UNIVERSITÀ DI PISA
DIPARTIMENTO SCIENZE VETERINARIE
Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria
VALUTAZIONE DELLA SOMMINISTRAZIONE ORALE DI TANNINI
DI CASTAGNO IN VITELLI AFFETTI DA DIARREA NEONATALE
Candidato: Relatori:
Giulia Sarri Prof.ssa Micaela Sgorbini
Dott.ssa Francesca Bonelli
A mia madre,
RIASSUNTO 6
CAPITOLO 1 - TANNINI E STATO DELL’ARTE SUL LORO UTILIZZO 7
1.1ITANNINIDICASTAGNO(KRISPER ET AL.,1992) 9
1.1.1ESTRAZIONEDEITANNINIDICASTAGNO 9
1.1.2COMPOSIZIONEMEDIADELL’ESTRATTODITANNINIDICASTAGNO 9
1.2UTILITÀDEITANNINIINZOOTECNIA 11
1.2.1CONIGLIO 11
1.2.2AVICOLI 12
1.2.3SUINO 13
1.2.4RUMINANTI 15
1.3STATODELL’ARTESULL’UTILIZZODEITANNININELTRATTAMENTODELLADIARREA 19
CAPITOLO 2 - LA DIARREA NEONATALE 23
2.1FATTORIPREDISPONENTI 24
2.1.1INADEGUATOTRASFERIMENTODELL’IMMUNITÀPASSIVA 24
2.1.2INADEGUATECONDIZIONIDIMANAGEMENT 26
2.2EZIOLOGIA 27
2.2.1ESCHERICHIACOLI CEPPIENTEROTOSSICI(ETEC) 27
2.2.2CRYPTOSPORIDIUMPARVUM 28
2.2.3ROTAVIRUS 31
2.2.4CORONAVIRUS 32
2.2.5ALTRIPATOGENI 33
2.5DIAGNOSI 43 2.6TERAPIA 44 2.6.1FLUIDOTERAPIA 44 2.6.2TERAPIAANTIBIOTICA 47 2.6.3TERAPIAANTINFIAMMATORIA 49 2.6.4ALTRITRATTAMENTI 50 2.7PREVENZIONE 52 CAPITOLO 3 - SCOPO 55
CAPITOLO 4 - MATERIALI E METODI 56
4.1ANIMALI 56
4.1.1CONSENSOINFORMATO 56
4.1.2ANIMALIEMANAGEMENTDIALLEVAMENTO 56
4.2CRITERIDIINCLUSIONE 58
4.3METODI 59
4.3.1DEFINIZIONEDIDIARREAEFECALSCORE 59
4.3.2FORMAZIONEEGESTIONEDEIDUEGRUPPI 59
4.3.3CAMPIONAMENTOEDANALISIDELLEFECI 61
4.3.4RACCOLTADATIEESAMECLINICOCOMPLETO 62
4.3.5ANALISISTATISTICA 64
CAPITOLO 5 - RISULTATI 65
5.4EVOLUZIONEDELLAPATOLOGIANEIDUEGRUPPI 68
CAPITOLO 6 - DISCUSSIONI 69
6.1CONCLUSIONI 75
lette. I tannini sono conosciuti per le loro proprietà astringenti e antiinfiammatorie a livello del tratto gastroenterico. Lo scopo di questo studio è stato valutare l’effetto della somministrazione orale di tannini di castagno (Castanea sativa) in vitelli affetti da diarrea neonatale. Sono stati inclusi nello studio ventiquattro vitelli di razza Frisona Italiana affetti da diarrea (fecal score ≥1). I soggetti sono stati suddivisi in un gruppo di controllo (C), che ha ricevuto una compressa di Effydral® in 2L di acqua tiepida, e un gruppo tannini (T), che ha ricevuto una compressa di Effydral® e 10g di polvere di tannini di castagno in 2l di acqua tiepida e la durata della diarrea è stata raccolta. È stato eseguito il test di Mann-Whitney per verificare le differenze nella durata dell’episodio diarroico nei due gruppi.
La durata della diarrea è stata di 10.5±3.5 giorni per il gruppo C e 6.4 ± 3.9 giorni per il gruppo T. Sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi (p=0.01).
La somministrazione di tannini di castagno in vitelli affetti da diarrea neonatale è sembrata capace di ridurre la durata dell’episodio diarroico di circa 4 giorni, suggerendo un’effettiva azione astringente dei tannini di castagno nel vitello, come già riportato nell’uomo. L’uso dei tannini di castagno nei vitelli potrebbe rappresentare un trattamento a basso costo e a basso impatto ambientale della diarrea.
Parole chiave: vitello, diarrea, tannini di castagno, fitoterapia
ABSTRACT
Neonatal diarrhea is one of the major causes of economic losses in bovine dairy industry. Tannins are known for their astringent and anti-inflammatory properties on the gastrointestinal tract. The aim of this study was to evaluate the effect of oral administration of chestnut tannins (Castanea sativa Mill.) in calves’ neonatal diarrhea. Twenty-Four Italian Friesian calves affected by diarrhea (fecal score ≥1) were included. The duration of diarrhea was recorded and the animals were divided into control group (C), that received Effydral® in 2 L of warm water and tannin-treated group (T), that received Effydral® in 2 L of warm water plus 10 g of extract of chestnut tannins dust. A Mann-Whitney test was performed to verify differences in diarrhea lengths between the two groups.
The length of diarrhea was 10.3±3.5 days in group C and 6.4 ± 3.9 days in group T. Statistically significant difference was present for length of diarrhea between two groups (p=0.01).
Administration of chestnut tannins in calves with neonatal diarrhea seems to shorten the length of diarrheic-period by almost 4 days, suggesting an effective astringent action of chestnut tannins in the calf, as already reported in humans. The use of chestnut tannins in calves might represent an effective, low economic and environmental impact treatment of diarrhea.
CAPITOLO 1 - TANNINI e STATO DELL’ARTE SUL LORO UTILIZZO
Il termine “tannini” definisce un gruppo eterogeneo di sostanze polifenoliche di origine vegetale, con elevato peso molecolare, caratterizzate dalla capacità di formare legami, reversibili o meno, con proteine, polisaccaridi, alcaloidi, acidi nucleici, minerali e numerose altre sostanze (McLeod, 1974; Mole e Waterman, 1987; Mangan, 1988; Mueller-Harvey e McAllan, 1992; Van Soest, 1994; Giner-Chavez, 1996; Schofield et al., 2001). L’appellativo “tannini” fu originariamente coniato da Seguin (1976) per descrivere le sostanze di origine vegetale utilizzate da secoli nella concia delle pelli.
I polifenoli vegetali sono accumunati dalle seguenti caratteristiche:
idrosolubilità (Bate-Smith e Swain, 1962; Haslam, 1996);
elevato peso molecolare (pm): da 500 a 3000Da (Bate-Smith e Swain, 1962), sebbene alcuni derivati dei tannini condensati possano avere un pm di oltre 20000Da (Haslam, 1996);
struttura: i polifenoli vegetali possiedono 12-16 gruppi fenolici e 5-7 anelli aromatici (Haslam, 1996);
caratteristiche strutturali (grafico 1-1): sulla base delle caratteristiche strutturali i polifenoli di origine vegetale possono essere suddivisi in due gruppi, i tannini idrolizzabili (TI) e i tannini condensati (TC; Freudenberg, 1920; McLeod, 1974; Haslam, 1989; Griffith, 1991; MuellerHarvey and McAllan, 1992; Mueller-Harvey, 1999). A queste due classi principali ne è stata recentemente affiancata una terza, i florotannini (FT), caratteristici principalmente delle alghe brune (Ashok e Upadhyaya, 2012).
Gragico 1-1 Classificazione dei polifenoli vegetali sulla base delle caratteristiche strutturali (Chung et al., 1998).
I tannini idrolizzabili sono a loro volta suddivisi in gallotannini e ellagitannini, a seconda che nella molecola siano presenti rispettivamente Acido Gallico o Acido Ellagico (Khanbabee e van Ree, 2001).
I tannini delle piante si trovano a livello di radici, corteccia, foglie, steli, semi e germogli, nei quali svolgono funzione di protezione dal freddo, dai predatori e dai patogeni, regolazione della crescita e inibizione dell’attività microbica (Haslam, 1989; Porter, 1989; Hamilton-Miller, 1995; Khanbabaee e van Ree, 2001; Ashok e Upadhyaya, 2012).
Nonostante abbiano attirato l’interesse della comunità scientifica per le loro proprietà medicamentose, i tannini vengono principalmente utilizzati a scopo industriale nella concia delle pelli, nella produzione di vernici, in fotografia, nella coagulazione della gomma e nella fermentazione del vino e della birra (Falbe e Rebitz, 1995; Ashok e Upadhyaya, 2012).
Ai fini del presente studio, saranno descritte le caratteristiche strutturali dei soli Polifenoli vegetali Tannini idrolizzabili Gallotannini Ellagitannini Tannini condensati Fluorotannini
1.1 I TANNINI DI CASTAGNO (Krisper et al., 1992)
I tannini di castagno appartengono alla classe strutturale degli ellagitannini e sono, dopo quelli di mimosa e di quercia, i polifenoli vegetali utilizzati maggiormente nella concia delle pelli.
1.1.1 ESTRAZIONE DEI TANNINI DI CASTAGNO
I tannini di castagno vengono prodotti esclusivamente in Europa, nel Nord del mediterraneo, e sono ottenuti tramite estrazione in acqua calda da corteccia e legno, seguita da asciugatura della soluzione. Analisi effettuate su varie partite di polvere di tannino hanno dimostrato l’assenza di differenze nella composizione tra polveri estratte da lotti diversi.
1.1.2 COMPOSIZIONE MEDIA DELL’ESTRATTO DI TANNINI DI CASTAGNO
L’estratto ottenuto dalla lavorazione del castagno ha un pH di 3,5 e contiene il 75% di tannini. La sua composizione è descritta in tabella 1-1.
Componente Quantità (%) Tannini di castagno 75%
Sostanze idrosolubili diverse dai tannini 17,6%
Sostanze insolubili 0,4%
Acqua 7%
Tabella 1-1 Composizione media, espressa in percentuale, dell’estratto di tannini di castagno (Krisper et al., 1992 modificato).
Oltre alla forma tradizionale, esiste una formulazione a pH 4,5, definita “addolcita”, con minori capacità astringenti, ottenuta mediante l’aggiunta di sali inorganici e
idrossidi. Anche questa formulazione è stata sviluppata per l’industria conciaria, nella quale viene utilizzata al fine di ottenere pelli più morbide
1.2 UTILITÀ DEI TANNINI IN ZOOTECNIA
L’utilità dei tannini, sia in quanto componenti degli alimenti destinati agli animali, sia in quanto integrazioni alla normale razione giornaliera, è stata studiata in diverse specie zootecniche.
1.2.1CONIGLIO
Liu et al. (2012) hanno evidenziato un effetto positivo su crescita, benessere e qualità della carne di conigli allevati in condizioni di alte temperature alimentati con un’integrazione di tannini di castagno di rispettivamente 5 e 10g. La loro attività sarebbe imputabile ad una riduzione dello stress ossidativo tipico di questo tipo di allevamento, con una conseguente azione antiinfiammatoria, evidenziabile dalla riduzione di cortisolo, Creatin-kinasi, globuli bianchi e rapporto neutrofili/linfociti rispetto al gruppo di controllo. L’attività antiossidante dei tannini di castagno nel coniglio era già stata dimostrata da Liu e colleghi (2009; 2011a, b) e Gai e colleghi (2009). Quest’azione gioca un ruolo fondamentale anche nella modificazione del metabolismo lipidico osservata in conigli alimentati con integrazioni di tannini di castagno (Liu et al., 2009; Dalle Zotte et al., 2012).
Anche la somministrazione di estratto di quebracho a conigli in accrescimento ha determinato un aumento dell’incremento ponderale giornaliero dei soggetti, del peso della carcassa e una diminuzione dell’indice di conversione degli alimenti. Lo studio ha mostrato anche un’attività antibatterica dei tannini, con una riduzione dei livelli di E.
coli nel cieco dei conigli che hanno ricevuto l’integrazione alimentare rispetto al
evidenziato differenze nel peso vivo e nel peso alla carcassa rispetto ai gruppi controllo (Liu et al., 2009; Gai et al., 2009; Dalle Zotte at al., 2012).
1.2.2AVICOLI
Secondo le nostre conoscenze, studi sull’utilizzo dei tannini sono stati effettuati nel pollo, nella gallina ovaiola e nella quaglia.
Tuzcu e colleghi (2008) hanno dimostrato la capacità dell’epigallocatechin-3-gallato di ridurre lo stress ossidativo in quaglie allevate in ambiente ad alte temperature (34°C): soggetti che hanno ricevuto un’integrazione di questa sostanza nella razione hanno mostrato un incremento dell’assunzione giornaliera di alimento, del peso vivo, dell’efficacia di utilizzo della razione e del peso a freddo della carcassa. A livello ematico sono stati riscontrati un aumento delle vitamine C, E e A e una netta diminuzione di colesterolo, trigliceridi e glucosio, generalmente alti in queste condizioni di allevamento come conseguenza dello stress ossidativo indotto dalle alte temperature. Lo stesso studio ha valutato l’integrazione alimentare di questa sostanza anche in quaglie allevate a temperatura ambiente, senza evidenziare aumenti nell’assunzione giornaliera di cibo e nella qualità della carne, come riportato da altri studi effettuati nei polli (Schiavone et al., 2008; Calislar e Kaplar, 2017). Iji e colleghi (2004) hanno invece riportato un effetto negativo dei tannini di mimosa su parametri quali assunzione giornaliera di alimento, incremento ponderale e peso vivo, ma hanno comunque riscontrato un miglioramento nell’efficienza di conversione dell’alimento. Schiavone e colleghi (2008) hanno riportato un effetto positivo dei tannini di castagno sull’accrescimento di polli da carne, suggerendo l’utilità dell’integrazione di questa sostanza nella razione dei brolier.
L’integrazione alimentare con tannini di castagno sembra avere un effetto positivo anche sulla salubrità delle uova: galline che hanno ricevuto una razione integrata allo 0,2% con tannini di castagno hanno prodotto uova con un maggior contenuto di acidi grassi polinsaturi e un basso livello di colesterolo. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata riscontrata nei parametri fisici dell’uovo, come il colore del tuorlo, la durezza del guscio ecc. (Minieri et al., 2016). Al contrario, Calislar e Kaplar (2017) non hanno riscontrato cambiamenti nei livelli di colesterolo nelle uova di galline alimentate con un’integrazione di sottoprodotti di carruba, frutto ricco in tannini. Gli acidi grassi saturi e monoinsaturi sono, invece, diminuiti con l’aumentare della quantità di sottoprodotti somministrati, al contrario degli acidi grassi polinsaturi che sono aumentati.
1.2.3 SUINO
Studi condotti sulla somministrazione di tannini in suini all’ingrasso hanno mostrato un miglioramento della qualità della carne evidenziabile da un incremento dei grassi monoinsaturi e polinsaturi a discapito dei grassi saturi determinato dalla riduzione dell’ossidazione lipidica (Bermúdez et al., 2012; Pugliese et al., 2013; Rossi et al., 2013; Inserra et al., 2015), dall’aumento del grasso intramuscolare, dalla notevole riduzione del pH dopo 24h di conservazione (Pugliese et al., 2013) e da un minore odore di grasso e di rancido della carne cotta conservata in frigorifero per 24h a 4°C (Inserra et al., 2015). Nessun miglioramento è stato riscontrato sulla colorazione delle carni dei soggetti alimentati con integrazione di tannini o alimenti ricchi di queste sostanze (Inserra et al., 2015).
L’azione antiossidante dei tannini di castagno è stata dimostrata anche Frankič e Salobir (2011) in suini sottoposti a stress ossidativo. Lo studio ha rivelato la capacità dei tannini di ridurre la formazione di prodotti tossici derivati dall’ossidazione degli acidi grassi polinsaturi e di proteggere i linfociti circolanti dal danno ossidativo sul DNA. Van Lewen e colleghi (1995) e Biagi e colleghi (2010) hanno studiato l’effetto della somministrazione orale di tannini condensati e di castagno sulle performances dei soggetti e sulla funzionalità intestinale: i tannini non hanno alterato le performances produttive dei soggetti, ma hanno invece dimostrato la capacità di aumentare l’efficienza dell’utilizzo della razione e di ridurre le reazioni proteolitiche intestinali con un decremento dei livelli di ammonio e di acidi grassi volatili.
Uno studio condotto in vitro sull’effetto dei tannini di castagno su colonie di
Salmonella typhimurium isolate da suini, ha confermato l’effetto antimicrobico di
queste sostanze. Gli stessi risultati non sono stati ottenuti in vivo, mediante la somministrazione orale di tannini di castagno a suinetti inoculati con 10⁷ UFC di
Salmonella typhimurium (Van Parys et al., 2010).
L’attività antimicrobica dei tannini è stata evidenziata anche da Whitehead e colleghi (2012) in uno studio volto a valutare il potenziale di utilizzo di queste sostanze nella riduzione della produzione di gas ad opera dei batteri anaerobi presenti nel letame di suino stoccato in azienda. I tannini aggiunti al letame hanno mostrato la capacità di ridurre le produzioni di gas totale e di metano del 90% dopo 7 giorni dall’incubazione. Il risultato ottenuto è stato collegato a una riduzione della popolazione batterica totale e dei batteri solfato riduttori responsabili della produzione di idrogeno solforato.
1.2.4RUMINANTI
I tannini nei ruminanti sono stati studiati per la loro capacità di modulare le fermentazioni ruminali, di migliorare quantitativamente e/o qualitativamente le produzioni e per la loro attività contro i parassiti.
Molti alimenti somministrati comunemente ai ruminanti, come Lotus corniculatus,
Lotus peduncolatus e Holcus lanatus, sono ricchi in tannini, principalmente condensati.
Frutos e colleghi (2004) riportano che, sebbene ad alte concentrazioni i tannini abbiano mostrato un negativo effetto sulle produzioni, inseriti nella dieta in quantità moderate possono avere effetti benefici.
L’ingestione di moderate quantità di tannini condensati migliora l’utilizzo degli alimenti, come conseguenza della diminuzione della degradazione ruminale delle proteine, in seguito al loro legame con i tannini e alla riduzione della popolazione proteolitica ruminale, e della maggior disponibilità degli aminoacidi per l’assorbimento a livello del piccolo intestino (Schwab, 1995; Barry e McNabb, 1999; Min et al., 2003; Hassanat e Benchaar, 2012; Buccioni et al., 2015a, Buccioni et al., 2015b). Carreoo e colleghi (2015) hanno dimostrato che tannini derivati da castagno, quercia, uva e quebracho sono capaci di modulare la bio-idrogenazione degli acidi grassi nella pecora. Studi effettuati in vitro e in vivo, hanno evidenziato la capacità di tannini idrolizzabili e condensati di ridurre la produzione di metano e le perdite urinarie di azoto senza limitare le fermentazioni ruminali o l’incremento ponderale giornaliero dei soggetti (Grainger et al., 2009; Bhatta et al., 2009; Liu et al., 2011c; Hassanat e Benchaar, 2012). Bhatta e colleghi (2009) e Liu e colleghi (2011c) hanno evidenziato una riduzione della popolazione protozoaria e metanogenica nel rumine di pecore alimentate con
integrazioni di tannini, con risultati migliori nel caso di associazione tra tannini idrolizzabili e tannini condensati (Bhatta et al., 2009).
L’alimentazione con Lotus corniculatus determina un incremento della produzione di latte durante la media e tarda lattazione, delle proteine e del lattosio e una diminuzione del grasso nel latte imputabili alla maggiore disponibilità di aminoacidi, in particolare metionina e lisina, a livello intestinale (Woodward et al., 2000; Frutos et al., 2004). Anche la somministrazione di tannini condensati contenuti nelle foglie di Ficus
infectoria e Ficus bengalensis in vacche da latte determina un aumento della
produzione di latte (Dey et al., 2009) e della quantità di grassi presenti nel latte (Dey e De, 2014). Al contrario, Benchaar e colleghi (2008) non hanno evidenziato alcun cambiamento nei parametri di produzione del latte in vacche alimentate con integrazioni di tannini di quebracho e Grainger e colleghi (2009) riportano una riduzione della produzione di latte e della percentuale di grasso e proteine del latte in bovini alimentati con una integrazione di tannini condensati estratti dal legno di Acacia
mearnsii.
L’ingestione di Lotus corniculatus e di Holcus lanatus determina un aumento del peso vivo e del peso della carcassa in pecore e agnelli (Wang et al., 1994, Wang et al., 1996, Montossi et al., 1996). Luciano e colleghi (2009) hanno valutato la somministrazione di tannini di quabracho in agnelli da carne, evidenziando un miglioramento nella stabilità del colore della carne dopo 14 giorni di refrigerazione in atmosfera ad alto contenuto di ossigeno rispetto al gruppo controllo.
I tannini di castagno hanno mostrato capacità antiossidanti in vacche da latte in transizione evidenziabili con un aumento di superossido dismutasi, glutatione perossidasi e capacità antiossidante totale nel plasma e un aumento dell’attività di superossido dismutasi e glutatione perossidasi nel fegato dei soggetti che hanno ricevuto l’integrazione alimentare a base di tannini rispetto a quelli inclusi nel gruppo controllo (Liu et al., 2013). Anche i tannini condensati contenuti nelle foglie di Ficus
bengalensis hanno mostrato la capacità di aumentare i livelli intracellulari di glutatione
perossidasi, superossido dismutasi e catalasi e ridurre la perossidazione dei lipidi se inseriti nell’alimentazione dei bovini (Dey e De, 2014).
L’integrazione con foraggi ricchi in tannini (Lotus corniculatus e Lotus peduncolatus) ha mostrato un incremento della produzione di lana nelle pecore (Wang et al., 1994, Wang et al., 1996b; Min et al., 1999; Min et al., 2003), senza mostrare effetti negativi sull’incremento ponderale dei soggetti (Barry, 1985).
Diversi autori hanno dimostrato l’effetto antielmintico dei tannini nel ridurre la carica di nematodi in capre e pecore infettate sperimentalmente (Landau et al., 2010; Manolaraki et al., 2010). Tannini condensati di diversa origine hanno mostrato la capacità di ridurre la fertilità delle femmine e la quantità di uova espulse in ovini e caprini infettati con Haemoncus contortus, ma nessuna azione sulla vitalità degli adulti nell’intestino (Paolini et al., 2003a; Iqbal et al., 2007). Paolini e colleghi (2003b) hanno evidenziato una riduzione della quantità di uova escrete e della fertilità delle femmine oppure un minor numero di parassiti nell’intestino, in base allo stadio di sviluppo del parassita stesso, in seguito alla somministrazione di tannini di quebracho in capretti e capre infestati sperimentalmente con Trichostrongylus colubriformis e Teladorsagia
circumcincta. Anche Athanasiadou e colleghi (2000) hanno studiato l’effetto della
somministrazione di tannini di quebracho in pecore infestate con Trichostrongylus
colubriformis: mangimi integrati con una dose di 30 o 60g/kg SS di tannini si sono
rivelati utili nel diminuire la quantità di uova espulse con le feci, la fecondità delle femmine e il carico di parassiti intestinali rispetto al gruppo di controllo. Max (2010) ha valutato la somministrazione di tannini nel trattamento delle parassitosi nella pecora e nella capra. Non sono state evidenziate riduzioni significative nel numero di parassiti intestinali e nella quantità di uova escrete nella capra, mentre nella pecora si sono dimostrati utili a ridurre l’infestazione da Haemoncus contortus.
Weil-Feinstein e colleghi (2014) riportano, inoltre, una riduzione delle oocisti di
Cryptosporidium parvum in vitelli affetti da criptosporidiosi alimentati con
un’integrazione di tannini di castagno nel latte.
L’incongruenza tra i risultati presenti in letteratura sull’attività dei polifenoli vegetali nei ruminanti può essere imputabile alla diversa struttura chimica delle varietà dei tannini investigati e alla diversa concentrazione degli stessi (Min et al., 2003).
1.3 STATO DELL’ARTE SULL’UTILIZZO DEI TANNINI NEL TRATTAMENTO DELLA DIARREA
Sebbene in medicina umana siano stati formulati farmaci antidiarroici a base di Acido Tannico come Cesinex®, GelEnterum®, Tannacomp® e Gelistop®, secondo le nostre conoscenze pochi sono gli studi presenti in letteratura sull’attività dei tannini e dei loro derivati e composti nel trattamento degli episodi diarroici, ancora meno se ci si riferisce alla medicina veterinaria, in cui la somministrazione di tannini è stata indagata solo nel ratto, nel suino e nel bovino adulto.
Tre studi effettuati in medicina umana su bambini affetti da diarrea hanno confrontato la somministrazione di una soluzione reidratante orale (SRO) e la somministrazione della stessa soluzione reidratante orale addizionata con estratti contenenti diverse tipologie di tannini sul decorso della patologia. I risultati dei test hanno mostrato una diminuzione statisticamente significativa del volume di feci giornaliero (espresso in atti defecatori/giorno o ml di feci/kg/giorno) e della durata degli episodi diarroici nei soggetti trattati con integrazioni di tannini rispetto a quelli trattati con sola SRO (Loeb et al., 1989; Subbotina et al., 2003; Carretero et al., 2009). Loeb e colleghi (1989) hanno inoltre sottolineato che alla fine del trattamento a base di baccelli di carruba ricchi in tannini non è stata evidenziata stitichezza nei soggetti trattati e che la cessazione della diarrea è stata accompagnata a una riduzione della temperatura corporea, un incremento del peso dei soggetti e all’interruzione del vomito, concludendo che il trattamento possa favorire il rapido stabilizzarsi di questi parametri. Subbotina e colleghi (2003) hanno evidenziato una riduzione nella necessità di effettuare una terapia reidratante parenterale nei soggetti trattati con SRO
addizionata a estratto di radice di Tormentilla contenente il 40% di tannini. Gli autori hanno attribuito i risultati ottenuti nel loro studio non solo all’attività astringente/antisecretiva dei tannini, ma anche alle loro proprietà antiinfiammatoria, immunostimolante e antivirale già evidenziate in precedenza da altri autori (Lund et al., 1985; Vennat et al., 1994; McCutcheon et al., 1995).
L’efficacia dei tannini è stata valutata anche da Allegrini e Costantini (2012) che hanno evidenziato una riduzione della quantità di feci prodotte e del dolore addominale in adulti affetti da diarrea trattati con tannini gelatinati rispetto al gruppo di controllo, a cui è stata somministrata una sostanza placebo. Gli autori hanno attribuito questo risultato alla capacità dei tannini di creare un film protettivo sulla mucosa intestinale e di determinare la precipitazione delle mucoproteine responsabili dell’infiammazione locale in corso di diarrea, come descritto nello stesso anno da Ashok e Upadhyaya. Il meccanismo è stato approfondito da Ren e colleghi (2012) che hanno evidenziato la capacità di un farmaco a base di acido tannico, il Cesinex®, di risolvere la diarrea in 9 dei 10 pazienti (adulti e bambini) inclusi nello studio. Gli autori hanno determinato che l’attività antidiarroica dell’acido tannino è sostenuta dai seguenti meccanismi:
incremento della funzionalità della barriera intestinale, mediante la regolazione della resistenza trans-epiteliale determinata dall’integrità delle giunzioni strette tra le cellule;
inibizione della secrezione di fluidi indotta da tossine;
inibizione della secrezione trans-epiteliale di cloruri mediata dai recettori CFTR;
inibizione della secrezione di cloruri attivata dal calcio;
L’efficacia dei tannini nel trattamento della diarrea è stata dimostrata anche in altri studi che hanno evidenziato rispettivamente la capacità dell’albuminato di tannino di ridurre la frequenza degli episodi diarroici in pazienti affetti da morbo di Crohn (Plein et al., 1993) e la migliore efficacia dei sali di tannino rispetto al carbone attivo nella riduzione della frequenza delle scariche in soggetti affetti da diarrea (Ziegenhagen et al., 1992).
Inoltre, l’attività antidiarroica di alcune piante utilizzate tradizionalmente nell’uomo come la corteccia di quercia, i mirtilli, le foglie di Acardium occidentale e di Psidium
guajava e il legno di Spongias lutea è stata attribuita alla loro composizione ricca di
tannini e loro derivati (König e Sholz, 1994; Gonçalves et al., 2005; Piberger et al., 2011).
Secondo le nostre conoscenze, in medicina veterinaria sono presenti esclusivamente due pubblicazioni inerenti l’utilizzo di tannini, in particolare tannini di castagno, nella prevenzione e nel trattamento della diarrea.
Krisper e colleghi (1992) hanno effettuato due diversi esperimenti. Il primo ha valutato il tempo di comparsa, la durata e la gravità della diarrea indotta tramite la somministrazione di olio di ricino in suini e ratti trattati con una soluzione orale a base di acqua e tannini di castagno. I soggetti sono stati suddivisi in 3 gruppi e la diarrea è stata indotta rispettivamente 2, 8 e 18 giorno dopo l’inizio del trattamento. Rispetto al primo gruppo, in cui la diarrea, comparsa in 1-2h dalla somministrazione di olio di ricino, si è rivelata acquosa e frequente, nel terzo gruppo la diarrea si è presentata solo in alcuni soggetti, 6h dopo la sua induzione, con feci soffici. Gli autori hanno ipotizzato
che l’effetto benefico dei tannini di castagno fosse dovuto alla prevenzione delle perdite di liquidi attraverso la mucosa intestinale.
Gli stessi autori hanno inoltre valutato la somministrazione orale di tannini di castagno in suini adulti affetti da diarrea. L’integrazione dei tannini di castagno nella razione, paragonata ad un trattamento standard, ha evidenziato una riduzione della durata dell’episodio diarroico. Lo stesso esperimento è stato condotto in bovini affetti da dissenteria invernale: i risultati ottenuti sono comparabili allo studio effettuato sui suini. Una diminuzione della durata della diarrea è stata dimostrata anche da Weil-Feinstein e colleghi (2014) che hanno valutato la somministrazione orale di tannini di castagno addizionati al latte in vitelli affetti da criptosporidiosi. I tannini di castagno hanno mostrato, quindi, un chiaro effetto benefico nel trattamento della diarrea negli animali.
CAPITOLO 2 - LA DIARREA NEONATALE
La diarrea neonatale è una patologia acuta caratteristica di vitelli fino a 3 settimane di vita, causata da infezioni locali ad opera i diversi agenti patogeni.
È la patologia di maggiore riscontro tra i vitelli e può colpire più del 90% dei soggetti presenti in azienda, causando ingenti perdite economiche in relazione alla mortalità dei capi, ai costi della profilassi e dei trattamenti e alla riduzione dell’incremento ponderale dei soggetti (Doll, 2004).
2.1 FATTORI PREDISPONENTI
Tra i fattori predisponenti riscontriamo l’inadeguato trasferimento di immunità passiva e le inadeguate condizioni di management della vitellaia.
2.1.1INADEGUATO TRASFERIMENTO DELL’IMMUNITÀ PASSIVA
Nel caso di un inadeguato, o mancato, trasferimento dell’immunità passiva, i soggetti, non ancora totalmente immunocompetenti, rimangono privi di protezione da parte degli anticorpi materni e possono quindi manifestare una maggiore predisposizione allo sviluppo diarrea neonatale (Fisher et al., 1975; Acres et al., 1979) rispetto a vitelli adeguatamente colostrati. Un inadeguato, o mancato, trasferimento di immunità passiva è riconducibile a due cause principali: la deficitaria assunzione di colostro oppure la sua scarsa qualità (Godden, 2008). L’ingestione di 2 L di colostro contenente il 5% di Immunoglobuline (50 g/L), cioè 100g di Immunoglobuline per vitello, è considerata come la dose minima necessaria ad ottenere un’adeguata protezione passiva. L’ingestione di 2 L di colostro di buona qualità, non appena il vitello sia in grado di bere (da 30 minuti a 2 ore dopo la nascita), seguiti da ulteriori 2 L entro le 4-8 ore successive, è considerata l’ideale (Weaver et al., 2000; Godden, 2008).
L’inadeguata assunzione di colostro, oltre che un problema di management, può essere una diretta conseguenza dell’inabilità dei soggetti ad assumerlo, come nel caso di vitelli nati da parto distocico. Questi soggetti sono caratterizzati da edema della lingua e della testa e da una estrema debolezza che li porta a mantenersi in decubito, di conseguenza non riescono ad assumere un’adeguata quantità di colostro nelle prime 4h di vita. Il decubito prolungato li espone, inoltre, ad un maggior contatto con i
patogeni fecali presenti nell’ambiente (Smith e Gerba, 1980). Un altro fattore predisponente a una insufficiente assunzione di colostro e a un non corretto passaggio di immunità passiva è rappresentato da vitelli nati da vacche al primo parto, poiché le primipare hanno generalmente un maggior rischio di distocia, un colostro di minore qualità e una scarsa attitudine materna (Schumann et al., 1990; Azzam et al., 1993; Clement et al., 1995; Odde, 1996; Dutil et al., 1999). Soggetti nati da vacche primipare, presentano percentuali di sopravvivenza minori rispetto agli altri. In particolare, il rischio di sviluppare diarrea in soggetti nati da primipare è 3,9 volte più alto rispetto ai vitelli nati da pluripare (Kroker e Cummins, 1979; Sivula et al., 1996; Odde, 1996). Questi ultimi due fattori sono trascurabili in allevamenti in cui viene effettuata una adeguata gestione del colostro come indicato da Weaver e colleghi (2000) e da Godden (2008).
La concentrazione di Immunoglobuline nel siero dei vitelli è determinata non solo dalla quantità e dal tempo trascorso tra la nascita e l’ingestione del colostro, ma anche dalla concentrazione di immunoglobuline ingerite (Filteau et al., 2003). La qualità del colostro è la diretta conseguenza della salute della mammella, del volume prodotto, della genetica della vacca, della sua alimentazione, del numero di parti effettuati, del momento della raccolta, del clima e delle vaccinazioni effettuate nel periparto (Godden, 2008; Izzo et al, 2015). Un colostro di cattiva qualità può portare a un insufficiente assorbimento di immunoglobuline da parte del vitello.
2.1.2INADEGUATE CONDIZIONI DI MANAGEMENT
Una inadeguata gestione dell’allevamento può determinare un aumento del rischio di sviluppare diarrea neonatale. Nel capitolo 2.1.1 si è visto come un inadeguato, o mancato, trasferimento dell’immunità passiva, possa predisporre i vitelli allo sviluppo di patologie neonatali, fra le quali la diarrea. Fra le cause di un inadeguato passaggio di immunità passiva, sono da annoverate anche quelle legate a problemi di management. In particolare, una mancata tempestività nella somministrazione di colostro (oltre le 6 ore dalla nascita) o una somministrazione di colostro di scarsa qualità o in quantità scorrette possono provocare un parziale o incompleto trasferimento dell’immunità passiva (Godden, 2008).
L’igiene della sala parto e il numero degli animali presenti giocano un ruolo fondamentale nel contatto dei soggetti con gli antigeni fecali subito dopo la nascita, ancor prima della somministrazione del colostro. Lettiere umide, box non adeguatamente e frequentemente puliti e non disinfettati tra un vitello e l’altro, così come la somministrazione del pasto in un’unica razione o di latte proveniente da quarti mastitici sono a loro volta fattori predisponenti lo sviluppo della diarrea neonatale. La stabulazione in box singoli sembra aumentare la frequenza dell’insorgenza della diarrea, ma diminuisce notevolmente la mortalità dei soggetti. Vitelli non ancora svezzati inseriti in box multipli contenenti 7 o più animali, vanno più spesso incontro allo sviluppo di diarrea neonatale (Radostits e Acres, 1980; Radostits, 1991; Haschek et al., 2006; Uhde, 2008; Foster e Smith, 2009; Klein et al., 2009; Lorenz et al., 2011; Klein et al., 2013; Klein-Jobstl et al., 2015; Smith, 2015).
2.2 EZIOLOGIA
La diarrea neonatale è sostenuta da virus, batteri, funghi e protozoi da soli o, più frequentemente, in associazione tra loro (Doll, 2004). I patogeni più frequentemente coinvolti sono i ceppi enterotossici di Escherichia coli, Rotavirus, Coronavirus e
Cryptosporidium parvum (Doll, 2004; Foster e Smith, 2009; Izzo et al., 2015).
2.2.1 ESCHERICHIA COLI CEPPI ENTEROTOSSICI (ETEC)
Studi epidemiologici hanno dimostrato che i ceppi enterotossici di E. coli sono i principali agenti di diarrea nei primi 4 giorni di vita (Foster e Smith, 2009), con una prevalenza che oscilla tra il 3% e il 54% (Doll, 2004). E. coli è un batterio Gram negativo, appartenente alla famiglia delle Enterobacteriaceae, costituente la normale flora microbica del colon e del tenue. Subito dopo la nascita, l’esposizione ai coliformi fecali determina la colonizzazione dell’intestino con batteri commensali (Smith, 1965a; Smith , 1965b) ma, se la contaminazione ambientale è elevata, gli ETEC sono in grado di determinare la patologia in virtù del fattore di virulenza fimbriale e della produzione di tossine resistenti al calore (Doll, 2004; Foster e Smith, 2009; Izzo et al. 2015). L’antigene di fimbria più comune è F5, seguito da F41 e F17 (Doll, 2004). Questo antigene viene espresso a pH minore di 6,5 e consente al batterio di aderire alle cellule epiteliali del tratto distale dell’intestino tenue. Dopo aver colonizzato l’ileo, i microrganismi proliferano e invadono tutto il piccolo intestino (Foster e Smith, 2009). Poiché in grado di legare esclusivamente cellule immature (Blanco et al., 1993), la capacità dei ceppi enterotossici di legarsi agli enterociti del piccolo intestino dipende dall’età e diminuisce gradualmente a partire dalle prime 12h di vita (Foster e Smith,
2009). L’infezione da E. coli è, infatti, notoriamente osservata nei primi 3 giorni di vita, anche se una concomitante infezione da Rotavirus può estendere la finestra di sensibilità fino a 7-14 giorni (Runnels et al., 1980; Runnels et al., 1986).
La diarrea da ETEC, di tipo secretorio, può determinare una disidratazione molto grave, che può essere seguita da shock ipovolemico e morte anche in poche ore (Foster e Smith, 2009; Smith, 2015).
2.2.2CRYPTOSPORIDIUM PARVUM
Cryptosporidium parvum è la principale causa di diarrea nei vitelli da latte in tutto il
mondo (Smiley et al., 2002; Wyatt et al., 2010). La tabella 2-1 riassume le specie di Criptosporidi isolate nel bovino.
Cryptosporidium parvum Tipo I: umano
Tipo II: zoonotico, isolato da bovini, pecore e capre (Thompson et al., 2007; Feng et al, 2007).
Cryptosporidium andersoni Isolato dall’abomaso di bovini di tutte le età, ma di dubbio significato patologico (Holland, 1990).
Cryptosporidium bovis
Responsabili di diarrea in vitelli svezzati (Lindsay et al., 2000; Olson et al., 2004; Santin et al., 2004; Fayer et al., 2005).
Cryptosporidium ryanae
Tabella 2-1 Cryptosporidium spp. nella specie bovina (Vanopdenbosch e Wellemans, 1989 modificato)
Generalmente, i vitelli si infettano tra la prima e la quarta settimana di vita e manifestano sintomatologia clinica per 4-14 giorni. Il parassita invade le cellule epiteliali della mucosa intestinale determinando distruzione della superficie epiteliale a atrofia moderata-grave dei villi intestinali. Talvolta gli animali possono manifestare
sintomatologia sistemica (febbre, disidratazione e depressione del sensorio) non associata a episodi diarroici (Naciri et al., 1999; Gookin et al., 2002). Nonostante, a volte, i vitelli necessitino fino a 4-6 settimane per ristabilirsi (Izzo et al., 2015), i tassi di mortalità sono generalmente bassi (Anderson e Bulgin., 1981; de Graaf et al, 1999; Gookin et al., 2002). Più alti livelli di mortalità sono stati associati a carenze di selenio, alimentazione non adeguata, concomitante infezione di altri patogeni e errato management aziendale (Holland, 1990).
La via di trasmissione è fecale-orale tramite l’ingestione di oocisti sporulate presenti nell’acqua, negli alimenti e nelle attrezzature contaminati da feci di soggetti eliminatori (Jerrett e Snodgrass, 1981). Il ciclo di C. parvum nell’organismo è riassunto nell’immagine 2-1. L’esposizione agli acidi gastrici e ai Sali biliari permette la liberazione dalle oocisti degli Sporozoiti, che invadono le cellule epitaliali dell’ileo, dove creano un invaginamento, mantenendosi in posizione extracitolplasmatica, all’interno di un vacuolo parassitoforo. Alla prima fase di riproduzione asessuata (schizogonia), segue una fase sessuata (gamogonia) che si conclude con la formazione di oocisti a parete sottile e oocisti a parete spessa. Le prime schiudono nel lume intestinale, determinando autoinfezione, mentre le seconde vengono eliminte con le feci, contaminando l’ambiente (De Graaf et al., 1999; Tzipori e Ward, 2002; O’Handley e Olson, 2006).
Immagine 2-1 Ciclo Riproduttivo di C. parvum. Le oocisti sporulate, contenenti 4 sporozoiti, vengono escrete dall’ospite attraverso le feci. In seguito all’ingestione da parte dell’ospite di oocisti sporulate, i 4 sporozoiti contenuti al loro interno vengono rilasciati e parassitano le cellule epiteliali del piccolo intestino (a, b, c). In queste cellule avvengono la riproduzione asessuata (schizogonia d,e,f) e la riproduzione sessuata (gametogonia) con la produzione di microgameti (maschili, g) e macrogameti (femminili, h). In seguito alla fertilizzazione dei macrogameti da parte dei microgameti (i), si formano oocisti che sporulano all’interno dell’ospite. Vengono prodotti due tipi di oocisti: quelle a parete sottile (k) schiudono all’interno dell’intestino, determinando autoinfezione, mentre quelle a parete spessa (i) vengono espulse attraverso le feci. (Fonte: PHIL 3386 - CDC/Alexander J. da Silva, PhD/Melanie Moser, modificato)
Vitelli fino a 4 mesi di vita sono i maggiori eliminatori di oocisti, con picco tra la prima e la terza settimana di vita (Peng et al., 1997; Fayer et al., 1998; Graczyk et al., 1999; Jenkins, 2001), ma anche gli adulti contribuiscono alla disseminazione del protozoo (Xiao, 1994; Peng et al., 1997; Atwill et al., 1999; Sturdee et al., 2003). Le oocisti si sono mostrate estremamente resistenti nell’ambiente: sono in grado di sopravvivere per 6 mesi a 4°C in condizioni di buona umidità (Anderson, 1986) e per 4 mesi a
temperatura ambiente (Doll, 2004). Inoltre, resistono alla clorazione dell’acqua e a molti disinfettanti (Holland, 1990) e possono sopravvivere nell’insilato (Ong et al., 1996).
2.2.3ROTAVIRUS
Rotavirus, inizialmente conosciuto come il virus della diarrea neonatale dei vitelli
(Foster e Smith, 2009), rappresenta la causa più comune di questa patologia (Al-Mashat e Taylor, 1980; Al-(Al-Mashat e Taylor, 1983). Il genere Rotavirus comprende virus a doppio filamento di RNA, privi di envelope (Doll, 2004), appartenenti alla famiglia
Rotaviridae. I Rotavirus sono classificati in base alle loro proprietà antigeniche e/o alla
sequenza di geni che codificano le proteine del capside. Differenze nella proteina virale 6 (VP6), distinguono i 7 sierogruppi (A-F; Izzo et al., 2015). Il sierogruppo A è il maggiormente isolato nella diarrea del vitello. Gli animali si infettano ingerendo il virus presente nell’ambiente, in cui riesce a resistere per mesi a temperature inferiori a 5°C, per più di 2 settimane in acqua fresca a 23°C (Schusser et al., 1982; Foster e Smith, 2009) e per circa 9 mesi nelle feci (Schwers et al., 1984). Di solito colpisce vitelli di età compresa tra i 5 giorni e le 2 settimane, ma può provocare malattia anche a 24h di vita, specialmente in soggetti che non hanno assunto adeguatamente il colostro (Athanassious et al., 1994; Ganaba et al., 1995). Questa predilezione di età è giustificata dalla presenza di anticorpi materni nel colostro che forniscono immunità locale a livello dell’intestino e che cominciano a diminuire a partire da 48-72h di vita (Athanassious et al., 1994; Agrawal et al., 2002). Il target del virus è rappresentato dai villi degli enterociti del piccolo intestino (Mebus et al., 1973). Il periodo di incubazione è di circa 24h e la risoluzione della diarrea, in assenza di complicazioni, avviene in circa
2 giorni (Torres-Medina et al., 1985). L’escrezione del virus con le feci ha inizio con le manifestazioni cliniche e si protrae per i successivi 3-7 giorni (Carpio et al., 1981; Burki et al., 1983). Ne consegue che la principale via di trasmissione è quella fecale-orale (Izzo et al., 2015). Bovine adulte con infezione subclinica possono espellere in maniera intermittente il virus durante la gravidanza e nel periparto (Saif, 1987; Bulgin et al., 1989; Barreiros et al., 2004), costituendo una fonte di contaminazione per i loro figli, che a loro volta possono contagiare gli altri vitelli (Kodituwakku e Harbour, 1990).
2.2.4CORONAVIRUS
Il Coronavirus bovino è un virus con envelope, a singolo filamento di RNA, appartenente alla famiglia Coronaviridae. Il virus sembra essere specie specifico e nel bovino è coinvolto anche nello sviluppo di patologie respiratorie e della dissenteria invernale (Doll, 2004; Foster e Smith, 2009). La via di trasmissione è fecale-orale: gli animali si infettano ingerendo il virus proveniente dalle feci di altri vitelli e adulti sani portatori (Torres-Medina et al., 1985; Clark, 1993) e sono risultati a più alto rischio i vitelli nati da madri eliminatrici (Barreiros et al., 2004), la cui disseminazione del virus aumenta proprio nel periparto e nei mesi invernali (Kapil et al., 1990; Barreiros et al., 2004). La comparsa della malattia è collegata a un calo degli anticorpi nel latte materno. I vitelli colpiti, infatti, hanno generalmente una settimana di età, con una variazione compresa tra i 5 e i 30 giorni (Woode, 1978; Smith e Gerba, 1980; Bendali et al., 1999; Hoet et al., 2003; Doll, 2004), ma la patologia può manifestarsi anche nelle prime 24h di vita in soggetti che non hanno assunto colostro e in animali con più di 5 mesi di età (Bendali et al., 1999). I segni clinici si manifestano circa 2 giorni dopo l’infezione e si protraggono per circa 3-6 giorni (Lewis, 1978; Clark, 1993). I soggetti
infetti eliminano elevate quantità di virus con le feci e, una volta avvenuta la remissione dei sintomi, continuano ad espellere basse dosi di virus per settimane (Durham et al., 1979). La presenza di infezioni subcliniche unitamente alla elevata resistenza del virus nell’ambiente ne determinano la persistenza nell’allevamento per anni e anni (Izzo et al., 2015).
Il virus infetta il piccolo e il grosso intestino determinando una sintomatologia ben più grave di quella da Rotavirus, caratterizzata da una colite fibrino-emorragica (Izzo et al., 2015). Nella maggior parte dei casi, però, l’infezione è autolimitante poiché le cellule epiteliali delle cripte non vengono colpite (Heckert et al., 1990) e possono produrre cellule immature resistenti al virus che migrano al di sopra dei villi, sostituendosi a quelle danneggiate (Izzo et al., 2015).
2.2.5ALTRI PATOGENI
Salmonella spp. è in grado di determinare molteplici patologie in bovini di tutte le età,
a partire da un’infezione subclinica fino a batteriemia, endotossiemia e morte. I vitelli possono essere infettati da diversi sierotipi di Salmonella, in particolare S.
typhymurium, nelle ore successive al parto (Anderson et al., 2001; Izzo et al., 2015). Le
manifestazioni cliniche sono variabili in relazione all’equilibrio tra l’immunità dell’ospite, la dose del patogeno e la sua virulenza (Mohler et al., 2009). Nei neonati la patologia si sviluppa tra i 4 e i 28 giorni di vita (Anderson et al., 2001), anche se possono essere colpiti soggetti di età maggiore. Le enteriti causate da Salmonella spp. coinvolgono sia il piccolo che il grosso intestino e determinano diarrea emorragica, maleodorante, con frammenti di mucosa intestinale necrotica. Le fonti di infezione includono animali con diarrea, eliminatori sani così come l’acqua e gli alimenti
contaminati, compresi latte e colostro (Haschek et al., 2006; Uhde et al., 2008; Foster e Smith, 2009; Klein et al., 2009; Klein et al., 2010; Lorenz et al., 2011; Klein-Jobstl et al., 2015; Smith, 2015; Izzo et al., 2015).
Il Torovirus, conosciuto anche come Breda virus, appartenente alla famiglia
Coronaviridae, è stato riconosciuto come una causa importante di diarrea neonatale
(Waltner-Toews et al., 1986; Duckmanton et al., 1998), anche se di solito si tratta di infezioni miste con altri enteropatogeni (Doll, 2004). Così come per gli altri virus sopra descritti, gli animali asintomatici sembrano costituire il serbatoio del virus in azienda. L’infezione colpisce vitelli di età inferiore alle 3 settimane, con segni clinici a partire da tre giorni di vita (Horner, 1994; Scott et al., 1996), ma può essere osservata anche in vitelli di età superiore ai 10 mesi (Koopmans et al., 1989; Duckmanton et al., 1998). Il virus infetta ileo, digiuno e colon determinando necrosi delle cripte e necrosi e atrofia dei villi intestinali (Woode et al., 1982; Pohlenz et al., 1984; Fagerland et al., 1986; Koopmans et al., 1991; Koopmans e Horzinek, 1994). In seguito a infezione sperimentale, si è visto che i segni clinici compaiono 24-72h dopo l’infezione, determinando diarrea da malassorbimento lieve o moderata (Johnson et al., 1983; Woode et al., 1985; Horner, 1994). In vitelli di età superiore il virus è stato isolato anche in corso di patologie respiratorie (Fagerland et al., 1986). È stato inoltre discusso anche un possibile coinvolgimento nella dissenteria invernale (Doll, 2004).
I patogeni considerati di importanza marginale nello sviluppo della diarrea neonatale sono riassunti in tabella 2-2
E. coli: enteropatogeni (EPEC) e ceppi
produttori di tossina Shiga (STEC)
Discutibile importanza di EPEC come patogeni nella diarrea neonatale (Foster e Smith, 2009). Assenza di recettori per la tossina di Shiga nell’intestino di giovani e adulti bovini e incapacità di riprodurre sperimentalmente la diarrea (Pruimboom-Brees et al., 2000).
Clostridium spp. Associati a enteriti e abomasiti. Non considerati patogeni di primaria importanza nell’evoluzione della diarrea neonatale (Izzo et al., 2015).
Campilobacter spp. C. jejuni responsabile, in condizioni sperimentali, di enterite nei
vitelli. (Fisher, 1965; Fisher e McEwan, 1967; Blanco et al., 1993; Lorenz, 2004). Significato clinico non chiaro (Izzo et al., 2015).
Virus della diarrea virale bovina (BVDV) Occasionalmente può causare diarrea in vitelli non protetti da anticorpi (Doll, 2004).
Calicivirus, Astrovirus, Adenovirus; Parvovirus, Picobirnavirus
Patogenicità e contributo nello sviluppo della diarrea neonatale non chiariti (Izzo et al., 2015).
Giardia duodenalis Infezioni asintomatiche, rara diarrea lieve/intermittente (Graczyk et al., 1999; Doll, 2004; Becher et al., 2004).
Eimeria spp. Segni clinici in vitelli di 3 settimane - 6 mesi di età (Izzo et al., 2015). Tabella 2-2 Altri patogeni associati alla diarrea neonatale del vitello (Izzo et al., 2015, modificato)
2.2.6DIARREA NUTRIZIONALE
In generale si raccomanda di non somministrare ai vitelli neonati più di 2,5 L di latte per pasto, onde evitare di sovraccaricare l’abomaso. L’alimento in eccesso rispetto alla capacità abomasale causa il deflusso di latte non fermentato nell’intestino tenue oppure il reflusso dello stesso nel rumine. Il latte non fermentato presente nell’intestino conduce a una digestione anormale con degradazione delle proteine nell’intestino, alterazione della flora batterica e diarrea osmotica. Il reflusso di latte nel rumine risulta in un’acidosi ruminale causata da una fermentazione del latte associata
alla produzione finale di acidi. L’acidosi ruminale è associata ad acidosi metabolica sistemica, paracheratosi ruminale e diarrea osmotica (Herrli-Gygi et al., 2008; Foster e Smith, 2009; Lorenz et al., 2011; Smith, 2015).
2.3 PATOGENESI
La diarrea è il risultato di un aumento delle secrezioni e un diminuito assorbimento.
L’attività di ETEC è legata alla produzione di una tossina resistente al calore che, utilizzando il GMP ciclico come secondo messaggero, porta all’attivazione di una chinasi (protein chinasi II cGMP dipendente) che stimola l’espulsione di ioni cloruro nel lume intestinale (Argenzio, 1985). I Cl⁻ liberi nel lume richiamano osmoticamente acqua, determinando una diarrea di tipo secretivo (Golin-Bisello et al., 2005). Così come per gli antigeni di fimbria, anche l’espressione della tossina è pH dipendente e viene inibita a pH<7 (Mitchel et al., 1974; Constable, 2003). Per questo motivo la produzione di tossina è massima nella porzione distale del piccolo intestino (Foster e Smith, 2009).
Cryptosporidium parvum determina grave atrofia dei villi intestinali seguita da
iperplasia delle cellule delle cripte, volta a produrre nuove cellule per rimpiazzare quelle danneggiate (Tzipori et al., 1982; Heine et al., 1984; Argenzio et al., 1990; Moore et al., 1995; Gookin et al., 2002). Inoltre, dopo la moltiplicazione dei Trofozoiti, l’organismo reagisce stimolando l’apoptosi cellulare, con incremento del danno a livello dell’epitelio intestinale (Mele et al., 2004). Questa situazione determina malassorbimento con diarrea da molto lieve a grave in relazione alla presenza di altri patogeni coinvolti (Foster e Smith, 2009). Nonostante ciò, una piccola quantità di sodio e di acqua possono essere assorbiti se legati al glucosio o a aminoacidi neutri a livello delle cripte intestinali e l’assorbimento delle soluzioni reidratanti orali può comunque avvenire (Bilkslager et al. 2001; Cole et al., 2003). Le gravi perdite di liquidi associate
all’infezione da Cryptosporidium parvum sono giustificate dalla presenza di un altro meccanismo associato alla secrezione di anioni Cloro e Bicarbonato e all’inibizione dell’assorbimento del Cloruro di Sodio mediati dalle prostaglandine (PG; Foster e Smith, 2009). L’origine delle PGE₂ e delle PGI₂ non è stata ancora del tutto chiarita, sebbene siano state formulate diverse ipotesi (Argenzio et al., 1990; Kandil et al., 1994; Argenzio et al., 1996; Gookin et al., 2002; Zadrozny et al., 2006; Gookin et al., 2008). Il meccanismo delle due prostaglandine coinvolte è diverso: le PGE₂ agiscono direttamente sugli enterociti, mentre le PGI₂ stimolano il Sistema Nervoso Enterico (SNE). La stimolazione del SNE e l’azione diretta delle PGE₂ determinano un aumento del calcio e del cAMP intracellulari, con incremento della secrezione di anioni e diminuzione dell’assorbimento di sodio e cloro (Argenzio et al., 1996; Jones et al., 2002; Gookin et al., 2002).
Rotavirus e Coronavirus determinano malassorbimento in seguito alla distruzione dei
villi intestinali (Mebus et al., 1973a; Mebus et al., 1973b; Mebus et al., 1975). La diarrea è il risultato dello squilibrio tra la normale secrezione e l’assorbimento che risulta, invece, compromesso (Stair et al., 1973; Moon, 1978). Questa situazione è esacerbata dall’iperplasia compensatoria delle cripte intestinali, che producono cellule immature per cercare di riparare la mucosa danneggiata dai virus, in quanto la loro attività secretoria aumenta proporzionalmente alla produzione di nuove cellule (Stair et al., 1973). L’attività di Rotavirus è potenziata dalla produzione di una tossina rappresentata da una glicoproteina non strutturale denominata NSP4. Questa tossina determina diversi cambiamenti, sia a livello intracellulare che extracellulare, dei movimenti dell’acqua e dei nutrienti attraverso l’epitelio quali inibizione della
traslocazione dei disaccaridi dalle vescicole intracellulari alla superficie luminale in seguito ad un aumento del Ca₂⁺ intracellulare, con conseguente diminuzione della capacità di digerire i carboidrati, e inibizione del cotrasportatore sodio-glucosio, fondamentale per un efficace assorbimento dell’acqua. Questi meccanismi contribuiscono a esacerbare la diarrea da malassorbimento (Collins et al., 1990; Jourdan et al., 1998; Halaihel et al., 2000; Martin-Latil et al., 2004) e sono considerati forse più importanti nella sua determinazione del danno cellulare primario causato dalla penetrazione e replicazione del virus nelle cellule (Foster e Smith, 2009). La tossina può determinare, inoltre, la secrezione di Cl⁻ attraverso l’aumento del Ca₂⁺ intracellulare (Morris et al., 1999) e l’attivazione del Sistema Nervoso Enterico (Lundgren et al., 2000; Jones e Bilkslager, 2002; Ramig, 2004), come precedentemente descritto nell’attività di Cryptosporidium parvum.
La diarrea ha un impatto importante sull’organismo in virtù delle perdite di elettroliti e nutrienti, per questo è fondamentale che i soggetti colpiti continuino ad alimentarsi. Nel caso in cui le perdite dovessero essere maggiori dei nutrienti assorbiti, si presentano effetti gravi come la disidratazione e l’acidosi (Blaxter e Wood, 1953; Phillips et al., 1971). L’acidosi è una diretta conseguenza di tre condizioni diverse: la perdita di bicarbonati (HCO₃⁻), la produzione di L-lattato dal metabolismo anaerobio, conseguente all’ipoperfusione dei tessuti determinata dalla disidratazione, e la produzione di D-lattato da parte dei batteri intestinali che fermentano il latte indigerito presente a livello enterico (Tzipori et al., 1981; Naylor e Forsyth, 1986, Naylor, 1987; Schelcher et al., 1998; Omole et al., 2001; Ewaschuk et al., 2003). I mammiferi metabolizzano il D-lattato molto lentamente a causa della mancanza
dell’enzima specifico D-lattato deidrogenasi (Lorenz e Gentile, 2014), pertanto questo si accumula nell’organismo. La sua presenza a livello del sistema nervoso impedisce la produzione di energia a partire dal piruvato e dal L-lattato (Ling et al., 2012) determinando una sintomatologia nervosa da carenza di energia (Lorenz e Gentile, 2014).
2.4 SINTOMATOLOGIA
La gravità della sintomatologia varia in funzione della virulenza del patogeno coinvolto, della presenza di più agenti eziologici concomitanti, dell’età del soggetto e del suo stato immunitario, nonché delle complicazioni che si instaurano nel decorso della malattia (Doll, 2004).
La diarrea si presenta come una diminuzione della consistenza delle feci, poltacee nei casi lievi, acquose e molto abbondanti (>4kg/die) nei casi più gravi. L’aspetto delle feci può variare da giallo chiaro fino a grigio latte, talvolta verde per la presenza di biliverdina espulsa inalterata. Le feci possono apparire sanguinolente e contenere frammenti necrotici di mucosa intestinale nel caso di infezione da Salmonella spp., mentre in tutti gli altri casi il riscontro di tracce di sangue nelle feci è minimo (Doll, 2004).
I soggetti presentano imbrattamento della regione perineale con aree circoscritte di alopecia. Gli animali mostrano debolezza, disappetenza, perdita di peso, debole riflesso di suzione e maggiore possibilità di sviluppare “ruminal drinking” (Doll, 2004; Izzo et al., 2015). Inizialmente può presentarsi una lieve ipertermia che, in caso non si presentino complicazioni sistemiche (setticemia), tende a normalizzarsi (Doll, 2004). La sintomatologia generale preponderante è basata principalmente sulle ripercussioni sistemiche della disidratazione e dell’acidosi che si instaurano in seguito agli episodi diarroici (Doll, 2004): la disidratazione determina riduzione del turgore della cute, enoftalmo, ipotermia, mucose pallide ed estremità fredde a causa dell’ipovolemia. Se il deficit di idratazione supera il 12% si arriva allo shock ipovolemico (Doll, 2004; Izzo et al., 2015). La sintomatologia clinica correlata all’acidosi è legata principalmente
all’attività del D-lattato a livello del sistema nervoso (Schelcher et al., 1998; Ewaschuk et al., 2004), che determina atassia, depressione del sensorio, fino al coma e contribuisce a incrementare la possibilità di una mancata chiusura della doccia esofagea, con conseguente acidosi ruminale e aggravamento della sintomatologia (Kasari e Naylor, 1984; Kasari e Naylor, 1985; Kasari e Naylor, 1986; Naylor, 1987; Naylor, 1989; Geishauser e Thünker, 1997; Uribarri et al., 1998; Wendel et al., 2001; Lorenz, 2004). Nel tentativo di contrastare l’acidosi il respiro diventa frequente e profondo (Doll, 2004).
Le principali alterazioni emato-biochimiche in corso di diarrea neonatale sono riassunte in tabella 2-3. Valore Alterazione Hct ↑ Urea ↑ Creatinina ↑ Glucosio ↓ pH ↓ HCO₃⁻ ↓ Base excess ↓ Anion gap ↑ Na⁺ ↓ K⁺ =↓↑ Cl⁻ =↓
Tabella 2-3 principali alterazioni emato-biochimiche in corso di diarrea neonatale (Doll, 2004; Izzo et al., 2015; Sayers et al., 2016; modifcati)
2.5 DIAGNOSI
La diarrea neonatale è facilmente diagnosticabile sulla base della sintomatologia clinica (capitolo 2.4). Doll (2004) consiglia la ricerca dell’agente eziologico solo in caso di diarrea enzootica, in cui è necessario impostare specifici metodi di prevenzione e controllo.
I metodi di laboratorio per l’identificazione dei patogeni enterici includono l'isolamento e la caratterizzazione dei patogeni unitamente all'istopatologia, che rimane il Gold Standard per la conferma eziologica (Popow-Kraupp e Aberle, 2011). Tuttavia, molti agenti patogeni enterici sono difficili da isolare dall'ambiente gastrointestinale (Espy et al., 2006). La visualizzazione diretta, mediante microscopia ottica o elettronica, dei patogeni nelle feci o nel contenuto intestinale e il rilevamento di antigeni (ELISA, immunofluorescenza) o acidi nucleici (PCR, RT-PCR) negli stessi campioni sono stati ampiamente accettati come metodi alternativi (Cho e Yoon, 2014).
2.6 TERAPIA
I reperti riscontrati alla visita clinica sono fondamentali per l’impostazione della terapia. In particolare, devono essere presi in considerazione i seguenti parametri (Izzo et al., 2015):
Grado di disidratazione
Gravità dell’acidosi
Glicemia
Presenza/Assenza di ipotermia
Presenza di eventuali infezioni concomitanti
Potassiemia
2.6.1FLUIDOTERAPIA
Le cause principali di morte nei vitelli affetti da diarrea neonatale sono attribuibili alla disidratazione e all’acidosi (Gentile et al., 2008), pertanto è di primaria importanza effettuare una terapia fluidica al fine di riportare questi parametri nella norma.
Il volume di liquidi da reintegrare (Litri) è determinato dal prodotto tra la percentuale di disidratazione e il peso vivo dell’animale espresso in kg (Izzo et al., 2015). Inoltre, una dose di mantenimento di 50-100ml/kg/die deve essere calcolata (Lofstedt e Dohoo, 1996; Trefz et al., 2012). In caso terapia reidratante orale, è necessario tenere di conto che soltanto il 60-80% dei fluidi somministrati viene assorbito (Peiro et al., 2010).
La fluidoterapia endovenosa è consigliata nel caso di moderata-grave depressione del sensorio e incapacità del vitello di alimentarsi. In caso di ipotermia è necessario
riscaldare la soluzione prima della somministrazione (Doll, 2004; Izzo et al., 2015). Idealmente, disidratazione e acidosi devono essere corretti nell’arco delle 24h.
La dose di bicarbonato necessaria a neutralizzare l’acidosi deve essere calcolata tramite la seguente formula:
mmol bicarbonato = peso corporeo (kg) x deficit di basi (mmol/L) x volume di distribuzione
Il volume di distribuzione nei vitelli è il 60%, quindi 0,6 (Izzo et al., 2015).
Nel caso di grave ipoglicemia è necessario aggiungere il 2,5-5% di glucosio ai fluidi somministrati.
Una bassa concentrazione sierica di potassio determina debolezza e deve immediatamente essere corretta, mentre in caso di iperkaliemia, la fluidoterapia è sufficiente a ristabilire i normali livelli di K⁺. La formula utilizzata per calcolare la quantità di potassio da aggiungere ai fluidi è:
Potassio (mEq) = 0,4 x peso corporeo (kg) x deficit di potassio (mEq)
In ogni caso, la quantità di potassio somministrato non deve superare la dose di 1mEq/kg/h.
È necessario tenere di conto nell’impostazione della terapia fluidica che, in corso di acidosi, i livelli di potassio ematico aumentano perché lo ione viene richiamato nel liquido extracellulare: una volta ristabilito il normale pH ematico, il potassio tende a rientrare nelle cellule determinando una potenziale ipokaliemia (Izzo et al., 2015).
Una volta che i vitelli hanno riacquisito la capacità di alimentarsi, la terapia può essere somministrata sotto forma di soluzione reidratante orale (SRO). La SRO rappresenta la terapia di prima scelta nel caso in cui i vitelli abbiano un buon riflesso di suzione e non manifestino segni di coinvolgimento sistemico (Izzo et al., 2015).
Le soluzioni reidratanti orali disponibili in commercio devono soddisfare le seguenti caratteristiche (Constable et al., 2001):
fornire abbastanza sodio da normalizzare i fluidi extracellulari;
contenere agenti, come glucosio, citrato, acetato, propionato e glicina, che facilitano l’assorbimento di sodio e acqua nell’intestino;
contenere un agente alcalinizzante, come l’acetato, il propionato o il bicarbonato per correggere l’acidosi metabolica;
fornire energia, poiché i vitelli affetti da diarrea hanno solitamente un bilancio energetico negativo.
Sebbene il bicarbonato sia l’unico agente alcalinizzante capace di legare direttamente gli ioni idrogeno (Lofstedt e Dohoo, 1996), somministrato per os è risultato interferire con la digestione del latte (Koch e Kaske, 2008), determinando un minore accrescimento dei soggetti (Constable et al., 2001), e alcalinizzare il pH intestinale, favorendo lo sviluppo dei microorganismi patogeni (Bhan et al., 1994). Pertanto, è preferibile utilizzare SRO contenenti acetato che, al contrario, non determina alcuna interferenza con il processo di coagulazione del latte nell’abomaso (Koch e Kaske, 2008).
Le soluzioni reidratanti orali devono essere somministrate come un pasto extra, la tra le due somministrazione di latte della giornata (Smith, 2009).
Infatti, sebbene in passato molti abbiamo sostenuto la teoria secondo la quale la somministrazione di latte in corso di diarrea neonatale peggiori le condizioni cliniche dei soggetti, fungendo da fonte energetica per i batteri presenti nell’intestino e richiamando osmoticamente fluidi all’interno del lume (Radostits et al., 1975), è stato dimostrato che la somministrazione di latte non aggrava né prolunga la diarrea (Smith, 2009). Garthwaite e colleghi (1994) hanno evidenziato che, in corso di diarrea, i vitelli alimentati con latte hanno un maggiore incremento ponderale rispetto a quelli privati di latte per 1-2 giorni. La perdita di peso associata al solo consumo di SRO è stata dimostrata anche da Fettman e colleghi (1986). L’esclusiva somministrazione di soluzioni reidratanti orali determina, inoltre, un incremento del β-idrossibutirrato e degli acidi grassi non esterificati come conseguenza del bilancio energetico negativo dei soggetti (Constable et al., 2001). Izzo e colleghi (2015) precisano che le soluzioni reidratanti orali possono fornire al massimo il 15-25% dell’energia giornaliera necessaria, pertanto è necessario non interrompere la normale somministrazione di latte in corso di patologia.
2.6.2TERAPIA ANTIBIOTICA
Indipendentemente dalla causa della diarrea, nel corso della patologia è stata dimostrata la proliferazione a livello intestinale di Escherichia coli (Constable, 2004) e il 20-30% dei vitelli affetti da diarrea che presentano sintomatologia sistemica ha una batteriemia sostenuta da E. coli (Fecteau et al., 1997; Lofstedt et al., 1999; Thomas et al., 2004). In virtù di quanto appena descritto, il trattamento di vitelli diarroici che presentano segni di patologia sistemica, caratterizzata da diminuzione di appetito e