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Mappa del proteoma e del secretoma di cellule mesoteliali

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

MAPPA DEL PROTEOMA E DEL SECRETOMA DI CELLULE

MESOTELIALI

Relatore: Candidata:

Prof.ssa Maria Rosa Mazzoni Jessica Petrini Prof. Antonio Lucacchini

Correlatore:

Dott.ssa Laura Giusti

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Quando desideri fortemente qualcosa tutto l’Universo cospira affinché tu la realizzi.

Paulo Coelho, L’Alchimista

Niente di splendido è mai stato compiuto se non da coloro che hanno osato credere di avere dentro di sé qualcosa di più grande delle circostanze.

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INDICE

1. INTRODUZIONE ... 5

1.1 IL POLMONE ... 5

1.1.1 Forma, posizione e rapporti ... 5

1.1.2 Struttura dei polmoni ... 7

1.1.3 Le pleure... 9

1.2 IL MESOTELIOMA MALIGNO ... 11

1.2.1 Generalità ... 11

1.2.2 Classificazione istologica ... 13

1.2.3 Fattori di rischio del MPM... 14

1.2.4 Patogenesi ... 16

1.2.5 Diagnosi ... 25

1.2.6 Analisi dei biomarcatori tumorali ... 28

1.2.7 Trattamenti terapeutici ... 30

1.2.8 Prevenzione ... 38

1.3 IL PROTEOMA ... 39

1.3.1 Definizione ... 39

1.3.2 Tecnologie proteomiche ... 40

1.3.3 Ruolo degli studi proteomici nella ricerca contro il cancro ... 41

1.4 IL SECRETOMA ... 42

1.4.1 Definizione ... 42

1.4.2 Ruolo del secretoma nella ricerca contro il cancro ... 44

1.4.3 Limiti nell’analisi del secretoma cellulare ... 45

2. SCOPO DELLA TESI ... 47

3. MATERIALI E METODI ... 49

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3.2 PRECIPITAZIONE CON ACIDO TRICLORO ACETICO (TCA) ... 50

3.3 SCRAPING ... 52

3.4 DOSAGGIO PROTEICO RC/DC(BIO-RAD) ... 52

3.5 ELETTROFORESI BIDIMENSIONALE (2-DE) ... 55

3.5.1 Prima dimensione: reidratazione delle strips ed isoelettrofocalizzazione (IEF) ... 56

3.5.2 Equilibratura delle strips ... 59

3.5.3 Preparazione dei gels ... 61

3.5.4 Seconda dimensione: SDS-PAGE ... 62

3.5.5 Colorazione con rutenio ... 63

3.6 ELABORAZIONE DEI DATI ... 65

3.7 PREPARAZIONE DEI CAMPIONI PER L’ANALISI MS ... 65

4. RISULTATI E DISCUSSIONE ... 67

5. APPENDICE ... 78

6. BIBLIOGRAFIA ... 80

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1. Introduzione

1.1 Il polmone

1.1.1 Forma, posizione e rapporti

I polmoni sono organi parenchimatosi, essenziali per la respirazione; in numero di due, vengono distinti in polmone destro e polmone sinistro (1). Sono situati nel

torace, nelle logge polmonari, avvolti da una membrana sierosa propria a ciascun polmone, la pleura (1). Il diametro verticale misura in media 25 cm, quello

trasversale 10-11 cm a destra e 7-8 cm a sinistra, il volume è di circa 1600 cm3

nell'uomo (leggermente inferiore nella donna). Il polmone destro è più voluminoso rispetto al sinistro, che a sua volta è più lungo e stretto del destro, a causa della presenza del fegato, che a destra costringe il diaframma a sollevarsi, e del cuore, che invade con il suo apice la parte sinistra del mediastino (2).

La quantità di aria che transita nei polmoni durante una inspirazione ed una espirazione ordinaria è detta "aria respiratoria" e misura circa 500 cm3.

I polmoni presentano un colore roseo nel bambino, che tende poi a modificarsi gradualmente con l'età fino a divenire, nell'adulto, grigio-biancastro: il progressivo scurirsi dei polmoni è un fenomeno fisiologico, dovuto al deposito di pigmento nel parenchima polmonare, ma può accentuarsi con l'inquinamento e con il fumo di sigaretta.

La forma dei polmoni è paragonabile a quella di due mezzi coni, con una base situata in basso, un apice in alto, una faccia laterale (costovertebrale), una mediale (mediastinica), e tre margini (anteriore, posteriore ed inferiore).

La base del polmone è concava, rivolta in avanti, di forma semilunare, con il margine convesso posto lateralmente e quello concavo medialmente. È in rapporto

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con le porzioni laterali del diaframma, che la separa a destra dal lobo destro del fegato e a sinistra dal lobo sinistro del fegato, dallo stomaco e dalla milza.

L'apice del polmone è tondeggiante, rivolto lateralmente e ventralmente. Si eleva circa 2 cm al di sopra dell'estremità sternale della clavicola da entrambi i lati. Superiormente è in rapporto con la cupola pleurica e, quindi, con l'arteria succlavia, che produce su di esso il "solco succlavio", mentre lateralmente tocca il margine interno della prima costa.

La faccia costovertebrale è convessa, guarda anteriormente, lateralmente e dorsalmente. Contrae rapporti con la faccia interna delle coste, che vi producono visibili solchi soprattutto nella porzione posteriore, dette "impronte costali", con gli spazi intercostali, con la parte laterale delle vertebre toraciche e con le fibrocartilagini intervertebrali. Su questa faccia è presente una fessura, che percorre anche la faccia mediastinica e la base del polmone, chiamata "scissura interlobare"; tale scissura nel polmone destro prende il nome di scissura principale, in quanto da essa origina anche una diramazione detta "scissura interlobare secondaria". Queste due scissure interlobari dividono i polmoni in lobi, che sono tre nel polmone destro (superiore, medio ed inferiore) e due nel polmone sinistro (superiore e inferiore).

La faccia mediastinica è concava e presenta, all'incirca in posizione mediana e spostato verso il margine posteriore, l'ilo del polmone, ossia una piccola superficie leggermente incavata, sprovvista di rivestimento pleurico, in corrispondenza della quale transitano, in entrata ed in uscita, i bronchi, i nervi ed i vasi. Tali elementi che transitano nell'ilo vanno a formare una sorta di cordone, che prende il nome di "peduncolo polmonare", che è avvolto dalla pleura, ed è costituito quindi dal bronco principale, dal ramo dell'arteria polmonare, dalle vene polmonari, dall'arteria e la vena bronchiale, da vasi linfatici, linfonodi e nervi (2).

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un'incavatura dovuta alla presenza del cuore e detta "incisura cardiaca". Il margine posteriore segna il confine tra la faccia mediastinica del polmone e quella costovertebrale, e si trova subito dietro l'ilo. Il margine inferiore è costituito da due segmenti, uno laterale che separa la faccia costovertebrale dalla base del polmone, ed uno mediale che separa la faccia mediastinica dalla base polmonare(2).

1.1.2 Struttura dei polmoni

Il parenchima polmonare è costituito dall’albero bronchiale e dal connettivo interstiziale. Lo stroma connettivale, che ha funzione di sostegno, suddivide il parenchima polmonare in unità anatomo-funzionali, contenenti i rami dell'albero bronchiale e i rami derivanti dai vasi polmonari (2).

Queste unità sono ordinate secondo la seguente gerarchia:

 Lobi: territori del parenchima ventilati, ciascuno, da un bronco lobare (ramo del bronco principale) e delimitati dalle scissure presenti in ciascun polmone (1).

 Segmenti (o zone o aree): sono i territori in cui è diviso ciascun lobo. Un segmento è un territorio delimitato, non costantemente, dallo stroma connettivale, di forma irregolarmente piramidale, con la base corrispondente alla superficie esterna del polmone e l’apice corrispondente all’ilo (1). Ogni segmento è

ventilato dal proprio bronco (bronco segmentale, che a sua volta si divide in bronchi sottosegmentali) e riceve un proprio ramo dell’arteria polmonare (arteria segmentale). I segmenti sono 10 nel polmone destro, 9 nel sinistro.

 Lobuli: sono i territori (con diametro di circa 20 mm) in cui è diviso ciascun segmento, ben delimitati da setti connettivali interlobulari dello stroma; i lobuli superficiali hanno forma piramidale con base corrispondente alla superficie esterna del polmone; i lobuli profondi hanno forma poliedrica. Ciascun lobulo è ventilato da un bronchiolo lobulare (ramo di un bronco interlobulare, ramo a sua

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volta di un bronco sottosegmentale) ed è irrorato da un ramo lobulare dell’arteria polmonare (1).

 Acini: sono i 10-15 territori in cui è diviso ciascun lobulo dalle ramificazioni del connettivo interstiziale; sono in media 33.000 per polmone, e ciascun acino è ventilato da un bronchiolo terminale (ramo di un bronchiolo intralobulare, ramo a sua volta di un bronchiolo lobulare) e contiene da alcune migliaia a parecchie decine di migliaia di alveoli polmonari (1).

 Alveoli: sono estroflessioni del diametro di circa 250 µm (1) e si aprono sulle

pareti delle successive ramificazioni del bronchiolo terminale (bronchioli respiratori, condotti alveolari, sacchi alveolari), costituendo una sorta di grappolo detto "unità terminale del polmone" (Terminal Lung Unit, TLU) (2).

Ciascun alveolo è costituito da un colletto e da una parete; il colletto costituisce il canale attraverso cui l'aria circola nell'alveolo, mentre la parete alveolare è costituita da una membrana dotata di uno spessore che non supera i 2 µm e formata dall'epitelio alveolare e da una lamina vascolo-connettivale. L'epitelio alveolare è monostratificato ed è costituito dalle cellule alveolari, gli "pneumociti", in grado tra l’altro di rilasciare sulla superficie della parete alveolare una sostanza tensioattiva nota come “surfactante”, che favorisce la distensione dell’alveolo e impedisce il collasso delle pareti, andando inoltre a costituire un mezzo ottimale per la solubilità dei gas atmosferici, facilitando quindi lo scambio gassoso. Nella parete alveolare si ritrovano anche i macrofagi alveolari, cellule rotondeggianti ricche di lisosomi, in grado di fagocitare particelle carboniose o microrganismi inspirati insieme all'aria. La lamina vascolo-connettivale è invece costituita da una rete di capillari sanguigni e da uno strato di tessuto connettivo. Gli alveoli sono infatti avvolti dalle ultime ramificazioni dell'arteria polmonare e dalle radici delle vene polmonari, entrambi

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sono costituiti da capillari di calibro ridotto che fa sì che il sangue al loro interno fluisca lentamente, con gli eritrociti che, avendo un dm poco superiore a quello del capillare, passano in fila e subiscono deformazioni che permettono lo scambio gassoso, il quale avviene per diffusione grazie allo spessore ridotto della barriera che separa l'aria contenuta in un alveolo dal sangue presente nei capillari. I due polmoni umani hanno circa 300 milioni di alveoli; in questo modo forniscono una superficie respiratoria di circa 70 metri quadrati, pari a circa quaranta volte la superficie esterna dell'intero corpo umano (3).

FIGURA 1. RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLA STRUTTURA DEL POLMONE; IN DETTAGLIO,

RAPPRESENTAZIONE DELLA STRUTTURA A GRAPPOLO DEGLI ALVEOLI POLMONARI.

1.1.3 Le pleure

Le pleure sono membrane sierose, sottili e trasparenti, che rivestono i polmoni e la superficie interna della cavità toracica (2).

Ogni pleura è costituita da due parti: una detta "pleura viscerale", che avvolge i polmoni, l'altra detta "pleura parietale" che riveste le pareti interne della cavità

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toracica in cui i polmoni alloggiano [Figura 2]. Le pleure delimitano uno spazio virtuale (in quanto sono in pratica applicate l'una sull'altra) detto "cavità pleurale", nella quale è presente il liquido pleurico che consente alle due membrane di scorrere l'una sull'altra senza creare attrito durante la respirazione. La cavità pleurica può diventare reale in determinate condizioni patologiche: succede ad esempio in presenza di un versamento pleurico, con del liquido che si raccoglie nello spessore tra le due pleure, o nel caso in cui vi penetri dell'aria, quando cioè si verifica uno pneumotorace.

FIGURA 2. RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLA DISPOSIZIONE DELLE PLEURE.

Strutturalmente, le due pleure sono costituite da più strati:

- Uno strato superficiale, detto "mesotelio", che si trova rivolto verso la cavità pleurica ed è costituito da un sottile strato di cellule epiteliali appiattite capaci di produrre e di riassorbire il liquido pleurico (1);

- Uno strato sottomesoteliale, costituito da tessuto connettivo fibroelastico;

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all'esterno del quale si trova la fascia endotoracica, costituita da una robusta lamina ricca di fibre elastiche (2).

Pertanto, come avviene in tutte le membrane sierose, i mesoteli dei due foglietti pleurici sono affrontati tra loro con l’interposizione di un velo di liquido (1).

Le funzioni delle pleure sono comuni a quelle di tutte le membrane sierose, presenti anche a livello del cuore (pericardio), dell’addome (peritoneo), del testicolo (tonaca vaginale). Svolgono un ruolo importante nel rivestimento e nell’isolamento dell’organo, permettendone lo scorrimento durante l’espansione polmonare dovuta alla respirazione (o, nel caso delle altre sierose, durante la contrazione cardiaca, la peristalsi e i movimenti passivi del testicolo). Inoltre secernono il velo di liquido interposto tra i foglietti parietale e viscerale, contenente acqua, elettroliti, macrofagi, linfociti, mastociti (1). Sono poi deputate

all’assorbimento di liquido e molecole, inclusi i farmaci, ed hanno attività anti-batterica ed anti-flogistica, per la presenza di fagociti, mastociti e cellule immunocompetenti. Infine, partecipano allo scambio idro-elettrolitico, in quanto le sierose hanno caratteristiche di membrane dializzanti, la cui permeabilità può aumentare bruscamente in caso di processi flogistici, con perdita di liquidi dal letto vascolare (1).

1.2 Il mesotelioma maligno

1.2.1 Generalità

Il mesotelioma maligno (MM) è una neoplasia che trae origine dal mesotelio, il sottile epitelio presente non solo nelle pleure, come già descritto in precedenza, ma anche a livello di altre cavità sierose, in particolare quella peritoneale, pericardica, del testicolo e dell’ovaio. Pertanto il mesotelioma può essere classificato in base al

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distretto corporeo da cui trae origine in:

- Mesotelioma pleurico: è la tipologia più diffusa (circa 3 casi su 4) e origina nella cavità toracica;

- Mesotelioma pericardico: nasce nella cavità intorno al cuore ed è estremamente raro;

- Mesotelioma peritoneale: nasce nell'addome, ed esclusi i mesoteliomi pleurici, rappresenta la quasi totalità dei casi diagnosticati;

- Mesotelioma della tunica vaginale: nasce dalla membrana che riveste i testicoli, molto raro (4).

Il mesotelioma pleurico, MPM, è stato riconosciuto nel 90-95% dei casi documentati di mesotelioma, il quale a sua volta rappresenta meno dell’1% della totalità delle malattie oncologiche. In Italia, rappresenta lo 0,4% dei tumori diagnosticati nell’uomo e lo 0,2% di quelli diagnosticati nelle donne (ciò equivale a dire che si verificano 3,4 casi di mesotelioma ogni 100.000 uomini e 1,1 ogni 100.000 donne). Malgrado la rarità della malattia, l’incidenza del MPM sta aumentando in tutto il mondo, e si stima che possa raggiungere il picco massimo nei prossimi 15 anni (28).

Dal mesotelio possono originare anche tumori benigni, in genere rimossi mediante chirurgia senza bisogno di ulteriori trattamenti (4).

Il mesotelioma maligno presenta un periodo di latenza variabile, ma generalmente lungo, raramente inferiore a 10 anni. Come la maggior parte dei tumori, le probabilità di successo nel trattamento sono maggiori quanto minore è lo stadio a cui viene riconosciuto; i sintomi del mesotelioma sono però inizialmente molto poco specifici e facilmente confusi con segni di malattie meno gravi. I segni precoci del mesotelioma pleurico possono includere dolore nella parte bassa della schiena

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o a lato del torace, dispnea, stanchezza, febbre, difficoltà nella deglutizione, perdita di peso immotivata, debolezza muscolare. I segni del mesotelioma peritoneale possono invece includere nausea, vomito, perdita di appetito, perdita di peso, blocco intestinale, sensazione di pressione o dolore all'addome, febbre, sudorazione notturna, affaticamento (5). Tuttavia spesso la diagnosi arriva quando

il tumore è già in stadio avanzato con ridotte possibilità di trattamento (4).

1.2.2 Classificazione istologica

Macroscopicamente il mesotelioma ha una apparenza stereotipata, ma all’esame microscopico dimostra una spiccata diversificazione della sua struttura architettonica tanto da esprimere vari tipi neoplastici (6) [Figura 3].

- Epitelioide: è il tipo più comune riscontrato nei mesoteliomi (circa il 50-70%). Le cellule epitelioidi sono cellule epiteliali che iniziano a funzionare in modo non corretto, per poi arrivare a riprodursi in modo incontrollato e afinalistico, diventando così cellule tumorali. Il mesotelioma epitelioide è caratterizzato al microscopio da cellule cubiche, cilindriche o appiattite, che danno una struttura prevalentemente tubolare, papillare o tubulo-papillare. Inizialmente, questo tipo di mesotelioma era considerato molto frequente, in quanto veniva confuso con un'altra forma di tumore, ossia l'adenocarcinoma, a causa della forma simile delle cellule, che portava ad un'errata diagnosi al microscopio (5);

- Sarcomatoide: è una forma più rara di mesotelioma, rappresenta il 10-20% di tutti i casi, ma è anche più difficile da trattare con la chemioterapia. Le cellule appaiono ovali, simil fibroblastiche, arrangiate in fasci o distribuite in modo disordinato, in uno stroma collagenoso più o meno ialinizzato;

- Bifasico o misto: si tratta di un mesotelioma caratterizzato da entrambi i tipi di cellule, epitelioidi e sarcomatoidi, che possono trovarsi miste tra loro oppure in

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aree separate del tumore. Rappresenta il 20-35% della totalità dei mesoteliomi (5).

FIGURA 3. IMMAGINE DEL MESOTELIOMA AL MICROSCOPIO: A) TIPO EPITELIOIDE; B) TIPO SARCOMATOIDE; C) TIPO BIFASICO O MISTO.

1.2.3 Fattori di rischio del MPM

L'eziologia di tutte le forme di mesotelioma è fortemente associata ad inquinanti industriali, tra i quali l'amianto è il cancerogeno principale (7).

Anche per lo sviluppo del mesotelioma pleurico maligno, il più diffuso tra i mesoteliomi, il principale fattore di rischio risulta essere l'esposizione all'amianto: la maggior parte di coloro che hanno sviluppato il MPM, infatti, è costituita da persone entrate in contatto con tale sostanza in luogo di lavoro. Il termine amianto, dal greco αμίαντοs (amiantos) significa letteralmente "immacolato",

"incorruttibile". Il termine asbesto, che equivale ad amianto, deriva anch'esso dal greco ἄσβεστος (asbestos) e significa "perpetuo" (8). Con questi nomi è chiamato

un minerale naturale dall'aspetto fibroso, costituito da fasci di fibre sottilissime e molto resistenti; questa loro caratteristica finezza determina la pericolosità dell'amianto per la salute dell'uomo, in quanto possono essere inalate e danneggiare le cellule del mesotelio che riveste la pleura, arrivando

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potenzialmente a causare lo sviluppo della neoplasia. Molte proprietà interessanti, quali la resistenza termica, la facilità di lavorazione, l'isolamento elettrico, la resistenza agli acidi, unite ad un basso costo di produzione, hanno fatto sì che l'amianto fosse largamente utilizzato in Italia nel campo dell'Industria, dei Trasporti e dell'Edilizia per la fabbricazione di molti prodotti, tra cui possiamo annoverare le coperture di edifici industriali (Eternit), tubazioni, serbatoi, cassoni e guarnizioni. Inoltre l'amianto è stato utilizzato in maniera insolita anche per produrre imballaggi, carta e cartoni, pavimentazioni, tessuti ignifughi per l'arredamento di teatri e cinema e addirittura nell'abbigliamento. È stato anche utilizzato per produrre rivestimenti refrattari e guarnizioni di forni. Fibre di amianto sono state applicate a spruzzo, insieme a sostanze adesive (come la vermiculite), per l’isolamento termico e acustico degli edifici o per aumentare la resistenza al fuoco delle strutture in caso di incendi. L’amianto è stato inoltre impiegato nei locomotori e nelle carrozze ferroviarie, nei materiali di attrito dei freni e delle frizioni, nei rivestimenti plastici di pavimenti (tipo linoleum), nella fabbricazione di mastici, sigillanti e adesivi, è stato usato per l’isolamento termico negli elettrodomestici ed altri attrezzi utilizzati nelle abitazioni come, ad esempio, gli assi da stiro, gli asciugacapelli, i tostapane, le lavatrici, le asciugatrici, le centrifughe, le lavastoviglie, i frigoriferi, i congelatori, i radiatori. Nei laboratori chimici sono stati usati per moltissimo tempo manufatti contenenti amianto, come guanti e reticelle spargifiamma (9). Il boom economico vissuto dal nostro paese

negli anni che vanno dal 1960 al 1990 ha visto un uso considerevole dell'amianto, fino all’approvazione della Legge 27 marzo 1992 n. 257, con cui è stata vietata la produzione e il commercio di manufatti contenenti amianto, con la cessazione di tutte le attività di estrazione, importazione ed utilizzo (5,10). A causa della lunga

latenza del MPM, ancora oggi il nostro paese si trova di fronte alle gravi conseguenze del vasto utilizzo dell'amianto; possono passare infatti anche 20 anni

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tra la prima esposizione all'amianto e l'insorgenza del mesotelioma. Nonostante anche una sola fibra possa potenzialmente provocare il cancro, i rischi aumentano notevolmente con l'esposizione sia in termini di durata che in termini di quantità, ed è per questo che i più colpiti risultano essere coloro che hanno lavorato in fabbriche che producevano o utilizzavano amianto e anche nei familiari, dato che le sottili fibre potevano rimanere tra i vestiti ed essere trasportate fuori dal luogo di lavoro (4).

Esistono infine altri fattori di rischio per il MPM, seppur meno comuni: l'esposizione all'erionite, un minerale caratterizzato da fibre simili a quelle dell'amianto, le radiazioni a torace e addome, infezioni polmonari croniche e, secondo alcuni studi, l'infezione da Simon Virus 40 (4, 5).

1.2.4 Patogenesi

Le fibre naturali dell'amianto hanno due forme principali: serpentina, rappresentate da crisotilio (amianto bianco) e anfibolo, che comprende crocidolite (amianto blu), amosite (amianto bruno), antofillite, actinolite e tremolite.

Il danno polmonare da amianto può presentarsi in varie forme, dal versamento pleurico benigno, ad un ispessimento pleurico diffuso, al mesotelioma pleurico maligno. L'associazione tra esposizione all'amianto e lo sviluppo del mesotelioma pleurico maligno è ormai accettata. In particolare, la crocidolite è considerata la fibra più oncogenica di amianto: le fibre lunghe e sottili (maggiori o uguali a 8 micron di lunghezza e minori o uguali a 0,25 micron di larghezza) sono infatti le più pericolose a causa della loro maggiore biopersistenza a livello della pleura, dovuta alla lunghezza che fa sì che non siano facilmente inglobate dalle cellule del sistema immunitario (11,12). Queste fibre sono in grado di penetrare nel polmone e

causare ripetuti meccanismi di danno tissutale, infiammazione locale e riparazione tissutale, esponendo il tessuto al rischio di degenerazione maligna. Il crisotilio è il

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tipo più comune di amianto e rappresenta il 90% della produzione mondiale di amianto. Se il crisotilio sia effettivamente in grado di causare il MM è ancora oggetto di controversie: alcuni autori suggeriscono che possa causare il cancro seppur ad un tasso inferiore rispetto all'anfibolo; altri sostengono che non sia il crisotilio, bensì l'anfibolo che spesso lo contamina, la causa del cancro (11).

I meccanismi principali che si ipotizza possano contribuire all’insorgenza e allo sviluppo del mesotelioma sono tre: lo stress ossidativo, l’infiammazione, le alterazioni genetiche [Figura 4].

Stress ossidativo

Non è ben chiaro come le fibre di asbesto causino le alterazioni tissutali che portano al danno polmonare (7). Un ruolo importante, però, lo riveste la capacità

delle fibre di amianto di indurre la formazione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e dell'azoto (RNS), che a loro volta sono responsabili dello stress ossidativo e di conseguenza del danno al DNA. Lo stress ossidativo si verifica quando si ha uno squilibrio tra la produzione di radicali liberi e metaboliti reattivi dell'ossigeno, e la capacità di un sistema biologico di detossificare gli intermedi reattivi o riparare i danni (sistema antiossidante). I ROS sono infatti generati costantemente anche in condizioni normali dal metabolismo areobico, i tipi più comuni sono l'anione superossido (O2-), il perossido di idrogeno (H2O2) e i radicali idrossilici

(HO·), e vengono neutralizzati da antiossidanti enzimatici (superossido dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi) e non enzimatici (glutatione) in grado di contrastare gli effetti dannosi dei ROS. In un soggetto esposto ad amianto questo meccanismo compensatorio può rallentare e non essere più sufficiente ad evitare la degenerazione.

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alcuni studi individuano l'assorbimento delle fibre da parte delle cellule come uno step necessario per la produzione di ROS. L'amianto causa la formazione di ROS attraverso due principali meccanismi:

- Il primo meccanismo riguarda il contenuto di ferro nella fibra di amianto, che porta alla formazione di radicali dell'ossigeno mediante una reazione catalizzata dal ferro stesso (reazione di Haber – Weiss) (13).

- Il secondo meccanismo riguarda il rilascio di metaboliti tossici dell'ossigeno (l'anione superossido e il perossido di idrogeno) previa attivazione di cellule dell'infiammazione (macrofagi alveolari e leucociti polimorfonucleati).

I ROS sono molecole altamente reattive che modificano il DNA (in particolare quello mitocondriale e telomerico), le proteine (compresi gli enzimi responsabili della riparazione dei danni al DNA) e i lipidi. Il danno cellulare indotto dall'amianto mediante la formazione ferro-catalizzata di ROS implica la rottura dei filamenti del DNA e modificazioni delle basi azotate indotte dalle specie ossidanti. Ad esempio, l'8-idrossi-2'-desossiguanosina (8OHdG), il principale prodotto di tale danno ossidativo, causa le trasversioni G → T e A → C. Il danno causato da una mutazione può essere compensato da opportuni meccanismi riparatori, che sono in grado di ripristinare la struttura fisiologica del DNA; tuttavia tali meccanismi possono divenire insufficienti, ed un accumulo di mutazioni arriva a causare la degenerazione neoplastica. Alti livelli di trasversioni G → T sono stati rinvenuti nel

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DNA dell'omento (una parte di peritoneo, tessuto anch'esso bersaglio del mesotelioma) di ratti trattati con amianto. Inoltre sono stati analizzati i livelli di 8OHdG nel sangue periferico di lavoratori esposti ad amianto e di malati di MM, confrontandoli con quelli dei controlli di pari età. L'avvenuta esposizione alle fibre di asbesto ha dimostrato di aumentare significativamente il contenuto di 8OHdG nel DNA linfocitario dei lavoratori esposti. I soggetti esposti all'amianto hanno mostrato altresì un aumento della frequenza delle rotture del doppio filamento di DNA da 2 a 4 volte rispetto ai non esposti (12).

I ROS possono attaccare anche macromolecole biologiche come i lipidi di membrana, portando alla loro perossidazione. Questo a sua volta provoca la produzione di una grande varietà di aldeidi, alcune delle quali estremamente reattive, in grado di funzionare da secondi messaggeri tossici che diffondono nelle cellule e nei tessuti causando ulteriori danni. Il livello plasmatico della malondialdeide, MDA, è un indicatore di perossidazione lipidica, ed è stato determinato in 97 lavoratori esposti selezionati casualmente, e in 42 controlli sani di sesso maschile, risultando significativamente più alta negli esposti (12).

L'amianto ha inoltre mostrato la capacità di indurre l'espressione e l'attività dell'ossido nitrico sintasi (iNOS) inducibile e costitutiva nei macrofagi alveolari e nelle cellule mesoteliali. iNOS è in grado di produrre enzimaticamente ossido nitrico (• NO) a partire da arginina; l'ossido nitrico a sua volta interagisce con O2 • a formare perossinitrito • ONOO, un ossidante altamente reattivo in grado di attaccare vari bersagli biologici e di formare •HO radicale libero mediante un meccanismo ferro–indipendente (12,14).

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Infiammazione

Un ulteriore aspetto è dato dal fatto che le fibre di amianto che rimangono intrappolate nel tessuto polmonare generano una forte risposta infiammatoria mediata dai macrofagi presenti a livello della pleura, che si traduce in uno squilibrio nel flusso della linfa e nella normale pressione transpleurica, provocando un flusso netto di fluidi e fibre dal parenchima sottostante allo spazio pleurico, dando luogo ad un versamento pleurico (14,15).

Tale stato infiammatorio col tempo può cronicizzare, e il continuo rilascio di citochine proinfiammatorie e specie ossidanti da parte dei macrofagi causa uno stato di ulteriore infiammazione, fibrosi e genotossicità a carico delle cellule mesoteliali.

Durante il processo infiammatorio vengono infatti rilasciate citochine e fattori di crescita, molti dei quali sembrano rivestire un ruolo importante nella patogenesi del mesotelioma pleurico maligno da esposizione all'asbesto: tra questi ricordiamo il fattore di necrosi tumorale α (TNF-α), il fattore di crescita trasformante β (TGF-β), il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), il fattore di crescita insulino-simile (IGF), l'interleuchina-6 (IL-6), l'interleuchina-8 (IL-8), il fattore di crescita dell'endotelio vascolare (VEGF) ed il fattore di crescita degli epatociti (HGF) (16).

L'asbesto è in grado di indurre l'espressione dei recettori TNF-R1 per il TNF-α a livello delle cellule mesoteliali; tale fattore quindi si lega ai suoi recettori attivando la via del NF-kB (fattore nucleare kappa B), conferendo alle cellule mesoteliali la resistenza all'apoptosi. La conseguenza è che le cellule continuano a dividersi, seppur con danni al DNA causati dall'asbesto, e l'accumulo di tali danni al DNA le può condurre alla trasformazione neoplastica (15,17).

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21

Il VGEF e il PGDF sono invece riconosciuti come fattori importanti per la neoangiogenesi, ossia la nascita di nuovi vasi sanguigni a partire da capillari già esistenti che andranno a vascolarizzare il tumore. Tale vascolarizzazione tumorale è comunque anormale, in quanto i vasi sanguigni sono porosi e dilatati e presentano un sistema di connessione casuale, ma ha il duplice effetto di fornire nutrienti ed ossigeno necessari alle cellule tumorali e di stimolarne la crescita mediante il rilascio, da parte delle cellule endoteliali di nuova formazione, di fattori di crescita insulino-simili.

L'analisi dell'essudato pleurico di pazienti affetti da MPM ha mostrato un aumento dei valori di VGEF rispetto a quelli di pazienti affetti da una malattia pleurica non maligna, ed è inoltre emersa una correlazione inversa significativa tra il livello di VEGF sierico e la sopravvivenza del paziente (12).

FIGURA 4. RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DEI PRINCIPALI MECCANISMI DI DANNO INDOTTO DALLE FIBRE DI ASBESTO.

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22

Alterazioni genetiche

La comprensione dei processi cellulari che favoriscono o partecipano allo sviluppo del MM è di massima importanza per la messa a punto di terapie volte ad attivare o disattivare determinate vie biochimiche, allo scopo di ottenere, come principale effetto, la soppressione della crescita del tumore.

È noto che ogni tipo di cancro utilizza un certo "gruppo" di geni per crescere, permettendo alle proprie cellule di evadere l'apoptosi e modificare il normale ciclo vitale. Questi geni sono diversi a seconda del tipo di cancro e dello stadio, anche se alcuni casi di attivazione e disattivazione genica sono uguali per tutti i tipi di cancro, e sono stati indagati per lo sviluppo di terapie e di farmaci (15).

Nel caso particolare del MM, i geni i cui ruoli sono ben stabiliti sono [Figura 5]:

- CDKN2A/ARF (Cyclin-dependent kinase inhibitor 2A/alternative reading frame

inactivation): localizzato sul cromosoma 9p21, codifica per gli importanti

oncosoppressori p16(INK4a) e p14(ARF). La proteina p16 è un inibitore della chinasi ciclina-dipendente e svolge un ruolo nella iperfosforilazione della proteina retinoblastoma, inattivandola. Questo fatto comporta il fallimento di arresto del ciclo cellulare. La proteina p14 inibisce invece la degradazione di p53, una proteina che funge da "guardiano del genoma" prevenendo la replicazione di cellule geneticamente danneggiate, attraverso la sua interazione con MDM2 (murine

double minute 2). La perdita di questi geni ha quindi un forte impatto sul controllo

del ciclo cellulare; la letteratura mostra come p16(INK4a) e (p14 ARF) sono i più frequentemente mutati in caso di MM; circa il 70% di tutti i MM di tipo epitelioide e quasi il 100% di tipo sarcomatoide mostrano una delezione del CDKN2A/ARF (18).

- NF2 (neurofibromatosis type 2): situato sul cromosoma 22q12, il gene NF2 codifica per la proteina oncosoppressore denominata Merlin. A metà degli anni 90,

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23

l'inattivazione del gene NF2 è stata riportata in circa il 40% dei casi di MM, confermata anche da studi successivi. Mutazioni di NF2 sono state riscontrate nel 38% dei casi di MPM, mentre tali mutazioni sembrano assenti nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, trovando quindi una possibilità di diagnosi differenziale tra le due neoplasie (15). Sono stati sviluppati modelli murini per

NF2-knockout per confermare il significato dell'inattivazione di NF2: la perdita dell’allele NF2 wild-type, che porta all’inattivazione biallelica, è stata osservata in tutti i MPM indotti da asbesto in topi NF2 (+/-) e nel 50% dei MPM di topi

wild-type esposti all'asbesto (19). Attualmente le mutazioni di NF2 costituiscono la

seconda modifica più comune nel MM, e il loro effetto si spiega osservando il ruolo che riveste la proteina Merlin nel regolare due importanti vie di segnalazione cellulare: mTor (mammalian target of rapamycin) e Hippo. Merlin è in grado di modulare negativamente la pathway mTor, la quale è coinvolta nei processi di crescita cellulare e risulta attivata in molti tumori maligni. La via di segnalazione Hippo è coinvolta nel controllo delle dimensioni, dello sviluppo e della differenziazione degli organi, limitando la divisione cellulare e promuovendo l'apoptosi. Nelle cellule di MPM anche la pathway Merlin-Hippo risulta frequentemente inattivata (15,18).

- PTEN (phosphatase and tensin homolog): scoperto nel 1997 da due gruppi di ricerca indipendenti, la sua attività deriva dall’antagonizzare la via di segnalazione del fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K) e la defosforilazione di fosfatidilinositolo-3,4,5-trifosfato (PIP3) a fosfatidilinositolo-4,5-bifosfato (PIP2). È nota l’attività di PIP3 come secondo messaggero responsabile dell’attivazione di Akt, che fosforila direttamente ed attiva mTor e funge da inibitore dell’apoptosi

(15,18). Vari tipi di cancro mostrano una sovraespressione di questa via biochimica, il

che si traduce in una crescita cellulare incontrollata. La perdita dell’attività di PTEN determina un accumulo di PIP3 e conseguentemente un’iperattivazione di

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24

Akt. Campioni tissutali tumorali di MPM mostrano alti livelli di espressione di Akt fosforilata ed è inoltre stata osservata una scarsa sopravvivenza in pazienti con MPM che non esprimono PTEN (20). Oltre all’attività citoplasmatica, è importante

anche l’attività nucleare di PTEN nel controllo del ciclo cellulare e nella stabilità del genoma (15). È interessante notare come PTEN inibisca la fosforilazione di

MDM2, e di conseguenza protegga p53 dalla degradazione (15).

- BRCA1-BAP1 (BRCA1-associated protein-1 inactivation): è un gene soppressore del tumore che si trova sul cromosoma 3p21.3 e codifica per la proteina BAP1, che svolge un ruolo importante nella via di segnalazione ubiquitina-proteasoma per la deubiquitinazione dell’istone, regolazione della progressione del ciclo cellulare, regolazione della cromatina, trascrizione genica e riparazione del DNA (15). Sono

state individuate mutazioni somatiche di BAP1 in circa il 20% di tutti i casi di MPM(21).

(26)

25

1.2.5 Diagnosi

Come già visto, la diagnosi del mesotelioma è spesso ritardata a causa della lunga latenza tra l’inizio della malattia e la comparsa dei primi sintomi, spesso troppo aspecifici e facilmente interpretabili come segni di patologie più comuni e meno gravi.

Il primo passo verso la diagnosi del MPM è verificare la presenza di un versamento pleurico, ossia la raccolta di liquido pleurico in quantità superiore rispetto a quella fisiologicamente presente. Si procede poi nell’indagine mediante:

 Analisi del liquido pleurico. I campioni di fluido pleurico sono analizzati con lo scopo di eseguire una conta cellulare totale e differenziale, per la determinazione di proteine, lattato deidrogenasi (LDH), glucosio e pH, nonché sottoposti ad esami microbiologici e citologici. I dati ottenuti rimangono però piuttosto aspecifici e tipici anche di altre condizioni patologiche (ad esempio, un liquido con caratteristiche di essudato ha una più alta probabilità di essere dovuto ad una patologia maligna rispetto ad un trasudato, tuttavia sono molte le patologie infiammatorie che causano un essudato); inoltre la sensibilità dell’analisi citologica del liquido pleurico è bassa e da circa l’85% del liquido analizzato si hanno letture negative o non decisive (22).

 Radiografia del torace. È l’indagine radiologica di più frequente esecuzione nella pratica clinica e si basa sull’utilizzo di raggi X, ossia radiazioni ionizzanti che permettono di visualizzare le strutture del torace, in particolare polmoni, cuore e vasi del mediastino, coste e vertebre di un tratto della colonna vertebrale. Di rapida esecuzione e non invasiva, sottopone il paziente ad una dose molto bassa di radiazioni, di modo che sia eseguibile praticamente in ogni paziente e in ogni condizione clinica. L’indagine si basa sul fatto che i raggi X prodotti dal tubo radiogeno che attraversano il paziente vengono in parte attenuati e in parte del

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26

tutto assorbiti in base alla costituzione della struttura corporea: in particolare l’osso assorbe la maggior parte delle radiazioni e appare quindi bianco nelle immagini radiografiche, mentre l’aria lascia passare i raggi e appare nera (dunque il polmone, che contiene aria, apparirà nero). I tessuti molli, con comportamento intermedio, assumono varie gradazioni del grigio (23). La radiografia può

evidenziare anomalie nella pleura o nei polmoni, come modificazioni dello spessore, placche ed ispessimenti dovuti ai depositi di fibre di asbesto. È comune anche un aumento di spessore della scissura principale secondario alla neoplasia [Figura 6].

FIGURA 6. RADIOGRAFIA DEL TORACE DI UN PAZIENTE AFFETTO DA MPM.

 Tomografia del torace. La tomografia computerizzata (TC) utilizza raggi X, il cui assorbimento da parte delle strutture corporee esaminate viene valutato tramite una metodica statistico-matematica (computerizzata), ottenendo immagini che danno la possibilità di evidenziare l’ispessimento della pleura e la sua calcificazione. Tale metodica tuttavia non dà informazioni che permettano di distinguere modificazioni indotte da patologie benigne o maligne, né di distinguere tra adenocarcinoma e mesotelioma (22). Permette però di determinare la presenza

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27

del tumore, la sua posizione esatta e la sua eventuale diffusione ad altri organi, ed inoltre espone il paziente ad una dose più bassa di raggi X, rendendosi più idonea al monitoraggio dei soggetti a rischio (4).

 PET. Consiste nella tomografia ad emissione di positroni, e permette di riscontrare la presenza di cellule che stanno crescendo più velocemente rispetto alle altre. L’analisi delle immagini ottenute permette di distinguere un tumore da lesioni di altro genere, nonché di valutare l’avanzamento del tumore (24). Ad oggi

esistono strumenti in grado di effettuare in un’unica seduta sia TC che PET (4).

 Toracoscopia. Consiste nell’introduzione di un endoscopio nella cavità pleurica, che può essere impiegata per la visualizzazione delle pleure (pleuroscopia). Viene eseguita mediante la sedazione parziale del paziente praticando una piccola incisione che permetta l’ingresso dello strumento, ed è utile per valutare i versamenti pleurici e le lesioni pleuriche e polmonari. La toracoscopia può essere anche chirurgica, e in questo caso si parla di VATS (Video Assisted Thoracic

Surgery): questa richiede una sedazione generale del paziente e permette di

effettuare ampie biopsie pleuriche e se necessario di asportare noduli polmonari periferici (25).

 Risonanza magnetica. Permette di ottenere immagini dettagliate dei tessuti molli del corpo, ma senza l’utilizzo di raggi X. Nel caso del mesotelioma risulta utile per verificare lo stato di salute del diaframma, muscolo essenziale per la respirazione, posto al di sotto dei polmoni (4).

 Biopsia pleurica. Viene eseguita per determinare la patogenesi di un versamento pleurico di tipo essudativo (25). In alcuni casi, con un ago lungo e sottile si

prelevano campioni di liquido presenti nel torace (toracentesi) e si verifica la presenza di cellule tumorali, in altri si prelevano piccole porzioni di tessuto

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28

mesoteliale con un ago sottile inserito sottopelle o con l’inserimento di una sonda dotata di videocamera attraverso un piccolo taglio nella pelle, il che permette al medico di visualizzare aree sospette e prelevare i campioni che verranno analizzati al microscopio. I campioni possono essere sottoposti ad analisi immunoistochimiche e/o genetiche, per valutare le proteine presenti sulla superficie delle cellule e/o l’espressione di geni tipici del mesotelioma (4).

 Esami del sangue. Attualmente le analisi del sangue sono considerate utili per avvalorare un’ipotesi già suggerita da altre tecniche diagnostiche, oppure per seguire l’andamento della malattia nel corso del trattamento. In particolare si misurano i livelli di SMRP (serum mesothelin related protein), la cui concentrazione appare elevata in più dell’84% dei mesoteliomi. Altri marcatori del MPM, seppur meno specifici e sensibili, sono: Cancer Antigen 12 (CA 12) e Cancer

Antigen 15-3 (CA 15-3), acido iarulonico, osteopontina, desmina, vimentina e

prelamin-A (26).

1.2.6 Analisi dei biomarcatori tumorali

Vari biomarkers sono stati studiati in relazione alla diagnosi e alla prognosi del MPM, ottenendo spesso risultati contraddittori. Attualmente, lo standard di riferimento è costituito dalla combinazione di due marcatori immunoistochimici negativi e due positivi validi per il MPM di tipo epitelioide e bifasico, ma non per quello sarcomatoide, che non avendo marcatori specifici risulta di difficile diagnosi(27). I marcatori utilizzati sono:

- Calretinina. Si tratta di una proteina legante il calcio appartenente alla famiglia EF-hand, abbondantemente espressa nei neuroni e con un ruolo chiave nella trasmissione somatosensoriale (28). Sembra essere questo il marcatore più

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29

ed è usata soprattutto per la diagnosi del MPM di tipo epitelioide.

- Citocheratina 5. Le citocheratine (CK) sono filamenti intermedi che si ritrovano nel citoplasma di quasi tutte le cellule epiteliali e nelle cellule mesoteliali. La grande maggioranza dei MPM sono CK5 positivi, mentre adenocarcinomi del polmone e della mammella sono spesso negativi. Resta da considerare però la positività anche del carcinoma a cellule squamose, il carcinoma mammario

basal-like, il carcinoma ovarico sieroso ed endometrioide (27).

- Podoplanina. Si tratta di una sialoglicoproteina primaria rilevata nei podociti ed espressa in diversi tessuti, tra cui anche le cellule mesoteliali. È importante nella differenziazione del MPM dall’adenocarcinoma (29); può essere espressa anche in

carcinomi squamosi e sierosi.

- Wilm’s tumor (WT) 1 protein. Così chiamato in quanto questo gene è assente o

mutato nel tumore di Wilm’s, mentre in pazienti con MPM l’espressione proteica della WT1 risulta alterata. Questo biomarker può differenziare l’MPM dall’adenocarcinoma del polmone, ma non da quello del seno (27).

Tra i marcatori negativi, il più specifico è il CL4 (claudin-4), in quanto non ha mai dato esito positivo in test di MPM, altri sono l’antigene carcinoembrionico (CEA), il fattore di trascrizione tiroideo (TTF1) e il recettore per gli estrogeni (27).

Esistono poi ulteriori marcatori che possono ritrovarsi nel siero e nel liquido pleurico, ma aventi minore sensibilità e/o specificità rispetto ai precedenti. Si tratta di:

- Mesotelina. È una glicoproteina di membrana espressa in vari tipi di cancro, tra cui il MPM. Nel liquido pleurico di pazienti affetti da MPM si riscontrano livelli di mesotelina superiori rispetto a quelli riscontrati in pazienti affetti da metastasi

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30

pleuriche di carcinomi o con lesioni pleuriche benigne (30).

- Osteopontina (OPN). È una proteina extracellulare di adesione, implicata nella diffusione metastatica delle cellule tumorali e nelle vie di segnalazione implicate nella carcinogenesi asbesto-indotta. È un biomarker interessante per individuare pazienti in stadio precoce di MPM tra quelli esposti all’asbesto, anche se la bassa specificità ne compromette l’utilità nello screening (26).

- Fibulina-3. È una glicoproteina extracellulare poco espressa nei tessuti normali, ad oggi risulta però poco attendibile nonostante i primi risultati per quanto riguarda la discriminazione tra soggetti sani esposti all’amianto e soggetti in stadio precoce di MPM fossero buoni (26).

- MicroRNA (miRNA). Si tratta di piccoli segmenti di RNA non codificante, identificati in linee cellulari di MPM, che per questo risultano interessanti come possibili markers diagnostici (26).

Nuovi biomarkers sono attualmente ricercati studiando i geni più frequentemente mutati in caso di mesotelioma, come CDKN2A, NF2 e BRCA1 (26), ma lo stato di

conoscenza attuale non è soddisfacente, e necessita di ulteriori indagini.

1.2.7 Trattamenti terapeutici

La scelta del tipo di cura più adatto una volta diagnosticato un tumore è in generale complessa e richiede la valutazione di vari aspetti, tra i quali la regione del corpo interessata, lo stadio del tumore, l’eventuale presenza di metastasi, le condizioni di salute generali del paziente. Nel caso del mesotelioma, la decisione riguardo l’approccio terapeutico è resa ancora più difficile dal fatto che si tratta di un tumore raro, quindi non è semplice per i medici confrontare l’efficacia dei diversi trattamenti (4). Attualmente, un regime di trattamento trimodale che

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31

comprende chemioterapia, chirurgia e radioterapia fornisce i migliori risultati a lungo termine; tuttavia, anche dopo un approccio così aggressivo, la prognosi rimane scarsa, con il tempo medio di sopravvivenza di poco più di un anno (31).

Nello specifico, gli approcci terapeutici utilizzabili sono:

- La chirurgia. Dovendo decidere il tipo di trattamento da intraprendere, innanzi tutto viene valutata la possibilità di intervenire chirurgicamente. Infatti un tumore “resecabile”, che può essere asportato con la chirurgia, ha più probabilità di essere curato; in linea generale i mesoteliomi di stadio I, II e III sono operabili, ma bisogna tenere in considerazione che non solo le dimensioni del tumore risultano determinanti nel renderlo operabile o meno, bensì è fondamentale anche la posizione del tumore e la possibilità fisica del paziente di affrontare un intervento. La chirurgia può essere praticata quindi a scopo curativo, per tentare di rimuovere il tumore che comunque deve essere ben localizzato, oppure a scopo palliativo, quando cioè il tumore è già diffuso e l’intento è quello di ridurre la sintomatologia. Esistono anche altri trattamenti, meno invasivi dell'intervento chirurgico vero e proprio, che possono essere utilizzati a scopo palliativo: la rimozione di liquido mediante un ago lungo e sottile dalla cavità toracica (toracentesi) è in grado per esempio di dare sollievo, ma ha il difetto di dover essere ripetuta periodicamente, dal momento che il liquido tende a riformarsi (4). È possibile inoltre praticare una

pleurectomia/decorticazione (P/D), che consiste nell’asportazione completa dei due foglietti pleurici, o una pneumectomia extrapleurica (EPP), che consiste nell’asportazione del polmone, delle pleure, del pericardio e parte del diaframma. Infine, un’altra opzione praticabile ma a scopo del tutto palliativo è la pleurodesi, che consiste nell’introduzione di talco nel cavo pleurico per favorire la sinfisi pleurica migliorando la sintomatologia dovuta al versamento (25).

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essere sottoposte ad intervento chirurgico o può avere uno scopo palliativo (4). Può

anche essere effettuata dopo l’intervento chirurgico, e in questo caso si parla di radioterapia “adiuvante”, con lo scopo di distruggere eventuali piccoli gruppi di cellule anomale che non essendo visibili non sono stati asportati con l’intervento.

- La chemioterapia. Si effettua utilizzando un singolo farmaco o più spesso combinazioni di farmaci, e può contribuire a rallentare la progressione della malattia, anche se difficilmente costituisce un mezzo di cura definitivo. Si può somministrare il farmaco per via endovenosa, ma anche per via intrapleurica o intraperitoneale, queste ultime sono somministrazioni localizzate che permettono di colpire il tumore con dosi più alte di farmaco. La chemioterapia può essere effettuata prima dell’eventuale intervento chirurgico, per ridurre la massa del tumore facilitandone l’asportazione (chemioterapia neoadiuvante), oppure dopo l’intervento, per attaccare cellule tumorali non visibili che non sono state asportate(4).

Dal 2003 il trattamento sistemico del MPM è rimasto invariato e la combinazione di un composto di coordinazione del platino (cisplatino) e un antagonista dei folati è ancora lo standard di trattamento di prima linea per i casi di MPM in stadio avanzato non operabile. Due studi randomizzati di fase III hanno dimostrato i benefici per la sopravvivenza dati dalla terapia con cisplatino/antifolato rispetto al cisplatino da solo. In particolare, la sopravvivenza globale osservata con la combinazione cisplatino/permetrexed (un antimetabolita che inibisce diversi enzimi coinvolti nel metabolismo dei folati e quindi nella sintesi delle purine) e cisplatino/raltitrexed è risultata significativamente più alta rispetto alla monoterapia con cisplatino (31). Sulla base di tali dati, la combinazione

cisplatino/permetrexed è divenuta la sola terapia di prima linea approvata dalla

US Food and Drug Administration (FDA) per pazienti con MPM in stadio avanzato

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33

tossicità, ed i risultati di due studi di fase II hanno mostrato un’attività simile a quella del cisplatino (32,33).

Diversi studi di fase II hanno suggerito che la combinazione platino/gemcitabina sia un’opzione ragionevole per la terapia di prima linea del MPM, per l’accettabile profilo tossicologico, il buon tasso di risposta e i benefici clinici per i pazienti (34).

Attualmente l’uso della gemcitabina come terapia di prima linea non è supportato da studi di fase III che abbiano comparato i due regimi chemioterapici, tuttavia è somministrata da sola o in combinazione con cisplatino come terapia di seconda linea (31). Uno studio del 2004 ha riportato una sopravvivenza media di 23 mesi in

pazienti trattati con chemioterapia cisplatino/gemcitabina seguita da EPP e radioterapia postoperatoria (35). Un altro aspetto importante è dato dal fatto che la

conoscenza delle anomalie genetiche che possono essere coinvolte nella patogenesi del MPM ha permesso di utilizzare farmaci specifici per le vie biochimiche coinvolte. Per quanto riguarda la sovraespressione di EGFR (epidermal growth

factor receptor), studi di fase II condotti su pazienti affetti da MPM in stadio

avanzato o recidivo hanno riportato che l’utilizzo di erlotinib e geftinib (inibitori delle tirosin chinasi TKI) non risulta efficace (36,37); uno studio di fase II sta

attualmente valutando l’efficacia di erlotinib in pazienti affetti da mesotelioma peritoneale con mutazioni di EGFR.

Per quanto riguarda invece lapatinib (altro EGFR-TK inibitore), è stato indicato come in grado di migliorare la citotossicità cellulare (ADCC) trastuzumab e cetuximab-mediata, suggerendo questa combinazione di farmaci come una strategia terapeutica efficace per il trattamento del MPM (38). Inoltre, la

somministrazione intratoracica di cetuximab ha dimostrato di inibire la crescita del tumore e prolungare la sopravvivenza di topi portatori di cellule MPM con grave immunodeficienza combinata (SCID) (39). Attualmente, è in corso anche uno

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34

carboplatino/permetrexed come trattamento di prima linea in pazienti affetti da MPM con sovraespressione di EGFR (31).

Ancora, è stata valutata l’efficacia di cixutumumab, un anticorpo monoclonale umano per IGF-1R, in relazione all’espressione di IGF-1R, ed è stata riscontrata una forte correlazione tra il livello di espressione di IGF-1R e l’attività antitumorale di tale farmaco. Sia l’inibizione della proliferazione cellulare cixutumumab-mediata, sia la morte cellulare cixutumumab-indotta tramite ADCC, sono risultate dipendenti dall’espressione di IGF-1R. Pertanto, la valutazione dell’espressione di IGF-1R nel tumore e la correlazione di questa con la risposta ai farmaci è tra gli obiettivi di uno studio di fase II in corso, che testa cixutumumab in monoterapia in pazienti pretrattati affetti da mesotelioma (31).

Altri studi hanno riguardato tivantinib, un inibitore dell’oncogene MET, testato in cellule di MPM e in modelli di trapianto eterologo (xenograft mice) in combinazione con due inibitori di PI3K e mTOR. Tale combinazione ha mostrato una forte sinergia nel sopprimere la proliferazione cellulare e la crescita del tumore (40). Attualmente, è in corso il reclutamento di pazienti per uno studio di

fase I/II volto a valutare la tollerabilità di tivantinib in combinazione con carboplatino/permetrexed come trattamento di prima linea sia in pazienti affetti da cancro del polmone non a piccole cellule non squamoso (NSCLC) in stadio avanzato, che in pazienti affetti da MPM.

Una varietà di studi pre-clinici ha dimostrato che l’inibizione della via AKT/mTOR può migliorare la sensibilità delle cellule del MPM nei confronti degli agenti citotossici. Una forte citotossicità sinergica è stata osservata con l’associazione cisplatino/perifosina (un alchilfosfolipide sintetico) che inibisce AKT (41) o

l’associazione cisplatino/temsirolimus, un inibitore di mTOR (42). Inoltre,

l’inibizione della pathway PI3K/mTOR ha dimostrato di sensibilizzare le cellule MPM alla chemioterapia attraverso un meccanismo che coinvolge la

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down-regulation dell’efflusso del farmaco mediato dal trasportatore ABCG2.

Questa scoperta ha avuto importanti implicazioni terapeutiche, considerando che farmaci attualmente in uso come agenti citotossici nel trattamento del MPM, come pemetrexed e doxorubicina, sono ben noti substrati di ABCG2 (43).

Sono stati di recente pubblicati i risultati di uno studio di fase II che ha indagato l’attività clinica del farmaco everolimus in pazienti con MPM avanzato progredito dopo la terapia con cisplatino (44). Questo agente non ha dimostrato efficacia nei

pazienti pretrattati non selezionati, ma un alto studio di fase II condotto in pazienti affetti da mesotelioma avanzato con perdita di Merlin/NF2 è stato completato e i risultati sono garantiti (31).

La perdita della proteina Merlin conferisce alle cellule una particolare sensibilità ai farmaci FAK (focal adhesion kinase) inibitori, come defactinib, che ha dato buoni risultati nel ridurre la sottopopolazione di cellule staminali tumorali (CSC) del MPM. Il meccanismo coinvolge non solo l’inibizione diretta della FAK sulle cellule tumorali, ma anche l’inibizione di Pyk2, altro membro della famiglia FAK, sui macrofagi associati al tumore (TAM). Così, diminuendo il numero di TAM in vivo, riduce anche il rilascio di citochine che stimolano la proliferazione delle CSC e la loro sopravvivenza (45). L’efficacia di defactinib è ancora oggetto di studio, ma

risultati preliminari indicano che il trattamento con tale farmaco per 12 o 35 giorni è associato ad una riduzione del tumore e immunomodulazione (31). Altro bersaglio

importante è HSP90 (heat shock protein 90), uno chaperone molecolare che controlla la stabilità di molte proteine coinvolte nei processi di proliferazione e morte di cellule tumorali. Gli inibitori di HSP90 sono stati evidenziati come capaci di reprimere la proteina MDM4, una molecola MDM2-simile coinvolta nella regolazione negativa di p53 (31). Tenendo conto di questo effetto, due inibitori

HSP90 (17-AAG e 17-DMAG) sono stati testati in combinazione con nutlin-3a, che blocca la degradazione di p53 inibendo la sua interazione con la proteina MDM2.

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Tale combinazione ha determinato una soppressione sinergica della crescita del tumore in un modello animale ortotopico. Sono inoltre in corso studi di fase I/II riguardanti l’associazione tra cisplatino/permetrexeb e ganetespib (inibitore orale della HSP90) (31).

Anche l’angiogenesi, come già visto, è un evento determinante nello sviluppo della neoplasia: bevacizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che ha mostrato di inibire tutte le isoforme di VEGF umano. Il trattamento con bevacizumab ha dato buoni risultati nell’inibire lo sviluppo del tumore nel torace ed il versamento pleurico in topi con SCID (severe combined immunodeficiency) ortotopicamente inoculati con cellule di MPM secernenti VEGF (46). È interessante inoltre notare che

una migliore efficacia è stata riscontrata quando il trattamento è stato iniziato poco dopo l’inoculazione delle cellule tumorali, il che suggerisce che le terapie antiangiogenetiche possono essere utili nel controllare i primi stadi clinici del MPM (31). I risultati di un trial di fase III condotto su 448 pazienti trattati con

cisplatino/permetrexed (PC) o cisplatino/permetrexed in associazione con bevacizumab (PCB) per 6 cicli sono stati recentemente pubblicati da Zalcman et al.

(47), riportando che l’aggiunta di bevacizumab a cisplatino/permetrexed migliora la

sopravvivenza globale a 18,8 mesi contro 16,1 mesi. Ulteriori studi sono in corso nel valutare nuove combinazioni terapeutiche di cisplatino/pemetrexed con altri farmaci anti-angiogenici, come nintedanib e cediranib: l’efficacia di queste associazioni è stata recentemente dimostrata per nintedanib in topi SCID, il quale si è rivelato efficace anche in monoterapia nell’inibire la crescita del tumore ed aumentare in modo significativo la sopravvivenza dell’animale; cediranib è stato testato in monoterapia in pazienti con MPM in stadio avanzato, ma sfortunatamente lo studio non ha condotto al risultato auspicato e il trattamento è stato associato ad una rilevante tossicità. Altri studi su singoli farmaci inibitori di VEGF sono risultati deludenti (31).

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Amatuximab è un anticorpo monoclonale diretto contro la mesotelina, proteina fisiologicamente espressa sulle cellule mesoteliali ma altamente presente nei MPM, ed è stato testato in combinazione con pemetrexed/cisplatino in uno studio condotto su 89 pazienti affetti da MPM non operabile. Il trattamento si è dimostrato sicuro e ben tollerato. Anche anetumab ravtansine, anticorpo umano anti-mesotelina, ha mostrato una buona tollerabilità e un’incoraggiante risposta in pazienti con mesotelioma metastatico (31).

SS1P è una immunotossina ricombinante anti-mesotelina che consiste in un frammento variabile di anticorpo murino anti-mesotelina unito a PE38, una porzione dell’esotossina A di Pseudomonas. La combinazione di SS1P con cisplatino/pemetrexed ha determinato tassi di risposta del 60% in 20 pazienti valutabili e del 77% in 13 pazienti che hanno ricevuto la massima dose tollerata (MTD), ossia 45 mcg/kg (48). Attualmente è in studio la combinazione di SS1P con

pentostatina e ciclofosfamide.

Infine, sono attualmente oggetto di studio anticorpi che agiscano da inibitori su CTLA-4 (cytotoxic T-lymphocyteassociated antigen 4), un recettore immunosoppressore, nello specifico è allo studio tremelimumab; su PD-1

(programmed death) e PD-L1 (Programmed death-ligand 1), che regolano le cellule

T effettrici nelle ultime fasi della risposta immunitaria nei tessuti periferici, e sui quali agiscono rispettivamente pembrolizumab e nivolumab (PD-1) e durvalumab (PDL-1) (31) [Figura 7].

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FIGURA 7.FARMACI UTILIZZATI NEL MPM E RELATIVI TARGETS MOLECOLARI.

Avere a disposizione più bersagli terapeutici nelle principali vie di segnalazione coinvolte nel tumore consente di ottenere sinergie che rendano possibile ridurre le dosi dei singoli farmaci limitando, per quanto possibile, la portata degli effetti collaterali.

1.2.8 Prevenzione

L’elemento fondamentale nella prevenzione del mesotelioma pleurico maligno, e in generale del mesotelioma, è ridurre al minimo, o se possibile evitare del tutto, l’esposizione all’amianto. La Legge n. 257 del 1992 obbliga a verificare l’eventuale presenza di amianto negli edifici pubblici come ad esempio le scuole, ma non è da sottovalutare la possibile presenza di tracce residue di questo materiale anche nelle vecchie case. Ulteriori norme per lo smaltimento dei materiali pericolosi sono contenute in leggi successive promulgate nel 2009 e nel 2011, di cui quest’ultima ha riconosciuto per la prima volta il diritto dei lavoratori esposti all’amianto ad un

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39

risarcimento per malattia professionale (4).

La Legge n.93/2013 parla inoltre per la prima volta di sorveglianza sanitaria per gli esposti, ex esposti e potenzialmente esposti all’amianto, per motivi lavorativi, ambientali o familiari.

Di fondamentale importanza, nel caso in cui ci si accorga della presenza di residui di amianto da rimuovere, è contattare il personale specializzato in grado di rilevare la presenza di materiali di fabbricazione pericolosi ed eliminarli in sicurezza, poiché maneggiare eventuali manufatti contenenti amianto senza le dovute precauzioni espone al rischio di contaminazione ed inalazione di fibre pericolose (4).

1.3 Il proteoma

1.3.1 Definizione

Il termine “proteomica”, coniato nel 1995 in analogia con il vocabolo genomica, si riferisce allo studio di tutte le proteine espresse in un organismo, tessuto o cellula in un preciso istante. Mentre il genoma rappresenta un’entità pressoché costante, il proteoma costituisce un’entità dinamica, in quanto le cellule di uno stesso organismo esprimono proteine differenti, e anche lo stesso tipo di cellula a seconda delle diverse condizioni (età, stato di salute, ambiente) risulta avere un

pattern proteico differente (49). Analizzando direttamente le proteine si ha la

possibilità di ottenere informazioni precise sui livelli di proteine presenti in un preciso momento, in una cellula o in un fluido biologico, rilevandone inoltre le possibili modificazioni post-traduzionali (ad esempio la fosforilazione), che ne determinano la funzione e che risultano importanti per i processi di trasduzione del segnale (50,51). Vi è infatti un notevole dislivello tra il numero di geni e il

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numero delle proteine prodotte in un organismo, e per questo la proteomica rappresenta il passo successivo allo studio del genoma.

Negli ultimi anni l’interesse del mondo scientifico riguardo la proteomica è cresciuto e al momento costituisce un interessante strumento nello studio di processi biochimici implicati nelle malattie, nel monitoraggio di processi cellulari, nel valutare i livelli di espressione delle proteine o le loro modifiche post-traduzionali, nel ricercare differenze tra i fluidi biologici o cellule di soggetti sani e malati e per identificare biomarkers di malattia e possibili candidati per l’intervento terapeutico (52).

Gli studi di proteomica sono distinti in tre aree:

- Proteomica sistematica. Fornisce la descrizione del proteoma intero di un organismo, di un tessuto o di una cellula.

- Proteomica differenziale. Si pone l’obiettivo di valutare l’espressione differenziale delle proteine in cellule diverse di uno stesso organismo o in momenti di vita diversi di una stessa cellula.

- Proteomica funzionale. Permette la caratterizzazione dell’attività di una proteina, delle sue interazioni e della presenza di modificazioni post-traduzionali, per descrivere a livello molecolare i meccanismi cellulari (53).

1.3.2 Tecnologie proteomiche

A causa dell’ampia varietà delle proteine, le tecnologie proteomiche sono diverse e comprendono metodi biologici, chimici ed analitici. La separazione delle proteine seguita dalla spettrometria di massa (MS) è la tecnica principalmente utilizzata (53).

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