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SADE E LA (IM)MORALITÀ DELL’EMOZIONE: UNA LETTURA FILOSOFICA DI "ALINE ET VALCOUR"

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SADE E LA (IM)MORALITÀ DELL’EMOZIONE:

UNA LETTURA FILOSOFICA DI ALINE ET VALCOUR

di Marco Menin

1. Introduzione

L’opera di Sade può essere considerata uno dei momenti inaugurali di una tematica che, in ambito sia filosofico sia letterario, è tipica del diciannovesimo secolo: il controllo dell’emotività. La sua critica alla retorica dell’empatia e alla morale sentimentalistica del secondo Settecento francese assume una particolare rilevanza in quanto si tratta di una critica “interna”. Proprio servendosi di alcune premesse caratteristiche della filosofia sentimentalistica – riconducibili in particolare agli scritti di Jean-Jacques Rousseau – Sade ne modifica completamente le conclusioni, sino a pervenire a una cosciente forma d’immoralismo, interpretabile come un rovesciamento sistematico della

morale larmoyante esaltata nel pensiero contemporaneo.

Per dimostrare una simile tesi ci si concentrerà sull’analisi di un’opera specifica, ossia il romanzo epistolare Aline et Valcour, composto durante l’imprigionamento alla Bastiglia degli anni ‘80 e dato alle stampe nel 1795. Si tratta di uno degli scritti più complessi ed enigmatici di Sade, a lungo trascurato dalla critica proprio a causa della sua eccezionalità. Pur essendo incentrato sul tema erotico, tale romanzo non è sessualmente esplicito: per questa ragione esso è stato considerato a lungo troppo poco sadiano ed escluso dalla Sade-Renaissance che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento. Come ha avuto infatti modo di osservare Michel Delon, nella Notice allo scritto per l’edizione della Bibliothèque de la Pléiade del 1990, «les grands exégètes qui ont assuré la “modernité” de Sade ignorent Aline et Valcour pour lui préférer des œuvres, apparentement plus fortes et plus sulfureuses»1. L’attualità di questo giudizio pare confermata dalla constatazione che il

lungo romanzo epistolare è a oggi l’unico scritto principale del “divin marquis” a non essere tradotto integralmente in lingua inglese2.

La scarsa attenzione concessa ad Aline et Valcour, soprattutto in una prospettiva filosofica3, è

tuttavia ingiustificata: si tratta infatti non solo di una delle opere in cui viene illustrata con maggior nettezza l’antropologia di Sade – come conferma il rivelativo sottotitolo Le Roman philosophique – ma anche di quella in cui il confronto con il sentimentalismo in generale, e con Rousseau in particolare, è più manifesto. Si proverà a mostrare come Sade, in Aline et Valcour, riesca a ricostruire con finezza, attraverso l’intrigo letterario, la concezione dell’emozione sentimentalistica, per contrappore ad essa una nuova valutazione delle passioni, non più basata sull’empatia, ma sul controllo razionale e sul dominio interpersonale. Una simile ridefinizione del valore morale dell’emozione implica una nuova concezione della sensibilità, incentrata su precise premesse fisiologiche (il ruolo del sistema nervoso) e filosofiche (il principio dell’egoismo integrale e una peculiare rivalutazione dell’apatia).

1 M. Delon, Notice, in D. A. F. de Sade, Œuvres, a cura di M. Delon e J. Deprun, Paris, 1990-1995, 3 voll., vol. I, p. 1213.

2 Solo poche pagine del romanzo sono state tradotte nel volume Selected Writings of de Sade, tr. inglese di L. de Saint-Yves, London, 1953; poi New York, 1954.

3 Il romanzo è stato preso in considerazione quasi esclusivamente nella prospettiva dei post-colonial studies. Cfr. P. Favre, Sade utopiste: sexualité, pouvoir et État dans le roman “Aline et Valcour”, Paris, 1967; L. Mall, Théories

de l’égalité et de l’inégalité dans “Aline et Valcour”, in N. Sclippa (a cura di), Lire Sade. Actes du premier colloque international sur Sade aux USA, Charleston, Caroline du Sud, 12-15 mars 2003, Paris, 2004, pp. 121-136. Per

indicazioni sulla letteratura critica più recente, si rinvia a John Phillips, Sade. État présent, in «French Studies» LXVIII (2014), 4, pp. 526-533.

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2. Sade discepolo (parricida) di Rousseau

Aline et Valcour è uno scritto ibrido, che combina la tecnica del romanzo epistolare con quella del

racconto retrospettivo. Si tratta di una scelta molto significativa, poiché proprio il romanzo epistolare era la forma letteraria prediletta dai teorici del sentimentalismo. I tre grandi modelli a cui si ispira il romanzo di Sade sono non a caso la Pamela di Richardson, il Philosophe anglais di Prévost e, soprattutto, la Nouvelle Héloïse di Rousseau – il più clamoroso successo editoriale della seconda metà del Settecento nonché l’indiscusso manifesto di un codice estetico ed etico incentrato sull’esasperazione del pathos e sull’esibizione dell’emotività.

Dal capolavoro di Rousseau Sade riprende non solo la forma, ma anche il contenuto. La storia dell’amore tormentato tra Aline e Valcour ricorda da vicino quella tra Julie e Saint-Preux. Entrambe le protagoniste sono figlie di donne pie e virtuose; entrambi i giovani sono nobili d’animo, ma di modesta condizione sociale; entrambi i padri delle fanciulle si oppongono per questa ragione strenuamente alla loro unione. Mentre il padre di Julie l’ama tuttavia sinceramente, anche se è accecato dai suoi pregiudizi, il padre di Aline – il Presidente de Blamont – è un libertino incallito, che medita segretamente di maritare la figlia a un suo compagno di perdizione, Dolbourg. Trascorrendo l’estate nella bucolica tenuta di Madame de Blamont, Vertfeuille (una sorta di trasposizione di Clarens), Aline e la madre s’imbattono casualmente, passeggiando nel bosco, in Sophie. Si tratta di una fanciulla che è stata rapita e abusata da due libertini – che il lettore scoprirà ben presto essere il Presidente de Blamont e Dolbourg – riuscita infine a fuggire dai suoi aguzzini.

Qualche giorno più tardi, le tre donne ricevono la visita di due viaggiatori, Léonore e Sainville, che hanno attraversato il mondo intero alla ricerca l’una dell’altro. Le loro avventure, che sono raccontate in due lettere di smisurata lunghezza – assimilabili a due romans-mémoires autonomi – rappresentano un’importante digressione politica e morale: Sade contrappone il regno dannato di Batua, dove gli uomini dominano completamente le donne e possono soddisfare qualsiasi impulso sessuale, alla paradisiaca isola retta dal saggio Zamé, che ripropone gli elementi tipici dell’utopia classica: l’uguaglianza tra gli individui, la vita in comune, l’abolizione della proprietà privata, ecc.

Questa lunga digressione si rivela tuttavia funzionale allo sviluppo della vicenda. Léonore, che si credeva discendente di una nobile famiglia bretone, è in realtà la sorella di Aline, sostituita alla nascita in circostanze rocambolesche che complicano l’intreccio. Quando infine il progetto criminale del Presidente de Blamont viene scoperto, costui prova dapprima vanamente a far assassinare Valcour e in seguito avvelena la moglie, unico baluardo rimasto a difesa dei due giovani. Aline, per sottrarsi alla malvagità del padre e rimanere virtuosa, si suicida, come già aveva fatto prima di lei Sophie, senza dimenticarsi naturalmente di far pervenire – esattamente come Julie – un’ultima lettera al suo innamorato. Valcour, sconvolto dalla perdita dell’amata e ritiratosi a una vita da eremita, morirà poco dopo.

Anche da questo breve riassunto è possibile rendersi conto di come lo scritto di Sade s’inscriva consapevolmente nel filone del roman sensible. Esso riprende magistralmente il lessico di quella che è stata efficacemente definita «la littérature du cardiogramme»4, sino a costruire dinnanzi

al lettore un vero e proprio dizionario della sensibilità, di chiara ispirazione rousseauiana5. Rousseau

prende parte non a caso in prima persona alle vicende del romanzo, dispensando a Valcour – esule a Ginevra in seguito ai drammatici esiti di un duello – le sue prime lezioni sulla virtù e la sensibilità: «Mon ami, me disait-il [Rousseau] un jour, dès que les rayons de la vertu éclairèrent les hommes, trop éblouis de leur éclat, ils opposèrent à ses flots lumineux les préjugés de la superstition: il ne lui

4 A. Montandon, Le roman au XVIIIe siècle en Europe, Paris, 1999, p. 302.

5 Questo aspetto è approfondito in S. Faessel, Sade, lecteur de Rousseau dans “Aline et Valcour”, in T. L’Aminot (a cura di) Jean-Jacques Rousseau et la lecture, Oxford, 1999, pp. 267-80. Cfr. anche M. Delon e C. Seth (a cura di), Sade en toutes lettres. Autour d’“Aline et Valcour”, Paris, 2004.

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resta plus de sanctuaire que le fond du cœur de l’honnête homme. Déteste le vice, sois juste, aime tes semblables»6.

Questa imitazione sia contenutistica sia formale, che doveva essere ancora più evidente al lettore settecentesco di quanto non lo sia a un lettore di oggi, nasconde un intento sovversivo. Sade non vuole banalmente uniformarsi alla moda letteraria dell’epoca, né scrivere una parodia della

Nouvelle Héloïse, nonostante il registro comico sia innegabilmente presente nel suo romanzo7. Egli

vuole piuttosto ridefinire l’antropologia filosofica di Rousseau – nei confronti del quale nutrì un’ammirazione sincera e che considerò sempre come una sorta di “maestro”8 – modificandone

alcuni presupposti, riconducibili in modo specifico alla valutazione dell’emotività.

Sade attribuisce a Rousseau non solo il grande merito di aver provato a delineare una filosofia conforme alla natura, ma anche quello di aver compreso come la “riconquista” della dimensione naturale, che è stata per entrambi gli autori deformata dal progresso storico, sia indissociabile dalla realizzazione passionale e sentimentale dell’individuo. Dall’unione di queste istanze scaturisce, secondo l’analisi condotta nelle pagine dell’Idée sur les romans, la grandezza della Nouvelle

Héloïse e la superiorità di Rousseau su Voltaire:

Rousseau, à qui la nature avait accordé en délicatesse, en sentiment, ce qu’elle n’avait donné qu’en esprit à Voltaire, traita le roman d’une bien autre façon. […] L’on peut dire avec raison que ce livre sublime [La

Nouvelle Héloïse], n’aura jamais d’imitateurs; puisse cette vérité faire tomber la plume des mains, à cette foule

d’écrivains éphémères qui, depuis trente ans ne cessent de nous donner de mauvaises copies de cet immortel original; qu’ils sentent donc que pour l’atteindre, il faut une âme de feu comme celle de Rousseau, un esprit philosophe comme le sien, deux choses que la nature ne réunit pas deux fois dans le même siècle9.

3. La genesi dell’emozione: dal sentimentalismo al controllo emotivo

Pur avendo giustamente sottolineato la centralità che la dimensione passionale riveste nell’indirizzare l’azione umana, Rousseau non ha saputo cogliere, secondo Sade, l’effettiva natura dell’emozione. Per lui, infatti, l’emotività discende sostanzialmente dalla pietà, «virtue naturelle […] qui nous inspire une répugnance naturelle à voir périr ou souffrir tout être sensible et principalement nos semblables»10. Essa è dunque un sentimento simpatetico, che instaura una

relazione trasparente e immediata tra l’interiorità e l’esteriorità, svelando la verità della prima attraverso la seconda: «[Les émotions] des cœurs ardents et sensibles étant l’ouvrage de la nature, se montrent en dépit de celui qui les a; leur première explosion purement machinale est indépendante de sa volonté»11.

Grazie a questa sua capacità di essere autentica, cioè involontaria e spontanea, l’emozione rappresenta non solo uno scarto determinante tra l’uomo di natura (amorale e insensibile) e

l’homme de l’homme (morale ed emotivo), ma può essere considerata una vera e propria fonte di

normatività. Proprio in quanto si sottrae al controllo del soggetto e non può essere manipolata, essa è capace di mettere in contatto l’individuo con il suo prossimo, sino a condurre – come viene

6 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in Œuvres complètes du marquis de Sade, a cura di G. Lely, Paris, 1966-1967, 16 voll. (d’ora in poi OC), vol. IV, p. 25. Tutte le citazioni dell’opera di Sade rinviano a questa edizione.

7 È lo stesso Sade, nel fittizio Avis de l’éditeur, a sottolineare «la réunion dans le même ouvrage de trois genres: comique, sentimental et érotique». Ibid., p. xxviii.

8 Sulla determinante influenza di Rousseau su Sade, ci si limita a rinviare a M. Delon, Sade face à Rousseau, in «Europe. Revue littéraire mensuelle», DXXII (1972), ottobre, pp. 43-48; G. Dalmasso, La politica dell’immaginario:

Rousseau-Sade, Milano, 1976; P. Roger, Rousseau selon Sade ou Jean-Jacques travesti, in «Dix-Huitième Siècle»

XXIII (1991), 1, pp 383-405; M. Delon, Sade contre Rousseau: en marge des Lumières, in «Magazine littéraire» CCCLXXXIX (2000), 4, pp. 39-43.

9 D. A. F. de Sade, Idée sur les romans, in OC X, p. 11.

10 J.-J. Rousseau, Discours sur l’inégalité, in Œuvres complètes et Lettres. Édition thématique du Tricentenaire, a cura di R. Trousson, F.S. Eigeldinger e J.-D. Candaux, Genève-Paris, 2012, 24 voll. (d’ora in poi ET), vol. V, p. 87.

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sottolineato non a caso nella Préface dialogata della Nouvelle Héloïse – a una perfetta condivisione dell’interiorità: «Cependant on se sent l’âme attendrie; on se sent ému sans savoir pourquoi. Si la force du sentiment ne nous frappe pas, sa vérité nous touche, et c’est ainsi que le cœur fait parler au cœur»12.

Pur ricercando a sua volta l’origine dell’emozione nell’originaria conformazione dell’individuo, Sade contesta con fermezza l’ipotesi di Rousseau. Secondo lui l’emozione affonda infatti le sue radici non nella pietà, ma nell’amor proprio, l’unico principio naturale che caratterizza l’essere umano: «L’amour-propre est le sentiment le plus actif dans l’homme; on gagne tout en l’intéressant»13. Mossi da questo egoismo integrale14, tutti gli uomini cercano di raggiungere il

proprio piacere, che può essere appagato solo nella relazione interpersonale. Il suo raggiungimento coincide pertanto con l’ottenimento di potere, che viene a configurarsi inevitabilmente come una forma di sopraffazione, di tipo emotivo e sessuale, sul prossimo. In tale prospettiva, qualsiasi slancio simpatetico è un ostacolo alla piena espressione di sé e «la pitié, loin d’être une vertu, n’est qu’une faiblesse»15. Essa, da fondamento virtuoso dell’emozione, diventa il principale impedimento

alla sua autentica manifestazione, originando – come rimprovera il Presidente de Blamont alla moglie – una sensibilità debole e innaturale:

Quand vous cédez au sentiment de la pitié plutôt qu’aux conseils de la raison, quand vous écoutez le cœur de préférence à l’esprit, vous vous jetez dans un abîme d’erreurs, puisqu’il n’est point de plus faux organes que ceux de la sensibilité, aucuns qui nous entraînent à de plus sots calculs et à de plus ridicules démarches16.

Quest’affermazione fa emergere l’aspetto determinante che scaturisce dall’antitetica concezione della natura dell’emozione in Rousseau e Sade, ossia la dialettica che viene a instaurarsi tra emozione e ragione, tra cœur ed esprit. Secondo Rousseau – e si tratta di uno degli elementi di maggiore originalità da lui apportato al dibattito filosofico contemporaneo – esiste una co-essenzialità tra la dimensione emotiva e quella razionale, confermata dal loro sviluppo parallelo: «Quoi qu’en disent les moralistes, l’entendement humain doit beaucoup aux passions, qui, d’un commun aveu, lui doivent beaucoup aussi: c’est par leur activité, que notre raison se perfectionne»17. In altre parole, la razionalità, se correttamente sviluppata, non è opposta ma

intrinseca all’emotività e al sentimento, come viene ricordato da Julie attraverso la formula secondo cui «le cœur ne suit point les sens, il les guide», e ribadito da Claire: «Je m’occupe à rectifier mes sentiments et ma raison»18. Sade condivide certamente con Rousseau l’idea che l’emotività sia un

dato fondamentale per il pieno sviluppo dell’essere umano e della sua moralità. Per potersi esprimere a pieno, tuttavia, la dimensione emotiva deve essere guidata e controllata dalla ragione, che è da lui intesa – in assonanza con i philosophes – come una facoltà distinta dal sentimento.

Da questa differente dialettica tra sentimento e ragione discende l’opposta valutazione dell’efficacia morale dell’emozione: mentre Rousseau mette in relazione tale efficacia con l’intento e con la spontaneità dell’emozione stessa, Sade la considera esclusivamente in base ai suoi effetti, ossia in base al controllo razionale che il soggetto riesce a esercitare su di essa. Lo scontro tra queste due concezioni dell’emotività anima il dualismo morale alla base di Aline et Valcour. La visione sentimentalistica delle passioni (l’emozione-pietà) è abbracciata da tutti i personaggi virtuosi del romanzo: i due protagonisti, Madame de Blamont, Monsieur de Beaulé, Déterville e la sua sposa, il curato del villaggio e i domestici di Vertfeuille che rimangono fedeli ad Aline e a sua madre. La consapevolezza della necessità del controllo emotivo (l’emozione-amor proprio) è invece

12 J.-J. Rousseau, Nouvelle Héloïse, Préface, in ET XV, p. 1221. 13 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in OC VI, p. 319.

14 «L’égoïsme [est] cette portion de sensibilité reçue des mains de la nature». D. A. F. de Sade, Histoire de

Juliette, in OC VIII, p. 299.

15 Ibid., p. 271.

16 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in OC V, p. 336. 17 J.-J. Rousseau, Discours sur l’inégalité, in ET V, p. 112. 18 J.-J. Rousseau, Nouvelle Héloïse, in ET XIV, pp. 294 e 664.

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il tratto caratterizzante dei personaggi malvagi, a partire dal Presidente de Blamont e Dolbourg, sino a giungere a Sarmiento, europeo messosi al servizio del re di Batua e diventato a sua volta cannibale.

In particolar modo le sei lettere scritte dal Presidente de Blamont, che di primo acchito sembrerebbero rivestire un ruolo marginale nell’economia del romanzo, si rivelano decisive per la rielaborazione sadiana del concetto di emozione, tanto da poter essere considerate una delle chiavi di lettura per comprendere il disegno filosofico alla base dell’opera. Monsieur de Blamont è infatti desideroso d’istruire Dolbourg, di liberarlo dai pregiudizi religiosi e sociali di cui sono intrisi i cosiddetti virtuosi, per spalancare dinnanzi a lui una forma di esistenza superiore, che si configura come un consapevole immoralismo incentrato sul controllo emotivo.

La peculiarità della posizione di Sade non risiede dunque nella banale constatazione della necessità di un’azione della ragione sul sentimento – vero e proprio leitmotiv della vulgata illuministica – ma nel ribaltarne il significato etico. Mentre il controllo razionale della dimensione emotiva era convenzionalmente associato alla moralità, esso diventa in Sade condizione imprescindibile per la conquista dell’immoralità, come conferma un’analisi puntuale della figura del Presidente de Blamont. Costui è malvagio non solo per temperamento, ma anche per riflessione. Le passioni egoistiche e lascive che dominano il suo carattere – e che coincidono agli occhi di Sade con l’essenza della natura umana – non sarebbero nulla senza la volontà cerebrale che le anima. Nella lettera LII, egli rimprovera apertamente a Dolbourg (libertino per gusto e non per principio, che si pente alla fine della vicenda) la sua incapacità di cogliere questo nesso tra pulsioni passionali e razionalità:

Ces maudites passions nous troublent […]. C’est que n’écoutant que tes passions sans raisonner leur cause, tu n’as jamais eu assez de philosophie pour les soumettre à des systèmes qui pussent les identifier dans toi […]. Infinitement plus sage, j’ai étayé mes écarts par des raisonnements19.

La saggezza di Blamont consiste così nel pensare la sua relazione con il prossimo non in termini di simpatia o riconoscimento reciproco, ma esclusivamente in termini di godimento e di dominio, come conferma il reiterato uso di metafore militari nelle sue lettere. Per questo motivo è secondo lui fondamentale che il libertino apprenda «la science d’amener les événements au but que nous nous proposons»20. Tale scienza, definita anche come «l’art de feindre et de tromper les

hommes»21 s’identifica con la capacità di manipolare a proprio vantaggio l’emozione. Blamont

arriva addirittura a teorizzare, nella lettera XXVI, un’“arte delle passioni”, una «science sublime qui nous rend maître des ressorts de l’âme par l’influence des passions, qui nous enseigne à mouvoir tour à tour celle qui doit produire un effet désiré»22. Si tratta di una scienza complessa, che mette in

gioco numerose variabili, che spaziano dal sesso all’educazione, dalla conformazione fisica al temperamento. Attraverso questa «étude savante du cœur humain qui, nous en développant les plis les plus secrets, nous montre en même temps sur quelle touche il est bon d’appuyer» è possibile individuare «la façon d’étouffer les remords, de les remplacer par des sensations douces, d’employer enfin au vice qu’on désire, jusqu’aux vertus que l’on découvre»23.

Blamont è un indiscusso maestro in tale arte, intesa nella sua duplice declinazione. Accanto a una sua manifestazione interiore, che coincide con il controllo del soggetto sulle proprie emozioni, l’arte delle passioni si esprime infatti anche nella dimensione intersoggettiva, vale a dire nell’abilità di servirsi strumentalmente delle emozioni altrui. Mentre questa seconda modalità è esemplificata dalla capacità di Blamont di “forgiare” Augustine – una domestica della moglie che egli corrompe per farle tradire Aline – la prima trova espressione nella sua impassibilità nell’ingannare la consorte sul presunto pentimento della stessa Augustine: «Au reste, rien n’a pris comme la réhabilitation de

19 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in OC V, pp. 316-317. 20 Ibid., in OC IV, p. 35.

21 Ibid., p. 34. 22 Ibid., p. 130. 23 Ibid.

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la demoiselle Augustine: j’étais là, je laissais de temps en temps mes paupières se mouiller, afin de me faire supposer un cœur ... et on avait la simplicité d’y croire»24.

4. Lacrime trasparenti, lacrime opache

In quest’ultimo caso Blamont si serve dell’emozione prediletta dai teorici del sentimentalismo, ossia il pianto, ribaltandone tuttavia completamente il valore. Le lacrime erano infatti considerate segno di una sensibilità elitaria condivisa e termometro dell’emotività stessa, in quanto la loro effusione certificava l’autenticità della passione provata, come ricorda la celebre formula di Rousseau secondo cui «rien ne lie tant les coeurs que la douceur de pleurer ensemble»25.

Per sovvertire questo codice estetico ed etico Sade si serve, in Aline et Valcour, di una duplice strategia. In primo luogo egli trasforma il pathos in derisione, descrivendo manifestazioni emotive così eccessive e reiterate da perdere di significato agli occhi del lettore. Tutte le epistole dei personaggi virtuosi sono infatti attraversate da una retorica parossistica delle lacrime, alla cui effusione non coincide tuttavia alcuna capacità d’azione. Tale dinamica è esemplificata dall’incipit di una delle ultime lettere che Madame de Blamont – ormai consapevole dei crimini del marito, ma incapace di opporvisi in qualsiasi modo – indirizza a Valcour: «[Cette lettre] est baignée de mes larmes, elle fera sûrement couler les vôtres […]. Oh! mon ami, conseillez-moi, j’en ai besoin; les sentiments du cœur nuisent aux raisonnements de l’esprit, je le sens et ne sais que résoudre»26.

In questa prospettiva le lacrime, e con esse ogni manifestazione di un’emozione compassionevole, diventano un esecrabile segno di debolezza, che denuncia l’inopportuna prevalenza del sentimento sulla ragione. Questa posizione era già sostenuta apertamente da Madame Duclos nelle Cent vingt journées de Sodome – la cui stesura è di poco precedente a quella del Roman philosophique: «Je ne sache pas avoir de ma vie pleuré ni sur mes maux et encore moins sur ceux d’autrui […]. Je verrais, Dieu merci, périr l’univers, que je n’en verserais pas une larme […]. La compassion est la vertu des sots»27. Quando la stessa Duclos, in un raro momento di

commozione, versa «quelques larmes involontaires» nel ricordare la sorella scomparsa, viene duramente ripresa dal duca di Blangis, che non esita a ricordarle l’inutilità del suo gesto: «Laissez les pleurs aux imbéciles et aux enfants, et qu’ils ne souillent jamais les joues d’une femme raisonnable et que nous estimons»28.

Emozione eccessiva e sterile se considerata in chiave simpatetica29, il pianto può tuttavia venir

riabilitato – e si tratta del secondo momento della “strategia” messa in atto da Sade – in quanto strumento di potere e di dominio interpersonale. Come si è avuto già modo di constatare, l’arte delle passioni consente infatti al libertino non soltanto di dominare la propria interiorità, simulando un’affezione che non ha alcun corrispettivo nell’interiorità, ma anche di gioire, in una sorta di vampirismo emotivo30, della disperazione e del dolore altrui. Questo aspetto, già lungamente

illustrato nelle Cent vingt journées de Sodome e destinato a diventare uno dei tratti caratteristici del sadismo nell’immaginario collettivo, trova espressione in Aline et Valcour non nella descrizione di

24 Ibid., in OC V, p. 281.

25 J.-J. Rousseau, Confessions, in ET II, p. 686. Come studi generali sul pianto nel Settecento cfr. A. Vincent-Buffault, Histoire des larmes. XVIIIe-XIXe siècles, Paris, 1986; A. Coudreuse, Le goût des larmes au XVIIIe siècle, Paris, 1999; M. Menin, “Who Will Write the History of Tears?”. History of Ideas and History of Emotions from

Eighteenth-Century France to the Present, in «History of European Ideas» XL (2014), 4, pp. 516-532.

26 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in OC V, pp. 309-310.

27 D. A. F. de Sade, Les cent vingt journées de Sodome, in OC XIII, p. 187. 28 Ibid., pp. 156-157.

29 Nel descrivere Jean-Jacques nei Dialogues, Rousseau osserva che «jamais la seule douleur ne lui fit verser une larme; mais tout sentiment tendre et doux, […]. Il ne saurait pleurer que d’attendrissement». J.-J. Rousseau,

Dialogues, in ET III, p. 241. Sul valore morale delle lacrime in Rousseau mi permetto di rinviare a M. Menin, L’Ambiguïté des larmes: Rousseau et la moralité de l’émotion, in «Esprit créateur» LII (2012), 4, pp. 107-119.

30 Una delle perversioni dei libertini di Sade è non a caso il vampirismo. Il conte di Gernande salassa abitualmente la giovane moglie per berne il sangue e condanna Justine alla stessa tortura.

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torture fisiche, ma nella ricorrente fantasia di Blamont di veder piangere la figlia durante un rapporto incestuoso, nella convinzione «qu’elle doit être délicieuse à saisir dans les pleurs»31.

Alla luce di queste considerazioni è interessante osservare che proprio il valore morale delle lacrime è al centro dell’ultima, serrata, discussione tra Blamont e la moglie; discussione che si può considerare una sorta di sintesi dello scontro tra le due differenti concezioni dell’emotività che animano il racconto:

- Oh! Monsieur, laissez-moi être sotte toute ma vie, si on l’est en écoutant son cœur; jamais vos cruels sophismes ne me donneront le quart des plaisirs que me procure une bonne action; et j’aime mieux être imbécile et sensible que de posséder le génie de Descartes, s’il me le fallait acheter aux dépens de mon cœur.

- Tout cela dépend des organes, a répondu le président; ces différences morales sont entièrement soumises au physique... Mais ce dont je vous supplie, c’est de ne jamais conclure, comme je sais que cela vous arrive quelquefois, qu’on soit un monstre parce qu’on ne pleure pas comme vous […]32.

L’evoluzione della vicenda non lascia dubbi su quale delle due opzioni prevalga secondo Sade. Tutti coloro che credono alla visione sentimentalistica e simpatetica dell’emozione – vale a dire gli individui religiosi, rispettosi del prossimo e naturalmente inclini a fare il bene – sono destinati a veder fallire i loro progetti e a soffrire, sino ad andare incontro a una morte atroce. Emblematico è proprio il caso di Madame de Blamont, che spira tra gli atroci dolori causati dal veleno e nella consapevolezza, ancor più straziante, di non poter salvare la figlia. La buona sorte arriderà al contrario ai personaggi malvagi, come dimostra il destino del Presidente de Blamont, che sfuggirà alla giustizia per vivere di rendita a Londra, e, soprattutto, quello di Léonore. Costei è l’unico personaggio a conquistare appieno la felicità, ereditando sia la fortuna della sua presunta famiglia bretone, sia quella dei Blamont.

Léonore, che ha saputo accantonare i falsi pregiudizi del sentimentalismo ed è riuscita ad adattarsi – proprio servendosi dell’arte delle passioni – a tutte le rocambolesche situazioni che ha dovuto affrontare, è la vera eroina del romanzo. Il suo tratto distintivo è quello di essere un personaggio isolato, escluso dal mondo delle femmes de sentiment, dominato dall’eccesso emotivo. Tutti i protagonisti virtuosi la giudicano dura e dal cuore arido e vedono in lei «plus de manière que de véritable sentiment»33. L’insensibilità di Léonore si accentua radicalmente con il procedere della

vicenda, come osserva Madame de Blamont, la quale ribadisce una volta in più – nel descrivere a Valcour la figlia ritrovata – l’ineliminabile nesso tra emozione, sensibilità e virtù: «Cette nouvelle fille […] qui érige l’insensibilité en système, l’athéisme en principe, l’indifférence en raisonnement ... pourra peut-être ne se livrer à aucun écart, mais il n’en jaillira jamais une vertu»34.

5. Scioccare i nervi e comprimere il cuore: una nuova sensibilità

Léonore non è in realtà affatto insensibile, ma è al contrario il modello di una nuova sensibilità. Prototipo di un’Eva futura, ella è in grado di opporre alla debolezza virtuosa e all’impotenza sentimentalistica di Aline uno slancio attivo di dominazione su di sé e sul mondo che la circonda. L’autentica sensibilità non consiste pertanto più nell’assecondare le emozioni, come voleva Rousseau (seguendo la lettura che ne dà Sade, naturalmente), ma nello stimolarle o reprimerle razionalmente a seconda della necessità.

Il libertino di Sade è perfettamente consapevole di come il potere della volontà possa governare il mondo fisico della sensazione servendosi di esperienze sensoriali estreme, riconducibili primariamente a uno shock dei nervi. L’importanza del sistema nervoso, che funziona attraverso

31 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in OC V, p. 353. 32 Ibid.

33 Ibid., p. 7. 34 Ibid., p. 268.

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l’«irritation causée par le choc des atomes […] sur les esprits animaux», è lungamente illustrata da Sarmiento a Sainville, nel corso di una “lezione” di fisiologia e morale che si chiude con la constatazione che proprio i nervi sono «la seule âme admise par les philosophes modernes»35.

Questo aspetto sarà ulteriormente approfondito nell’Histoire de Juliette del 1801, la cui intera vicenda – incentrata sulla contrapposizione tra una sorella virtuosa e sventurata e una depravata e felice che ricorda inevitabilmente il destino di Aline e Léonore – è significativamente descritta come «l’histoire du choc des impressions criminelles sur la masse de nerfs»36.

La riflessione di Sade trova in questo caso un’importante fonte d’ispirazione nelle teorie mediche contemporanee, sulla cui rilevanza la letteratura critica più recente ha giustamente insistito37. Le dottrine vitalistiche – in contrapposizione allo iatromeccanicismo ancora dominante

nella prima metà del Settecento – avevano infatti messo in risalto l’insufficienza di una spiegazione riduzionistica e meccanicistica della sensibilità, che non consentiva alcun reale intervento da parte del soggetto sul meccanismo fisiologico, ma solo un adeguamento ad esso. Al contrario, proprio lo studio del sistema nervoso favorì lo sviluppo di una concezione attiva della sensibilità, che lasciava spazio a un intervento razionale sulla fisiologia stessa. Sade, che nutrì sempre un vivo interesse per la medicina e che fu un attento lettore di autori come Lacaze, Tissot, Cabanis e Bichat, vi trovò non solo la conferma di come la chiave di volta per comprendere la sensibilità risieda nel rapporto tra cervello e sistema nervoso38, ma anche la giustificazione alla sua volontà di plasmare la dimensione

fisiologica o – per utilizzare la coppia concettuale tipica del secondo Settecento francese – di mettere il physique al servizio del moral. Il “morale” di Sade non esprime in alcun modo, come in Rousseau (basti pensare alla Profession de foi) un contenuto etico o un’indipendenza, almeno relativa, della dimensione spirituale, ma piuttosto, come in Helvétius, un’insistenza sulla stessa dimensione fisiologica39.

In questa prospettiva, tra l’altro, è possibile comprendere la superiorità estetica e morale del dolore sul piacere40, in quanto il primo – come spiega Blamont – stimola i nervi con una forza

superiore rispetto al secondo: «L’ébranlement causé par le chagrin sur la masse des nerfs, détermine sur-le-champ à la volupté, dans les femmes, les atomes du fluide électrique, et qu’un individu de ce sexe n’est jamais plus voluptueux que quand il est saisi dans les pleurs»41. Mentre le persone

“normali” provano piacere quando gli oggetti esterni interagiscono armoniosamente con i loro fluidi neurali, il libertino ricerca una completa dissonanza tra questi due aspetti. Emblematica in tal senso è la figura di Saint-Fond, il protagonista dell’Histoire de Juliette che riesce in un solo giorno ad avere una relazione incestuosa con la figlia, uccidere il padre e torturare a morte alcune fanciulle: «On veut faire éprouver à ses nerfs une commotion violente; on sent bien que celle de la douleur

35 Ibid., in OC IV, p. 212. Sulla ripresa della dottrina degli spiriti animali cfr. Roger Cavaillès, Le matérialisme

électrique et la métaphysique du crime: une lecture épistémologique de Sade, in «Annales publiées par l’Université de

Toulouse-Le Mirail, Philosophie» IX (1973), 6, pp. 33-49 e C. Carnicero de Castro, Le fluide électrique chez Sade, in «Dix-Huitième Siècle» XLVI (2014), 1, pp. 561-577.

36 D. A. F. de Sade, Histoire de Juliette, in OC VIII, p. 115.

37 Si vedano, in particolare, S. Quinlan, Medicine in the Boudoir: Sade and Moral Hygiene in

Post-Thermidorean France, in «Textual Practice» XX (2006), 2, pp. 231-255; A. St-Martin, De la médecine chez Sade: disséquer la vie, narrer la mort, Paris, 2010; M. Kozul, Sade and the Medical Sciences: Pathophysiology of the Novel and the Rhetoric of Contagion, in K. Parker e N. Sclippa (a cura di), Sade’s Sensibilities, Lanham, 2015, pp. 141-168.

38 Questo specifico aspetto è stato esaurientemente approfondito in S. Quinlan, Shocked Sensibility: The Nerves,

the Will, and Altered States in Sade’s “L’Histoire de Juliette”, in «Eighteenth-Century Fiction» XXV (2013), 3, pp.

533-356.

39 La coppia concettuale moral/physique è utilizzata costantemente da Sade a partire dal 1783. Una delle prime testimonianze è rintracciabile in una lettera alla moglie: «Voilà pour le moral, venons au physique maintenant». D. A. F. de Sade, Lettera a Madame de Sade del 15 settembre 1783, in Lettres et mélanges littéraires écrits à Vincennes et à la

Bastille, a cura di G. Daumas e G. Lely, Paris, 1980, 2 voll.; vol. II, p. 157.

40 Cfr. J. Davies, Bodily Pain in Romantic Literature, New-York, 2014, capitolo III, Sade’s Unreason, pp. 67-96.

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sera plus forte que celle du plaisir; on l’emploie, et l’on s’en trouve bien»42. Si tratta di un’ulteriore

attestazione della necessità di manipolare l’emotività per plasmare la “vera” sensibilità: «Ce n’est qu’en recevant ou produisant sur le système nerveux le plus grand ébranlement possible, qu’il réussira à se procurer une ivresse telle qu’il la lui faut pour bien jouir»43.

Questa ridefinizione della sensibilità, che al tempo stesso discende direttamente dalla teoria del controllo emotivo e ne rappresenta la giustificazione, marca uno scarto importante tra gli scritti giovanili di Sade e il suo pensiero della maturità, che coincide con gli anni post-rivoluzionari. Nei suoi primi scritti, Sade è ancora sostenitore di una forma di materialismo riduzionista, ispirato in particolar modo al pensiero di La Mettrie e Holbach44. In una simile prospettiva, l’emotività perdeva

di fatto qualsiasi pregnanza morale, non essendo altro che una manifestazione necessaria del meccanismo fisiologico o, al massimo, una forma di adeguamento a esso. A partire da Aline et

Valcour, al contrario, viene esaltato l’aspetto attivo dell’emozione, che coincide con la capacità del

morale d’indirizzare e soggiogare il fisico prendendo le mosse da esso. Pur rimanendo una condizione necessaria al raggiungimento della felicità, il godimento fisico non è più di per sé sufficiente, in quanto esso deve venire inevitabilmente accompagnato – come rimarca il Presidente de Blamont – dal godimento morale: «Ne suis-je donc pas plus heureux que toi, en raffinant tout, comme je fais, en ne me composant jamais de jouissances physiques, qu’elles ne soient accompagnées d’un petit désordre moral?»45. La stessa “eccedenza” del morale sul fisico è ribadita

nella descrizione dell’educazione libertina di Augustine, interpretabile come una sorta di esperimento teso a mostrare la validità dell’“arte delle passioni” propugnata da Blamont: «Mais j’ai un valet de chambre unique pour ces sortes de joutes ... Il agira sur le physique sans se douter de rien, et nous ... la recevant de sa main tout embrasée, nous travaillerons alors le moral avec fruit»46.

Oltre che a essere giustificata dalle convinzioni fisiologiche a cui si è accennato in precedenza, l’insistenza sul valore morale della sensibilità implica nuovamente un consapevole confronto con la filosofia di Rousseau47, che nei Dialogues aveva teorizzato la duplicità della

facoltà sensitiva. Accanto a «une sensibilité physique et organique qui, purement passive, parait n’avoir pour fin que la conservation de notre corps», egli distingue un’altra sensibilità, «active et morale qui n’est autre chose que la faculté d’attacher nos affections à des êtres qui nous sont étrangers. Celle-ci, dont l’étude des paires de nerfs ne donne pas la connaissance, semble offrir dans les âmes une analogie assez claire avec la faculté attractive des corps»48.

Pur condividendo con Rousseau l’idea che la sensibilità morale49 sia irriducibile al physique e

si configuri come una forza attiva, Sade ne inverte la direzione. Da forza espansiva essa si trasforma infatti in movimento centripeto, come spiega il marchese di Bressac a Justine nel corso di una

42 D. A. F. de Sade, Histoire de Juliette, in OC VIII, p. 258. 43 Ibid., pp. 328-329.

44 Su questo aspetto, mi limito a rinviare – anche per ulteriori rimandi bibliografici – a V. Barba, Sade e il

materialismo dei Lumi, in «Rivista di storia della filosofia», XXXIX (1984), 3, pp. 475-501; J. Deprun, La Mettrie et l’immoralisme sadien, in Id., De Descartes au romantisme: études historique et thématiques, Paris, 1987, pp. 127-132 e

a C. Warman, Sade: From Materialism to Pornography Oxford, 2002. 45 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in OC V, p. 280. 46 Ibid., p. 351.

47 Sulla “filiazione” dell’epistemologia di Sade da quella di Rousseau ha recentemente insistito H. M. Lloyd,

“Je n’ai jamais vu une sensibilité comme la tienne, jamais une tête si délicieuse!”: Rousseau, Sade, and Embodied Epistemology, in «Intellectual History Review» XXV (2015), 3, pp. 327-342. L’autore, inspiegabilmente, non prende

tuttavia in considerazione in alcun modo Aline et Valcour. 48 J.-J. Rousseau, Dialogues, in ET III, p. 218.

49 La questione della sensibilità morale fu ampiamente dibattuta in tutta la filosofia del secondo Settecento francese. Su questa determinante tematica mi limito a rinviare al classico contributo di F. Baasner, Der Begriff

‘sensibilité’ im 18. Jahrhundert. Aufstieg und Niedergang eines Ideals, Heidelberg, 1988. Per indicazioni sulla

letteratura più recente cfr. F. Piva (a cura di), La sensibilité dans la littérature française au XVIIIe siècle, Fasano-Paris, 1998; S. Gaukroger, The Collapse of Mechanism and the Rise of Sensibility: Science and the Shaping of Modernity,

1680-1760, Oxford, 2010 e I. Csengei, Sympathy, Sensibility and the Literature of Feeling in the Eighteenth Century

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lezione filosofica d’insensibilità, per molti versi assimilabile a quella che Sarmiento impartisce a Valcour: «Éteins ton âme, Justine, comme tu nous vois endurcir les nôtres»50. In questa prospettiva,

l’autentica sensibilità morale non è affatto un naturale «présent du ciel», come reclamava Saint-Preux51 e come pretende, sulla sua scia, lo stesso Valcour: «Trop de sensibilité est un des plus cruels

présents que nous ait fait la nature»52. Essa, al contrario, è il frutto di un vero e proprio

apprendistato emotivo. Bressac invita non a caso Justine ad abbandonare la sua «funeste sensibilité», intrisa di pregiudizi religiosi e sentimentalistici, a favore dell’“autentica” sensibilità incentrata sul controllo emotivo, magistralmente evocata dall’immagine (anti rousseauiana per eccellenza) della compressione del cuore: «Crois-tu donc que dans mon enfance je n’avais pas un cœur comme toi? Mais j’en ai comprimé l’organe; et c’est dans cette dureté voluptueuse que j’ai découvert le foyer d’une multitude d’égarements et de voluptés qui valent mieux que mes faiblesses»53.

6. La naturalezza dell’artificio: la (im)moralità dell’apatia

Alla luce di tali considerazioni pare lecito sostenere che la grande ambizione filosofica di Sade, che egli andò maturando in modo via via più netto, coincida con la volontà di delineare il modello antropologico di un nuovo uomo (o una nuova donna) “sensibile”, capace di sentire esclusivamente ciò che egli stesso ha “creato” razionalmente. Un simile ideale, già incarnato da Blamont e Léonore in Aline et Valcour, troverà la sua formulazione più compiuta – nuovamente nell’Histoire de

Juliette – nell’autoritratto che fa di sé Clairwil54, una crudele libertina la cui passione principale

consiste nell’uccidere giovani uomini: «Mon âme est impassible, disait-elle; je défie aucun sentiment de l’atteindre, excepté celui du plaisir. Je suis maîtresse des affections de cette âme, de ses désirs, de ses mouvements; chez moi tout est aux ordres de ma tête; et c’est ce qu’il y a de pis, continuait-elle, car cette tête est bien détestable»55. Il medesimo legame tra sensibilità e razionalità

caratterizza Eugénie, la giovane protagonista della Philosophie dans le boudoir: «Adorable créature, je n’ai jamais vu une sensibilité comme la tienne, jamais une tête si délicieuse!»56.

Questa visione della sensibilità conduce a una ridefinizione delle stessa idea di natura. La sensibilità – come è emerso chiaramente dall’analisi dell’arte delle passioni – non è infatti per Sade un dato universale, come volevano i sentimentalisti, bensì un costrutto culturale che può e deve essere indirizzato. Pur essendo pertanto indiscutibilmente artificiale, questa sorta d’iper-sensibilità non viene associata in alcun modo a una dimensione patologica o considerata contro-naturale57.

Essa, al contrario, diventa paradossalmente espressione della vera natura umana, deformata dai pregiudizi dell’avanzamento storico (in particolare da quelli religiosi) e dall’affermazione della “vuota” sensibilità sentimentalistica. L’uomo sensibile esaltato dalla letteratura edificante non riflette in realtà affatto la natura umana: esso è semplicemente un’illusione, un sogno evanescente che finisce con l’annientarsi da solo. Tutti i personaggi di Aline et Valcour che incarnano il

50 D. A. F. de Sade, La Nouvelle Justine, in OC VII, p. 166.

51 «Ô Julie, que c’est un fatal présent du Ciel qu’une âme sensible!». J.-J. Rousseau, La Nouvelle Héloïse, in

ET XIV, p. 230.

52 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in OC IV, p. 146. Sulla straordinaria fortuna di questa formula di Rousseau cfr. M. Delon, “Fatal présent du ciel qu’une âme sensible”. Le succès d’une formule de Rousseau, in « Études Jean-Jacques Rousseau » V (1991), 1, pp. 53-64.

53 D. A. F. de Sade, La Nouvelle Justine, in OC VII, p. 166.

54 Per un’analisi dettagliata del personaggio di Clairwil cfr. C. Carnicero de Castro, Entre le crime et la

sensibilité: les paradoxes du personnage de Clairwil, in A. Coudreuse e S. Genand (a cura di), Sade et les femmes: ailleurs et autrement, Paris, 2014, pp. 33-44.

55 D. A. F. de Sade, Histoire de Juliette, in OC VIII, p. 262.

56 D. A. F. de Sade, La philosophie dans le boudoir, in OC III, p. 441.

57 Una celebre lettura in chiave “patologica” della sensibilità in Sade è quella reperibile in A. C. Vila,

Enlightenment and Pathology: Sensibility in the Literature and Medicine of Eighteenth-Century France, Baltimore,

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paradigma rousseauiano dell’emozione sono non a caso tanto sensibili da giungere all’insensibilità e tanto appassionati da perdere qualsiasi capacità di far presa sulla sensibilità del lettore.

Anche in questo caso Sade si serve di un elemento caratteristico della morale illuministica, ossia la ripresa dello stoicismo, ribaltandone tuttavia completamente la portata. Il dominio sulle passioni, generalmente considerato come il fine ultimo di un percorso di saggezza spirituale che spinge l’individuo a sottomettersi a un ordine superiore, diviene in lui il mezzo per accedere alla piena espressione, egoistica e completamente terrena, della dimensione passionale:

L’apathie, l’insouciance, le stoïcisme, la solitude de soi-même, voilà le ton où il faut nécessairement monter son âme, si l’on veut être heureux sur la terre;

Ah! croyez, Eugénie, croyez que les plaisirs qui naissent de l’apathie valent bien ceux que la sensibilité vous donne;

Et voilà, j’ose le dire, un des plus heureux fruits du stoïcisme. En raidissant notre âme contre tout ce qui peut l’émouvoir, […] elle passe à une espèce d’apathie qui se métamorphose bientôt en plaisirs mille fois plus divins que ceux que leur procureraient des faiblesses58.

Da qui scaturisce la peculiare dialettica tra emozione e apatia che si ritrova nelle pagine di

Aline et Valcour. Il patetico – attraverso l’abile gioco di specchi tra le due differenti concezioni

dell’emozione incarnate dai personaggi – è usato infatti per de-moralizzare la sensibilità e restituire all’emozione stessa la sua natura originaria, attingibile grazie al controllo emotivo e all’apatia a cui perviene il libertino. Ancora una volta è il personaggio di Blamont a farsi portavoce di questa teoria – significativamente definita una «prudente philosophie» – rimproverando ad Aline, ormai in sua completa balia, la sua disperazione e le sue lacrime:

Là-dessus, M. le président répondit que la plus haute de toutes les folies était de se chagriner, qu’il fallait savoir monter son âme à une sorte de stoïcisme, qui nous fît regarder avec indifférence tous les événements de la vie; que pour lui, loin de s’affliger de rien, il se réjouissait de tout; […] et qu’avec ce système on parvenait à changer en roses toutes les épines de la vie ... que la sensibilité n’était qu’une faiblesse dont il était facile de se guérir59.

Lo stesso consiglio, formulato con ancor maggior concisione ed efficacia, viene rivolto da Bressac a Justine: «Tâche de te faire des plaisirs de tout ce qui alarme ton cœur. Parvenue bientôt comme nous à la perfection du stoïcisme, ce sera dans cette apathie que tu sentiras naître une foule de nouveaux plaisirs bien autrement délicieux»60. Nello stoicismo alla rovescia di Sade, che si

configura come una paradossale forma di stoicismo passionale, l’apatia gioca così al contempo contro il pathos inteso nel senso morale del termine – cioè in quanto fondamento dell’emozione-pietà –, ma si serve del pathos stesso, inteso nella sua declinazione immorale, ossia come espressione dell’amor proprio, per riscoprire l’autentica naturalezza.

Questa dialettica anima non solo l’antropologia narrativa alla base del romanzo, ma è estendibile al rapporto che s’instaura tra il personaggio letterario e il lettore. Sovvertendo nuovamente dall’interno il leitmotiv della letteratura sentimentale che vedeva nella rappresentazione del pathos la condizione di possibilità di una pedagogia edificante (meccanismo immortalato magistralmente da Diderot nell’Éloge de Richardson61), Sade pone l’emozione nel cuore del suo

58 D. A. F. de Sade, La Nouvelle Justine, in OC VII, p. 303; La philosophie dans le boudoir, in OC III, p. 527;

Histoire de Juliette, in OC VIII, p. 502. Sulla peculiare concezione dell’apatia in Sade cfr. A. Arlette, Sade et l’éthique de l’apathie, in AA.VV., Mélanges littéraires, François Germain, Dijon, 1979, pp. 95-104 e A. Coudreuse, Le refus du pathos au XVIIIe siècle, Paris, 2001, p. 230 e ss.

59 D. A. F. de Sade, Aline et Valcour, in OC V, p. 399. 60 D. A. F. de Sade, La Nouvelle Justine, in OC VII, p. 166.

61 «Mon âme était tenue dans une agitation perpétuelle. Combien j’étais bon! Combien j’étais juste! Que j’étais satisfait de moi! J’étais, au sortir de ta lecture, ce qu’est un homme à la fin d’une journée qu’il a employée à faire le bien. J’avais parcouru dans l’intervalle de quelques heures un grand nombre de situations, que la vie la plus longue offre à peine dans toute sa durée […]. Je sentais que j’avais acquis de l’expérience». D. Diderot, Éloge de Richardson, in

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immoralismo. È infatti proprio il pathos, in virtù della stretta relazione che esso intrattiene con l’aspetto attivo della sensibilità, a “convertire” il lettore al libertinismo: la seduzione estetico-erotica esercitata dalla rappresentazione dell’emozione, in particolare dal dolore della vittima, conduce a una sospensione del falso giudizio morale (secondo cui sarebbe un male far soffrire qualcuno), conducendo implicitamente il lettore ad abbracciare i principi ideologici dell’immoralismo.

Affrancata così finalmente dalle sue fittizie fondamenta simpatetiche, la “nuova” sensibilità può affermarsi come la naturale manifestazione antropologica del principio dell’egoismo integrale, ribaltando ovviamente anche la tradizionale distinzione tra virtù e vizio. Il buon selvaggio di Rousseau, animato in egual misura da egoismo e pietà, deve così cedere il passo a un nuovo uomo naturale, «vicieux par tempérament, cruel par instinct [et] féroce par raffinement»62.

***

In conclusione, Aline et Valcour, capolavoro negletto di Sade, si può considerare non solo un punto di svolta decisivo all’interno della produzione del suo autore, ma anche una tappa non irrilevante nella storia della filosofia delle emozioni. In quest’opera Sade riesce infatti a confutare il didatticismo morale convenzionalmente associato alla letteratura sentimentale dall’interno – servendosi cioè consapevolmente dei suoi stessi procedimenti formali e stilistici – sino a scardinarne le basi. Il passaggio dal sentimentalismo al controllo emotivo sancito dal suo romanzo epistolare rappresenta al tempo stesso una lucida testimonianza di un mutamento di paradigma estetico e antropologico in atto tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, nonché una decisiva conferma di quell’inscindibile nesso tra filosofia e letteratura che lo stesso Sade, nel difendere il suo scandaloso operato di romanziere, non si stancò mai di ribadire: «Cependant je suis philosophe; tous ceux qui me connaissent ne doutent pas que j’en fasse gloire et profession»63.

MARCO MENIN Dipartimento di Filosofa e Scienze dell’Educazione

Università degli Studi di Torino Via S. Ottavio 20 – 10124 Torino Tel. +393474953175

marco.menin@unito.it

ABSTRACT

Sade and the (Im)Morality of Emotion. A Philosophical Reading of “Aline and Valcour”. Why

would Sade, a staunch enemy of the moral didacticism that characterized late eighteenth-century French literature, write the sentimental novel Aline et Valcour, which is ostensibly foreign to the rest of his thought? A philosophical interpretation of this work allows us to bring to light how, in his novel, Sade skillfully reconstructs the conception of sentimentalist emotion — encapsulated in Rousseau’s thought —and counterposes it with a new analysis of passions that is no longer based on empathy, but rather on the interpersonal domination. Through peculiar physiological (the role of the nervous system) and philosophical (the principle of integral selfishness and a peculiar reevaluation of apathy) premises, Sade succeeds in delineating a paradoxical ethics of emotional restraint.

Œuvres complètes, a cura di H. Dieckmann, J. Fabre, J. Varloot e J. Proust, Paris, 1975-2004, 33 voll., vol. XIII, pp.

192-193.

62 D. A. F. de Sade, Histoire de Juliette, in OC VIII, p. 558. 63 D. A. F. de Sade, Notes littéraires, in OC XV, p. 27.

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Perché Sade, che fu un conclamato nemico del didatticismo morale caratteristico della letteratura francese tardo settecentesca, scrisse il romanzo sentimentale Aline et Valcour, apparentemente estraneo al suo pensiero? Una lettura in chiave filosofica di questo scritto consente di mettere in luce come in esso Sade ricostruisca in realtà con finezza, attraverso l’intrigo letterario, la concezione dell’emozione sentimentalistica – sintetizzata dal pensiero di Rousseau – per contrappore ad essa una nuova valutazione delle passioni, non più basata sull’empatia, ma sul dominio interpersonale. A partire da specifiche premesse fisiologiche (il ruolo del sistema nervoso) e filosofiche (il principio dell’egoismo integrale e una peculiare rivalutazione dell’apatia) egli delinea così una paradossale etica del controllo emotivo.

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