• Non ci sono risultati.

Il diabete mellito non autoimmunein età pediatrica

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il diabete mellito non autoimmunein età pediatrica"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

Rassegna

Il diabete mellito non autoimmune in età pediatrica

RIASSUNTO

Le forme più comuni di diabete non autoimmune sono: diabete mellito di tipo 2 (DM2), maturity-onset diabetes of the young (MODY), diabete mellito nella sindrome di Wolfram e diabete mitocondriale. Il DM2, già presente negli USA soprattutto in bambini e adolescenti di etnia ispano-americana, si è manifesta- to anche nella razza caucasica e in Europa soprattutto negli adolescenti. Fattori di rischio per DM2 sono: ritardo di crescita intrauterino, iperalimentazione, obesità, pubertà e ridotta attività fisica. Il primo intervento deve essere rivolto alla modifica dello stile di vita e dell’alimentazione; in caso di fallimento si può ini- ziare terapia farmacologica con metformina. Il MODY, disordine monogenico con ereditarietà autosomica dominante ad alta penetranza, estrema variabilità fenotipica e decorso non ingra- vescente, è caratterizzato da precoce insorgenza (infanzia, ado- lescenza, inizio età adulta), raramente da insulino-dipendenza e spesso senza sovrappeso. Le prime mutazioni di geni MODY sono state descritte negli anni ’90. Oggi sono note 11 forme di MODY, caratterizzate dalla mutazione di un gene differente. La sindrome di Wolfram è una grave malattia neurodegenerativa a lenta progressione, a trasmissione autosomica recessiva, con segni e sintomi riassunti dall’acronimo DIDMOAD (diabetes insi- pidus, diabetes mellitus, optic atrophy and deafness). I pazienti presentano nella I decade di vita diabete mellito e atrofia ottica, entro la II decade diabete insipido e sordità. Altri segni o sintomi sono disfunzioni urinarie e disordini neurologici. Nel 1998 è stato scoperto un gene nucleare responsabile, denominato Wolframina (WFS1), mappato sul cromosoma 4p16.1. Il diabete mitocondriale, a trasmissione materna, è associato ad altre patologie (miopatia, sordità, sintomi neurologici). Le delezioni del mtDNA sono associate a precoce esordio di diabete, mentre le mutazioni del mtDNA determinano un’insorgenza più tardiva (terza/quarta decade di vita). La terapia insulinica permette un buon controllo metabolico, con basso fabbisogno.

SUMMARY

Non-autoimmune diabetes mellitus in paediatric age

The most common forms of non-autoimmune diabetes are: type

R. Lorini, G. d’Annunzio, N. Minuto, C. Russo, K. Perri, A. Salina, C. Aloi

Clinica Pediatrica, Università di Genova, Centro Regionale di Diabetologia, IRCCS G. Gaslini, Genova

Corrispondenza: prof.ssa Renata Lorini, Clinica Pediatrica, Università di Genova, IRCCS G. Gaslini, largo G. Gaslini 5, 16147 Genova

e-mail: renatalorini@ospedale-gaslini.ge.it G It Diabetol Metab 2010;30:172-183 Pervenuto in Redazione il 13-04-2010 Accettato per la pubblicazione il 29-09-2010 Parole chiave: diabete di tipo 2, MODY, sindrome di Wolfram, diabete mitocondriale, lipodistrofie

Key words: type 2 diabetes, MODY, Wolfram syndrome, mitochondrial diabetes, lypodistrophies

(2)

2 diabetes mellitus (T2DM), maturity-onset diabetes of the young (MODY), diabetes in Wolfram syndrome, mitochondrial diabetes. T2DM, already common in US children and adoles- cents from ethnic minorities, is raising in Caucasian and European adolescents. Risk factors for T2DM are: intra-uterine growth retardation, overfeeding, obesity, pubertal development, sedentary lifestyle. The first intervention includes lifestyle habits and dietary modifications; therapy with metformine should be used in case of failure. Maturity-onset diabetes of the young (MODY) is diagnosed in children and adolescents with inciden- tal hyperglycemia without pancreatic β-cell autoantibodies, and a positive family history of diabetes mellitus. Until now 11 differ- ent type of MODY have been identified, due to different gene mutations. Glucokinase gene (GCK) and hepatocyte nuclear factor 1 α-gene (HNF-1α) cause two common forms of MODY.

The presence of mild persistent hyperglycemia without autoan- tibodies and with a positive family history for hyperglycemia and/or diabetes should lead to genetic analysis. Wolfram syn- drome is a rare, autosomal recessive neurodegenerative disor- der with non-autoimmune diabetes mellitus and optic atrophy.

The syndrome is also known as DIDMOAD, the acronym for dia- betes insipidus, diabetes mellitus, optic atrophy and deafness;

the gene involved, named WFS1, is located on the 4p16.1 region. Maternally-inherited diabetes mellitus, associated with other diseases characterized by different clinical evidence (i.e.

miopathy, deafness, neurological disorders) is part of so called

“mitochondrial diabetes”. mtDNA deletions are associated with precocious evidence of diabetes, while mtDNA mutations are associated with adulthood onset diabetes. Low-dose insulin therapy exerts good glycemic control.

Introduzione

Nel corso degli ultimi 15 anni è stata definita l’eterogeneità del diabete mellito nell’infanzia e nell’adolescenza. Infatti, non sempre il bambino e l’adolescente con sintomatologia quale poliuria, polidipsia, calo ponderale e iperglicemia è affetto dalla forma più comune di diabete mellito, quale il dia- bete mellito di tipo 1 autoimmune (DM1). Altre forme di dia- bete mellito possono interessare il giovane paziente. Uno studio epidemiologico sulla frequenza del diabete non autoimmune nei bambini, condotto in Inghilterra, ha docu- mentato che solo lo 0,7% dei bambini con diabete mellito presenta forme differenti dal DM1 e ha evidenziato una pre- valenza di diabete mellito di tipo 2 (DM2) pari al 40%, di dia- bete secondario pari al 22%, di forme monogeniche pari al 10% e di diabete facente parte di altre sindromi pari al 10%1. I rimanenti casi di diabete mellito rimangono non classificati.

Diabete mellito di tipo 2

Epidemiologia

Circa 20 anni fa il DM1 era la forma di diabete esclusiva del- l’età pediatrica: solo l’1-2% dei pazienti presentava diabete non autoimmune. Le prime diagnosi di DM2 in età pediatri-

ca, negli anni 70, sono state poste in adolescenti obesi di origine indiana-americana2. Studi epidemiologici recenti negli Stati Uniti riportano una prevalenza di DM2 diagnosticato in epoca adolescenziale compresa fra l’8 e il 45%, a seconda delle aree geografiche e dei gruppi etnici considerati. L’età media alla diagnosi è 13,5 anni e la maggiore frequenza è osservata nel sesso femminile3. Recentemente il DM2 è comparso anche nelle popolazioni caucasiche. In Italia, uno studio del 2003 su 710 bambini obesi aveva dimostrato che solo lo 0,2% era affetto da DM24. I dati raccolti nel registro nazionale della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) riportano 120 soggetti con diagnosi di DM2.

Fattori causali e suscettibilità genetica

Obesità e DM2 sono entità correlate. Principali fattori causali del DM2 sono la sedentarietà e un’alimentazione incongrua (cosiddetta westernized diet) che determinano obesità con insulino-resistenza. La suscettibilità genetica è confermata dalla concordanza per DM2 nei gemelli omozigoti (circa 90%) e dal rischio di DM2 tre volte più elevato nei parenti di pazienti con DM2. Tra i geni predisponenti si ricordano il gene calpaina 10 nella popolazione ispano-americana e, più di recente, il gene TCF7L2, di cui sono segnalati diversi poli- morfismi5. L’elevata prevalenza di DM2 in alcune famiglie ed etnie ha sostenuto l’ipotesi del “genotipo risparmiatore”, secondo cui alcune popolazioni sarebbero geneticamente predisposte all’insulino-resistenza e favorite filogeneticamen- te per la maggiore capacità di accumulare tessuto adiposo nei periodi di carestia; se questi soggetti passano da una vita attiva a uno stile di vita sedentario, associato a eccessivo introito calorico (tipico della società moderna), sono a rischio di obesità e DM26.

Aspetti metabolici e decorso clinico

Il DM2 è una malattia a lenta evoluzione. I fattori favorenti esercitano la loro influenza per anni prima delle manifestazio- ni cliniche. La sintomatologia del DM2 nell’adolescente è spesso sfumata con modesta o assente poliuria, polidipsia, calo ponderale, buone condizioni generali, anamnesi negati- va per infezioni. Gli esami di laboratorio mostrano variabilità della glicemia e glicosuria senza chetonuria. Sono descritti casi, rari, con un quadro clinico grave, simile a quello del DM1, caratterizzato da deficit insulinico, poliuria, polidipsia, perdita di peso, chetonuria sino alla chetoacidosi, che richie- de almeno inizialmente terapia insulinica, e casi assai gravi di coma iperosmolare. È importante, per la conferma diagnosti- ca di DM2, documentare l’assenza di autoanticorpi contro la β-cellula pancreatica, elevati livelli di insulina e C-peptide a digiuno e dopo stimolo, assenza degli aplotipi HLA associa- ti a DM1. Nel DM2 in età pediatrica, come nel paziente adul- to, sono riportate alterazioni del quadro lipidico quali: ipertri- gliceridemia (44% dei pazienti), elevati livelli di colesterolo totale (46% dei pazienti), bassi livelli di colesterolo HDL (15%

dei pazienti) ed elevati livelli di colesterolo LDL (34% dei

(3)

pazienti). Il DM2 si associa a segni e sintomi di insulino-resi- stenza quali acanthosis nigricans, sindrome dell’ovaio polici- stico, steatosi epatica non alcolica, ipertensione arteriosa, dislipidemia. La steatosi epatica non alcolica, stimata tra il 10 e il 25% e caratterizzata da moderata ipertransaminasemia e da deposito epatocellulare di lipidi, può progredire verso infiammazione necrotica e danno fibrotico del fegato, causa- ti dall’insulino-resistenza6. L’evoluzione del DM2 nell’adole- scente è gravata dall’elevato rischio di complicanze micro- e macroangiopatiche7. L’infiammazione svolge un ruolo impor- tante nella patogenesi delle complicanze vascolari dell’obe- sità e del DM2. Sono stati segnalati aumento dello stress ossidativo e di fattori proinfiammatori (IL-6, proteina C reatti- va ultrasensibile e fibrinogeno), implicati nella formazione della placca aterosclerotica, e una loro correlazione con gli indici di adiposità e di insulino-resistenza. Queste anomalie sono regredite in adolescenti obesi sottoposti a programmi volti a modificare lo stile di vita.

Nel 2003 è stata descritta da Libman e Becker8una nuova forma di diabete mellito, il “diabete doppio” (DD), che vede presenti nello stesso paziente le caratteristiche del DM1 e del DM2, rispettivamente la coesistenza di autoanticorpi contro la β-cellula pancreatica (marker di DM1) e di obesi-

tà con segni di insulino-resistenza (espressione di DM2) e familiarità per DM2. I parametri clinici e biochimici diagno- stici di DD sono: fenotipo clinico del DM1 (poliuria, poli - dipsia, calo ponderale, chetoacidosi) con storia familiare e caratteristiche cliniche (ipertensione arteriosa, dislipide- mia, elevato BMI) di DM2. I pazienti con DD presentano maggior rischio di sviluppare complicanze, micro- e macroangiopatiche, e richiedono stretto monitoraggio cli- nico e interventi educativi, finalizzati a impedire la compar- sa o ridurre la progressione delle complicanze vascolari.

Screening e test diagnostici per DM2 e insulino-resistenza

Nel 2000 l’American Diabetes Association (ADA) e l’American Academy of Pediatrics hanno proposto le indica- zioni per lo screening del DM2 dall’età di 10 anni o alla com- parsa della pubertà: presenza di sovrappeso più almeno due fattori di rischio quali storia familiare di DM2, gruppo etnico a rischio, segni di insulino-resistenza, anamnesi materna di diabete, anche gestazionale. Lo screening si effettua con il dosaggio della glicemia a digiuno e va ripetuto ogni 2 anni.

Tabella 1 Percentili degli indici di insulino-resistenza suddivisi in base a: sesso (maschi, femmine) e stadio puberale (stadio di Tanner, TS).

n 2,5° 10° 25° Mediana 75° 90° 95° 97,5°

Maschi (n = 85) HOMA-IR

TS 1 46 0,28 0,40 0,45 0,65 1,19 1,64 2,11 2,20 2,44

TS 2-3 27 0,29 0,62 0,68 0,90 1,13 2,13 2,76 3,08 3,61

TS 4-5 12 0,73 0,73 0,79 1,12 1,68 2,41 2,47 2,72 2,72

HOMA-β %

TS 1 46 32,8 43,3 45,1 64,6 89,6 118,7 133,3 154,7 683,9

TS 2-3 27 24,1 36,1 41,2 63,2 98,4 163,7 249,1 363,4 523,4

TS 4-5 12 51,2 51,2 57,2 111,1 165,0 232,2 261,5 403,4 403,4

QUICKI

TS 1 46 0,33 0,34 0,34 0,35 0,37 0,41 0,44 0,45 0,49

TS 2-3 27 0,32 0,32 0,33 0,34 0,38 0,39 0,41 0,42 0,48

TS 4-5 12 0,33 0,33 0,33 0,33 0,35 0,38 0,40 0,40 0,40

Femmine (n = 57) HOMA-IR

TS 1 27 0,51 0,55 0,61 0,92 1,36 1,71 2,12 2,20 2,89

TS 2-3 18 0,37 0,37 0,38 0,61 1,38 1,82 4,02 5,39 5,39

TS 4-5 12 0,42 0,42 0,88 1,08 1,91 3,50 3,64 4,36 4,36

HOMA-β %

TS 1 27 38,1 46,6 56,5 75,2 122,1 154,8 184,7 192,1 232,5

TS 2-3 18 24,5 24,5 34,4 53,2 112,8 171,1 548,8 1078,2 1078,2

TS 4-5 12 32,8 32,8 55,5 132,8 236,7 316,3 421,8 487,4 487,4

QUICKI

TS 1 27 0,33 0,34 0,34 0,35 0,36 0,39 0,42 0,43 0,43

TS 2-3 18 0,30 0,30 0,31 0,35 0,36 0,42 0,46 0,46 0,46

TS 4-5 12 0,31 0,31 0,32 0,32 0,35 0,38 0,39 0,45 0,45

(4)

Per valutare l’insulino-resistenza, primo fattore di rischio per DM2, il clamp euglicemico-iperinsulinemico è il “gold stan- dard”, ma il costo, la complessità e l’invasività della procedu- ra lo rendono scarsamente accettabile anche negli adole- scenti. In alternativa sono stati proposti modelli “omeostati- ci” della sensibilità insulinica, basati sulla determinazione di glicemia e insulinemia a digiuno, che appaiono sufficiente- mente correlati con i dati ottenuti dal clamp9. Il rapporto gli- cemia/insulinemia a digiuno (fasting glucose insulin ratio, FGIR) e gli indici HOMA-IR (homeostatic model assessment of insulin resistance) e QUICKI (quantitative insulin sensitivity check index) sono stati utilizzati in studi clinici anche in età pediatrica. Poiché in pubertà vi è una fisiologica insulino-resi- stenza, a causa della secrezione di ormone della crescita e di ormoni steroidei, è necessario considerare valori di riferi- mento per i suddetti indicatori di insulino-resistenza suddivi- si per stadi puberali (Tab. 1)10. L’HOMA-IR, metodo che ha incontrato il maggiore favore anche per la dimostrata corre- lazione con il BMI e che è considerato parametro da impie- gare in studi su ampie casistiche, non consente però di valu- tare la secrezione insulinica. Si deve ricorrere a test da cari- co orale o endovenoso di glucosio. La valutazione di glice- mia, insulinemia e C-peptide secondo il modello minimale in corso di FSIVGT (frequently sampled intravenous glucose test) fornisce indicazioni molto simili al clamp, ma richiede un numero elevato di prelievi ematici. Di più semplice esecuzio- ne sono WBISI (whole body insulin sensitivity index) e ISI (insulin sensitivity index), derivati dalla determinazione di gli- cemia e insulinemia in corso di OGTT (Tab. 2).

Terapia del DM2 nell’adolescente

Obiettivi del trattamento nel giovane con DM2 sono: ade- guato compenso metabolico (emoglobina glicata, HbA1c <

7% e normoglicemia), mantenimento di un peso corporeo

“accettabile”, riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare, prevenzione delle complicanze micro- e macroangiopatiche,

miglioramento del benessere psicofisico. L’efficacia della terapia dipende dall’esperienza e disponibilità del team curante e soprattutto dal coinvolgimento e dalla motivazione del nucleo familiare e del paziente. La dieta, l’esercizio fisico e il controllo del peso costituiscono i capisaldi della cura e, se adeguatamente attuati dalla diagnosi, possono migliorare non solo la glicemia, ma anche altri fattori di rischio. La dieta dell’adolescente con DM2 deve essere impostata tenendo conto delle caratteristiche culturali ed economiche della famiglia. Secondo le raccomandazioni dell’ADA i carboidrati dovrebbero fornire il 55-60% dell’apporto calorico totale, le proteine il 10-15% secondo l’età, i lipidi il 30% con meno del 10% di derivazione da grassi saturi. Non sussistono eviden- ze cliniche circa l’utilità di supplementazione con vitamine, minerali o antiossidanti, né tanto meno, soprattutto nell’ado- lescente, sono proponibili farmaci che inducano la perdita di peso. L’attività fisica deve essere aumentata ad almeno 30 minuti al giorno (riduzione del grasso viscerale, migliora- mento dell’insulinemia e della tolleranza glicemica) e si deve ridurre la sedentarietà. La terapia del DM2 in età adolescen- ziale deve essere impostata secondo un algoritmo dettato dalla situazione clinica del paziente (Fig. 1). L’unico farmaco Tabella 2 Metodi di valutazione dell’insulino-resi- stenza in età pediatrica

Metodo Calcolo

1. FIGR Insulinemia (pmol/L)/glicemia (mmol/L) 2. HOMA-IR ID (µU/ml) × GD (mmol/L)/22,5 3. QUICKI 1/(log ID µU/ml + log GD mg/dl)

4. WBISI 10.000/√ (GD mg/dl × ID µU/ml) × (GM × IM) 5. ISI [1,9/6 × peso corporeo (kg) × GD mmol/L + 520

– 1,9/18 × peso corporeo × area glicemica (mmol/L) sotto la curva – glucosio urinario (mmol/1,8)]/[area

insulinemica sotto la curva (pmol/ora × litro)

× peso corporeo]

Figura 1 Trattamen - to del DM2 dopo la diagnosi (modificata da: J Pediatr Endocrinol Metab 2005; Arch Med Res 2005).

(5)

approvato per l’età pediatrica dalla Food and Drug Administration (FDA) americana e dall’European Medicine Agency (EMEA) è la metformina (MTF), che migliora glicemia, livelli di HbA1c, trigliceridemia, colesterolemia totale e LDL, e non comporta ipoglicemia e aumento di peso11. Inoltre la MTF può migliorare le anomalie mestruali in adolescenti con PCOS. Se dopo 3-6 mesi la MTF non è efficace, si può con- siderare di associare un altro ipoglicemizzante orale, quali sulfonilurea o metiglinide. Se le terapie precedenti non sono efficaci e l’adolescente lamenta sintomatologia clinica asso- ciata a glicemia > 300 mg%, HbA1c> 7,5% si deve iniziare terapia con insulina. Nel paziente neodiagnosticato, supera- to lo scompenso iniziale, all’insulina si associa la terapia con MTF che, dopo miglioramento della glicemia, rimarrà l’unico farmaco11.

Forme monogeniche di diabete mellito

In pazienti con diabete mellito non autoimmune devono essere considerate altre forme di diabete mellito12.

Maturity-onset diabetes of the young (MODY)

Nel 1916 Reisman ha descritto una forma di diabete mellito a insorgenza in età pediatrica, caratterizzata da decorso non ingravescente. In seguito, studi familiari hanno permesso di definire una variante di diabete, definita MODY, quale disor- dine monogenico, ad alta penetranza con estrema variabilità fenotipica, caratterizzato da precoce insorgenza (infanzia, adolescenza, inizio età adulta, < 25 anni), ereditarietà auto- somica dominante, raramente insulino-dipendenza, spesso in assenza di sovrappeso.

All’inizio degli anni ’90 sono state descritte le prime mutazioni che hanno inquadrato il MODY come forma di diabete mono- genico13. Sono attualmente definite 11 forme di MODY, cia- scuna caratterizzata dalla mutazione di un gene differente:

il gene codificante il fattore epatico nucleare 4α (hepa- tocyte nuclear factor 4α, HNF-4α), sul braccio lungo del cromosoma 20 (MODY1);

il gene codificante la glucochinasi (GCK) sul braccio corto del cromosoma 7 (MODY2);

il gene codificante il fattore epatico nucleare 1α (hepa- tocyte nuclear factor 1α, HNF-1α), sul braccio lungo del cromosoma 12 (MODY3);

il gene codificante l’insulin promoter factor 1 (IPF-1), sul braccio lungo del cromosoma 13 (MODY4);

il gene codificante il fattore epatico nucleare 1β (hepa- tocyte nuclear factor 1β, HNF-1β), sul braccio lungo del cromosoma 17 (MODY5);

il gene codificante il fattore di trascrizione NeuroD1/BETA2 (attivatore del gene dell’insulina e necessario per lo svi- luppo delle isole pancreatiche) sul braccio lungo del cro- mosoma 2 (MODY6);

recentemente sono state identificate altre forme caratte- rizzate da diabete mellito a ereditarietà autosomica domi- nante:

una associata a mutazioni del fattore di trascrizione KLF11 che regola la trascrizione di PDX1 nella β-cellula (MODY7) e

una associata a disfunzione del pancreas esocrino secondaria a mutazione del gene CEL (carboxyl- estere-lipase) (MODY8)14-16;

più recentemente sono state segnalate altre 3 forme di MODY: il MODY9, causato da mutazioni del gene PAX417, il MODY10, causato da mutazioni del gene del- l’insulina18, e il MODY11, causato da mutazioni del gene BLK (B lymphocyte kinase)19(Tab. 3).

Per ciascuna forma di MODY il fenotipo può cambiare da un pedigree all’altro, in base al tipo di mutazione dello stesso gene. Inoltre, anche all’interno di un pedigree di pazienti porta- tori della stessa mutazione, le manifestazioni cliniche possono avere espressività molto variabile. È poi noto che molti pedi- gree, pur con fenotipo clinico MODY, non risultano portatori di nessuna delle mutazioni note e vengono definiti MODY di origi- ne sconosciuta (20-50% dei casi). Per lo più asintomatico, il MODY può manifestarsi clinicamente in corso di infezioni (vero per il MODY2, meno vero per altre forme di MODY, il cui esor- dio può avvenire in modo acuto al di fuori di infezioni). Pertanto, a meno di screening familiari, o in corso di approfondimento diagnostico per iperglicemia, la diagnosi può essere posta non precocemente. Studi familiari hanno evidenziato che il MODY è caratterizzato da una lenta progressione: da iperglicemia a digiuno, modesta, ma persistente, a ridotta tolleranza al gluco- sio, sino al diabete clinicamente manifesto.

Il riscontro di iperglicemia occasionale in un bambino (≥ 100 mg/dl), in cui si confermi una familiarità per diabete non insu- lino-trattato o diabete gestazionale, con ereditarietà autoso- mica dominante in 2-3 generazioni, deve indurre al sospetto di MODY. L’approfondimento diagnostico secondo le linee guida del Gruppo di Studio di Diabetologia Pediatrica della SIEDP permetterà di porre una diagnosi precoce di MODY, prima della comparsa di diabete clinico (Fig. 2). In particola- re si raccomanda l’esecuzione della curva da carico orale di glucosio (OGTT), poiché il MODY2 e il MODY3 presentano differenti risposte al test20.

Nella popolazione caucasica fino all’85% dei pazienti MODY sono portatori della mutazione GCK (MODY2) e, con fre- quenza minore, della mutazione HNF-1α (MODY3).

Glucochinasi (MODY2)

La glucochinasi (GCK) fosforila il glucosio in glucosio-6- fosfato nelle β-cellule pancreatiche e negli epatociti.

Un’alterata attività enzimatica della GCK mutata comporta un glucose-sensing defect con innalzamento della soglia del glucosio ematico per innescare l’insulino-secrezione. Una netta diminuzione dell’accumulo del glicogeno epatico e un aumento della neoglucogenesi dopo il pasto sono stati osservati nei pazienti con deficit di GCK, responsabili dell’i- perglicemia post-prandiale. L’iperglicemia associata al deficit di GCK è spesso lieve e meno del 50% dei soggetti presen- ta diabete clinico. Molti pazienti, talora sin dalla nascita, manifestano iperglicemia che si innalza con l’età, superando raramente in età senile 180 mg/dl. La curva da carico orale

(6)

Figura 2 Iter diagnostico dell’ipergli- cemia occasionale.

Tabella 3 Tipi di MODY.

Gene HNF-4α GCK HNF-1α IPF1 HNF-1β NEUROD1 KLF11 CEL PAX4 INS BLK

Locus

genetico 20q 7p 12q 13q 17q 2q 2p 2q 7q 11p15.5 8p23

Tipo MODY1 MODY2 MODY3 MODY4 MODY5 MODY6 MODY7 MODY8 MODY9 MODY10 MODY11

Frequenza

(% famiglie < 5% 10-65%* 20-75%* < 1% 5% < 1% Rara Rara Rara Rara Rara

MODY)

Iperglicemia Progressiva Modesta Modesta/

Progressiva Modesta/ Modesta Modesta Modesta/ Modesta Modesta/ Modesta/

progressiva progressiva progressiva progressiva progressiva Organi Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas/ Pancreas Pancreas coinvolti fegato fegato rene/altro altro rene/altro altro altro altro altro

Età minima

Prepubere Prima

Prepubere

Neonatale

Giovane Giovane Giovane Giovane Giovane Giovane alla diagnosi infanzia

(omozigote) Giovane

adulta adulta adulta adulta adulta adulta Giovane adulta

adulta (eterozigote)

Terapia Dieta

Insulina

Insulina Dieta Dieta

Dieta/ Ipog. orali/ (omozigote) Dieta/ Enzimi Dieta/ Dieta/

insulina insulina Dieta insulina pancreatici/ insulina insulina

(eterozigote) insulina

Complicanze Frequenti Rare Frequenti Rare Non definite Non definite Non definite Non definite Non definite Non definite Non definite di glucosio (OGTT) evidenzia iperglicemia a digiuno modesta

e ridotta tolleranza dopo 120′. La maggior parte dei pazien- ti è identificata durante controlli occasionali, screening fami- liari e in caso di diabete gestazionale. I soggetti con MODY2 possono presentare un basso peso alla nascita, conseguen- te al deficit insulinico fetale e, in caso di omozigosi, diabete

neonatale21. Il trattamento dei pazienti con MODY2 è dieteti- co, associato ad attività fisica. La donna con MODY2, duran- te la gravidanza, presenta diabete gestazionale che può richiedere la terapia insulinica. Nei pazienti MODY2 è riporta- ta una prevalenza inferiore delle complicanze microvascolari rispetto ai soggetti con altri tipi di MODY.

*Differente distribuzione nei vari Paesi, in base al reclutamento.

(7)

HNF-1α (MODY3)

La mutazione dell’hepatocyte nuclear factor 1-α (HNF-1α) MODY3 è la più frequente delle forme di MODY associate a mutazioni dei fattori di crescita nucleari epatocitari. Nei pazienti HNF-1α mutati è stato osservato un difetto nella secrezione insulinica senza insulino-resistenza. Il diabete mellito non è sempre clinicamente manifesto in età pediatri- ca, viene diagnosticato in adolescenza e in età adulta.

L’OGTT mostra una risposta dopo 120′ spesso già compa- tibile con diabete mellito20. In contrasto alla moderata ipergli- cemia propria del deficit di GCK, la mutazione HNF-1α determina una forma più grave di diabete, con manifestazio- ne clinica dopo la pubertà e spesso con sintomi osmotici, per la bassa soglia renale presente nel MODY3 (glicosuria, poliuria e polidipsia, anche senza grave iperglicemia).

Nell’adolescente HNF-1α mutato si può osservare chetoaci- dosi diabetica che richiede terapia insulinica, anche per lungo tempo, ma in assenza di autoanticorpi contro la β-cel- lula, marker del diabete mellito di tipo 1 autoimmune. I pazienti HNF-1α mutati sono trattati con ipoglicemizzanti orali (sulfoniluree) e in taluni casi con insulina. Le complican- ze microvascolari del diabete, in particolare retinopatia, sono osservate frequentemente.

Altre forme di MODY

Esiguo è il numero dei pazienti descritto con le altre forme conosciute di MODY.

MODY1 (HNF-4α) si caratterizza per diabete a esordio clini- co fra 10-30 anni di età, con progressivo peggioramento della tolleranza glucidica. Circa il 30% dei pazienti richiede terapia insulinica e il rischio di complicanze è elevato. Il feno- tipo clinico è simile a quello osservato nei pazienti HNF-1α mutati, ma la soglia renale è normale.

Nei soggetti eterozigoti per IPF1 (MODY4) è presente un incompleto sviluppo embrionale del pancreas, mentre nei pazienti omozigoti vi è una totale aplasia con insufficienza del pancreas endocrino (diabete neonatale) ed esocrino.

I pazienti con mutazioni del fattore di trascrizione HNF-1β (MODY5) presentano diabete mellito associato a: malforma- zioni renali (soprattutto cisti) e anomalie di sviluppo nell’ap- parato genitale. Nella figura 3 è riportata l’ecografia renale in un nostro paziente affetto da MODY 5.

Nei pazienti con MODY 8, affetti da diabete e disfunzioni del pancreas esocrino, è presente atrofia pancreatica e lipoma- tosi22.

Frequenza del MODY

Il MODY è comunemente considerato una forma relativa- mente rara di diabete, ma la sua frequenza è sottostimata, poiché l’iperglicemia può rimanere non diagnosticata fino all’età adulta.

Molto variabile è la frequenza con cui sono state identificate mutazioni dei geni MODY nelle casistiche europee esamina- te. L’analisi di famiglie MODY registrate in Francia ha eviden- ziato che il 63% delle famiglie sono GCK mutate e il 21%

sono HNF-1α mutate; addizionali loci MODY sconosciuti rappresentano il 16% delle famiglie23. In contrasto, il MODY2 rappresenta soltanto l’11% dei casi MODY nello studio con- dotto nel Regno Unito, mentre mutazioni HNF-1α prevalgo- no nettamente (65%)15. Lo studio condotto su un’ampia casistica italiana ha documentato mutazioni di GCK nel 63,4% dei casi con diagnosi clinica di MODY, di HNF-1α nel 7% dei casi e assenza di mutazioni note nel 29,6% dei rima- nenti pazienti. Questi dati epidemiologici contrastanti sono da attribuire a un differente background genetico delle popo- lazioni esaminate o possono riflettere, almeno in parte, un bias nel reclutamento delle famiglie, in rapporto anche all’e- tà dei soggetti indagati24,25. Le altre forme di MODY sono comunque rare nelle popolazioni europee16,26.

Sindrome di Wolfram

La sindrome di Wolfram è un disordine degenerativo a lenta progressione, che comprende segni e sintomi riassunti dal-

Figura 3 Ecografie renali: cisti corticali in un bambino con diabete mellito da mutazione HNF-1β (MODY5).

(8)

l’acronimo DIDMOAD (diabetes insipidus, diabetes mellitus, optic atrophy and deafness)27. I pazienti presentano solita- mente nella prima decade di vita diabete mellito, a patoge- nesi non autoimmune, e atrofia ottica28. La diagnosi clinica di sindrome di Wolfram si basa infatti sul riscontro in età infan- tile di diabete mellito e atrofia ottica, la cui associazione pre- senta un valore predittivo positivo pari all’83%.

Entro la seconda decade si manifestano diabete insipido e sordità29. Altri segni o sintomi addizionali della sindrome sono: disfunzioni urinarie (dilatazione delle vie urinarie e ato- nia vescicale), disordini neurologici (atassia, insonnia, mioclo- nie, nistagmo orizzontale, riduzione delle risposte riflesse periferiche, disartria, episodi di apnea centrale, perdita del gusto e dell’olfatto)28,30(Fig. 4). Sono inoltre riportate dismo- tilità gastrointestinale e disturbi psichiatrici quali depressione, psicosi e tendenze suicidarie31,32. Di più raro riscontro sono:

cataratta, retinopatia non proliferativa, disfunzione ipofisaria con deficit di ormone della crescita, ulcera peptica, anemia sideroblastica e trombocitopenia. Nel 60% circa dei pazienti la morte sopraggiunge tra la seconda e la quarta decade di vita, ed è dovuta a insufficienza respiratoria per atrofia del tronco encefalico o a insufficienza renale secondaria a infe- zioni del tratto urinario. Il decesso può avvenire anche per disfunzione estesa del sistema nervoso centrale, scomparsa del riflesso faringeo, frequenti episodi di aspirazione gastrica, gravi crisi ipoglicemiche nei pazienti insulino-trattati. La mor- talità per sindrome di Wolfram è ben superiore rispetto al dia- bete mellito di tipo 1: più della metà dei pazienti non supera i 35 anni di vita. La prevalenza della sindrome di Wolfram è 1:770.000 casi nel Regno Unito, e quella dei portatori 1:354.

Viene trasmessa con modalità autosomica recessiva, con un rischio di ricorrenza della malattia nel 25% dei fratelli, ed è riportata un’alta frequenza di consanguineità nei genitori27. Un’elevata prevalenza di diabete mellito è riportata nei parenti di primo grado dei pazienti.

Gene WFS1

La sindrome di Wolfram era considerata una malattia secondaria a delezioni o mutazioni del DNA mitocondriale sino al 1998, quando è stato scoperto un gene nucleare responsabile33. Tale gene, denominato Wolframina (WFS1), è mappato sul cromosoma 4p16.1 ed è costituito da 8 esoni (33,4 kb del DNA genomico). Il primo esone non è codificante, gli esoni 2-7 sono piccoli esoni codificanti e l’esone 8, il più esteso, è lungo 2,6 kb. Il gene WFS1 tra- scrive un mRNA di 3,6 kb che, in base all’analisi Northern Blot, risulta espresso nel cuore umano adulto, cervello, placenta, polmone e pancreas. L’mRNA della wolframina codifica un polipeptide di 890 aminoacidi, di massa mole- colare 100 kd. Il gene WFS1 non è stato localizzato nei mitocondri, ma è stato identificato in neuroni di ippocam- po, amigdala, tubercolo olfattivo e allocorteccia, strutture appartenenti o associate al sistema limbico, quindi coinvolte nelle alterazioni psichiatriche osservate nei pazienti.

La principale funzione della proteina WFS1, glicoproteina localizzata prevalentemente a livello del reticolo endoplasma- tico, è la regolazione del flusso ionico transmembrana e la regolazione dell’omeostasi del calcio34. La proteina WFS1 svolge un ruolo essenziale nel regolare la sopravvivenza e il mantenimento di alcune linee cellulari neuronali ed endocri- ne, fra cui le β-cellule pancreatiche, attraverso l’apoptosi mediata dallo stress del reticolo endoteliale34,35. L’analisi del gene WFS1 in pazienti con sindrome di Wolfram, valutati presso l’Istituto Gaslini, ha evidenziato mutazioni distribuite su tutto il gene, senza un’associazione fra tipo di mutazione e presenza di segni o sintomi clinici36,37. Se la mutazione del gene WFS1 è nota, è possibile fornire un consiglio genetico ed effettuare diagnosi prenatale.

Figura 4 Storia natura- le della sindrome di Wolfram (modificata da Barrett, J Med Genet 1997;34:838).

DM: diabete mellito; AO:

atrofia ottica; DI: diabete insipido; S: sordità; R:

anormalità di reni e vie urinarie; A: atassia.

(9)

Aspetti clinici Diabete mellito

È una forma di diabete mellito insulino-trattato, simile al dia- bete mellito di tipo 1, dal quale si differenzia per l’assenza di antigeni HLA, osservati nel DM1, e di marker immunologici, quali gli autoanticorpi anti-decarbossilasi dell’acido glutam- mico (GADA), anti-tirosinfosfatasi (IA-2A) e anti-insulina (IAA).

La determinazione del C-peptide basale e dopo stimolo con glucagone fornisce risultati discordanti: completo deficit di insulina in alcuni pazienti, riserve significative in altri. Studi di immunoistochimica hanno documentato una compromissio- ne esclusiva delle β-cellule, con normale attività delle altre cellule delle insule e della porzione esocrina del pancreas. Le complicanze microangiopatiche del diabete mellito, la retino- patia diabetica e la neuropatia periferica sono assenti, o a lenta progressione, tranne in casi eccezionali.

Atrofia del nervo ottico

L’atrofia del nervo ottico nella sindrome di Wolfram può pre- sentarsi anche prima del diabete mellito clinico. Si manifesta con perdita o riduzione della visione dei colori e riduzione dell’acutezza visiva, inizialmente asintomatica, che progredi- sce lentamente e porta alla cecità nella maggior parte dei casi. La diagnosi di atrofia ottica si fonda su un esame oftal- mologico, con la misurazione dell’acutezza visiva, e nell’ese- cuzione di un test per la motilità oculare e nell’esame del fun- dus, con particolare riguardo alla papilla. La diagnosi si avva- le inoltre di indagini elettrofisiologiche (studio dei potenziali evocati visivi e del campo visivo, che mostra scotomi centrali e riduzione del campo visivo periferico). Atrofia dei nervi otti- ci è inoltre evidenziabile alla risonanza magnetica nucleare encefalica, come riportato in un nostro paziente (Fig. 5).

L’atrofia dei nervi ottici è conseguenza della mutazione del gene WFS1 che compromette la sopravvivenza delle cellule gangliari della retina con atrofia anterograda degli assoni e alterazioni dei nervi ottici.

Diabete insipido centrale

Si manifesta in circa il 70% dei casi nella seconda decade di vita. Il quadro clinico è caratterizzato dalla presenza di poli- dipsia e di poliuria, e la diagnosi è confermata dal test di assetamento. La natura centrale del diabete insipido è con- fermata dagli studi di risonanza magnetica, che mostrano una riduzione di segnale nell’ipotalamo e nell’ipofisi posterio- re (Fig. 5). Studi su reperti autoptici hanno confermato una diffusa atrofia dei nuclei sopraottico e paraventricolare ipota- lamici.

Ipoacusia-sordità centrale

Si manifesta, come il diabete insipido centrale, nella secon- da decade di vita (età media 16 anni). È secondaria a danno del nervo acustico di tipo neurodegenerativo, che interessa i

toni più alti (più di 80 decibel su 4000 Hz). La compromissio- ne uditiva può essere conseguenza non solo di una disfun- zione dei neuroni della coclea e delle fibre del nervo acusti- co, ma anche di compromissione neurodegenerativa del ponte e del collicolo inferiore.

Manifestazioni del tratto urinario

Sono conseguenza di disfunzioni vescico-sfinteriche neuro- gene, caratteristiche di pazienti con patologie del sistema nervoso centrale e/o periferico. La disfunzione urologica non si presenta sempre con dilatazione e atonia vescicale; comu- ne è il riscontro di bassa capacità e alta pressione vescicale con presenza di dissinergia sfinterica. Le manifestazioni uro- logiche della sindrome rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo di infezioni ricorrenti che possono portare a insufficienza renale, una delle principali cause di morte nei pazienti.

Diabete mellito e mutazioni del DNA mitocondriale

In ampia espansione è il numero delle sindromi associate a mutazioni del DNA mitocondriale (mtDNA), nelle quali il dia- bete mellito può essere una manifestazione clinica associata o predominante38.

Le malattie mitocondriali costituiscono un gruppo eterogeneo di disordini nei quali la disfunzione mitocondriale viene sospettata e/o diagnosticata sulla base di criteri clinici, mor- fologici, biochimici e genetico-molecolari. Il mitocondrio, organello situato nel citosol dove svolge un ruolo essenziale per la produzione di energia necessaria al metabolismo cellu- lare, è sotto il controllo non solo del DNA nucleare, ma anche di un proprio ed esclusivo DNA, il DNA mitocondriale Figura 5 Sindrome di Wolfram: atrofia nervi ottici e chiasma.

(10)

(mtDNA). Il mtDNA umano è costituto da una doppia elica cir- colare di 16.569 paia di basi, possiede un proprio codice genetico che differisce dal codice universale in 4 dei 64 codo- ni e contiene geni codificanti per 2 RNA ribosomiali (12s e 16s), per 22 RNA di trasferimento (tRNA) e per 13 polipepti- di, tutte subunità enzimatiche dei complessi della catena respiratoria. Mentre nei tessuti normali tutte le molecole di mtDNA sono identiche (“omoplasmia”), se esiste una muta- zione del mtDNA, questa può risultare nella coesistenza di mtDNA normale e mtDNA mutato (“eteroplasmia”).

Solitamente le mutazioni silenti sono omoplasmiche, mentre quelle patogene sono eteroplasmiche. Un numero critico minimo di mtDNA mutato è richiesto per causare la disfunzio- ne mitocondriale in un particolare organo o tessuto (e per divenire fenotipicamente manifesto), ed è definito “effetto soglia”: di conseguenza l’espressione clinica di una mutazio- ne patogena del mtDNA è determinata dalla proporzione di geni normali e mutati all’interno delle singole cellule dei diver- si tessuti, con ampia variabilità di espressione clinica. Il mtDNA possiede una genetica specifica in quanto viene tra- smesso per via materna: al momento della fertilizzazione infatti, tutti i mitocondri, e quindi tutto il DNA mitocondriale, vengono forniti dalla cellula uovo. Le modalità di trasmissione del mtDNA e delle malattie a esso associate differiscono da quelle mendeliane. Una madre che porta una mutazione pun- tiforme la trasmetterà a tutti i figli (maschi e femmine), mentre solo le femmine passeranno la loro mutazione alla progenie38. Mutazioni del mtDNA causano un deficit di energia cellulare che si esprime clinicamente in malattie interessanti la mag- gior parte degli organi altamente dipendenti dal metabolismo ossidativo, prevalentemente il muscolo e il cervello (da cui il termine encefalomiopatie mitocondriali), e in misura minore il cuore, il fegato, il rene, gli organi ematopoietici, le ghiandole endocrine e le isole pancreatiche di Langerhans (Tab. 4).

Numerose mutazioni puntiformi e riarrangiamenti del mtDNA sono stati identificati in famiglie affette da diabete mellito non autoimmune, con fenotipo clinico mitocondriale, da cui l’in- troduzione del termine “diabete mitocondriale”39,40. La mag- gior parte delle delezioni del mtDNA è associata a un preco- ce esordio del diabete, dai primi mesi di vita ai 5-10 anni, mentre pazienti con mutazioni del mtDNA presentano un’in- sorgenza più tardiva, generalmente tra la terza e la quarta decade di vita. In base quindi alla frequenza e alla diversità delle malattie mitocondriali associate a diabete, è importan- te che il clinico sia a conoscenza di queste sindromi e del loro modo di trasmissione. La trasmissione materna del dia- bete, in associazione con altre patologie i cui sintomi posso- no essere sfumati o relativamente aspecifici, quali miopatia, sordità neurosensoriale, cefalee di tipo emicranico, crisi epi- lettiche, bassa statura, atassia, oftalmoplegia, è suggestiva di malattia mitocondriale. La diagnosi di diabete mellito può essere secondaria al riscontro di iperglicemia occasionale, che lentamente evolve in ridotta tolleranza ai carboidrati e in diabete mellito manifesto, oppure per la presenza dei sinto- mi associati a iperglicemia, ma senza chetoacidosi diabetica.

La terapia insulinica sostitutiva permette un buon controllo dell’andamento glicemico, con un fabbisogno non partico- larmente elevato.

Lipodistrofie

Esistono forme di lipodistrofia, caratterizzate da perdita di tessuto adiposo, associate ad alcune malattie rare. In base alla distribuzione della lipodistrofia, si distinguono forme par- ziali e forme generalizzate41.

Si conoscono tre forme di lipodistrofia familiare parziale, e una forma di lipodistrofia acquisita parziale. Le forme di lipo- distrofia familiare parziale possono presentare diabete melli- to di tipo 2 con insulino-resistenza; è spesso presente anche dislipidemia. Sono a oggi note le mutazioni genetiche re - sponsabili della lipodistrofia familiare parziale di tipo 2 (gene della laminina A/C) e del tipo 3 (gene per il recettore gamma attivatore della proliferazione perossisomiale). La lipodistrofia acquisita parziale si caratterizza per l’elevata frequenza di glomerulonefriti e altre malattie a patogenesi autoimmune, mentre il diabete mellito con insulino-resistenza è raro. La lipodistrofia familiare parziale si manifesta tipicamente dopo la pubertà, è più evidente nelle donne e si associa tipicamen- te a insulino-resistenza e a steatosi epatica.

Tabella 4 Principali organi/apparati interessati da mutazione del DNA mitocondriale - Segni/sintomi clinici.

Organo/Apparato Segni/Sintomi Sistema nervoso centrale Ritardo psicomotorio

Regressione psicomotoria Atassia

Mioclono Convulsioni

Emiparesi/emianopsia Cecità corticale Distonia Cefalea

Sistema nervoso periferico Neuropatia periferica

Muscolo Debolezza

Ptosi Oftalmoplegia

Occhio Retinopatia pigmentosa

Cataratta Atrofia ottica

Sangue Anemia sideroblastica

Endocrino Diabete insipido e mellito Bassa statura

Ipo-paratiroidismo

Cuore Cardiomiopatia

Blocco di conduzione

Gastrointestinale Disfunzione pancreatica esocrina Pseudo-ostruzione intestinale

Rene Sindrome DeToni-Fanconi

Orecchio Sordità

Biopsia muscolare Ragged red fibers

(11)

Le forme di lipodistrofia generalizzata possono essere con- genite o acquisite. Si conoscono due forme di lipodistrofia generalizzata congenita: il tipo 1 (Berardinelli-Seip tipo 1), dovuta a mutazione del gene AGPAT2; e il tipo 2 (Berardinelli-Seip tipo 2) dovuta a mutazione del gene della seipina. In entrambi i casi la lipodistrofia inizia dopo la nasci- ta o nell’infanzia, e si caratterizza per la comparsa di diabe- te mellito, ipertrigliceridemia, steatosi epatica, acanthosis nigricans. Il tipo 2 presenta un fenotipo più grave. La lipodi- strofia generalizzata acquisita inizia nell’infanzia o nell’adole- scenza e coesistono acanthosis nigricans e steatosi epatica.

Conclusioni

Sempre più numerose sono le forme di diabete mellito non autoimmune presenti già nell’infanzia e nell’adolescenza.

Queste forme, seppur complessivamente meno frequenti rispetto al diabete mellito di tipo 1 autoimmune, richiedono innanzitutto un’attenta anamnesi personale e familiare per un primo orientamento nella diagnosi clinica. Per il completa- mento dell’iter diagnostico e la definizione eziologica del dia- bete mellito non autoimmune è indispensabile il supporto del laboratorio. Una corretta diagnosi permette non solo il trat - tamento più opportuno e la pianificazione del follow-up del paziente, ma anche di fornire un consiglio genetico alla famiglia.

Conflitto di interessi

Nessuno.

Bibliografia

1. Alberti G, Zimmet P, Shaw J, Bloomgarden Z, Kaufman F, Silink M for the Consensus Workshop Group. Type 2 diabetes in the young:

The evolving epidemic. The International Diabetes Federation Consensus Workshop. Diabetes Care 2004;7:1798-811.

2. Pinhas-Hamiel O, Zeitler P. The global spread of type 2 diabetes mellitus in children and adolescents. J Pediatr 2005;46:693-700.

3. Invitti C, Guzzaloni G, Gilardini L, Morabito F, Viberti G.

Prevalence and concomitants of glucose tolerance in European obese children and adolescents. Diabetes Care 2003;6:118-24.

4. Florez JC, Jablonsky KA, Bayley N, Pollin TI, de Bakker PI, Shuldiner AR et al. for the Diabetes Prevention Program Research Group. TF7L2 polymorphisms and progression to dia- betes in the Diabetes Prevention Program. N Engl J Med 2006;55;241-50.

5. Finken MJJ, Keijzer-Veen MG, Dekker FW, Frölich M, Hille ETM, Romijn JA et al. Preterm birth and later insulin resistance: effects of birth weight and postnatal growth in a population-based lon- gitudinal study from birth into adult life. Diabetologia 2006;9:478-85.

6. Mandato C, Lucariello S, Licenziati MR, Franzese A, Spagnuolo MI, Ficarella R et al. Metabolic, hormonal, oxidative, and inflam- matory factors in pediatric obesity-related liver disease.

J Pediatr 2005;47:62-6.

7. Eppens MC, Craig ME, Cusumano J, Hing S, Chan AK, Howard NJ et al. Prevalence of diabetes complications in adolescents with type 2 compared with type 1 diabetes. Diabetes Care 2006;9:1300-6.

8. Libman IM, Becker DJ. Coexistence of type 1 and type 2 dia- betes mellitus: double diabetes? Pediatric Diabetes 2003;

4:110-3:

9. Guzzaloni G, Grugni G, Mazzilli G, Moro D, Morabito F.

Comparison between β-cell function and insulin resistance indexes in prepubertal and pubertal obese children. Metabolism 2002;1:1011-6.

10. d’Annunzio G, Vanelli M, Pistorio A, Minuto N, Bergamino L, Iafusco D et al.; Diabetes Study Group of the Italian Society for Pediatric Endocrinology and Diabetes. Insulin resistance and secretion indexes in healthy Italian children and adolescents: a multicentre study. Acta Biomed 2009;80:21-8.

11. Jones KL, Arslanian S, Peterokova VA, Park JS, Tomlinson MJ.

Effect of metformin in pediatric patients with type 2 diabetes: a randomized controlled trial. Diabetes Care 2002;5:89-94.

12. Barrett TG. Differential diagnosis of type 1 diabetes: which genetic syndromes need to be considered? Pediatr Diabetes 2007;8(suppl. 6):15-23.

13. Fajans SS, Bell GB, Polonsky KS. Molecular mechanisms and clinical pathophysiology of maturity-onset diabetes of the young. N Engl J Med 2001;345;971-801.

14. Massa O, Meschi F, Cuesta-Muñoz A, Caumo A, Cerutti F, Toni S et al. and the Diabetes Study Group of the Italian Society of Paediatric Endocrinology and Diabetes (SIEDP). High preva- lence of glucokinase mutations in Italian children with MODY.

Influence on glucose tolerance, first-phase insulin response, insulin sensitivity and BMI. Diabetologia 2001;44:898-905.

15. Ellard S, Bellannné-Chantelot C, Hattersley AT and European Molecular Genetics Quality Network (EMGQN) MODY Group.

Best practice guidelines for the molecular genetic diagnosis of maturity-onset diabetes of the young. Diabetologia 2008;51:

546-53.

16. Owen K, Hattersley AT. Maturity-onset diabetes of the young:

from clinical description to molecular genetic characterization.

Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 2001;15:309-23.

17. Plengvidhya N, Kooptiwut S, Songtawee N, Doi A, Furuta H, Nishi M et al. PAX4 mutations in Thais with maturity onset dia- betes of the young. J Clin Endocrinol Metab 2007;92:2821-6.

18. Molven A, Ringdal M, Nordbø AM, Raeder H, Støy J, Lipkind GM et al.; Norwegian Childhood Diabetes Study Group, Bell GI, Njølstad PR. Mutations in the insulin gene can cause MODY and autoantibody-negative type 1 diabetes. Diabetes 2008;

57:1131-5.

19. Borowiec M, Liew CW, Thompson R, Boonyasrisawat W, Hu J, Mlynarski WM et al. Mutations at the BLK locus linked to matu- rity onset diabetes of the young and beta-cell dysfunction. Proc Natl Acad Sci USA 2009;106(34):14460-5.

20. Stride A, Vaxillaire M, Tuomi T, Barbetti F, Njølstad PR, Hansen T et al. The genetic abnormality in the beta cell determines the response to an oral glucose load. Diabetologia 2002;45:427-35.

21. Njølstad PR, Søvik O, Cuesta-Muñoz A, Bjørkhaug L, Massa O, Barbetti F et al. Neonatal diabetes mellitus due to complete glu- cokinase deficiency. N Engl J Med 2001;344:1588-92.

22. Raeder H, Johansson S, Holm PI, Haldorsen IS, Mas E, Sbarra V et al. Mutations in the CEL VNTR cause a syndrome of dia- betes and pancreatic exocrine dysfunction. Nature Genetics 2006,38:54-62.

23. Bellanné-Chantelot C, Carette C, Riveline JP, Valéro R, Gautier JF, Larger E et al. The type and the position of HNF1A mutation mod-

Riferimenti

Documenti correlati

I risultati ottenuti con i test di confronto della concentrazione degli elementi presenti nelle donne sane e diabetiche hanno confermato l’esistenza di una differenza

Nell’uomo affetto da diabete di tipo 1, la gestione terapeutica si basa solitamente sulla somministrazione mono-giornaliera di una insulina ultralenta alla quale si associano

Il follow-up dello studio finlandese Diabetes Prevention Study ha dimo- strato, anche dopo anni dalla sospensione del protocol- lo intensivo, la durata dei

In conclusione, l’impiego di una insulina basale per iniziare la terapia insulinica nel paziente con DMT2 rappresenta un modo semplice ed efficace per ottene- re un

In definitiva, quindi, gli analoghi del GLP-1 sono molecole che hanno dimostrato in maniera convincen- te, in pazienti con diabete tipo 2, di essere efficaci nel migliorare il

peptidi in grado di stimolare prevalentemente le cellule Th1, mentre gli alleli protettivi presenterebbero una maggiore affinità per peptidi capaci di indurre una proliferazione

Il diabete mellito è una malattia cronica che interessa il metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine, caratterizzata da un patologico aumento della concentrazione

Un aumento di lipidi nelle cellule β infuenza il controllo della secrezione di insulina contribuendo allo sviluppo del diabete di tipo 2.