ad allontanarsi dal Centro Pediatrico; questo sentimento è tanto più forte quanto più precoce è stato l’esordio della malattia, in quanto il Pediatra viene percepito dal giovane quasi come una figura genitoriale.

È presente senza dubbio anche la difficoltà del personale della Pediatria a “lasciare andare” il paziente, con il quale si è instaurato negli anni un forte legame affettivo. A ciò si aggiunge anche una comprensibile resistenza dei familiari ad abbandonare un ambiente tranquillizzante ed un assetto organizzativo noto e ben sperimentato.

O

STACOLI EMOZIONALI NELL

ÉQUIPE MEDICA

 Eccessiva attenzione viene posta dall’équipe medica alle competenze cognitive dei ragazzi, mentre è riposta una insufficiente attenzione alle competenze emotive ed affettive (es. abilità a creare un nuovo legame di fiducia con il medico, capacità di elaborare la separazione dal Pediatra).

 I Pediatri sembrano funzionare, a volte, come genitori “apprensivi” e preoccupati rispetto alla transizione.

 I diabetologi dell’adulto, a volte, sono scarsamente in sintonia con le tematiche evolutive e poco abituati a fronteggiare questa fascia d'utenza.

(20)

20

O

STACOLI EMOZIONALI NEI PAZIENTI E NEI LORO FAMILIARI

 Diffidenza ed ansia dei genitori che temono l'esclusione dal processo di cura dei propri figli, una volta transitati alle Unità per adulti.

 Ansia dei giovani pazienti e dei loro familiari rispetto alle complicazioni fisiche secondarie al diabete e alla morte con le quali essi vengono più facilmente in contatto frequentando l’ambulatorio per adulti[53].

E’ evidente che senza un’adeguata preparazione, il passaggio di struttura rischia di essere un fattore di dispersione dei giovani pazienti, con il conseguente incremento della probabilità di insorgenza di complicanze acute e croniche della malattia.

I

MPORTANZA DELLA TRANSIZIONE E SUO RAZIONALE

Se è vero che il passaggio di struttura è una fase delicata che, se non adeguatamente gestita rischia di interrompere la continuità assistenziale, è altrettanto vero che raggiunta l’età adulta si rende assolutamente necessario trasferire la responsabilità di cura dal Centro Pediatrico al Centro dell’Adulto.

Una ragione importante è quella di favorire l’autonomia del giovane paziente nella gestione della malattia: rimanere in un’organizzazione pediatrica rischierebbe di prolungare una modalità di cura molto centrata sulla famiglia (in particolare sulla madre) e di ritardare lo sviluppo di uno spirito di indipendenza; viceversa, nel Centro per Adulti il giovane lentamente inizia a fare a meno dei familiari, assumendosi pienamente la responsabilità di cura.

Vi è poi una necessità di tipo clinico legata al cambiamento degli obiettivi terapeutici. In età pediatrica, la gestione del bambino con diabete ha come obiettivo primario il raggiungimento di un normale processo di accrescimento e il target del glicemico è meno stringente; nell’adulto, invece, l’obiettivo di cura si sposta sulla prevenzione delle complicanze micro-e macrovascolari, la cui comparsa è in relazione non solo al grado di controllo glicemico, ma anche alla durata della malattia.

La motivazione alla cura e ad uno stile di vita corretto diminuisce o si altera, mentre, contemporaneamente, l’adolescente diventa per la prima volta l’interlocutore privilegiato al momento delle visite al Centro Diabetologico.

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21 Tuttavia, sebbene nella maggior parte dei casi egli abbia raggiunto l’autonomia gestionale, raramente ha assunto vera consapevolezza e responsabilità nei confronti della sua malattia. Dati della letteratura internazionale riportano un più alto rischio di morbilità e mortalità nei diabetici di età compresa tra i 20 e i 29 anni rispetto alla popolazione generale[54]. Le principali cause di morte in questo gruppo di età sono le complicanze acute del diabete, quali l’ipoglicemia e la chetoacidosi[55].

Recenti studi longitudinali condotti in coorti di giovani con DMT1A hanno evidenziato come, dopo 10 anni dall’insorgenza della malattia, una quota non trascurabile di pazienti presenti segni di complicanze retiniche e renali[56].

Pertanto, è opportuno che l’adolescente con DMT1A prenda coscienza della problematica delle complicanze croniche, dell’importanza del buon compenso glicemico come strumento di prevenzione e che si sottoponga periodicamente agli opportuni programmi di screening.

Nel Centro Diabetologico per Adulti, infine, il giovane potrà trovare una maggiore interlocuzione riguardo ai problemi del mondo del lavoro e alle diverse esigenze dell’adulto, quali la patente e le certificazioni. In aggiunta, le giovani donne con diabete potranno affrontare in maniera più consapevole eventuali scelte in relazione alla contraccezione e alla gravidanza.

L’età in cui si realizza la transizione varia da Centro a Centro, ma nella maggior parte dei casi essa avviene tra i 18 e 25 anni, dopo il completamento degli studi superiori e spesso risulta influenzata da politiche sanitarie locali e dalla legislazione dello Stato[57].

La curva glicemica dei pazienti adulti con DMT1A sembra essere orientata sui valori presenti nella tarda adolescenza; è fondamentale quindi ottimizzare il controllo della patologia in questa fase delicata. Gli adolescenti che ricevono un trattamento antidiabetico più aggressivo e che mantengono in range (<7.5) i valori di HbA1c, conservano, a distanza di circa 20 anni, un vantaggio nell’incidenza delle complicanze sia micro che macro-angiopatiche (“memoria metabolica” del diabete)[58-60].

In questo periodo il controllo glicemico può peggiorare significativamente a causa di molteplici fattori, che includono: la fisiologica insulino-resistenza associata ai cambiamenti ormonali legati alla pubertà, lo stress psicologico, l’instaurarsi di comportamenti a rischio,

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22 l’omissione intenzionale di dosi di insulina allo scopo di perdere peso ed i disturbi del comportamento alimentare[61, 62].

Lo sviluppo cerebrale, in corso fino ai 25 anni[63] di età circa, rende gli adolescenti particolarmente vulnerabili agli effetti dell’iperglicemia prolungata, che possono includere gliosi e demielinizzazione e condurre ad una sfumata disfunzione neurocognitiva[64, 65].

P

ROBLEMI LEGATI ALLA TRANSIZIONE DELLE CURE

ABBANDONO DEL FOLLOW-UP

La percentuale di abbandono dei Servizi di Diabetologia dell’Adulto varia notevolmente tra i diversi Centri. Questa variabilità dipende essenzialmente dal metodo con cui è rilevato l’abbandono delle cure.

In assenza di un processo strutturato di transizione, la perdita dei pazienti al follow-up varia tra l’11 e il 62%[30, 38, 66].

L’assenza di un metodo formale per rintracciare tali soggetti, tuttavia, costituisce un limite all’interpretazione di questi dati, in quanto non è possibile stabilire se l’abbandono del Centro di riferimento avvenga come conseguenza diretta della transizione o per motivazioni personali, lavorative o familiari dei pazienti.

Osservando un campione di giovani adulti diabetici (età compresa tra i 30 e i 37 anni) è stato rilevato che, a seguito del passaggio, il 75% di essi è seguito da uno specialista diabetologo, il 19% dal solo medico di medicina generale, mentre il 3% non segue più alcun tipo di follow-up medico[67].

Analizzando il follow-up di 229 pazienti in transizione è stato evidenziato che solo una percentuale modesta di essi (1,3%) ha realmente abbandonato le cure specialistiche, mentre è stata rilevata una significativa diminuzione della frequenza alle visite nei Centri di Diabetologia dell’Adulto[68].

I pazienti maggiormente a rischio di abbandonare il follow-up sono quelli che, durante il periodo delle Cure Pediatriche, hanno una scarsa partecipazione alle visite, valori di HbA1C elevati, una storia di disturbi comportamentali e un’età relativamente avanzata al momento del passaggio[69, 70]. Proprio questi pazienti, considerati vulnerabili, sarebbero i maggiori beneficiari di interventi mirati a migliorare il processo di transizione.

(23)

23

RIDUZIONE DELLA FREQUENZA DELLE VISITE DI CONTROLLO

Quando gli adolescenti diabetici, a seguito della transizione, mantengono una buona frequenza di partecipazione alle visite specialistiche presentano un ridotto rischio di essere ospedalizzati per lo sviluppo di complicanze acute del diabete[39].

Purtroppo, numerosi studi mostrano una generale tendenza alla diminuzione del numero di visite specialistiche annuali da parte degli adolescenti, una volta inseritisi nel Centro Diabetologico dell’Adulto[71, 72]. Inoltre, tra l’ultima visita pediatrica e la prima visita nel Centro di riferimento, spesso intercorre un ampio intervallo di tempo, indice di una carente coordinazione tra il Centro Pediatrico e quello dell’Adulto[69, 70].

Le difficoltà nel contattare il nuovo medico di riferimento, in assenza di un processo organizzato di transizione, oltre che i problemi familiari e lavorativi dei pazienti stessi, sono i fattori, riferiti dai pazienti, che più spesso ostacolano la continuità delle cure[73].

PEGGIORAMENTO DEL CONTROLLO GLICEMICO

Uno studio basato su una popolazione di adolescenti di età superiore ai 18 anni, ha dimostrato che i pazienti che hanno effettuato la transizione presentano un controllo glicemico (espresso tramite i valori di HbA1c) significativamente peggiore rispetto a quelli che sono rimasti nel Centro Pediatrico[69].

Tuttavia questo lavoro costituisce un’eccezione in quanto esistono molteplici studi che riportano un controllo glicemico stabile nel periodo della transizione, che essa sia strutturata[74-76] o meno[57, 70, 77, 78].

(24)

24

A

SPETTATIVE DELL

ADOLESCENTE RIGUARDO AL PROCESSO DI TRANSIZIONE

Numerosi studi hanno raccolto le opinioni degli adolescenti, prima e dopo il passaggio, per identificare i fattori che potrebbero influenzare, in positivo o in negativo, il processo di transizione.

Fattori che favoriscono la transizione

- una preparazione graduale del paziente alla transizione[79];

- il suo coinvolgimento nel processo decisionale riguardante il passaggio[80, 81]; - la presenza continua dello stesso medico[33];

- l’opportunità di incontrare il medico dell’adulto durante il periodo pediatrico[79, 82];

- un processo di transizione strutturato e orientato sul paziente[80, 81].

È stata espresso il desiderio che i Servizi dell’Adulto possano essere accessibili anche in orari che vadano oltre la normale giornata lavorativa[33], che presentino un’organizzazione estremamente flessibile[83] e ridotti tempi di attesa.

Molte di questi suggerimenti sono stati recepiti e quindi inseriti nelle raccomandazioni presenti nelle linee guida[84]; tuttavia l’evidenza dei benefici di ciascuna di queste misure è aneddotica oppure basata su rilievi presenti in trial non controllati.

Fattori che ostacolano la transizione

 L’impossibilità di essere visitati fuori dall’orario di lavoro;

 L’eccessiva responsabilizzazione degli adolescenti riguardo alla gestione della propria patologia, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti organizzativi (ad esempio prenotare o disdire in prima persona gli appuntamenti);

 Un approccio eccessivamente formale e distaccato da parte del Diabetologo dell’adulto.

M

ISURE D

INTERVENTO PER MIGLIORARE IL PROCESSO DI TRANSIZIONE DELLE CURE NEL

DMT1A

MISURE RELATIVE AL PAZIENTE

Gli adolescenti con DMT1A maggiormente preparati al passaggio hanno un controllo metabolico migliore e un maggior tasso di partecipazione alle visite di follow-up, rispetto a

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25 coloro che presentano insufficienti competenze pratiche e teoriche sulla gestione del diabete[71].

Per questo motivo i diabetologi pediatrici dovrebbero incentivare l’acquisizione di competenze teoriche e pratiche, nonché aumentare il senso di responsabilità dei pazienti nei confronti della proprie condizioni di salute[85].

Il National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (NIDDK) ha elaborato una checklist, disponibile online, per aumentare il livello di preparazione alla transizione, non solo del paziente, ma anche della sua famiglia e del personale sanitario. L’obiettivo di tale strumento è strutturare il rapporto tra il paziente e il personale sanitario negli ultimi due anni prima del passaggio, in modo da renderlo più consapevole. In particolare, aiuta a responsabilizzare il paziente riguardo alla gestione della propria condizione clinica, fornendo importanti informazioni relative alla prenotazione degli appuntamenti, al rinnovo delle prescrizioni, alle modalità per entrare in contatto con il personale sanitario.

Nonostante sia stata compresa l’importanza della preparazione del paziente con DMT1A alla transizione, ancora oggi non esiste uno strumento validato che misuri oggettivamente il livello di preparazione.

Uno studio[86] effettuato su un gruppo di giovani (n= 192) di età compresa tra i 16-28 anni ha utilizzato un questionario (Adolescent Assessment of Preparation for Transition, ADAPT) per valutare in maniera standardizzata il livello di preparazione. Tale strumento deve essere ancora validato, prima di poter essere utilizzato routinariamente nella pratica clinica.

Sono state proposte varie strategie per aumentare il livello di preparazione degli adolescenti diabetici, come, ad esempio, l’organizzazione, in prossimità della transizione, di visite riservate al solo paziente, senza quindi la partecipazione dei membri della famiglia, per aumentare il suo senso di responsabilità. Tramite questi colloqui, il Pediatra effettua una valutazione delle competenze di autogestione (capacità di compilare correttamente il diario glicemico, di correggere la dose di insulina in base al valore di glicemia, confidenza con la conta dei carboidrati) raggiunte durante gli anni pediatrici, identificando e sanando le eventuali lacune.

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26 Esiste uno studio che descrive l’utilizzo di un sito web (MAESTRO) per supportare la transizione in pazienti con DMT1A[30].

Il “Maestro Project” è un sistema di comunicazione virtuale a metà strada tra il social network, la community e il sito internet (www.maestroproject.com). Si rivolge ad utenti affetti da diabete di età compresa tra i diciotto e i venticinque anni che stanno affrontando il passaggio dalla Pediatria alla Diabetologia dell’Adulto e ha lo scopo di incrementare la frequenza dei controlli medico-specialistici e la corretta gestione della malattia, con conseguente riduzione della morbilità e della mortalità attraverso gruppi di discussione coordinati da medici, psicologi ed educatori[30].

Migliorare la qualità del rapporto medico-paziente

Diversi studi evidenziano l’importanza dell’instaurazione di un rapporto di familiarità tra il paziente e il suo medico specialista (Internista) durante la fase di transizione delle cure. Uno studio ha evidenziato come, indipendentemente dal protocollo di transizione utilizzato, gli adolescenti affidati alle cure di diversi Diabetologi, durante il passaggio delle cure, hanno un rischio significativamente maggiore di essere ospedalizzati per lo sviluppo di complicanze acute del diabete, rispetto a coloro che sono stati seguiti in maniera continuativa dallo stesso medico[87].

Un altro studio riporta che il tasso di partecipazione alle visite a seguito della transizione sia maggiore in quei pazienti che hanno avuto l’opportunità di incontrare il Diabetologo dell’adulto prima del trasferimento[68], con il quale era stato instaurato un rapporto di fiducia e di confidenzialità.

MISURE RELATIVE ALLO STAFF MEDICO

La figura del coordinatore della transizione

Diverse evidenze di letteratura sottolineano l’importanza della nomina di un coordinatore della transizione, che sia in grado di migliorare la continuità delle cure, assicurare un processo di transizione strutturato e preparare i pazienti ad una transizione graduale. Solo uno studio ha esaminato l’effetto di un coordinatore della transizione in una coorte (n= 136) di pazienti con DMT1A (età compresa tra i 15 e i 25 anni). Esso ha evidenziato, in un periodo esaminato complessivo di due anni, una significativa riduzione delle ospedalizzazioni per chetoacidosi, una maggior frequenza di partecipazione alle visite

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27 specialistiche ed una significativa riduzione dei livelli circolanti di HbA1c. Solo una piccola percentuale (5,2%) dei soggetti ha abbandonato il follow-up specialistico[39]. È attualmente in corso uno studio randomizzato che valuta i benefici determinati dalla presenza di un coordinatore della transizione in termini di partecipazione alle visite specialistiche, esaminando un periodo di 2 anni[90]. Questo studio prevede il confronto dei risultati con un gruppo di controllo e consentirà quindi di valutare con maggiore chiarezza il reale impatto sulla transizione di questa figura professionale.

Visite congiunte di Pediatri e Internisti

Questo tipo di intervento, che presenta come prerequisito una buona collaborazione tra il Centro Pediatrico e quello dell’Adulto, ha lo scopo di introdurre gradualmente il paziente nel nuovo Centro di Diabetologia e di garantire quindi la continuità delle cure.

Cadario, in uno studio osservazionale[38], descrive il processo di transizione di 62 giovani, in un periodo di 10 anni (1994-2004) confrontando una procedura di transizione strutturata (in cui il Pediatra e il Diabetologo dell’adulto svolgono visite in compresenza) ad una transizione non strutturata. Nel processo strutturato sono state evidenziate sia una diminuzione del numero di abbandoni del follow-up specialistico che dell’intervallo di tempo tra le cure del Pediatra e quelle del Diabetologo dell’adulto (0.8 vs 4.6 anni). Un anno dopo la transizione tutti i pazienti inseriti nel gruppo della transizione strutturata continuava a partecipare alle visite, contro il solo 30% dei pazienti del gruppo della transizione non strutturata; inoltre, sempre nel primo gruppo, è stato evidenziato un miglior controllo metabolico del diabete ad un anno (HbA1c 7.8 vs 8.9%).

Anche Vanelli, tramite una revisione retrospettiva[88], ha valutato gli effetti di una procedura strutturata di transizione, caratterizzata dalla collaborazione tra le Unità Operative Pediatriche e Diabetologiche. A distanza di otto anni dall’introduzione della procedura, praticamente tutti i pazienti transitati continuano a frequentare il Centro dell’Adulto, dato che testimonia il gradimento da parte dei pazienti per le modalità della transizione e per il livello delle cure ricevute nel Centro di Diabetologia.

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28

MISURE RELATIVE AI SERVIZI

Cliniche Congiunte o dell’adolescente

Le linee guida dell’American Diabetes Association (ADA) e del National Institute of Clinical Excellence (NICE) sostengono lo sviluppo delle Cliniche Diabetologiche dell’adolescente[84]. Nei Centri in cui sono state introdotte tali istituzioni, in servizio anche al di fuori dall’orario abituale di lavoro e in cui i Pediatri e gli Internisti lavorano insieme, il tasso di abbandono delle cure (intorno al 20-30%) rimane una costante e il controllo glicemico spesso non è soddisfacente[89].

L’

ESPERIENZA ITALIANA NEL PROCESSO DI TRANSIZIONE

Un primo rilevante accenno, nel dibattito italiano, alla questione della transizione risale al 1990, quando a Parma si svolse il “Terzo incontro sul diabete in età evolutiva in Italia”. Nel 2004 Vanelli e la sua équipe medica della Clinica Pediatrica dell’Università di Parma pubblicarono i risultati dei primi otto anni di sperimentazione della procedura di transizione da loro messa a punto, mostrando ottimi risultati sia in per quanto riguarda la continuità del follow-up, sia per il mantenimento di un buon controllo metabolico che per il livello di soddisfazione dei pazienti che avevano effettuato il passaggio[88].

Elementi responsabili del successo del protocollo di Parma: 1) l’età dei soggetti al momento del passaggio (>20 anni); 2) la graduale preparazione al cambiamento;

3) lo svolgimento della transizione all’interno della stessa struttura ospedaliera; 4) il coinvolgimento dei familiari;

5) la presentazione preliminare dell’internista;

(29)

29

M

ODALITÀ DELLA TRANSIZIONE DELLE CURE NEL DIABETE MELLITO E LINEE GUIDA

Il passaggio dal Centro Pediatrico al Centro dell’Adulto deve essere un processo e non un evento critico nella vita degli adolescenti con diabete. Il paziente deve essere aiutato presso il Centro Pediatrico ad acquisire la consapevolezza che il passaggio è davvero necessario e che lo aiuterà ad essere seguito nei modi e nelle maniere adeguati alle sue mutate esigenze, alle quali il Centro Pediatrico non può più rispondere. Questo processo deve essere realizzato costruendo gradualmente un clima di comunicazione e collaborazione aperte e adeguate.

Quando il team pediatrico giunge alla conclusione che lo sviluppo fisico, psicologico e sociale del paziente si sono completati (verosimilmente intorno ai 18 anni), sarebbe opportuno iniziare ad accennare alla possibilità del futuro trasferimento al Centro dell’Adulto, senza dare l’idea che si tratti di qualcosa di inevitabile o scontato, per evitare che il paziente si senta abbandonato.

Il passaggio deve avvenire solo quando è stata accertata la completa disponibilità del paziente, in modo graduale, non traumatico e tenendo conto delle realtà locali. È indispensabile pertanto disegnare un percorso di transizione personalizzabile da soggetto a soggetto ed adattabile alle varie realtà locali, tenendo come riferimento alcuni punti essenziali condivisi dalle principali Società Scientifiche (Società Italiana di Diabetologia - SID, Associazione Medici Diabetologi - AMD, International Society for Pediatric and Adolescent Diabetes - ISPAD).

1. Accennare

Se il Team di transizione ritiene che lo sviluppo fisico, psicologico, sociale del paziente si siano completati e che anche l’educazione terapeutica sia stata completata, si potrà dare inizio con gradualità alla fase di distacco. Nel corso di una visita di routine il Pediatra invita il paziente e la sua famiglia a riflettere sulla possibilità di un trasferimento al Centro dell’Adulto, evidenziando i vantaggi che questa scelta comporta.

2. Spiegare

La visita successiva sarà dedicata ad affrontare le ansie del paziente, spiegando nel dettaglio le ragioni che consigliano il passaggio e le modalità con cui questo avverrà.

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30 Vanno specificate anche le modalità con cui il paziente può rimanere in contatto con il servizio pediatrico.

3. Condividere

Ogni Team Pediatrico dovrebbe creare legami stabili con una o più strutture dedicate alla cura dell’adulto, cercando di affidare i pazienti a un medico specifico al loro interno e promuovendo riunioni di coordinamento. Per garantire un collegamento tra il Centro Pediatrico e il Centro Diabetologico di riferimento potrebbe essere utile la nomina di un Coordinatore della transizione o laddove possibile l’istituzione di una Clinica per adolescenti, costituita sia da membri del personale Pediatrico che di Internistico, in modo da facilitare il processo di passaggio per l’adolescente e per i suoi genitori.

4. Informare

Fornire il Diabetologo dell’adulto di un documento che contenga la storia clinica dell’adolescente, con i valori di HbA1C e le loro variazioni nel corso degli anni, i risultati dello screening per le complicanze croniche e le informazioni relative ad eventuali comorbidità, che potrebbero influire sulla terapia del diabete.

5. Cooperare

In caso di criticità, il Diabetologo dell’adulto potrà invitare il Pediatra di riferimento a presenziare anche ai successivi incontri.

Sarà fondamentale assicurarsi che non ci sia un significativo intervallo tra le Cure Pediatriche e quelle del nuovo Centro e che l’adolescente non abbandoni il follow-up durante la transizione.

Il Centro Diabetologico dell’Adulto dovrebbe infine disporre di strumenti in grado di identificare e rintracciare i pazienti che non partecipino alle visite di follow-up (adozione di database, nomina di professionisti incaricati).

(31)

31

P

ROCEDURA AZIENDALE DELL

’A

ZIENDA

O

SPEDALIERA

P

ISANA

(AOUP)

SULLA TRANSIZIONE DELLE CURE NEL DIABETE MELLITO

La procedura aziendale, introdotta nel 2008 e soggetta a revisione nel 2012, prevede che il Pediatra esegua una prima comunicazione di transizione ai ragazzi, intorno ai 18 anni, e alle loro famiglie, come evento fisiologico del percorso di cura; ad essa fanno seguito altre visite di controllo presso la Pediatria, durante le quali si ripropone la necessità del passaggio e si descrivono le caratteristiche del nuovo ambiente.

Una volta ottenuto il consenso (di paziente e famiglia) al passaggio, viene presentato, durante l’ultima visita di controllo presso l’ambulatorio pediatrico, il nuovo specialista al quale il Pediatra illustra la situazione clinica dell’adolescente, concordando di comune accordo il piano terapeutico.

A conclusione di questo primo incontro il Pediatra, l’Internista e il paziente prendono accordi su quando effettuare la rivalutazione successiva, che avverrà presso l’ambulatorio per gli adulti con la garanzia di trovarvi un ambiente riservato, confidenziale e con tempi d’attesa brevi.

Nella prima stesura della procedura il Pediatra assisteva alla prima visita presso il Centro per Adulti; tale visita è stata abolita nella revisione della procedura del 2012, in quanto ritenuta non necessaria da parte degli stessi pazienti.

(32)

32

SCOPO

DELLO

STUDIO

Lo scopo di questo studio è valutare l’impatto del processo strutturato di transizione nei pazienti affetti da DMT1A, misurando anche il loro gradimento nei confronti di tale modalità del passaggio.

Sono state ricercate, inoltre, le possibili relazioni esistenti tra il controllo metabolico post-transizione, inteso come i valori di HbA1c a due anni dopo la post-transizione, e alcuni fattori pre-transizione, come i livelli di HbA1c al momento del passaggio, la partecipazione alle visite durante gli ultimi due anni nel Centro Pediatrico e la durata del diabete, per individuare l’eventuale capacità predittiva di rischio di peggioramento del controllo metabolico nei primi due anni dalla transizione.

(33)

33

METODI

D

ISEGNO DELLO STUDIO

È stato svolto uno studio retrospettivo su un campione di pazienti che ha effettuato il passaggio dalla Diabetologia Pediatrica, U.O Pediatria Universitaria al Centro di Diabetologia dell’Adulto, U.O Malattie Metaboliche e Diabetologia, nel periodo compreso dal 2007 al 2015, seguendo il programma di transizione indicato dalla procedura aziendale. I dati sono stati raccolti nei mesi di Maggio, Giugno e Luglio del 2016.

C

AMPIONE DELLO STUDIO

I dati dei pazienti sono stati ottenuti dal programma informatico MyStar Connect, disponibile sia presso la Diabetologia Pediatrica, sia presso il Centro di Diabetologia dell’Adulto.

Lo studio è stato condotto su 71 pazienti che hanno effettuato la transizione dal 2007 al 2015.

Le caratteristiche del campione, rilevate al momento del passaggio, sono riportate nella

Tabella 1.

Tabella 1: caratteristiche del campione

TOTALE MASCHI FEMMINE

Pazienti (n) 71 45 26

Età (anni) 20.5±2.2 20.5±2.4 20.4±2

Durata del diabete

(anni) 11.1±4.7 11.7±4.9 10.7±4.4

Scolarità Superiore 56 36 20

(34)

34

I

MPATTO DELLA TRANSIZIONE

Per valutare l’impatto della transizione sul diabete mellito, sono state prese in esame le seguenti variabili:

 Il numero di abbandoni delle cure a seguito della transizione.

 Le variazioni tra i valori di HbA1c registrati all’ultimo prelievo nell’ambulatorio pediatrico e i valori registrati due anni dopo la transizione nell’ambulatorio dell’adulto.

 Le variazioni tra il numero delle visite di controllo effettuate negli ultimi due anni nel Centro Pediatrico e quelle effettuate nei primi due anni nel Centro dell’Adulto.  Le variazioni nella frequenza di insorgenza delle complicanze acute del diabete tra

il periodo pediatrico e quello successivo alla transizione.

 La frequenza di insorgenza di complicanze croniche del diabete (retinopatia, neuropatia, nefropatia) nel Centro di Diabetologia dell’Adulto.

Per i pazienti che hanno eseguito il passaggio prima del 2014 sono stati analizzati, oltre che i livelli di Hba1c a distanza di due anni dal passaggio, anche quelli attuali (2016), per valutare il controllo metabolico a distanza.

Per misurare il gradimento dei pazienti verso le modalità di transizione, è stato somministrato, tramite posta elettronica, il questionario formulato dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD).

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