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Impatto clinico dell'ExtraCorporeal Membrane Oxygenation (ECMO) nei pazienti sottoposti a trapianto di polmone: analisi della nostra esperienza.

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Tesi di Specializzazione

Scuola di Specializzazione in Chirurgia Toracica Università degli studi di Pisa

Impatto clinico dell’ExtraCorporeal Membrane Oxygenation

(ECMO) nei pazienti sottoposti a trapianto di polmone: analisi

della nostra esperienza

Relatore Chiar.mo Prof. P. Paladini

Candidato

Dott. Roberto Corzani

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INDICE

Capitolo 1 Il Trapianto di polmone

………...3

1.1 Cenni storici………4

1.2 Indicazioni e controindicazioni al trapianto ………...5

1.3 Scelta del tipo di trapianto………..8

1.4 Tecnica del prelievo di polmone……….... 9

1.5 Tecnica chirurgica del trapianto………...10

1.6 Trattamento postoperatorio………...12

1.7 Complicanze………..13

Capitolo 2 L’Extracorporeal Membrane Oxygenation (ECMO)

………...19

2.1 Cenni storici………..20

2.2 Indicazioni……….21

2.3 Controindicazioni………..22

2.4 Tecniche e funzionamento……….22

2.5 Complicanze………..26

Capitolo 3 Impatto clinico dell’ECMO nei pazienti sottoposti a trapianto di

polmone: analisi della nostra esperienza………...29

3.1 Materiali e metodi………...30

3.2 Risultati……….33

3.3 Discussione………...53

3.4 Conclusioni………...56

(3)

3

Capitolo 1

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1.1 Cenni storici

L’allotrapianto è definito come il trasferimento in un ricevente di un organo prelevato da donatore della stessa specie. In Italia è stato autorizzato dal Ministero competente nel 1985.

Il trapianto di polmone rappresenta oggi un’opzione terapeutica salvavita per pazienti affetti da patologie parenchimali e vascolari polmonari allo stadio terminale, di natura non maligna, refrattarie alle terapie mediche.

Il primo trapianto di polmone è stato effettuato nel 1963 dal Dr. James D. Hardy su un paziente affetto da cancro al polmone da donatore deceduto per infarto massivo del miocardio, con una sopravvivenza di soli 18 giorni1. Nei successivi 20 anni sono stati effettuati circa 40 trapianti, senza alcun successo a lungo termine2: la maggior parte dei decessi è avvenuta nelle prime due settimane dal trapianto per insufficienza respiratoria secondaria a rigetto, infezione, o entrambi, mentre dopo i primi 14 giorni la maggior parte delle morti si attribuiva a deiscenza dell’anastomosi bronchiale, dovuta per lo più agli alti dosaggi perioperatori di corticosteroidi3.

L’introduzione della ciclosporina nella terapia immunosoppressiva e la conseguente diminuzione dei dosaggi di corticosteroidi hanno permesso di ridurre l’incidenza sia delle reazioni da rigetto sia delle deiscenze dell’anastomosi bronchiale4, riducendo la mortalità dopo un trapianto polmonare.

Il primo trapianto coronato da successo risale al 7 Novembre 1983, effettuato su un uomo di 58 anni con fibrosi polmonare5. Da allora il trapianto di polmone ha conosciuto un progressivo sviluppo tanto che ad oggi sono stati eseguiti oltre 51000 trapianti, con una media di circa 3000 trapianti l’anno.

Stando alle ultime linee guida internazionali per la selezione dei candidati al trapianto polmonare proposte dall’International Society for Heart and Lung Transplantation (ISHLT), il trapianto di polmone andrebbe considerato per i pazienti adulti con patologia polmonare cronica, end-stage, in peggioramento, che rispondono a tutti i seguenti criteri generali6:

- Alto ( > 50%) rischio di decesso per patologia polmonare entro due anni, nonostante un’ottimale terapia medica, se il trapianto polmonare non viene

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5 effettuato;

- Alta ( > 80%) probabilità di sopravvivenza ad almeno 90 giorni dopo il trapianto polmonare;

- Alta ( > 80%) probabilità di sopravvivenza a 5 anni dopo trapianto, da una prospettiva medica generale, a condizione che ci sia un’adeguata funzionalità dell’organo.

1.2 Indicazioni e controindicazioni al trapianto

Considerato che il trapianto di polmone costituisce una terapia complessa, caratterizzata da una morbidità e una mortalità perioperatoria significativa, è importante considerare una somma complessiva di controindicazioni.

Si può parlare di controindicazioni assolute, tra cui si ricorda:

- Recente storia di neoplasia, considerando prudente un intervallo libero di almeno 5 anni nella maggior parte dei casi, soprattutto in pazienti con storia di tumore ematologico, sarcoma, melanoma o cancri alla mammella, alla vescica o al rene; - Disfunzione significativa intrattabile di un altro organo (cuore, fegato, rene o

cervello), a meno che non possa essere eseguito un trapianto d’organo combinato;

- Patologia aterosclerotica non corretta con sospetto o conferma di ischemia o disfunzione d’organo terminale, e/o coronaropatia non trattabile con rivascolarizzazione;

- Instabilità acuta, compreso, ma non limitato a, sepsi acuta, infarto del miocardio e insufficienza epatica;

- Diatesi emorragica non correggibile;

- Infezione cronica da agenti virulenti o resistenti che possono essere mal controllati dopo il trapianto;

- Evidenza di infezione attiva da Mycobacterium tubercolosis;

- Importante deformità della gabbia toracica o della colonna dorsale, tale da causare severa restrizione dopo il trapianto;

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- Non aderenza o storia di non aderenza alla terapia medica, con rischio di non aderenza dopo il trapianto;

- Condizioni psicologiche o psichiatriche associate a incapacità a cooperare con il team di curanti e/o ad aderire alla complessa terapia medica;

- Assenza di un adeguato sistema di supporto sociale;

- Stato funzionale severamente limitato con basso potenziale di riabilitazione; - Abuso o dipendenza da sostanze.

Tra le controindicazioni relative, invece, si ha:

- Età superiore a 65 anni in associazione a bassa riserva fisiologica e/o altre controindicazioni relative;

- Obesità di I grado (BMI 30.0-34.9 kg/m2), soprattutto con obesità centrale; - Progressiva o severa malnutrizione;

- Osteoporosi severa, sintomatica;

- Precedente intervento toracico con resezione polmonare; - Ventilazione meccanica e/o supporto extracorporeo;

- Colonizzazione o infezione da parte di batteri, funghi e alcune specie di micobatteri con alta resistenza o virulenza;

- Altre patologie mediche che non hanno portato a danno terminale d’organo, come diabete mellito, ipertensione sistemica, epilessia, ostruzione venosa centrale, ulcera peptica o malattia da reflusso, che dovrebbero essere trattati in maniera ottimale prima del trapianto;

- Infezione da HBV, HCV o HIV.

Per quanto riguarda invece le indicazioni, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), includendo l’enfisema e il deficit da α1anti-tripsina, è stata per molti anni l’indicazione più comune in tutto il mondo, rappresentando circa due terzi di tutte le procedure eseguite (quasi il 62%, secondo quanto riportato nel registro ISHLT del 2003), mentre ad oggi a livello mondiale rappresenta circa il 25% delle procedure, scendendo al secondo posto.

Più recentemente, il numero dei trapianti effettuati per Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) è costantemente aumentato, in particolare negli Stati Uniti, dove anche nell’anno 2015 ha rappresentato la principale indicazione al trapianto (30,5%), mentre nella statistica mondiale ricopre circa il 26.1% delle diagnosi.

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7 La Fibrosi Cistica (FC) è la terza indicazione maggiore al trapianto polmonare, corrispondendo ad oggi circa il 15% delle procedure.

Diagnosis SLT (N=17,213) BLT (N=32,789) TOTAL (N=50,002) COPD 6,999-40.7% 8,674 (26.5%) 15,673 (31.3%) IIP 5,979-34.7% 6,264 (19.1%) 12,243 (24.5%) CF 209 (1.2%) 7,686 (23.4%) 7,895 (15.8%) ILD-not IIP 977 (5.7%) 1,608 (4.9%) 2,585 (5.2%) A1ATD 784 (4.6%) 1,784 (5.4%) 2,568 (5.1%) Retransplant 874 (5.1%) 1,174 (3.6%) 2,048 (4.1%) IPAH 87 (0.5%) 1,348 (4.1%) 1,435 (2.9%) Non CF-bronchiectasis 64 (0.4%) 1,293 (3.9%) 1,357 (2.7%) Sarcoidosis 307 (1.8%) 941 (2.9%) 1,248 (2.5%) PH-not IPAH 129 (0.7%) 648 (2.0%) 777 (1.6%) LAM/tuberous sclerosis 141 (0.8%) 359 (1.1%) 500 (1.0%) OB 75 (0.4%) 354 (1.1%) 429 (0.9%) CTD 122 (0.7%) 240 (0.7%) 362 (0.7%) Cancer 7 (0.0%) 27 (0.1%) 34 (0.1%) Other 459 (2.7%) 389 (1.2%) 848 (1.7%)

Tabella 1. Trapianti polmonari negli adulti, maggiori indicazioni dal 1995 al 2015 (ISHLT 2016)

Altre indicazioni meno comuni includono sarcoidosi, bronchiectasie non correlate con la FC, la linfangioleiomiomatosi (LAM), la microlitiasi polmonare e la bronchiolite obliterante da rigetto cronico. La principale indicazione per il trapianto tra le patologie vascolari, ovvero l’ipertensione arteriosa polmonare idiopatica (IPAH), attualmente costituisce solo il 2.9% delle procedure, e questo è dovuto agli importanti progressi nella gestione medica di questi pazienti.

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1.3 Scelta del tipo di trapianto

Sebbene i risultati a lungo termine del trapianto bilaterale supportino l’evidenza di una migliore sopravvivenza rispetto al trapianto singolo, la cronica scarsità di donatori non permette di attuare in tutti i pazienti il trapianto di entrambi i polmoni. La scelta del tipo di procedura da proporre, quindi, va discussa caso per caso, tenendo comunque presente che per alcune patologie il trapianto bilaterale è obbligatorio.

BPCO

Nella BPCO vengono effettuati sia trapianti singoli sia bilaterali, e non è chiaro quale sia la procedura migliore7. Il trapianto singolo è un intervento più semplice e breve, che rende possibile l’utilizzo del polmone controlaterale per un altro ricevente, oltre ad una maggiore possibilità di ridurre il tempo di attesa in lista. D’altro canto vi è il problema dell’iperinflazione del polmone nativo rimanente, che provvede una minore riserva funzionale in caso di rigetto cronico a distanza. Il trapianto bilaterale è invece un intervento più lungo e gravato da maggior tasso di complicanze. Il trapianto singolo quindi potrebbe essere vantaggioso nei pazienti più anziani o a più alto rischio, per coloro che hanno avuto pregressi interventi ad un emitorace o pleurodesi, o per pazienti con una significativa asimmetria nella distribuzione di eventuali bolle o della funzione polmonare. Il trapianto bilaterale è da preferirsi nei pazienti più giovani, che meglio possono tollerare la procedura ed hanno un’aspettativa di vita maggiore, nei pazienti con bolle estese in entrambi i polmoni e in quelli con una severa componente bronchitica. Da un punto di vista del guadagno funzionale respiratorio, le differenze tra le due procedure sono accettabili. La sopravvivenza a lungo termine è a vantaggio del trapianto bipolmonare8.

FIBROSI POLMONARE

Il trapianto singolo rappresenta l’intervento ideale per i pazienti con fibrosi polmonare, in cui di solito non vi sono problemi settici. Un problema che si può presentare nell’immediato post-operatorio è che sia la ventilazione, sia la perfusione si indirizzino preferibilmente sul polmone trapiantato, più compliante e con resistenze più basse, traducendosi in una sindrome simile all’edema da riperfusione. Raramente è obbligatorio comunque il trapianto bilaterale e non è chiaro se vi sia differenza di sopravvivenza tra i trapianti monopolmonari o bilaterali9.

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9 FIBROSI CISTICA

Il trapianto singolo non ha praticamente ruolo nelle patologie settiche, perché lasciare in sede un polmone nativo infetto condurrebbe ad una sepsi dell’organo trapiantato, per cui risulta d’obbligo il bilaterale. Nei pazienti portatori di FC, in genere di piccole dimensioni, è descritto l’uso di trapianto lobare, sia da cadavere che da donatore vivente10.

IPERTENSIONE POLMONARE

Nei pazienti affetti da ipertensione polmonare sono stati effettuati trapianti sia di cuore-polmone sia di doppio cuore-polmone, anche se non esistono criteri oggettivi per stabilire la reversibilità della disfunzione sistolica del VD e/o della disfunzione diastolica del VS. Di conseguenza, ogni centro ha sviluppato una specifica strategia per stabilire il tipo di trapianto da eseguire nel singolo paziente. Tuttavia, data la ridotta disponibilità di organi, la maggior parte dei pazienti viene inserita in lista di attesa per trapianto di doppio polmone. Sono stati eseguiti sia trapianti di polmone singolo sia di doppio polmone con risultati apparentemente simili in termini di sopravvivenza. Tuttavia, in caso di trapianto di polmone singolo, eventuali complicanze a carico del graft sono associate a ipossiemia di grado severo. Attualmente, la maggior parte dei centri nel mondo preferisce il trapianto di doppio polmone, come mostrato dai dati del registro dell’International Society for Heart and Lung Transplantation. La sopravvivenza a 3 e 5 anni dal trapianto è del 55% e 45%, con un tasso di sopravvivenza analogo tra trapianto singolo e bilaterale.

1.4 Tecnica del prelievo di polmone

Dopo sternotomia mediana longitudinale si procede all’apertura del pericardio e delle pleure mediastiniche e si passa all’esplorazione diretta dei polmoni. Stabilita l’idoneità dei polmoni, le équipes cardiaca e toracica procedono alla preparazione del cuore e dei polmoni per il loro prelievo, contemporaneamente l’équipe di chirurghi addetta al prelievo degli organi addominali esegue la laparotomia e procede alla valutazione e successivamente alla preparazione degli organi da prelevare (fegato, reni, pancreas). Viene circondata con un laccio l’aorta ascendente, si liberano e si circondano le vene cave superiore ed inferiore; si circonda con un laccio la trachea, rispettando il tessuto peritracheale inferiore e della carena, ricco di anastomosi vascolari. Si eseguono borse

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di tabacco sull’aorta ascendente e sull’arteria polmonare per il successivo posizionamento delle cannule da perfusione (cardioplegia e pneumoplegia).

Si somministra eparina al donatore (300 UI/kg), si pongono le cannule nell’aorta ascendente e nell’arteria polmonare, si somministra un bolo di 500 μg di prostaglandine E1 nell’arteria polmonare per vasodilatarne il circolo e favorire la omogenea distribuzione del liquido di preservazione, costituito da soluzioni fredde a 4°C (Perfadex®) al dosaggio di 50-60 ml/kg.

Dopo aver legato la vena cava superiore e infuso prostaglandine nel circolo polmonare, viene clampata l’aorta ascendente. Dopo aver sezionato la vena cava inferiore e inciso l’auricola sinistra o l’atrio, per far defluire le soluzioni di preservazione dal circolo addominale e polmonare, si inizia la perfusione di tutti gli organi da prelevare (cuore, polmoni, fegato, reni).

Completata la perfusione, che di solito dura 5-10 minuti, si procede al prelievo del cuore e successivamente del blocco bipolmonare. Una volta prelevati i polmoni vengono immersi in soluzioni di cristalloidi alla temperatura di 1-4°C in contenitori idonei al trasporto. Con le correnti tecniche di preservazione, una soddisfacente funzione polmonare può essere mantenuta per 6-8 ore dopo il prelievo. Il danno ischemico del polmone si manifesta soprattutto a livello dell’endotelio polmonare con aumento della permeabilità ed edema alveolare ed interstiziale.

1.5 Tecnica chirurgica del trapianto

La tecnica chirurgica del trapianto di polmone ricalca quella originale proposta da Metras nel 1950 ed eseguita sul cane. Essa è stata via via modificata con l’applicazione dei progressi della chirurgia vascolare per la confezione delle anastomosi arteriose e venose, e della chirurgia ricostruttiva tracheobronchiale per la confezione delle anastomosi sulla vie aeree.

ACCESSI CHIRURGICI

Il trapianto polmonare singolo (TPS) viene eseguito attraverso una toracotomia posterolaterale al V spazio intercostale. Quando si effettua la toracotomia, può essere indicato preparare la regione inguinale omolaterale, in modo da poter eseguire

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11 l’incannulazione femorale per il bypass cardiopolmonare o l’ECMO qualora questo si rendesse necessario.

Il trapianto polmonare bilaterale (TPB) si effettua o attraverso una doppia toracotomia antero-laterale sul V spazio intercostale, oppure attraverso una toraco-sternotomia trasversale bilaterale (tecnica clamshell, o a conchiglia), che permette una esposizione migliore di quella ottenuta con la sola sternotomia mediana.

SCELTA DEL LATO E TECNICHE DI ANASTOMOSI

Nel trapianto singolo effettuato per malattie polmonari ostruttive o restrittive, la tecnica deve essere quella di sostituire l’organo con peggiore funzione, dimostrata pre- operatoriamente dalla scintigrafia polmonare perfusionale. Nel trapianto singolo per ipertensione polmonare, invece, la tecnica è quella di trapiantare o sostituire il lato con la migliore funzione in modo da ridurre al minimo la turba post-operatoria del rapporto ventilazione/perfusione.

La sostituzione bilaterale del polmone viene effettuata usando in successione la tecnica del polmone singolo, sostituendo per primo quello che presenta una funzione peggiore. Se non vi è differenza tra i due polmoni, la sostituzione comincia dal polmone destro. Si inizia con la pneumonectomia del ricevente previa preparazione dell’arteria e delle vene polmonari. Nei pazienti con patologie settiche croniche del polmone, la lisi delle aderenze pleuroparenchimali costituisce una fase delicata dell’intervento, poiché spesso queste sono tenaci e riccamente vascolarizzate.

Completata la pneumonectomia, il polmone del donatore adeguatamente preparato per il reimpianto (con gli elementi dell’ilo polmonare isolati e preparati) viene adagiato nel cavo pleurico, approssimando gli ili del donatore e del ricevente.

Il reimpianto inizia con l'anastomosi bronchiale termino-terminale effettuata con un filamento riassorbibile 3/0 o 4/0 (polidiossanone PDS) con una sutura continua della pars membranacea e con punti staccati sulla pars cartilaginea, adattando i due lumi.

Viene poi eseguita l’anastomosi dell’arteria polmonare, anch’essa termino-terminale usando una sutura continua di monofilamento 4/0 o 5/0 non riassorbibile; tale sutura viene completata, ma inizialmente non legata.

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Infine si procede all’anastomosi venosa che viene confezionata sull’atrio sinistro del ricevente dopo aver preparato una cuffia di atrio sinistro attorno allo sbocco delle vene polmonari del donatore, accorgimento che facilita la anastomosi rendendola unica e maggiormente resistente alle eventuali torsioni, considerata la fragilità delle vene polmonari. L’anastomosi viene effettuata usando una sutura continua monofilamento non riassorbibile 4/0.

La riperfusione dell’organo trapiantato viene ripristinata inizialmente per via retrograda declampando dapprima l’atrio sinistro (manovra che consente di far fuoriuscire, attraverso la sutura arteriosa non ancora legata, sangue misto a liquido di lavaggio ed aria accumulatasi nel circolo polmonare durante le procedure di prelievo e reimpianto), infine si declampa l’arteria polmonare e si lega definitivamente la sutura.

Vengono inseriti poi due tubi di drenaggio toracici nello spazio pleurico e viene eseguita la chiusura della parete toracica.

A fine intervento si esegue una broncoscopia attraverso il tubo per verificare se la mucosa bronchiale del donatore sia rosea e vitale, e per aspirare eventuali secrezioni.

1.6 Trattamento post-operatorio

Il paziente viene trasferito in fase post-operatoria nell’unità di terapia intensiva post- operatoria (TIPO) dove il monitoraggio comprende ECG, ossimetria e controllo continuo delle arterie sistemiche e polmonare. La gestione della ventilazione meccanica varia con il tipo di trapianto: nel TPS per enfisema non viene generalmente utilizzata la pressione di fine espirazione positiva (PEEP), per evitare l’iperdistensione del polmone nativo enfisematoso (che ha un’aumentata compliance) ed un aumentato rischio di pneumotorace per rottura di bolle enfisematose. Nel TPS per IPAH, invece, si preferisce usare una ventilazione a pressione positiva (PEEP) di 10 cmH2O per almeno 36 ore, per

controbilanciare la tendenza all’edema polmonare. L’ossigenazione ottimale viene assicurata riducendo al minimo la somministrazione di liquidi, con un prudente uso di diuretici e della PEEP, con la fisioterapia del torace e con frequenti toilette della via aerea con fibro-broncoscopie.

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13 della patologia di base. Nel TPS per FPI ed enfisema e nel BLT si preferisce uno svezzamento ed estubazione precoci, mentre nel TPS per PAH i pazienti vengono mantenuti sedati e paralizzati per almeno 36 ore dopo il trapianto, per evitare lo sviluppo di crisi di ipertensione ed edema polmonare. La maggior parte dei pazienti viene mantenuta con infusione di basse dosi di dopamina per stimolare la diuresi. Nei casi di temporanea ipertensione del piccolo circolo può risultare necessario l’impiego di ossido nitrico e altri vasodilatatori polmonari.

La fibro-broncoscopia è spesso impiegata per rimuovere le secrezioni delle vie aeree, per verificare l’integrità dell’anastomosi e per ottenere liquido di lavaggio (BAL) che indichi la terapia antimicrobica.

Nei pazienti sottoposti a trapianto per patologie settiche croniche del polmone, viene instaurata una terapia antibiotica basata su colture preoperatorie o su antibiogrammi sia del donatore che del ricevente. Negli altri casi, la profilassi antibiotica iniziale è guidata da campioni del donatore (BAL ottenuto dalla broncoscopia del donatore). Viene inoltre instaurata una profilassi per infezioni virali (herpes, citomegalovirus ecc.) e funginee. Per quanto concerne la terapia immunosoppressiva, invece, la maggior parte dei programmi si basano su un protocollo a base di 3 farmaci che combina ciclosporina, azatioprina e corticosteroidi. L’impiego di nuovi farmaci immunosoppressivi, come il Tacrolimus (FK 506) o il micofenolato-mofetil, può rappresentare un ulteriore passo in avanti per la prevenzione del rigetto acuto o cronico e di conseguenza nel prolungamento della sopravvivenza.

1.7 Complicanze

Le complicanze possono essere immediate o a distanza, legate alla procedura chirurgica o del tutto indipendenti dall’atto operatorio.

COMPLICANZE CHIRURGICHE

Tra le complicanze chirurgiche si devono considerare il sanguinamento, le deiscenze dell’anastomosi bronchiale, la stenosi dell’anastomosi arteriosa per malconfezionamento

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o per kinking vascolare da lunghezza eccessiva, la stenosi dell’anastomosi venosa da errore tecnico o da insufficiente apertura del pericardio. Le complicanze chirurgiche maggiori dopo trapianto polmonare sono rare e l’emorragia post-operatoria tale da richiedere un reintervento è infrequente. Le complicanze delle anastomosi bronchiali, dapprima molto più frequenti, negli ultimi anni sono divenute sempre meno importanti e frequenti; sono legate alla scarsa vascolarizzazione bronchiale, che non viene ripristinata di solito al momento del trapianto, e a meccanismi di rigetto bronchiale. Anche questo genere di complicanze (stenosi, deiscenze, granulomi) raramente richiede reintervento, ma di solito è possibile il trattamento con successo grazie alle tecniche di chirurgia broncoscopia (disostruzione laser, stent endobronchiali).

COMPLICANZE LEGATE AL GRAFT

Disfunzioni acute del polmone trapiantato in assenza di problemi vascolari possono essere dovuti a protratto tempo di ischemia, a contusione polmonare non evidente al momento del prelievo, o a inalazione; in tali casi il trattamento è basato sul mantenimento di una adeguata ossigenazione (ventilazione meccanica, ossigenazione extracorporea ECMO) e attento controllo del bilancio idro-elettrolitico; solo nei casi di assenza di ripresa funzionale può essere indicato un retrapianto in urgenza.

COMPLICANZE ANESTESIOLOGICHE

L’edema da riperfusione va considerata una forma di edema polmonare non cardiogeno, di solito dovuta agli effetti dell’ischemia, del trauma chirurgico, della denervazione polmonare e dell’interruzione del drenaggio linfatico. Si verifica in una elevata percentuale di casi (90%), e una condizione benigna che si risolve in genere spontaneamente con un adeguata restrizione idrica e terapia diuretica, dopo esclusione di problemi cardiologici, infettivi o di rigetto acuto.

INFEZIONI

Le infezioni rappresentano la principale causa di morte nei pazienti sottoposti a trapianto polmonare e i fattori che ne facilitano lo sviluppo sono la terapia immunosoppressiva, la

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15 ridotta clearance mucociliare, la riduzione del riflesso della tosse a causa della denervazione polmonare e l’interruzione del drenaggio linfatico.

Le infezioni batteriche sono le più comuni e si osservano nel 35% dei pazienti durante il primo anno dopo il trapianto, con il picco di incidenza nel primo mese. Il polmone trapiantato è quello più esposto, anche se si possono sviluppare infezioni sul polmone nativo in caso di TPS. I germi Gram-negativi sono quelli più frequentemente isolati (Pseudomonas ed Enterobacter), mentre tra le infezioni da Gram-positivi prevalgono quelle da stafilococco.

Le polmoniti virali si sviluppano approssimativamente nel 10-15% dei pazienti trapiantati e possono svilupparsi in qualunque momento dopo il trapianto. Quelle sostenute da CMV sono le più frequenti e significative e solitamente compaiono dopo 1-4 mesi dal trapianto. L’infezione primaria da CMV si osserva nel 50-100% dei pazienti siero-negativi, mentre nei pazienti CMV sieropositivi al momento del trapianto, si osservano reinfezioni dovute ad altri ceppi. La presentazione clinica va da forme asintomatiche a gravi quadri fulminanti con localizzazioni extra-toraciche (epatite, retinite, gastrite ecc.). La sintomatologia è caratterizzata da febbre, dispnea, tosse. La diagnosi è di solito clinico- radiologica e confermata dalla ricerca del virus sul broncolavaggio, nelle biopsie transbronchiali, e con la sierologia. Le infezioni da Herpes simplex sono meno frequenti. La profilassi antivirale viene impiegata di routine con la somministrazione di acyclovir, mentre la terapia delle infezioni è effettuata con il ganciclovir.

Infezioni opportunistiche sostenute da funghi (aspergillo, nocardia) sono meno frequenti di quelle virali, ma associate ad una maggiore mortalità. Si sviluppano di solito tra il 10° ed il 60° giorno post-trapianto e più comunemente coinvolgono l’organo trapiantato. Le infezioni da aspergillo localizzate o diffuse costituiscono il 10-30% delle infezioni e nel 5-7% dei casi portano a morte.

RIGETTO

La reazione di rigetto dell’ospite contro l’organo trapiantato è fisiologica e, pertanto, costituisce la più prevedibile delle conseguenze del trapianto.

In generale il rigetto viene distinto in:

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compatibilità donatore-ricevente, si instaura nella immediatezza dell’intervento chirurgico ed è dominato da lesioni vascolari iscrivibili nella reazione iperacuta di Arthus;

- Acuto, potenzialmente reversibile, si colloca tra il primo e il sesto mese dal trapianto; consiste in un danno parenchimale (organo-specifico) e di lesioni infiammatorie vascolari (vasculiti);

- Cronico, più frequente nei pazienti con storia di rigetto acuto, si realizza con lesioni parenchimali e vascolari; è generalmente irreversibile e ha come esito l’insufficienza funzionale dell’organo trapiantato.

Il follow-up istologico del polmone trapiantato utilizza campioni bioptici transbronchiali (considerati rappresentativi quando consistono di non meno di 5 campioni comprendenti bronchioli e 100 spazi alveolari). La diagnosi istologica richiede l’allestimento di sezioni istologiche seriate colorate con ematossilina-eosina e colorazioni speciali per l’identificazione delle fibre elastiche e del tessuto connettivo. Quando necessario, ulteriori sezioni possono essere colorate con la PAS-reazione, con la colorazione di Grocott (per l’identificazione dei miceti), secondo GRAM (per la caratterizzazione della flora batterica) o con tecniche immunoistochimiche (CMV).

La classificazione/gradazione istologica della reazione di rigetto del polmone trapiantato è riportata in un documento di consenso internazionale stilato nel 1990 e definito Working Formulation for the Classification of Lung Allograft Reiection11, la cui più recente delle revisioni è del 200612. In tale documento si afferma che la reazione di rigetto del polmone trapiantato (sia acuto che cronico) si realizza con lesioni che interessano:

- Distretto vascolare - Parete delle vie aeree

Il rigetto iperacuto di polmone insorge nell’immediato post-operatorio ed è quasi sempre fatale; è verosimile che l’immunità umorale abbia un ruolo preminente nella patogenesi del rigetto iperacuto ed è stata formulata l’ipotesi che tale forma di rigetto sia secondaria ad un danno (anticorpo-mediato) dell’endotelio dell’organo trapiantato. Le alterazioni vasculitiche e il tratto emorragico del rigetto iperacuto supportano tale ipotesi, ma la patogenesi è ancora in gran parte ignota.

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17 Nella fase acuta predominano le lesioni vasculitiche e l’infiammazione della parete delle vie aeree, per cui si caratterizza da infiltrati di cellule mononucleate, che possono essere accompagnati da infiltrazioni sub-endoteliali e bronchioliti o bronchiti linfocitiche. Nella maggioranza dei casi si verifica entro 3-6 mesi dal trapianto ed è sensibile alla terapia immunosoppressiva.

Il rigetto cronico si manifesta con cicatrici fibrose, spesso dense e eosinofile, che coinvolgono i bronchioli e talvolta sono associate a modificazioni accelerate fibromiointimali a livello di arterie e vene polmonari. Si manifesta dopo 6-12 mesi dal trapianto. Circa il 40% dei rigetti cronici si manifesta nei primi 2 anni ed il restante 60% si sviluppa entro 5 anni dall’allotrapianto. Il rigetto cronico ha decorso progressivo, è poco sensibile alla modulazione della terapia immunosoppressiva e rappresenta la causa più frequente di perdita tardiva dell’organo.

I cambiamenti istologici sono divisi in gradi in base all’intensità dell’infiltrato cellulare e alla presenza o assenza di fibrosi. La presenza di una fibrosi ialina, densa, eosinofila, presunta irreversibile, a livello delle vie aeree e dei vasi costituisce la chiave istopatologica per discriminare il rigetto polmonare acuto e cronico.

La diagnosi di rigetto acuto si basa esclusivamente sulla presenza di infiltrati perivascolari a livelli perivascolare e interstiziale. L’intensità di cuff di cellule mononucleate perivascolari e la distribuzione delle cellule mononucleari, inclusa l’estensione nell’avventizia vascolare e negli adiacenti setti alveolari, determina le basi del grado istologico.

Il rigetto acuto (A, Acute rejection) è graduato in 5 livelli (A0-A4), che identificano lesioni flogistiche progressivamente più gravi:

- A0 assente

- A1, minimo, in cui sono presenti cicatrici, infrequenti infiltrati mononucleari perivascolari nel parenchima polmonare alveolare;

- A2, medio, in cui è possibile trovare frequenti infiltrati perivascolari intorno a venule e arteriole; frequente è l’associazione a bronchiolite linfocitica;

- A3, moderato, caratterizzata da espansione infiammatoria dei setti alveolari estesa agli spazi aerei; costituisce indicazione alla rimodulazione della terapia immunosoppressiva;

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- A4, severo, con infiltrati diffusi di cellule mononucleate a livello perivascolare, interstiziale e nelle vie aeree, con danno dei pneumociti alveolari ed endotelite; può essere associata a necrosi parenchimale, infarti e vascoliti necrotizzanti. L’infiammazione delle vie aeree, identificata nella categoria B (Airway infiammation - lymphocytic bronchiolitis) è graduata in 4 livelli (B0-B2, Bx), che indentificano gradi di infiammazione crescente:

- B0 assente; - B1, basso grado; - B2, alto grado; - Bx, indefinibile.

La categoria C (Chronic airway rejection – bronchiolitis obliterans) si applica alla graduazione delle lesioni obliteranti dei bronchioli, definite come fibrosi ialina densa eosinofila nella sottomucosa della membranosa e dei bronchioli respiratori, che determina una parziale o completa occlusione del lume. Si distingue la presenza (C1) o meno (C0) di bronchiolite obliterante.

La categoria D (Chronic vascular rejection – accelerated graft vascular sclerosis) fa riferimento alle lesioni sclerosanti della parete dei vasi polmonari in corso di rigetto cronico; il rigetto cronico vascolare non è applicabile alle biopsie transbronchiali, ma può essere notato su materiale bioptico open.

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19

Capitolo 2

L’ExtraCorporeal Membrane

Oxygenation (ECMO)

(20)

L'ExtraCorporeal Membrane Oxygenation (ECMO) è una tecnica di supporto cardiopolmonare che si è dimostrata efficace nel ridurre la mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca e/o respiratoria acuta grave potenzialmente reversibile, ma refrattaria al trattamento medico e farmacologico convenzionale massimale.

L’ECMO è quindi un intervento non terapeutico ma di supporto che, grazie alla circolazione extracorporea, permette di vicariare temporaneamente (da giorni a settimane) in maniera completa o parziale la funzione di cuore e/o polmoni, mantenendoli a riposo e permettendo così un recupero funzionale, oltre che un’alta concentrazione di ossigeno inspirato ed evitando un livello nocivo di pressione ventilatoria.

Lo sviluppo dell’ECMO come supporto della funzione cardiopolmonare è un’evoluzione della tecnologia del bypass cardiopolmonare usato in cardiochirurgia13.

Usata solo inizialmente come trattamento dell’insufficienza respiratoria reversibile nel neonato o nel bambino, negli ultimi anni è stata proposta e usata come terapia avanzata in corso di insufficienza cardiaca acuta nell’adulto non sensibile ai protocolli terapeutici tradizionali14. Dalla metà degli anni ’90 in poi si è avuto un calo nell’utilizzo nei casi respiratori, grazie all’introduzione di nuove metodiche di terapia intensiva ventilatoria, ed un notevole aumento dell’utilizzo dell’ECMO cardiaco. Dal 1990 ad oggi, secondo il registro ECLS, sono stati effettuate più di 78mila assistenze ECMO, di cui il 47% in età neonatale, il 24% in età pediatrica e il restante 29% in età adulta, di cui il 47% come supporto respiratorio, il 40% come supporto cardiaco ed il 13% dopo ERCP.

Questa tecnica è un trattamento estremamente invasivo ed è perciò necessaria un’accuratissima selezione dei pazienti da sottoporvi.

2.1 Cenni storici

Dopo numerose ricerche in laboratorio iniziate negli anni Trenta, è nel 1954 che si ha il primo intervento coronato da successo di un’applicazione di una macchina cuore- polmone, mentre per il primo caso riportato di sopravvivenza di un paziente adulto bisogna aspettare circa venti anni15.

Dopo diversi anni di studi randomizzati questa metodica è stata ampiamente utilizzata in numerosi centri di tutto il mondo, tanto da poter essere costituito un registro

(21)

21 internazionale da parte dell’Extracorporeal Life Support Organization (ELSO), nel 1989. L’utilizzo più importante l’ECMO lo ha trovato in campo pediatrico, dove non esisteva come supporto cardiaco un contropulsatore idoneo per dimensioni. Dopo vari studi, alla fine degli anni ’70, il supporto ECMO venne abbandonato per un breve periodo, per l’elevata percentuale di insuccessi16

. Le conclusioni raggiunte da studi pioneristici furono che:

- La fibrosi polmonare determina un danno irreversibile al parenchima polmonare, che esclude l’indicazione all’ECMO;

- I polmoni non guariscono se sottoposti ad alte pressioni ventilatorie; - L’ECMO permette di mettere “a riposo” cuore e polmoni;

- La tecnica di conduzione di bypass è fondamentale per un buon esito.

Successivamente gli esperimenti furono ripresi, e Gattinoni17, assieme ad altri ricercatori18-19 intorno alla fine degli anni ’80, riferivano di una sopravvivenza del 49% utilizzando la rimozione extracorporea della CO2 (ECCO2R) contemporaneamente

all’ossigenazione apneica nell’ARDS (Adult Respiratory Distress Syndrome).

2.2 Indicazioni

L’indicazione all’uso di ECMO è l’insufficienza acuta cardiaca o respiratoria con mortalità elevata nonostante una terapia ottimale convenzionale. Il supporto extracorporeo va considerato quando il rischio di mortalità del paziente è del 50%, mentre è indicato quando il rischio di mortalità è dell’80%20

.

Per quanto riguarda nello specifico il supporto nei casi di insufficienza respiratoria nell’adulto le indicazioni sono21

:

 Insufficienza respiratoria ipossica di qualsiasi natura (primitiva o secondaria);  Va considerato quando PaO2/FiO2 < 150 con una FiO2 >90% e score di Murray 2-3;

 È indicato quando PaO2/FiO2 < 80 con FiO2 > 80% e score di Murray 3-4;

(22)

o incapacità ad ottenere una pressione di insufflazione adeguata;  Sindrome di perdita d’aria severa;

 Necessità di intubazione in un paziente in lista per trapianto polmonare;

 Collasso cardiaco o respiratorio immediato.

2.3 Controindicazioni

Non ci sono controindicazioni assolute all’uso di assistenza extracorporea, per cui ogni paziente va valutato singolarmente tendendo in considerazione rischi e benefici. Ci sono comunque delle condizioni che sono note essere associate con un outcome basso e possono essere considerate controindicazioni relative:

 Ventilazione meccanica con impostazioni elevate (FiO2 > 90%, P-plat > 30 cmH2O)

per ≥ 7 giorni;

 Immunosoppresione farmacologica importante (conta neutrofili < 400/ml3);

 Emorragia del SNC recente;

 Comorbidità non recuperabili, come danno maggiore del SNC o tumore allo stadio terminale.

Non ci sono controindicazioni specifiche circa l’età, anche se bisogna considerare che c’è un aumento dei rischi all’aumentare della stessa. Un peso maggiore di 125 kg può essere associato ad una difficoltà tecnica nella cannulazione e al rischio di non riuscire a raggiungere un adeguato flusso sanguigno basato sul peso del paziente.

2.4 Tecniche e funzionamento

L’ECMO può essere effettuato con due tipi di bypass, in base alla direzione del flusso ematico: l’efflusso è sempre dal circolo venoso, mentre la reinfusione del sangue ossigenato e decarbossilato può essere nel circolo arterioso (ECMO Veno-Arterioso) o in quello venoso (ECMO Veno-Venoso).

(23)

23

Figura 7. Configurazione dei circuiti per ECMO VA e VV (Extracorporeal life support, Gaffrey AM): A) ECMO VV. B) ECMO VA, cannulazione femorale; C) cannulazione carotidea; D) cannulazione toracica

ECMO VENO-VENOSO

L’ECMO Veno-Venoso è preferibile negli adulti con insufficienza respiratoria acuta quando la funziona cardiaca è adeguata o mediamente depressa; può essere sufficiente anche nei pazienti con severa insufficienza respiratoria e insufficienza cardiaca secondaria. Durante il supporto VV, infatti, il paziente dipende dalla propria emodinamica ed è possibile controllare Cardiac Output, pressione sanguigna e resistenze con infusioni o perfusioni. Il basso flusso VV con una pompa può essere usato per la rimozione selettiva di CO2 quando il rischio di complicanze arteriose non è accettabile. L’accesso

VV può essere effettuato con le vene femorali e giugulari.

È possibile effettuare il bypass VV con due sistemi, che si differenziano per il tipo diverso di cannulazione, oltre che per il diverso circuito utilizzato:

1. Cannula unica a doppio lume, connessa a entrambe le linee con cannulazione della vena giugulare

2. Doppia cannulazione venosa, raggiungendo VCS e VCI attraverso l’introduzione di due grossi vasi venosi (ad es. in vena giugulare interna e vena femorale).

ECMO VENO-ARTERIOSO

(24)

moderatamente o gravemente depressa, in cui è necessario quindi anche un supporto cardiaco. L’accesso VA può essere considerato nei stati ipercapnici per la rimozione selettiva di CO2, tenendo presenti le potenziali complicanze dell’accesso arterioso, ma è

un circuito molto più semplice. Se il paziente è molto instabile, l’accesso VA tramite le vene femorali o giugulari e l’arteria femorale è preferibile. Se la funzione cardiaca recupera prima della funzione polmonare l’accesso può poi essere convertito in VV.

TIPO DI ACCESSI

La cannulazione per ogni tipologia di ECMO periferico può essere effettuata per via:  Percutanea, possibile nella maggior parte dei pazienti adulti, con

l’ultrasuonografia e la fluoroscopia che possono facilitare la cannulazione;  Chirurgica;

Semi-open, con esposizione del vaso, ma puntura percutanea con visualizzazione

diretta.

L’accesso può essere periferico:

- VV con drenaggio da vena femorale e reinfusione da vena giugulare interna destra o vena femorale

- VA con drenaggio in vena giugulare interna o femorale e reinfusione in un’arteria periferica, come la femorale o la succlavia.

L’accesso può inoltre essere di tipo centrale, postcardiotomia, e prevede il drenaggio dall’atrio destro e reinfusione a livello dell’arco aortico.

ANTICOAUGULAZIONE

È necessario mantenere ACT (tempo di coagulazione attiva) nel range di 180-200 secondi (generalmente 1.5 volte il normale) o un PTT (tempo parziale di tromboplastina) di 40- 50 secondi, tramite bolo di eparina non frazionata prima della cannulazione e successive infusioni per il mantenimento.

CIRCUITO

(25)

25 contatto diretto tra il sangue del paziente e l’aria ambiente. Il circuito è costituito da:

Una cannula venosa, connessa ad una linea di drenaggio venoso (out);

 Una pompa centrifuga, che sospinge il sangue attraverso il circuito extracorporeo;  Un ossigenatore a membrana, con una portata normale di funzionamento del 95%

(quantità di sangue venoso che un ossigenatore può saturare al 95%), tramite cui viene immesso l’ossigeno nella fase gassosa, agendo non solo saturando l’emoglobina, ma anche mantenendo un gradiente per l’escrezione di CO2, e vapor

acqueo.

 Uno scambiatore termico controcorrente, attraverso cui passa il sangue verso la cannula arteriosa/venosa.

Una linea (in) connessa ad una cannula arteriosa/venosa.

Figura 8. Circuito ECMO (www.cardiopeople.com)

La scelta di questi elementi deve essere ponderata in base al peso del paziente e quindi al flusso di pompa che si dovrà mantenere in bypass. I circuiti ECMO sono realizzati in Cloruro di Polivinile (PVC), con un trattamento biocompatibile per ridurre i danni legati al fenomeno da contatti, all’attivazione del complemento e della cascata coagulativa. Negli anni ’90 il trattamento più utilizzato era il coating eparinico, finché non furono

(26)

introdotti sul mercato i circuiti biomimetici come il Bioline® coating, che combina albumina ed eparina (l’albumina è assorbita nella superficie estrinseca ed è collegata alle molecola di eparina, con un legame stabile delle molecole di eparina ottenuto tramite legami covalenti e interazioni ioniche tra l’eparina e l’albumina immobilizzata), e riduce il rischio di formazione di trombi, il danno neuronale nel post-operatorio, l’adesione di leucociti e gruppi di cellule e aumenta la biocompatibilità22

.

Uno dei componenti più importanti del circuito ECMO è sicuramente l’ossigenatore a membrana. Con la prima macchina cuore-polmone messa a punta da Gibbo veniva esposto il sangue direttamente all’O2 per saturare l’emoglobina, che determinavano

alterazioni letali del sangue. Ricercatori successivi hanno sviluppato ossigenatori che usavano una membrana permeabile ai gas per effettuare gli scambi gassosi. Kolff notò le proprietà di scambio gassoso nelle prime macchine per dialisi e Clowes sviluppò il primo ossigenatore a membrana nel 1956. Un anno dopo Kammermeyer descrisse il dimetilsilossano (gomma di silicone), una sostanza con proprietà trasferimento dei gas notevolmente superiori a quelle delle membrane di polietilene usate da Clowes. Durante il decennio successivo vennero realizzati numerosi ossigenatori a membrana di gomma di silicone23. L’ossigenatore a membrana è costituito da una membrana di silicone avvolta a spirale attorno ad una bobina di polibicarbonato, in cui lo scambio gassoso avviene per diffusione molecolare, come nei polmoni, in quanto il silicone agisce come una barriera altamente permeabile ai gas, ma separa il compartimento del sangue da quello dei gas.

Lo scambiatore termico è molto importante in un circuito ECMO, perché il continuo spostamento del sangue lungo il circuito extracorporeo porta ad una consistente perdita di calore, per cui lo scambiatore permette di mantenere la normotermia nelle assistenze di lunga durata. Lo scambiatore può essere separato o integrato all’ossigenatore, quando è posto dopo l’ossigenatore funge molto bene anche da bubble trap.

2.5 Complicanze

Il bypass extracorporeo di lunga durata può presentare complicanze di vario genere, che talvolta insorgono improvvisamente e possono avere una progressione molto rapida con conseguenze gravi e talvolta fatali.

(27)

27 Ogni parte del circuito può essere virtualmente soggetta a rottura o malfunzionamento. Le principali complicanze di tipo clinico sono per lo più emorragiche, a causa dell’anticoagulazione sistemica, ma comprende, in ordine decrescente di frequenza, anche convulsioni, disfunzione cardiaca, insufficienza renale, ipertensione, anomalie elettrolitiche, emolisi e pneumotorace, sepsi, aritmie.

Con il tempo si è avuta una continua evoluzione, con riduzione significativa dell’incidenza delle complicanze (incidenza emorragie intracraniche è del 15%, ma si è passati dal 29% nei primi 100 casi al 4-5% delle casistiche più recenti).

L’emorragia cerebrale può avere fattori predisponenti negli eventi precedenti l’ECMO: l’ipossia, l’acidosi, l’ischemia, l’ipotensione, la sepsi, la coagulopatia, e l’infusione di soluzioni ipertoniche durante la rianimazione sono tutte condizioni che possono contribuire alla genesi della emorragia cerebrale, che si può manifestare o aggravare durante il bypass a causa dell’eparinizzazione. Questa complicanza è l’evenienza più grave ed impone la sospensione dell’ECMO.

Un moderato sanguinamento è presente frequentemente nel sito della cannulazione, minimizzabile con l’uso di una accurata tecnica chirurgica, dell’elettrocauterio, ed eventualmente di emostatici topici.

Ogni sito di intervento chirurgico può comunque virtualmente essere sede di sanguinamento. Sono riportate emorragie a livello intracranico, polmonare, gastrointestinale, intratoracico, addominale. La presenza di emorragia richiede la riduzione della dose di eparina, in modo da mantenere i parametri coagulativi il più possibile vicini a quelli fisiologici. Nei casi più gravi di emorragia si può sospendere l’infusione di eparina temporaneamente, a rischio però di causare la formazione di coaguli nel circuito e nell’ossigenatore, e di doverli quindi sostituire in emergenza.

L’infusione di furosemide (1-2 mg/kg) è generalmente sufficiente ad incrementare la diuresi, mentre nei casi più gravi che esitano in insufficienza renale è indicato l’uso dell’emofiltrazione, che viene applicata direttamente al circuito e consente agevolmente la rimozione di liquidi ed elettroliti.

L’ipertensione si osserva solitamente dopo i primi giorni di bypass e può essere trattata con idralazina o captopril quando la pressione sistolica supera i 160 mmHg.

(28)

Un modesto grado di depressione cardiaca è abbastanza comune come conseguenza dell’ECMO stesso, e si risolve in genere dopo le prime 48 ore di bypass. In caso di sintomatologia più importante bisogna escludere un tamponamento pericardico da emotorace o uno pneumotorace, in cui si ha un aumento della pressione intrapericardica e una diminuzione del ritorno venoso.

Durante bypass VA, la triade costituita da aumento della PaO2, riduzione della SvO2 e

graduale riduzione del flusso extracorporeo con progressivo deterioramento emodinamico può indicare la presenza di uno pneumotorace iperteso o di un tamponamento cardiaco.

È inoltre possibile avere aritmie, dovute a malposizionamento della cannula venosa che può irritare il sistema di conduzione atriale; in tal caso lo spostamento della cannula stessa risolve il problema.

L’emolisi è una complicanza dovuta al traumatismo diretto dei globuli rossi con l’ossigenatore, le connessioni, la pompa o altre parti del circuito. La presenza di coaguli nel circuito può innescare una coagulopatia tramite attivazione del complemento, piastrine o fattori della coagulazione che causano l’adesione al coagulo e la lisi dei globuli rossi. In presenza di emolisi importante dovuta a questo meccanismo può essere indicata la sostituzione dell’ossigenatore o di tutto il circuito.

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29

CAPITOLO 3

Impatto clinico dell’ECMO nei

pazienti sottoposti a trapianto di

polmone: analisi della nostra

esperienza

(30)

Enfisema Polmonare 15% Bronchiolite Obliterativa 7% altro 4% Fibrosi Cistica 33% Fibrosi Polmonare

3.1 Materiali e metodi

Nello studio sono stati analizzati in modo retrospettivo i pazienti sottoposti a trapianto polmonare presso il Centro Trapianti di Polmone dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese da Gennaio 2012 a Settembre 2016.

Nel periodo considerato sono stati effettuati in tutto 50 trapianti (26 femmine), di cui 39 bipolmonari (78%), con una durata media dell’intervento di 07:07 ± 02:02 ore. I tempi medi di ischemia dei singoli polmoni sono stati:(Tab.2)

Trapianto Lateralità Tempo Ischemia

medio St. D

Monopolmonare Destro 03:40 00:23

Sinistro 04:19 01:00

Bipolmonare Destro 05:07 01:31

Sinistro 05:44 01:34

Tabella 2. Tempi medi di ischemia

Le indicazioni al trapianto sono state: - Fibrosi Cistica in 15 pazienti (30%), - Enfisema Polmonare in 7 pazienti (14%),

- Fibrosi Polmonare Idiopatica in 19 pazienti (38%),

- Bronchiolite Obliterante da rigetto cronico in 3 pazienti (6%),

- Altro tipo di fibrosi polmonare in 2 pazienti (bronchiectasia congenita; fibrosi ialina mantellare e peribroncovascolare con alveolite obliterativa, 4%).

(31)

31 La durata media di attesa in lista operatoria è stata di 375 giorni (103-521).

L’età media dei pazienti al momento del trapianto è stata di 46.4 ± 13.8 anni.

La durata media della degenza in Terapia Intensiva Post-Operatoria (TIPO) e del ricovero ospedaliero post-intervento sono stati rispettivamente di 16 ± 17 (5-21) e 41 ± 19 (28-54) giorni, con una mortalità intraospedaliera del 16%.

La durata media di giorni di intubazione è stata di 13 ± 17 giorni (2-15), mentre la necessità di tracheostomia temporanea è stata del 26% (13 casi).

La sopravvivenza complessiva a 30, 90, 180 giorni dall’intervento è stata rispettivamente del 96%, 80%, 72%.

Abbiamo suddiviso il campione di pazienti in due gruppi: il gruppo A, ovvero quelli che hanno necessitato di assistenza ECMO durante l’intervento di trapianto polmonare (23 pazienti, 46%) e il gruppo B, cioè quelli che sono stati sottoposti a trapianto senza supporto ECMO (27 pazienti, 54%).

La durata di assistenza ECMO intraoperatoria è stata in media di 266 ± 143 minuti (153- 327). In 6 dei 23 pazienti del Gruppo A l'ECMO è stato instaurato precedentemente ed è stato mantenuto come assistenza durante l'operazione, ma convertito da VV a VA. Nei restanti 17 pazienti,invece, la decisione di impiantare l'assistenza ECMO è stata presa:

- All'inizio dell'intervento in 8 casi (47%), in considerazione delle condizioni cliniche del paziente;

- Durante la prima pneumonectomia in 5 casi (29%); - Dopo l’impianto del primo polmone in 6 casi (35%).

Il divezzamento dopo l'intervento è avvenuto con successo in 20 pazienti (87%), mentre il prolungamento di ECMO post-operatorio è stato necessario nei restanti 3 pazienti (13%).

(32)

Le variabili analizzate sono state: età, diagnosi, durata dell’intervento chirurgico, degenza in Terapia Intensiva Post-Operatoria, degenza totale, giorni di intubazione ed eventuale tracheotomia, durata dell’assistenza ECMO, complicanze post- operatorie e sopravvivenza.

Le analisi statistiche sono state effettuate con il programma SPSS versione 18.0 (SPSS Inc., Chicago, IL, USA). L’analisi statistica della sopravvivenza è stata eseguita con il test di Kaplan-Meier, mentre per le altre variabili sono stati utilizzati il test T di Student o il test chiquadro a seconda dei casi. I risultati sono stati riportati con il corrispondente p-value: i valori < 0.05 sono stati considerati significativi.

Nei pazienti che hanno necessitato di assistenza ECMO come bridge al trapianto sono state mantenute lo stesso accesso e le stesse cannule durante l'intervento chirurgico. Nei riceventi che avevano assistenza VV come bridge al trapianto e hanno sviluppato instabilità emodinamica durante l’intervento è stata aggiunta una linea arteriosa per l'inflow arterioso, generalmente nell'arteria femorale. Una configurazione ECMO VA è stata usata nei restanti pazienti. Durante il trapianto il flusso sanguigno ECMO è stato impostato a 4 litri/minuto mentre i flussi di gas sono stati impostati in base ai livelli di CO2 e la FiO2 al 100%. ECMO pre-LTX ECMO inizio ECMO I pneumo ECMO II pneumo Fibrosi Cistica 2 3 2 3 Fibrosi Polmonare 1 4 1 2 Enfisema Polmonare 0 1 2 1 BOS 2 0 0 0 Altro 1 0 0 0

(33)

33

3.2 Risultati

CARATTERISTICHE PREOPERATORIE

Tra i dati preoperatori dei pazienti appartenenti ai due gruppi, sono stati presi in considerazione le seguenti variabili:

SESSO

Il Gruppo A è costituito da 10 femmine (43.5%) e 13 maschi (56.5%) Il Gruppo B è costituito da 16 femmine (59.3%) e 11 maschi (40.7%)

p = 0.711 41% 56% 59% 44% Gruppo A Gruppo B F M

(34)

ETA’

L’età media del Gruppo A è stata di 39.7 ± 13.2 anni L’età media del Gruppo B 52.2 ± 11.7 anni

(35)

35  INDICAZIONE AL TRAPIANTO

Gruppo A:

- Fibrosi Cistica, 10 pazienti (43.5%)

- Fibrosi Polmonare, 7 pazienti (30.4%)

- Enfisema Polmonare 3 pazienti (13%)

- Bronchiolite Obliterante da rigetto cronico, 2 pazienti (8.7%)

- 1 caso di fibrosi ialina mantellare e peribroncovascolare con alveolite obliterativa (4.3%)

Gruppo B:

- Fibrosi Cistica, 5 pazienti (18.5%)

- Fibrosi Polmonare, 15 pazienti (55.6%)

- Enfisema Polmonare, 5 pazienti (18.5%)

- Bronchiolite Obliterante da rigetto cronico, 1 paziente (3.7%)

- Bronchiectasie congenite, 1 paziente (3.7%)

FC p = 0.001 EP p = 0.229 FP p = 0.065 BOS p = 0.144 Altro p = 0.821 Altro Bronchiolite Obliterante Enfisema Polmonare Fibrosi Polmonare Fibrosi Cistica 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% Gruppo B Gruppo A

(36)

 PERMANENZA IN LISTA DI ATTESA

Tempo medio di permanenza in lista d’attesa: Gruppo A: 423 giorni (84-658)

Gruppo B: 335 giorni (164-529)

(37)

37  FEV1 (% DEL PREDETTO) PRE-TRAPIANTO

FEV1 (% predetto) medio: Gruppo A: 42.63 ± 14.19 Gruppo B: 50.14 ± 21.61

(38)

 GIORNI DI RICOVERO PREOPERATORIO

Ricovero pre-operatorio Gruppo A: 9 pazienti (39.1%) Gruppo B: 1 paziente (3.7%) p < 0.001

Dei 10 pazienti che hanno necessitato di un ricovero preoperatorio, 6 sono stati sottoposti a ECMO preoperatorio:

Fibrosi Cistica BOS Fibrosi Polmonare Altro Enfisema Polmonare 2 2 1 1 0 45% 40% 35% 30% 25% 20% 15% 10% 5% 0% 39% 4% Gruppo A Gruppo B Ricovero Pre-LTX FP 0 % Altro 17% 33FC% FP 17% BOS 33% FC BOS FP Altro FP

(39)

39 Per quanto riguarda le caratteristiche preoperatorie dei due diversi gruppi nella nostra casistica vi è una importante predominanza di uso di ECMO nei pazienti affetti da fibrosi cistica (p = 0.001), che ha portato di conseguenza anche a differenze statisticamente significative per quanto riguarda l’età media al momento dell’intervento (p = 0.001). Non sono emerse invece differenze significative per quanto riguarda il sesso. Emerge invece un’evidente disomogeneità (p = 0.005) per quanto riguarda il FEV1 rispetto al

predetto pre-intervento, che ha un range molto più ristretto nei pazienti che hanno necessitato di ECMO durante l’intervento e la permanenza in lista d’attesa poiché è stata signficativamente più lunga nei pazienti che poi hanno necessitato del supporto extracircolatorio (p = 0.039). Statisticamente significativo (p < 0.001) è stato anche il dato che la quasi totalità dei pazienti che hanno necessitato di un ricovero pre-intervento, generalmente per importante scadimento delle condizioni generali respiratorie, sia poi stata sottoposta a supporto ECMO sia come bridge al trapianto, sia solo intraoperatorio.

(40)

CARATTERISTICHE INTRAOPERATORIE  TIPO DI INTERVENTO Gruppo A - Bipolmonare in 20 casi (87%) - Monopolmonare in 3 casi (13%) Gruppo B - Bipolmonare in 19 casi (70.4%) - Monopolmonare in 8 casi (29.6%) p = 0.454 0 5 10 15 20 25 30 Gruppo A Gruppo B Monopolmonare Bipolmonare

(41)

41  DURATA DELL’INTERVENTO

Durata media intervento: Gruppo A: 08:05 ± 02:02 ore Gruppo B: 06:17 ± 01:40 ore

(42)

 TRASFUSIONE DI EMAZIE CONCENTRATE

Media di trasfusioni EC intraoperatorie Gruppo A: 417 ± 598 ml (0-900) Gruppo B: 111 ± 251 ml

(43)

43 Confrontando i due gruppi, con il test T di Student, sono emerse differenze con significato statistico per quanto riguarda la durata dell’intervento che è stato relativamente più lunga per i casi con supporto ECMO (p = 0.001), anche in considerazione del fatto che nel gruppo A va considerato il tempo necessario per le cannulazioni e per il fatto che i trapianti sono stati quasi tutti di tipo bilaterale (20 vs 3). L’intervento eseguito con supporto ECMO sembra essere gravato da maggiori complicanze di tipo emorragico, in quanto vi è un’importante differenza tra i due gruppi per quanto riguarda la necessità di trasfusioni di emazie concentrate (p < 0.001).

CARATTERISTICHE POSTOPERATORIE

 GIORNI DI DEGENZA IN TERAPIA INTENSIVA

Durata media di degenza in TIPO: Gruppo A: 15 ± 13 giorni (6-20) Gruppo B: 17 ± 20 giorni (5-23) p = 0.103

(44)

 GIORNI DI VENTILAZIONE MECCANICA

Durata media di ventilazione meccanica: Gruppo A: 9 ± 10 giorni

Gruppo B: 16 ± 21 giorni p = 0.14

 NECESSITA’ DI TRACHEOSTOMIA TEMPORANEA

Necessità di tracheotomia temporanea: Gruppo A: 2 pazienti (8.7%) Gruppo B: 8 pazienti (29.6%) p = 0.21 25 20 15 10 5 0 A Tracheotomia si B Tracheotomia no

(45)

45

 TRASFUSIONE DI EMAZIE CONCENTRATE

Media di trasfusioni di EC in TI: Gruppo A: 717 ± 1121 ml Gruppo B: 1133 ± 2006 ml p = 0.18

 TRASFUSIONE DI POOL PIASTRINICI

Media di pool piastrinici trasfusi in TIPO: Gruppo A: 0.91 ± 2.55 pool Gruppo B: 0.37 ± 1.06 pool p = 0.072 25 20 15 10 5 0 Gruppo A Gruppo B

(46)

 EMOGAS (Rapporto P/F) Gruppo A: - In entrata: 2.84 ± 1.00 (2.22-3.35) - Prima giornata: 3.13 ± 0.90 (2.47-3.78) - Seconda giornata: 2.97 ± 0.76 (2.33-3.70) - Dopo estubazione: 3.83 ± 1.31 (2.86-5.20) Gruppo B: - In entrata: 2.95 ± 1.18 (2.08-3.96) - Prima giornata: 3.03 ± 0.93 (2.55-3.80) - Seconda giornata: 2.63 ± 0.80 (2.04-3.32) - Dopo estubazione: 3.15 ± 0.80 (2.41-3.63) P/F in entrata p = 0.429 P/F in prima giornata p = 0.982 P/F in seconda giornata p = 0.805 P/F post-estubazione p = 0.012

(47)

47 Per quanto riguarda le caratteristiche postoperatorie, soprattutto per i primi giorni di degenza in terapia intensiva, analizzando le variabili con il test T di Student, non sono emerse differenze significative sia per la durata di degenza in terapia intensiva (p = 0.103), che per la durata di assistenza ventilatoria (p = 0.14); nessuna differenza significativa tra i due gruppi neanche per quanto riguarda la necessità di tracheostomia temporanea (p = 0.21) o di trasfusioni di emazie (p = 0.186) o di pool piastrinici (p = 0.072). Non sono emerse differenze nemmeno circa i valori di rapporto PaO2 / FiO2,

eccezion fatta per il valore del rapporto P/F al momento dell’estubazione che è stato leggermente più alto nei pazienti del gruppo A (p = 0.012).

 GIORNI DI DEGENZA TOTALE

Degenza media:

Gruppo A: 43 ± 23 giorni (28-66) Gruppo B: 40 ± 17 giorni (28-51) p = 0.042

(48)

 COMPLICANZE POSTOPERATORIE

Le complicanze rilevate, avvenute principalmente nei primi giorni post-operatori, sono state prevalentemente di tipo emorragico, con necessità a volte di revisione chirurgica, sia di natura trombotica (TVP, EP)

ECMO CVVHDH TVP FA S.O. Pericardiotomia

Contr Emorr Resez Atipica A 3 2 0 3 8 3 2 1 B 1 5 2 10 10 1 5 1 ECMO post: p = 0.015 CVVHDF/dialisi: p = 0.044 TVP: p = 0.006 S.O: p = 0.579 Pericardiotomia: p = 0.015 Controllo emorragie: p = 0.106 Resezione atipica: p = 0.052 FA: p < 0.001 12 10 8 6 4 2 0 A B

(49)

49  MORTALITA’ INTRAOSPEDALIERA Mortalità intraospedaliera: Gruppo A: 13% (3 pazienti) Gruppo B: 18.5% (5 pazienti) Mortalità intraospedaliera p = 0.307

Confrontando i due gruppi e valutando nel complessivo la qualità di degenza ospedaliera sono emerse disomogeneità per quanto riguarda la durata di degenza totale (p = 0.042) che è stata mediamente più lunga nei pazienti del gruppo A. Sono state evidenziate differenze significative anche per quanto riguarda la frequenza di complicanze, talvolta a favore di un gruppo e talora a favore dell’altro. Non è invece risultata statisticamente significativa la mortalità intraospedaliera tra i due gruppi, anche se andando ad analizzare la mortalità soltanto nel periodo di ricovero in Terapia Intensiva è interessante vedere come ci sia stata una maggiore mortalità nel gruppo dei pazienti sottoposti a trapianto senza supporto ECMO: 1 decesso nel gruppo A e 4 decessi nel

gruppo senza ECMO (p = 0.012).

0 1 2 3 4 5 6 Mortalità Gruppo A Gruppo B

(50)

CARATTERISTICHE DEL FOLLOW-UP

 FEV1 (% DEL PREDETTO)

È stato analizzato il FEV1 ad un mese e a sei mesi dal trapianto

FEV1 un mese p = 0.455 FEV1 sei mesi p = 0.486

% FEV1 1 mese % FEV1 6 mesi

Gruppo A 67.53 ± 18.90 78.50 ± 19.95 Gruppo B 65.76 ± 14.76 75.65 ± 17.97

(51)

51  SURVIVAL

Sopravvivenza globale:

Gruppo A: 25.20 ± 18.23 mesi (2.07 ± 1.49 anni) Gruppo B: 22.61 ± 18.82 mesi (1.85 ± 1.54 anni) p = 0.515

Sopravvivenza a 1 mese p = 0.75

(52)

Non idoneo Assenza Rigetto RigettoAcuto Gruppo B Gruppo A  RIGETTO ACUTO Rigetto ad un mese: Gruppo A: 5 pz (21.7%), Gruppo B: 11 pz (40.7%) p = 0.235

Per quanto concerne la valutazione a distanza in termini di sopravvivenza, funzionalità respiratoria e presenza di rigetto acuto ad un mese, i dati emersi sono sostanzialmente omogenei tra il gruppo di pazienti sottoposti a trapianto con e senza ECMO intraoperatorio.

(53)

53

3.3 DISCUSSIONE

Il primo caso riportato di uso di ECMO nel trapianto polmonare risale al 197824. Subito dopo è stata accettata nella pratica clinica la sua applicazione come bridge al trapianto25 e supporto post-intervento per la PGD, anche se al 2002 vi era ancora un’esperienza limitata sull’uso di ECMO intraoperatorio durante il trapianto di polmone, con report di solo due gruppi su un numero limitato di pazienti presenti in letteratura26, 27. Uno degli ultimi articoli riguardo l’uso di assistenza ECMO nel trapianto di polmone è uno studio del gruppo di Hannover28, basato oltretutto sulla maggiore casistica di un singolo centro ad oggi riportata. In questo studio è stata evidenziata una mortalità intraospedaliera e complicazioni maggiori nei pazienti che hanno ricevuto ECMO, mentre la sopravvivenza tra i pazienti che sono stati sottoposti a trapianto polmonare con o senza ECMO è simile.

Dal 2001, anno di nascita del nostro centro trapianti, questo rappresenta il primo studio retrospettivo realizzato dal nostro centro sull’argomento del supporto extracircolatorio durante il trapianto di polmone. Ad oggi sono stati effettuati 136 trapianti polmonari, di cui 70 bilaterali.

ANNO TOT MONO BIL ECMO/CEC

2001 2 2 0 2002 2 2 0 2003 3 3 0 2004 6 5 1 2005 8 4 4 0/1 2006 11 6 5 0/2 2007 11 8 3 0/1 2008 9 6 3 2/2 2009 11 9 2 2/0 2010 9 6 3 1/0 2011 9 6 6 0/0 2012 9 3 6 4/1 2013 13 3 10 6/0 2014 11 1 10 3/0 2015 7 1 6 7/0 2016 14 3 11 5/0 2017 3 1 2 1/0

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