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L'impatto del Covid-19 sul settore alimentare italiano: la nuova percezione del cibo da parte dei consumatori e l'adattamento dei brand alla crisi pandemica.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Ricerche di Mercato

TESI DI LAUREA

L’impatto del Covid-19 sul settore alimentare italiano: la nuova

percezione del cibo da parte dei consumatori e l’adattamento dei brand

alla crisi pandemica

CANDIDATA RELATORE

Elisabetta Maria Lovino Prof. Matteo Corciolani

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SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO 1 – L’IMPATTO ECONOMICO DEL COVID-19 SUL SETTORE ALIMENTARE ... 8

1.1 Andamento del settore alimentare nel 2020 ... 8

1.2 Il cambiamento dei canali di vendita durante il 2020 ... 9

1.3 I nuovi consumi degli italiani ... 12

1.3.1 Motivazioni esplicative del cambiamento nei consumi ... 16

1.4 Emotività ed alimentazione ... 19

1.5 La risposta dei brand alimentari alla pandemia ... 23

CAPITOLO 2 – METODOLOGIA ... 31

2.1 Metodo ... 31

2.2 Selezione del settore di mercato ... 32

2.3 Rilevazione andamento del settore ... 32

2.4 Lettura dati quantitativi da Global Web Index ... 33

2.4.1 Raccolta dati secondari dal Coronavirus Multimarket Study ... 35

2.4.2 Analisi quantitativa ... 37

2.5 Raccolta dati qualitativi con Netbase ... 38

2.5.1 Predisposizione software per l’indagine qualitativa ... 39

2.5.2 Analisi qualitativa ... 39

CAPITOLO 3 – RISULTATI DELLE ANALISI ... 41

3.1 Panoramica degli strumenti di analisi ... 41

3.1 Andamento delle search di Google ... 41

3.2 Confronto comportamentale tra l’anno 2019 e il 2020 ... 44

3.2.1 Analisi delle motivazioni alla base del cambiamento ... 49

3.3 I cambiamenti nel comportamento dei consumatori durante il lockdown ... 53

3.4 La percezione dei brand e della pubblicità durante la prima ondata pandemica . 57 3.5 Analisi delle conversazioni online ... 60

3.5.1 Social listening con Netbase ... 61

3.5.2 Suddivisione dei contenuti per tematiche e clusterizzazione ... 68

CONCLUSIONI ... 80

BIBLIOGRAFIA ... 86

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INTRODUZIONE

Il 2020 viene considerato l’anno del cambiamento per eccellenza che ha identificato un prima e un dopo pandemia, e per questo è stato definito da numerosi studiosi come “Anno Zero”. La pandemia da Covid-19, iniziata a dicembre 2019 a Wuhan, Cina, e diffusasi globalmente a partire da febbraio 2020, ha letteralmente sconvolto la popolazione mondiale che è stata indotta a riadattare i propri stili di vita per evitare il contagio e far fronte alla situazione di emergenza. Il cambiamento a cui si fa riferimento ha riguardato ogni aspetto della vita e, in particolare, è andato ad intaccare i bisogni primari, sociali e del sé tipici dell’uomo: da quelli fisiologici a quelli di sicurezza, appartenenza e stima della scala di Maslow (1954). Un elemento posto trasversalmente tra queste categorie di bisogni è il cibo, inteso come materia prima per il funzionamento dell’organismo vivente, che quindi permette all’individuo di mantenersi in salute e al contempo può essere oggetto di appartenenza, in quanto motivo di unione e socialità, inoltre, per alcuni, diviene anche oggetto di professionalità, in riferimento a tutti i lavoratori del settore Ho.re.ca. e Food&Beverage. La centralità del cibo è ancora più accentuata in Italia, madre della cucina mediterranea e del Made in Italy culinario che l’ha resa orgogliosa in tutto il mondo, la quale ha risentito in particolar modo dell’emergenza sanitaria imponendo per prima in Europa il lockdown totale. Tenendo in considerazione tali peculiarità è nata la necessità di sviluppare il presente studio, volto ad approfondire l’impatto del virus su un settore così rilevante non solo a livello economico ma anche fisiologico, infatti, durante il periodo di quarantena, sono state numerose e varie le modalità di reazione alimentare da parte dei consumatori e del versante dell’offerta di settore.

Gli uni hanno utilizzato il cibo come valvola di sfogo e compensazione della negatività dalla quale erano circondati, da cui la diffusione dell’emotional eating, mentre l’altra ha

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cercato di adattarsi al cambiamento in atto con una risposta trasformazionale e una filantropica, purtroppo non sempre con successo. Tutto ciò ha comportato una vera e propria accelerazione di fenomeni già radicati che non hanno avuto origine nel 2020, ma di cui l’ampia diffusione è stata catalizzata proprio dalla diffusione della pandemia, come l’e-grocery che costituisce il fulcro della risposta trasformazionale altamente innovativa. Ne consegue che le evidenze specifiche relative al recente Covid-19 non erano presenti in un impianto teorico recente né completamente strutturato; per questo motivo è stato importante cercare di inquadrare l’argomento, iniziando, con il capitolo teorico, da una panoramica generale di tipo economico, che ha consentito di evidenziare l’effettiva variazione circa l’andamento dell’industria alimentare rispetto all’anno 2019, per poi approfondire il cambiamento che ha coinvolto sia il versante dell’offerta che della domanda. Il primo ha subito una trasformazione forzata verso le consegne a domicilio o da asporto e la digitalizzazione con l’e-commerce, inoltre ha attivato una serie di iniziative classificabili come Corporate philanthropic disaster responses (CPDRs), spesso mostrando ambiguità circa l’utilizzo di un obiettivo filantropico con un doppio fine economico prettamente volto ai propri interessi e non all’effettivo benessere sociale. Per ciò che concerne, invece, il secondo versante, la domanda è diventata protagonista di cinque macro-trend individuati come linee guida entro cui si stanno sviluppando i bisogni dei singoli, in una prospettiva sempre più sana e sostenibile a tutto tondo, oltre che casalinga, da cui si è originato il concetto di “slow cooking”, soprattutto per la fase post Covid-19. Al contempo, nonostante tale tendenza alla naturalità degli alimenti, è stato osservato un incremento di comfort food legato alla fame emotiva, ovvero indotta da emozioni tendenzialmente negative come rabbia, paura, incertezza o noia, che durante il periodo pandemico hanno caratterizzato lo stato d’animo di numerosi italiani.

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Secondariamente è stata esposta la metodologia con la quale sono stati raccolti i dati, usufruendo di due differenti tools: Google Trends, che ha fatto emergere un aumento notevole di search relative a keyword del settore alimentare, e Global Web Index, con cui è stata creata l’audience di riferimento, interessata alla cucina e al cibo, per poi estrarne i dati. In seguito, è stata presentata l’analisi dei dati secondari effettuata con R, Excel, Netbase ed Answer the public. I primi due strumenti sono serviti ad un’analisi di tipo quantitativo, ovvero valutazione dell’indice e delle percentuali, associazioni, e confronti annuali ed intergenerazionali, mentre gli altri ad una qualitativa che ha consentito la clusterizzazione di percezioni dei consumatori e dei brand autori di post sull’alimentazione, pubblicati sui social network.

A seguire sono stati inseriti i risultati che hanno permesso di verificare empiricamente i cambiamenti dei consumatori nell’approccio alla cucina e al settore Food&Beverage rispetto al 2019, inoltre, è stata indagata una delle possibili motivazioni di tale cambiamento in collegamento al contenuto teorico, ovvero il livello di preoccupazione e di ottimismo degli individui che si sono dedicati maggiormente a tali interessi. È stato poi utile approfondire tali comportamenti durante il periodo specifico di lockdown, andando ad analizzare la maggior quota di tempo dedicata a cucinare e la previsione circa una variazione permanente da parte degli individui che effettivamente si erano rivolti alla cucina. Infine, a conclusione del quarto capitolo, sono state considerate le percezioni nei confronti delle attività di purpose marketing o Corporate philanthropic disaster responses (CPDRs) attivate da brand alimentari sui social network, di cui è stato analizzato anche il sentiment degli utenti-consumatori che si sono affidati al web per manifestare le proprie emozioni. Quest’ultima sezione ha consentito di valutare la reazione dei brand e la relativa percezione agli stimoli pubblicitari da parte dei consumatori in periodo pandemico, obiettivo secondario verso cui è stata orientata la

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ricerca. La scelta di un utilizzo così ampio di differenti strumenti è stata indotta dalla complessità del tema trattato: è stato osservato in precedenza come il cibo sia un elemento trasversale a più bisogni e a corrispondenti interessi dal punto di vista aziendale poiché si tratta di un elemento primario nella vita degli individui e, nonostante le possibili suddivisioni in categorie Premium o Low Cost, permane come bene ricercato da chiunque, senza distinzioni di età, fascia di reddito o provenienza. In questa ottica è risultato favorevole cercare di spiegare in maniera il più possibile olistica la modalità con cui una dinamica nuova a questo secolo, come una pandemia globale, abbia influenzato l’approccio ad un bene primario per tutti, basandosi sull’ipotesi primaria di un impatto rilevante esercitato dal Covid-19 sugli individui di differenti età. Infatti, l’effetto di tale circostanza inizialmente era incognito e solo dopo alcuni mesi è stato possibile intuirne le caratteristiche; ciononostante, non era affatto lapalissiano che le emozioni negative scaturite dalla diffusione del virus avrebbero provocato un incremento nell’alimentazione, poiché con la lettura del primo capitolo sarà chiaro che le emozioni negative sono in grado di suscitare anche inappetenza. Pertanto, l’obiettivo alla base dello studio è stato quello di corroborare l’evidenza del legame tra alimentazione ed emotività come possibile fattore determinante, insieme alle campagne pubblicitarie, soprattutto durante il lasso temporale in cui si è verificato un cosiddetto “disastro mondiale”, anomalo e singolare nel suo genere. Infine, si è distinto da altre ricerche effettuate successivamente alla comparsa del Covid-19, andando ad approfondire l’evoluzione temporale di tale legame con dati ottenuti durante il lockdown, non permettendo così che interviste ex post potessero condurre a bias “mnemonici” nelle risposte degli intervistati, causati dal ricordo dell’emozione e del comportamento vissuti mesi prima.

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CAPITOLO 1 – L’IMPATTO ECONOMICO DEL COVID-19 SUL

SETTORE ALIMENTARE

1.1 Andamento del settore alimentare nel 2020

Il cibo ha da sempre rivestito un ruolo fondamentale nella vita dell’uomo e dei suoi comportamenti sociali, parte integrante delle differenti culture che riflettono stili di vita e tradizioni più o meno ampie, al contempo specchio di valori insiti nelle popolazioni di ogni singolo paese. L’industria agroalimentare è quindi responsabile della fornitura di uno dei beni di prima necessità e sicuramente anche l’ampia tradizione culinaria italiana ha contribuito a renderlo uno dei settori più resilienti e dinamici del mercato in Italia (Federalimentari)1. Tuttavia, la crisi pandemica da Covid-19, nonostante la sua natura extra-economica, ha impattato notevolmente anche su questa industria, seppur con un’intensità minore rispetto ad altre, con i consumi di alimenti freschi e confezionati non influenzati negativamente dalla crisi2. In particolare, se il 2019 è stato protagonista di grande dinamicità, l’anno 2020 ha visto sconvolgere le dinamiche di mercato così come le abitudini di consumo, che, soprattutto in un settore merceologico come questo, influenzano in modo rilevante la domanda. Infatti, le restrizioni imposte dai DPCM per prevenire e ridurre il contagio secondo Alessandra Corsi, direttrice Marketing e Marca del distributore Conad, hanno in parte velocizzato dinamiche di macro trend già avviati3, come l’e-commerce e il delivery, e contemporaneamente hanno ridotto la quota di spesa extradomestica per aumentare quella domestica, tuttavia senza provocare una effettiva compensazione. Tali cambiamenti sono resi evidenti dai dati pubblicati nel report

1Federalimentari, ISMEA, 2020, L’industria alimentare in Italia. Le performance delle imprese alla

prova del Covid-19

2Euromonitor International, 2020, Top 10 Global Consumer Trends 2020

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ISMEA, nei quali emerge che soltanto durante il primo semestre 2020 l’industria alimentare ha subito un calo del 10%, pari a 24 miliardi di euro, complessivo delle seguenti variazioni: -39% fuori casa; -4% prodotti ittici freschi e decongelati; +6% altri alimentari domestici, rispetto all’anno precedente concluso con un valore di 165 miliardi di euro, per consumi di prodotti alimentari e bevande4.

Ad una panoramica generale dell’andamento di settore segue nei prossimi paragrafi la variazione specifica che ha visto come protagonisti gli attori dell’offerta alimentare e della domanda, per approfondire in che modo il Covid-19 ha inciso sulle dinamiche normali di mercato.

1.2 Il cambiamento dei canali di vendita durante il 2020

“La storia del cibo va di pari passo con quella dell’uomo e con lui si trasforma e cambia. Lo testimonia l’evoluzione del termine stesso nel corso dei secoli: da semplice fonte di nutrimento, il cibo diventa anche medicina, una risorsa che cura e guarisce. Poi si trasforma in elemento di piacere ed esaltazione dell’esperienza del gusto, fino a mutarsi in eccesso, un rifugio accessibile contro lo stress. Oggi, l’idea di cibo è legata al concetto di equilibrio, di bilanciamento tra gusto e salute per una perfetta alimentazione.” 5

I precedenti trend economici verificatisi durante l’anno della pandemia globale costituiscono l’elemento tangibile ed evidente della modifica da parte dei consumatori nella modalità di acquisto e di consumo del cibo. Infatti, “cambiamento” è la parola chiave del periodo considerato, ma non tanto relativo alla tipologia, quanto alla rapidità con cui è stato effettuato il passaggio da canale di vendita tradizionale a quello online così

4Ibidem

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come alle consegne a domicilio. Si tratta infatti di canali di vendita già esistenti e apprezzati dalla popolazione italiana, anche prima della pandemia, che però ha incentivato il loro utilizzo, per evitare code fuori dai supermercati o assembramenti all’interno. In riferimento a precedenti studi le aziende, durante un periodo di crisi, tendono a reagire applicando tre tipologie di risposte6:

 trasformazionali;  filantropiche;  negative.

Per quanto concerne le prime, ormai da anni la tecnologia ha comportato un cambiamento dalle modalità tradizionali a quelle più innovative e digitalizzate e soprattutto il retailing online per l’industria alimentare significa ampliare l’offerta con un’ampia selezione di prodotti e servizi come la personalizzazione del cibo e la consegna veloce che apportano concreti benefici al consumatore7; inoltre, è noto che i consumatori preferiscono i servizi online per la convenienza, il risparmio di tempo e l’utilità8. Le risposte di tipo trasfomazionale si sono orientate proprio nella direzione delle consegne andando necessariamente a convertire la domanda dall’extra domestico al consumo in casa9 e le ricerche hanno dimostrato che l’investimento nelle innovazioni, soprattutto durante periodi di crisi, è ottimale, non solo in termini di prodotti ma anche nei servizi, come per l'appunto la consegna a domicilio di alimenti10.

6Manuel, Herron, 2020, "An ethical perspective of business CSR and the COVID-19 pandemic", Society

and Business Review

7Yeo et al., 2017, Consumer experiences, attitude and behavioral intention toward online

food delivery (OFD) services, Journal of Retailing and Consumer Service

8Jiang et al., 2012, M. Measuring consumer perceptions of online shopping convenience. Journal of

Service Management, pp 191–214

9Chang et al., 2020, COVID-19 and the Demand for Online Food Shopping Services: Empirical Evidence

from Taiwan, National Bureau of Economic Research

10Steenkamp et al., 2011, The Impact of Economic Contractions on the Effectiveness of R&D and

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In particolare, la motivazione che ha orientato in tal senso gli attori del mercato ha una duplice natura: a livello soggettivo-emozionale si è amplificata la ricerca di comfort nel ricevere comodamente a casa la spesa o i propri piatti già pronti, dal momento che passando tutto il tempo nelle proprie abitazioni era venuta meno l’alimentazione fuori casa per cui era necessario un impegno quotidiano e costante in cucina. Invece, su un piano più oggettivo-economico, è nata l’esigenza della sopravvivenza, poiché se il lato della domanda necessitava di beni primari alimentari senza porre a rischio la propria salute recandosi nei supermercati, il fronte dell’offerta per evitare ricadute economiche drammatiche ha optato per la conversione del proprio servizio da tradizionale a domicilio o da asporto. Infatti, è risultato che al momento dell’entrata in vigore del DPCM dell’11 marzo 2020 solo il 5.4% dei ristoratori era in grado di offrire un servizio di consegna, ampliata al 14.5% nel periodo di Pasqua11, percentuali basse per riuscire a rispondere efficacemente ad un bacino di utenza che si era notevolmente allargato. Nonostante l’assenza di un’offerta totalmente reattiva alla crisi quantificata nel 48% in meno di consumi fuori casa da parte degli italiani, corrispondenti a 30 miliardi di fatturato12, il

delivery ha dimostrato di essere una leva sulla quale agire per fronteggiare la reazione della domanda. Se si considerano i numeri, il canale delle consegne è stato scelto dal 50% degli intervistati per mangiare qualcosa di speciale, mentre dal 36% per cambiare menù e solo il 34% ha dichiarato fosse per pigrizia nel cucinare13. La dimostrazione che può essere considerato un vero e proprio cambio epocale nella fornitura di alimenti si trova nel fatto che i ristoranti stellati, inizialmente contrari o restii a tale servizio, si sono convertiti e secondo il general manager di Deliveroo Italia, Matteo Sarzana: “Cucinare a casa diventerà un piacere, fatto quando ho tempo e voglia. Il delivery avrà una frequenza

11Centro Studi Fipe, Indagine Food Delivery, Aprile 2020

12Coldiretti, Consuntivo, Novembre 2020

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sempre più quotidiana, con un costo sempre più competitivo rispetto alla preparazione casalinga”. Inoltre, è stato rilevato che il 45% degli italiani ha aumentato la spesa di prodotti alimentari online tramite siti o app rispetto a prima del lockdown14, a testimonianza dell’ampiezza del cambiamento avvenuto. Ne consegue che per essere resilienti e perdurare negli anni, le aziende e i brand sono tenuti ad ascoltare i bisogni sempre più complessi e variegati dei consumatori e rimodellare le proprie offerte. Sarebbe quindi corretto considerare il 2020 come l’Anno Zero, durante il quale le abitudini sono state storpiate andando a riformulare i comportamenti dei consumatori che hanno attivato driver differenti di acquisto e di consumo per i prossimi anni, imponendo una rivoluzione innovativa all’intera filiera del settore alimentare, comprendente Ho.re.ca, retail ed agricoltura.

1.3 I nuovi consumi degli italiani

Il Covid-19 ha impattato capillarmente e in maniera pervasiva le vite di tutti gli individui, sia direttamente, facendo ammalare gli individui, che indirettamente, ossia costringendoli a cambiare attitudini e abitudini di vita per prevenire il contagio. Nel 2020 sono ricomparse attività ormai dimenticate dal turbinio della quotidianità ritenuta normale, come preparare il pane in casa o cucinare piatti elaborati, espandendo i confini culinari anche ad altre culture o semplicemente approfondendo la tradizione italiana dando vita a nuovi stili alimentari. A riconfermare la centralità del cibo nella vita degli italiani è stata la loro disponibilità a pagare una fascia di prezzo media, infatti in controtendenza con gli anni precedenti e con gli altri paesi europei, è stato rilevato che solo il 31% di un campione con n=3000 ha acquistato o ha previsto l’acquisto di prodotti alimentari economici

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durante la crisi pandemica15. Per quanto concerne invece l’attitudine a cucinare, secondo una ricerca dell’istituto Nielsen del primo semestre, è risultata una variazione negli acquisti pari a +28.5% dei prodotti per cucinare in casa, come ingredienti di pasticceria, basi per torte salate o dolci, farine e uova, e al contempo una variazione pari a +7.2% di comfort food, quali liquori, pasticceria, merendine e gelati. In particolare, secondo lo studio “Next Normal”16 effettuato su un campione di n=2000 individui, il 43% dei più giovani (18-30 anni) avrebbe dedicato più tempo alla cucina durante l’anno nuovo, sperimentando anche di più rispetto alle altre fasce di età. Il successivo report di gennaio 2021 ha poi confermato l’andamento dello “slow cooking”, risultando uno dei cambiamenti più permanenti anche dopo il Covid-19: gli italiani tenderanno a spendere meno e con una nuova eco-consapevolezza, andando a prediligere ingredienti di base ai piatti pronti, con l’ulteriore obiettivo di mangiare cibo di qualità e più sano. Per cercare di comprendere le future tendenze alimentari a partire dall’Anno Zero, Barilla center for food & nutrition ha definito cinque macro trend sui quali il settore dovrebbe continuare o iniziare a focalizzarsi:

 Commensalità, infatti se gli individui tendevano all’individualismo prima della pandemia, in linea con la mentalità dell’epoca in corso, con il Covid-19 hanno riscoperto l’elemento della convivialità, il segnale di questo recupero è dato dal fatto che tra le nuove priorità è comparsa “Eating meals with family” per il 50% di un campione costituito da n=34.940, mentre il 49% ha apprezzato maggiormente cucinare, attività spesso svolta in compagnia17.

15Nielsen, The Conference Board® Global Consumer Confidence Survey, 2020

16Ufficio Studi Coop, Nomisma, Nielsen, GfK, Rapporto Coop 2020. Consumi e stili di vita degli italiani

di oggi e di domani, Settembre 2020

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 Accessibilità all’alimentazione, poiché la pandemia ha fatto emergere le difficoltà dei più bisognosi e la necessità che venga garantita in maniera il più possibile omogenea a tutte le fasce di persone, dal momento che ancora oggi permane il grande paradosso costituito da 868 milioni di persone denutrite contro 1.5 miliardi obese o in sovrappeso. A dimostrazione del fatto che la conoscenza del cibo e delle sue proprietà è ancora limitata ad una fascia medio-alta della popolazione, l’unica che può permettersi uno stile di vita alimentare curato.

 Naturalità, si è diffuso un approccio sano volto all’ equilibrio nella fase produttiva, che dovrebbe coinvolgere il minor numero di manipolazioni al fine sia di salvaguardare l’ambiente che la salute dei consumatori permettendo di introdurre cibi salutari. Infatti, soprattutto nell’anno del Covid-19, gli individui si sono resi conto dell’importanza di un’alimentazione sana per cercare di ottenere una vitalità di lunga durata e potenzialmente l’immunità. Pertanto, si è diffuso il concetto di mangiare “mindful”, ovvero se “siamo ciò che mangiamo” è necessario che le aziende propongano prodotti che fanno bene all’organismo così come alla mente. Ciò comporta un mutamento nella considerazione del cibo: non è più un mero peccato di gola, ma deve essere di qualità e fare bene: da qui nasce l’idea di alimentazione funzionale. È necessario precisare che tale concetto si basa sul più ampio definito “felicità sostenibile”, che si pone l’obiettivo di garantire il benessere collettivo tramite la salvaguardia ambientale, sociale e culturale, ricercato dall’ 80% dei rispondenti al sondaggio di Kantar, tramite acquisti di prodotti senza coloranti artificiali né conservanti o al 100% naturali18. Infine, il 66% degli italiani ha ritenuto ci fosse una connessione precisa fra spreco

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alimentare, salute dell’ambiente e dell’uomo, comportando un calo pari al 25% dello spreco alimentare, per la prima volta in 10 anni19.

Fusion o etno-food, corollario della globalizzazione, l’alimentazione è diventata un mix di gusti e culture frutto di melting pot che attingono a differenti usanze e durante la quarantena gli italiani hanno sperimentato nuovi sapori grazie al maggior tempo a disposizione. L’apporto maggiore è sicuramente quello asiatico che affonda le radici nella concezione medicale del cibo, fonte di nutrimento e benessere come una medicina naturale. Altrettanto rilevante è l’origine locale sinonimo di autenticità, anch’essa spesso frutto di un intreccio di tradizioni, durante il periodo di lockdown questa categoria è stata valorizzata per cercare di aiutare le piccole imprese così come l’acquisto presso i negozi di quartiere che hanno creato un legame più solido con il consumatore, rispetto alla GDO.

 Cibo in casa vs fuori casa, come evidenziato nel precedente paragrafo, l’industria alimentare deve cercare di adattarsi continuamente alle nuove prospettive comportamentali, che portano con sé il retaggio del timore di contagio incentivando gli individui a mangiare in casa, quindi sarebbe opportuno sviluppare e innovare il comparto delle consegne offrendo alta qualità e convenienza competitiva.

Insieme al bisogno crescente di sinergia tra richiesta di qualità e gusto con l’elemento di praticità di consumo e convenienza, durante il 2020 si è verificato un incremento del cibo considerato come rifugio dalle paure e dalle instabilità correnti. Un classico esempio di comfort food, ovvero prodotti alimentari dai quali è possibile trarre conforto, è stato il cioccolato (Parker et al.,2006), il cui trend ha subito una crescita durante il primo semestre

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dell’anno: in risposta alla pandemia gli italiani durante i primi giorni di marzo hanno fatto registrare un aumento delle vendite del 18.5%, andamento confermato anche tra giugno e luglio con il +10.7%20.

1.3.1 Motivazioni esplicative del cambiamento nei consumi

Il caso di riferimento relativo al cioccolato si può spiegare con il fatto comprovato che l’atteggiamento delle persone nei confronti del cibo ne rivela lo stato d’animo, come viene illustrato nel paragrafo successivo, infatti durante il lockdown i prodotti che soddisfacevano l’area del gusto hanno subito un incremento della domanda, in primis gli spalmabili dolci e il vino, poiché permettevano un senso di evasione dalla realtà. Tale fenomeno è stato definito in letteratura anche come “overeating”, termine dal significato ampio che dipende dalle caratteristiche psicologiche del soggetto e dal contesto in cui si alimenta21, nel caso specifico della pandemia può essere stato causato dalle limitazioni imposte, che hanno ridotto una regolare attività fisica, oltre che dall’accesso limitato ai negozi di alimentari che potrebbe aver indotto una dieta poco sana, con una riduzione di alimenti freschi come frutta, verdura e pesce, in favore di quelli più altamente processati, alcuni appartenenti alla categoria del cibo spazzatura, oppure cibi pronti che tendono a contenere un alto valore di grassi, zuccheri e sale22. Ulteriore fattore di interesse è emerso relativamente alla correlazione tra alimentazione e qualità del sonno, che durante il 2020 ha subito dei peggioramenti, in particolare riguardante l’aderenza ad una corretta dieta mediterranea e un indice della massa corporea più basso nei soggetti che godono di un sonno ottimale in termini di quantità e qualità23.

20Nielsen, Marzo 2020

21Long et al., 2020, What does it mean to overeat?, Eating Behaviors

22 Di Renzo L. et. al., Giugno 2020, Eating habits and lifestyle changes during COVID-19 lockdown: an

Italian survey, Journal of translational medicine 2020

23Muscogiuri G, et al., 2020, “Sleep quality in obesity: does adherence to the Mediterranean diet

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Data la complessità del fenomeno e i differenti fattori scatenanti, è stato necessario considerare i differenti elementi dai quali ha dipeso la scorretta alimentazione negli individui italiani, poiché potrebbe aver causato sovrappeso e obesità, caratteristiche considerate tra le più rischiose per l’infezione da Covid-19. È chiaro quindi come per la comunità scientifica sia risultato fondamentale monitorare il grado di intensità e diffusione della fame emotiva per evitare conseguenze fisiologiche che ampliassero la probabilità di contrarre il virus, oltre che le già note problematiche collegate al sovrappeso. In particolare, dal progetto EHLC-COVID19, effettuato presso il dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’università di Roma Tor Vergata, inerente alle abitudini alimentari e agli stili di vita degli italiani durante la pandemia, è risultato che su un campione di n=3533, la percezione di appetito e di sazietà è cambiata per più di metà della popolazione e nello specifico: il 17.8% dei rispondenti hanno dichiarato minor appetito, mentre il 34.4% un aumento, con conseguente percezione distorta del proprio peso, ritenuto maggiore per il 40.3% della popolazione24.

Prendendo ora in considerazione il secondo fattore scatenante della fame emotiva, ovvero gli aspetti relazionali dell’alimentazione, basati sui valori della convivialità e della commensalità, è stato dimostrato che durante il lockdown hanno influito negativamente su alcuni individui appartenenti a tutte le fasce di età, i quali, sensibilizzati dalla situazione di emergenza, si sono riuniti attorno al cibo per sfogarsi insieme, talvolta inconsapevolmente. In particolare, secondo la professoressa di salute psicologica Bärbel Knäuper, della McGill University, anche i bambini hanno sofferto conseguenze rilevanti della situazione di ansia ed incertezza, poiché sono stati costretti ad occupare il tempo in casa, insieme ai propri familiari, dormendo e spesso mangiando. Un’altra esperta del

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settore, la dottoressa Julie Lumeng, professoressa di pediatria presso la University of Michigan, ha dichiarato che gli studi sul cosiddetto overeating sono più diffusi sugli adulti rispetto ai bambini, questi ultimi però sono soggetti altrettanto colpiti, in correlazione all’ambiente in cui si trovano e ai modelli di approccio alimentare dei genitori25. Ciò che andrebbe compreso è l’origine di tale fenomeno, ovvero se è dovuto alla situazione di shock, alla depressione, alla noia, all’influenza delle abitudini familiari nella gestione dello stress, oppure allo stress causato dall’assenza del loro cibo abituale, situazione diffusa durante il lockdown quando si sono verificate rotture di stock, che può aver inciso sui bambini, tipicamente soggetti routinari. E a tal proposito Stephanie Manasse, una ricercatrice clinica specializzata in disordini alimentare e obesità, assistente presso la Drexel University, ha specificato che non è tanto necessario offrire ai bambini modelli di perfezione, sopprimendo lo stress, quanto modelli di gestione efficace e consapevole delle proprie emozioni, aiutandoli in tal modo a realizzare l’emozione che vivono e non permettendole di influenzare il comportamento, quindi senza affrontarla mangiando voracemente in maniera inconsapevole, tratto tipico della fame emotiva.

Successivamente alla rassegna fenomenologica dei primi mesi dalla comparsa del virus, è risultato necessario andare a definire con precisione i sintomi ed i confini della fame emotiva che sono stati studiati dalla psicologia, in modo tale da approfondire a livello teorico evidenze che possono talvolta aver spaventato alcuni individui o disorientato rispetto alle abitudini alimentari tipiche del quotidiano normale, precedente alla comparsa del Covid-19.

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1.4 Emotività ed alimentazione

Il nesso tra le precedenti variazioni verificatesi nel comportamento alimentare e la circostanza del Covid-19 è stato esplicato in teoria dal concetto per cui gli stati psicologici di incertezza influenzano il modo in cui le persone prendono decisioni, in particolare andando ad accrescere l’affidamento a input affettivi, più che razionali, durante un processo di scelta. Ciò si verifica poiché l’incertezza, sia essa positiva o negativa, così come la paura, va a minacciare in qualche modo il sé, che di conseguenza decide di orientarsi verso elementi che gli sono familiari e hanno un alto grado di validità soggettiva, ovvero sono noti e ritenuti affidabili dal soggetto26. Le implicazioni pratiche di tale dinamica risultano rilevanti per i marketers che si trovano ad attivare scelte strategiche di marketing durante un periodo di diffusione di malattie contagiose, cercando di comprendere i trend relativi al comportamento di acquisto e di consumo27.

Nello specifico, il fondamento teorico in grado di esplicare le dinamiche di mercato verificatesi durante la pandemia, si trova nel concetto di nutrimento inteso come bisogno non prettamente fisiologico, bensì come necessità legata a condizioni psico-sociologiche28; teoria ormai consolidata nelle società odierne, le quali hanno a disposizione un’ampia varietà di alimenti reperibili senza eccessivi sforzi. Infatti, “Il cibo veicola relazioni, significati, emozioni che non possono essere ricondotte semplicemente ad uno schema alimentare standard”29 e può comportare alcuni eccessi nell’approccio ad esso, che possono sfociare nei disturbi del comportamento alimentare. Il fenomeno che vede come protagonista il legame tra emozioni e fame viene definito dagli psicologi

26Faraji A., Pham M., Dicembre 2016, “Uncertainty Increases the Reliance on Affect in Decisions”,

Journal of Consumer Research

27Galoni C., Carpenter G., Rao H., Maggio 2020, “Disgusted and Afraid: Consumer Choices under the

Threat of Contagious Disease”, Journal of consumer research

28Reposati A. Medde P., “Psicologia e alimentazione.5 passi per controllare la “fame emotiva””,

Dicembre 2014

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“fame emotiva”, ovvero la tipologia di alimentazione effettuata quasi involontariamente dall’individuo che non è motivato dai segnali di richiesta energetica da parte del metabolismo basale30. In particolare, si tratta di una percezione della necessità intensa di assumere comfort food, consiste quindi in una leva emozionale che va ad agire come catalizzatore nella scelta di cibi che vadano a compensare in qualche modo, solo apparente, emozioni tipicamente negative o un vuoto31. Tale fenomeno viene anche definito “emotional eating” e si differenzia dalla fame fisica proprio per l’assenza di un effettivo bisogno fisiologico da parte dell’organismo; esso si caratterizza per essere inconsapevole, ovvero avviene in maniera frenetica e quasi senza accorgersi, inoltre viene percepito all’improvviso sotto forma di un desiderio impellente che richiede specifici alimenti, i precedenti comfort food, di solito ricchi di grassi o zuccheri32; risulta quindi evidente l’origine emotiva di tale tipologia di fame, che infatti permane anche dopo l’assunzione immediata di cibo33.

Ciò si esplica nella natura stessa del fenomeno: le emozioni negative quali ansia, stress, tristezza, rabbia o noia, che provocano una serie di dinamiche fisiologiche, quali contrazioni allo stomaco, innalzamento dell’ormone cortisolo o abbassamenti di serotonina, inducono il soggetto alla ricerca di un elemento esterno in grado di compensare uno stato psico-fisico poco sereno ed equilibrato34. Le esperienze negative potrebbero altresì indurre a restrizioni alimentari, dovute a reazioni psicologiche allo stress che vanno ad imitare le sensazioni interne associate alla sazietà tipicamente indotta

30Macht, 2008, How emotions affect eating: A five-way model, Appetite, Vol 50, pp 1-11

31Cardi et al.,2015, The effects of negative and positive mood induction on eating behavior: A

meta-analysis of laboratory studies in the healthy population and eating and weight disorders, Neuroscience &

Biobehavioral Reviews, Vol 57, pp 299-209

32Gardiner et al.,2017, Carbohydrate Craving- not everything is sweet, Current Opinion in Clinical

Nutrition and Metabolic Care, Vol.20, pp 261-265

33Van Strien et al., 2007, Effects of distress, alexithymia and impulsivity on eating, Eating Behaviors, Vol

8, pp 251-257

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dall'alimentazione35. Nello specifico emozioni intense tendono ad attivare il sistema nervoso autonomo che conduce ad una percezione di sazietà tramite il rallentamento dello svuotamento gastrico, la deviazione del sangue dal tratto gastrointestinale ai muscoli, ed il rilascio di ormoni inibitori dell'appetito come la catecolamina36. Un’ulteriore tipologia di sentimenti responsabili della fame emotiva sono quelli relativi alla noia, che potrebbero essersi sviluppati durante la lunga permanenza in casa durante il lockdown, e sono stati in precedenza collegati alla ricerca di una fuga dalla monotonia del quotidiano che viene compensata con l’assunzione di cibo37.

Inoltre, esiste un catalizzatore della fame emotiva non appartenente alla categoria delle emozioni: le condizioni sociali o ambientali, infatti mangiare in compagnia può favorire un’alimentazione incontrollata poiché gli individui vengono condizionati inconsapevolmente dalla situazione in cui si trovano, basti pensare alla cena tra amici o con i famigliari che spesso stimola a mangiare maggiormente rispetto ad una cena in solitudine, oppure al semplice meccanismo di emulazione alimentare38.

Contestualizzando ora la popolazione italiana durante la pandemia è comprovato che essa sia stata sottoposta ad alti livelli di stress circa la durata incognita della stessa, la stima sconosciuta di quanto tempo fosse necessario adattare le proprie vite per combatterla e il timore di contagio, tutti fattori che secondo specifiche ricerche rientravano in un ampio spettro di conseguenze psicologiche inflitte da una pandemia39. Per quantificare l’entità del danno che può aver provocato il virus, è utile pensare che nuovi sintomi psichiatrici

35Adam, Epel, 2007, Stress, eating and the reward system, Physiology & Behavior, Vol.91, pp 449-458

36Torres, Nowson, 2007, Relationship Between Stress, Eating Behavior, and Obesity, Nutrition, Vol 23,

pp 887-894

37Crockett et al., 2015, Boredom proneness and emotion regulation predict emotional eating, Journal of

Health Psychology

38Bevelander at al.,2015, Social modeling of eating: A review of when and why social influence affects

food intake and choice, Appetite, Vol 86, pp 3-18

39Lima et al., Maggio 2020 “The emotional impact of Coronavirus 2019-nCoV (new Coronavirus

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sono comparsi in individui senza precedenti patologie mentali, ad esempio nel personale medico costretto a lavorare in isolamento per giorni interi senza ricevere la cura opportuna per la propria salute mentale, generando una reazione a catena di stress nei familiari di questi individui40; mentre un’ulteriore ricerca del 2015 aveva descritto come l’isolamento potesse causare un senso di isteria collettiva provocata dalla paura e dall’ansia di ammalarsi o morire41 e tale situazione è esattamente quella verificatesi durante i primi mesi del 2020. A questo punto emerge chiaramente come vi sia stata un’ampia varietà di risposte psicologiche ed emotive alla pandemia da COVID-19 e il rischio di sviluppare comportamenti alimentari disfunzionali, definiti in precedenza, rientra in questo spettro, in particolare per contrastare e rispondere all’esperienza negativa dell’auto-isolamento, inducendo gli individui a cercare premi e gratificazioni psicologici associati al consumo di cibo, anche ignorando altri segnali prevalenti di sazietà.

La natura psicologica dell’emotional eating non può essere esaustiva delle motivazioni che hanno spinto gli individui a rifugiarsi nel cibo, difatti anche la comunicazione di marketing può aver svolto un ruolo rilevante nell’incrementare il desiderio degli individui di passare il tempo o trovare appagamento nel cibo, spesso non sano. Pertanto, nel prossimo paragrafo sono state presentate le modalità di attivazione da parte di numerosi brand alimentari che si sono adattati con una serie di azioni volte ad attirare il consumatore verso un consumo maggiore o specifico di un certo prodotto, durante la quarantena.

40Kelvin D., Rubino S., Gennaio 2020, “Fear of the novel coronavirus”, National Library of Medicine,

41Barbisch et al., Ottobre 2015, ”Is There a Case for Quarantine? Perspectives from SARS to Ebola”,

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1.5 La risposta dei brand alimentari alla pandemia

Oltre ad osservare l’atteggiamento dei consumatori in periodo di crisi, è stato altrettanto utile comprendere la reazione delle aziende operanti nel settore alimentare in modo tale da valutarne la correttezza “morale” della comunicazione e l’influenza che hanno esercitato sugli individui circa un tema così delicato come l’alimentazione. Infatti, storicamente si sono sviluppate numerose accezioni relative alla pubblicità e il ruolo moralmente più elevato sarebbe quello di generatore di valore tra i consumatori, tuttavia nel corso degli anni non sempre tutte le campagne si sono orientate in questa direzione, tant’è che numerose sono state segnalate allo IAP, Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, per le scorrettezze e i rischi connessi riportati nell’informazione rivolta ai consumatori. Ciò si è verificato anche durante il periodo di crisi pandemica, momento in cui il rapporto degli individui con il cibo si è fatto più intimo e variegato: le strategie di marketing dei brand hanno sfruttato la distanza sociale, l’isolamento e la permanenza in casa per includere nelle campagne pubblicitarie contenuti che comunicassero il ruolo utile dei propri prodotti e il vantaggio che i consumatori ne avrebbero tratto dal loro consumo, presentandosi come parte della soluzione al problema di salute pubblica. Tale dinamica corrisponde alla definizione secondo cui il marketing include la promozione di prodotti e servizi, ma anche la costruzione di una brand equity, ed è emerso che, soprattutto durante la pandemia, l’aspetto etico del marketing ha avuto un ampio impiego42 per cui oltre ad una risposta di tipo trasformazionale, inquadrata nel primo paragrafo, è stata osservata una risposta filantropica da parte di numerose imprese. Sostanzialmente essa viene inclusa nella più ampia categoria della Corporate Social Responsibility, al cui interno vi sono il “purpose marketing” o “cause-related marketing”, che in occasione del Covid-19 si è manifestata con un riadattamento di alcune leve di mercato, quali lo scopo, i prodotti,

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i canali e il target, da parte dei manager orientati ad affrontare l’emergenza nel modo più corretto possibile. Tale procedura è risultata complessa dal momento che hanno dovuto attivare strategie di breve termine tentando di allinearle con quelle a lungo termine, operazione che spesso si scontra con la CSR richiesta dall’ambiente esterno, in questo caso volta a supportare gli anziani, il personale medico o le persone vulnerabili della società. In letteratura tale responsabilità morale dell’azienda nei confronti del contesto esterno, durante periodi di crisi, è stata considerata come un contratto sociale implicito43, indipendente da un’effettiva profittabilità ottenibile dal brand, mentre è stato il modello di Aguilera44 ad esplicitare il duplice interesse strumentale da parte sia di impiegati che di manager ad assumersi tale responsabilità deontologica, in altre parole ad utilizzare un obiettivo filantropico con il doppio fine economico. Nel contesto del Covid-19 tale teorizzazione poteva tradursi nell’utilitarismo di breve termine, unito alle aspettative degli stakeholder esterni, ovvero all’aspetto relazionale, ed infine alla motivazione deontologica per la società. Al modello teorico sopra descritto è necessario introdurre il concetto che fa specifico riferimento alla responsabilità aziendale durante disastri, definiti come eventi improvvisi che comportano danni e numerose morti agli individui, sconvolgendo le loro vite. L’attuale pandemia da Covid-19 è rientrata in questa classe dal momento che ha impattato sullo stato di salute e dell’economia mondiale, di conseguenza si dovrebbe far riferimento allo specifico concetto teorico di Corporate philanthropic disaster responses (CPDRs) che include una serie di implicazioni etiche nella scelta di bilanciare la salute degli individui con i rischi dell’azienda45.

43van der Vegt et al., 2015, Managing Risk and Resilience, Academy of Management Journal, Vol 58, pp

971-980

44Aguilera et al.,2007, Putting the S Back in Corporate Social Responsibility: A Multilevel Theory of

Social Change in Organizations, Academy of Management Review, Vol. 32, pp 836–863

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Lo strumento chiave per informare gli stakeholder delle operazioni aziendali di CPDR effettuate è la comunicazione, in particolare rappresenta l’unico elemento attivato nel caso di aziende che si dedicano solo a risposte filantropiche e non necessitano di intraprendere quelle trasformazionali, ad esempio perché già altamente innovative. Per l’appunto, nel contesto pandemico sono stati numerosi i brand che hanno scelto di investire maggiormente in pubblicità, leva di marketing complessa poiché, soprattutto con l’introduzione dei social network come nuovi canali, si è verificato un incremento di rumore attorno al significato e all’obiettivo aziendale, ovvero massa di conversazioni che può generare confusione e creare contenuti ampi ma altrettanto contraddittori46.

Tra gli obiettivi del presente studio uno riguarda l’influenza e la percezione che queste strategie hanno sviluppato sugli italiani, inoltre è risultato rilevante andarne ad approfondire l’aspetto filantropico dal momento che potrebbero essere considerate una concausa della maggiore richiesta di cibo inteso come comfort food, spesso responsabile di danni alla salute degli individui. Infatti, la pubblicità ha da sempre un forte potere su alcuni comportamenti di acquisto o di consumo dei consumatori ed è importante che un’azienda quando si rivolge agli individui comunichi efficacemente valori e significati ben definiti47.

Il paradosso di alcune scelte pubblicitarie effettuate risiede nel fatto che la comunicazione sul consumo diretto del prodotto è stata effettuata da numerose aziende che offrivano da tempo alimenti altamente processati, quindi poco salutari e nocivi per la salute dell’individuo nel medio-lungo termine, innalzando in questo modo il rischio di patologie appartenenti alla categoria delle cosiddette “Malattie non comunicabili”, ad esempio diabete, ipertensione o obesità, peraltro nota come una delle concause del maggiore

46Ibidem

47Fischer, Reuber, 2014, Online entrepreneurial communication: Mitigating uncertainty and increasing

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rischio di infezione48. L’affermazione del CEO di Coca Cola: “In every previous crisis,

military, economic or pandemic, in the last 134 years, the Coke Company has come out stronger” ha indotto a ricercare il motivo per cui tali aziende di cibi ultra-processati o bevande sono state responsabili di strategie di questo genere, consistente nella loro resilienza nel contesto del Covid-19, che le ha permesso di adattare rapidamente le scelte di marketing sfruttando abilmente le nuove opportunità emerse dal contesto pandemico49. Se la precedente modalità di comunicazione era diretta al consumatore finale, le aziende si sono mosse anche in una direzione specificatamente filantropica, andando così ad incidere sulle scelte alimentari dell’individuo in maniera indiretta, ovvero mostrando il proprio supporto alla comunità tramite progetti volti a proteggere la salute della popolazione o ad aiutare il personale sanitario nella battaglia contro il virus. Di conseguenza, l’ingannevole legittimazione di queste aziende e dei loro prodotti è avvenuta tramite un condizionamento del pensiero che ha portato il consumatore a considerare la brand image positiva e umana, ad esempio osservando l’offerta di prodotti malsani al personale sanitario di un ospedale. Risulta invece evidente l’ambiguità di queste strategie di marketing che nel supportare le comunità hanno dato contemporaneamente adito ad un’alimentazione non propriamente funzionale, danneggiandola per coprire i propri interessi dietro ad uno scopo filantropico. L’ampia diffusione di produttori del cosiddetto junk food all’interno di impegni per la salute pubblica può aver quindi provocato un pericoloso precedente.

Oltrepassando la valutazione circa l’effettiva bontà dei messaggi prodotti, che esula dall’obiettivo dell’analisi, è emerso chiaramente quanto il 2020 abbia comportato

48Kelly-Linden J.,” Revealed: how junk food and alcohol brands turned Covid-19 into the world’s largest

marketing campaign”, The Thelegraph, 10 settembre 2020

49NCD Alliance, SPECTRUM, “Signalling virtue, promoting harm. Unhealthy commodity industries and

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modifiche anche nel mondo pubblicitario andando a ridefinire il contenuto e l’obiettivo delle singole campagne in un’ottica umanitaria, rivolgendo tutta l’attenzione all’individuo ed elevandosi a strumento utile per diffondere i valori genuini delle aziende vicine alla popolazione. In particolare, si è osservato come gran parte dei brand abbia scelto la direzione emotiva, comunicando un messaggio di speranza e andando quindi a puntare sulla vicinanza alle persone per infondere forza nei consumatori. Oltre alle imprese, anche il Ministero della Salute si è mosso attivamente con pubblicità progresso circa le buone pratiche per evitare il contagio e la parola chiave è sempre stata una: empatia. A testimonianza dell’importanza di contenuti ricchi di valori etici e morali, in relazione al loro incremento, Euromonitor 2020 ha evidenziato la tendenza dei consumatori a sentirsi maggiormente coinvolti con prodotti e servizi, dando maggiore valore alla connessione con brand affidabili e rinomati. E, nonostante il contesto pandemico fosse ancora sconosciuto a questo secolo, le ricerche di Steenkamp e Fang50 avevano dimostrato che la reazione alla pubblicità può essere maggiore durante un periodo di contrazione, intesa come crisi, rispetto a periodi di benessere generale; inoltre, tale dinamica si verificherebbe soprattutto per la categoria merceologica del cibo51. In riferimento alla recente circostanza, oltre ad una traslazione nel mondo digitale, la pubblicità ha dovuto ricercare autenticità e coerenza tra la brand image fornita tramite il messaggio di solidarietà o di ottemperanza alle disposizioni e la brand identity. I concetti sopra esposti possono essere sintetizzati nell’affermazione “Sales processes and lead generation have had to change a lot with social distancing, so we’ve actively pursued ways to help our clients overcome these challenges with an increased digital presence and ways to hold sales presentations virtually” (Steimer 2020).

50Ibidem

51Van Heerde et al. 2013, Advertising and Price Effectiveness over the Business Cycle, Journal of

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Ciononostante, non tutta la popolazione ha apprezzato lo sforzo valoriale effettuato in comunicazione, e i consumatori si sono suddivisi nei tre cluster principali di infastiditi, pragmatici ed entusiasti orientati nel modo seguente: il 60% dei consumatori su un campione di 800, soprattutto under 35, già a fine marzo non sopportava più una comunicazione a sfondo pandemia, tanto che solo l’11% riteneva inopportuna una pubblicità normale, ossia precedente al Covid-19, che ritraesse scene di vita quotidiana con gioia. Di conseguenza, i brand hanno dovuto rapportarsi con un 50% dei consumatori che ritenevano la pubblicità avesse esagerato ad adattarsi alla situazione52, andando a condividere il momento difficile, ma senza appesantire lo spettatore. Infatti, secondo il Covid-19 Barometer di Kantar con 25mila unità campionarie, il 77% dei rispondenti si aspettava che i brand parlassero della propria utilità nella nuova vita di tutti giorni, il 75% voleva che raccontassero degli sforzi effettuati per far fronte alla situazione ed infine il 70% desiderava ricevere un tono rassicurante, la brand loyalty è stata quindi favorita da due drivers: la comunicazione empatica e il focus sul supporto ai problemi durante la crisi53. Secondo la ricerca, sarebbero invece da evitare toni umoristici, per il 40% degli intervistati, e la promozione del proprio brand, da parte del 75%54. Un’ulteriore conferma circa la delicatezza con cui era necessario approcciarsi ai consumatori nell’arco del 2020 è emersa dalla ricerca di Edelman la quale ha sottolineato l’importanza di non sfruttare i timori degli individui nelle strategie pubblicitarie ed inoltre, ha rilevato che il 75% dei suoi intervistati si aspettava che le ads riconoscessero l’anormalità del business, “not business as usual”, mentre l’80% desiderava che mostrassero empatia per la situazione (Edelman, 2020b).

52Conic, Hokuto, La pubblicità vista dalla quarantena, Marzo 2020

53Ibidem

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Dalle varie ricerche si può dedurre che il ruolo delle aziende durante la crisi del 2020 si è innalzato e le loro azioni hanno avuto una risonanza amplificata dovuta al maggior affidamento nei loro confronti da parte della popolazione, che ha raggiunto bassi livelli di fiducia verso la capacità dei governi e dei media di agire e comunicare efficacemente55. Focalizzandosi sui brand alimentari operanti in Italia, gran parte hanno accontentato il gruppo dei consumatori definiti entusiasti, dal momento che nel periodo della prima ondata hanno diffuso contenuti di marketing utili a passare il tempo, tramite la proposta di consigli su attività da svolgere in casa con e senza l’utilizzo di propri prodotti; tra i vari hanno primeggiato Saikebon, Nutella, Ferrero, McDonalds e Burger King. Al contrario, ci sono stati casi di brand italiani del settore alimentare e delle bevande che si sono adattati alla situazione di crisi comunicando in modo positivo e al contempo nostalgico della vita ordinaria, andando però a rifletterla nella speranza futura di ritorno alla normalità. Tra questi vi sono stati Barilla che ha celebrato e ringraziato “L’Italia che resiste”, Ferrarelle che ha cambiato lo storico slogan da “Lisci, gassati o Ferrarelle” in “Lisci, gassati o italiani”, Lavazza che ha diffuso un messaggio di unione tra gli individui, sottolineando il risvolto positivo indotto dalla pandemia mondiale con lo slogan “È il buongiorno di un’umanità ritrovata, viviamolo insieme” ed infine Bauli che ha lanciato la campagna di engagement “#Pasquaconituoi”, coinvolgendo gli utenti nella condivisione di storie sul social network Instagram in cui pubblicavano gli auguri di Pasqua rivolti ai propri cari lontani. Nella categoria precedente possono essere inclusi anche i casi di marche che hanno utilizzato i contenuti dei prosumer per realizzare spot, come Mulino Bianco che ha concluso la video-raccolta di momenti quotidiani, vissuti durante la quarantena dagli italiani, con la frase “Mai come oggi abbiamo scoperto che la

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felicità è fatta di piccole cose. Portiamole con noi anche domani”; allo stesso modo Banana Chiquita ha sfruttato piccoli estratti del vissuto ordinario per lanciare la campagna #unlockoriginality volta a ringraziare gli italiani per il loro essere stati originali durante la quarantena e promuovendo la genuinità del proprio prodotto con il claim “Per essere originali non serve andare lontani”. Gli ultimi due brand citati hanno sfruttato in modo ottimale la necessità degli italiani di sentirsi vicini, utilizzando le piattaforme Facebook e Instagram, per attivare iniziative di community engagement che costituiscono uno dei motivi per cui i social network hanno aperto alle aziende nuove opportunità di interazione con i consumatori e vengono considerati strumenti di marketing con cui ascoltare i bisogni e le aspettative e al contempo co-creare valore con gli utenti56.

Dalla rassegna di campagne avviate durante il periodo di picco pandemico, il dato emergente è che anche le piccole imprese hanno iniziato a investire in pubblicità non solo per l’aumento di audience dovuta alle restrizioni, ma proprio per legarsi ai consumatori tramite la leva emotiva e, a conferma dell’importanza di tale attivazione comunicativa, si è rilevato che solamente l’8% dei consumatori ha ritenuto opportuno che le aziende smettessero di fare pubblicità, come ha effettivamente deciso The Coca Cola Company in Italia il primo di aprile, poiché principalmente essa veniva considerata come una piacevole distrazione. È possibile osservare nel paragrafo 4.5.2 alcune campagne sopracitate, inserite nella categorizzazione con cui sono stati presentati alcuni contenuti pubblicitari italiani mandati on air a partire da febbraio 2020 ed estratti per effettuare l’analisi. Successivamente alla revisione teorica dei cambiamenti avvenuti sul fronte della domanda e, conseguentemente, dell’offerta alimentare durante l’Anno Zero, sono state effettuate le analisi quantitative e qualitative di dati raccolti dal web, con l’obiettivo di

56Tajvidi et al, 2020, The growth of cyber entrepreneurship in the food industry: virtual community

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andare ad integrare le precedenti ricerche in merito. In particolare, è stato utile cercare di comprendere le dinamiche che il Covid-19 ha innescato riguardo all’approccio alimentare degli individui, tramite la metodologia esposta nel successivo capitolo che ha consentito di ottenere un ampio contenuto su cui fondare nuove evidenze originate in un periodo di crisi mondiale extra-economica.

CAPITOLO 2 – METODOLOGIA

2.1 Metodo

La presente ricerca si fonda sull’ipotesi principale che il Covid-19 abbia impattato sulla modalità di approccio all’ambito alimentare degli italiani, infatti se nel precedente capitolo è stata presentata una rassegna di evidenze relative al rapporto comprovato tra emotività umana ed alimentazione, nei seguenti paragrafi viene illustrata la metodologia di ricerca seguita per corroborare tali studi in una visione specifica orientata sulla pandemia del 2020.

In particolare, le domande che più hanno indagato tale fenomeno sono state quelle relative ai livelli di preoccupazione insieme al numero di individui che hanno cucinato di più o si sono interessati maggiormente al cibo e alle bevande in generale, soprattutto durante il periodo di lockdown. Ma altrettanto complesso e variegato è risultato il versante dell’offerta, di conseguenza è stato ulteriore oggetto di analisi il percepito da parte dei consumatori circa le azioni di marketing attivate dalle aziende.

Per quanto concerne la modalità di raccolta dei dati, è stato seguito un procedimento deduttivo, ovvero partendo dalla review di report per una panoramica generale, si è giunti all’analisi di dati secondari quantitativi estrapolati da una piattaforma, ma elaborati in prima persona tramite i software Excel ed R. Successivamente, sono stati utilizzati due

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ulteriori strumenti di analisi delle conversazioni online, in grado di fornire dati secondari qualitativi che fossero complementari ai primi, al fine di ottenere risultati il più possibile rappresentativi dei cambiamenti in atto.

2.2 Selezione del settore di mercato

La prima fase esplorativa ha riguardato la scelta del settore merceologico sul quale incentrare lo studio, avvenuta tramite la lettura approfondita di numerosi report di alcuni istituti di ricerca quali, per esempio, Deloitte, GfK, Accenture, Ufficio Coop e Doxa. Il materiale in questione era inerente non solo all’andamento del mercato rispetto agli anni precedenti ma anche alle implicazioni socio-psicologiche relative alle modifiche nel comportamento del consumatore target di tale settore. Infine, tra i vari ambiti possibili, è stato selezionato quello alimentare per il particolare impatto che il Covid-19 ha causato nel consumo di tale categoria merceologica, dimostrato dal tool Google trends, presentato nel paragrafo a seguire.

2.3 Rilevazione andamento del settore

Il passaggio successivo ha riguardato la ricerca primaria di alcune parole chiave il cui andamento nelle search è stato significativo del cambiamento avvenuto nel 2020 per il settore del cibo. In particolare, sono stati inizialmente inseriti i cinque termini “cucinare”, “pane in casa”, “pasta in casa”, “pizza in casa” e “lievito” nel tool Google Trends, che indicizza le query, per cui se una parola chiave ha un valore massimo, essa diventa l’indice di riferimento.

Successivamente, se ne è osservato l’andamento annuale e quinquennale, in modo tale da verificare se vi fossero cambiamenti, ipoteticamente causati dal Covid-19, nelle richieste inserite nel motore di ricerca da parte degli utenti durante quest’anno. Ed effettivamente

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è comparsa una rilevante variazione che ha costituito la prima conferma circa l’utilità di uno studio volto ad indagare la percezione da parte degli individui sulla cucina e sull’ alimentazione in periodo di crisi pandemica, associazione che verrà poi testata con un’analisi e quantitativa e qualitativa.

2.4 Lettura dati quantitativi da Global Web Index

A questo punto è risultato utile andare ad esplorare l’audience del settore alimentare durante il 2020, in modo tale da comprenderne le modifiche nelle abitudini di consumo e approcci al cibo; ciò è stato possibile grazie all’offerta di utilizzo di Global Web Index da parte del team di Strategic Planning dell’azienda TBWA\ Italia.

Nello specifico, si tratta di un istituto di ricerca britannico che con una piattaforma proprietaria attiva dal 2009 e specializzata in comportamento del consumatore, offre ai propri clienti i dati aggiornati della ricerca core ogni trimestre, raccolti tramite un panel multi-country di 46 paesi delle aree geografiche EMEA, APAC e America, con un’indagine CASI, Computer Assisted Self Interview.

I partecipanti del campione globale sono 708.000, ridotti a 20.000 per l’Italia, i quali rispondono a questionari tramite Pc, laptop o tablet, relativamente ai seguenti macro-temi:

 Socio-demografia  Interessi e stili di vita  Possesso e utilizzo device  Consumi mediali

Utilizzo social media  Utilizzo applicazioni  Brand preferiti

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 Comportamenti e intenzioni d’acquisto

Il concetto è similare a quello della Mappa sinottica elaborata da Eurisko GfK per la popolazione italiana, volta appunto a rappresentare su un quadrante di 16 caselle, 14 stili di vita emersi dall’analisi di caratteristiche psicografiche, sociali, atteggiamenti e comportamenti di consumo. Tale sistema integrato di informazioni consente quindi di segmentare il mercato dei consumatori e approfondire quanto più possibile l’audience di riferimento. L’aspetto rilevante ha riguardato la possibilità di estrarre da Global Web Index i dati delle variabili nel periodo precedente e durante la pandemia, in modo tale da poterli confrontare e riuscire a far emergere evidenze relative ai cambiamenti indotti dal virus tra gli anni 2019 e 2020, con un focus sui mesi di lockdown.

Tecnicamente la piattaforma presenta il dato campionario e il dato di inferenza andando quindi ad indicare con il termine “Universe” la proiezione dell’audience sulla popolazione, per una determinata variabile considerata; inoltre fornisce l’indice di affinità, ovvero, dato il valore benchmark di 100, l’audience oggetto di analisi può discostarvisi in positivo, over-index, o in negativo, under-index, indicando quindi quanto il target si differenzia dalla popolazione, o universo, di riferimento. Il calcolo per ottenere tale indice considera il rapporto tra valori dell’audience e quelli della popolazione, nello specifico è il seguente in figura I:

Il valore ritenuto ideale per l’analisi di un’audience nel marketing è costituito da una buona percentuale di penetrazione nella popolazione e un over index medio alto. Infatti, in questo modo si avrebbe un gruppo abbastanza ampio di individui che si differenziano

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35

con rilevanza consistente rispetto alla popolazione italiana generale, per cui sarebbe agevole identificarli con la specifica caratteristica considerata affine.

L’ estrapolazione dei dati secondari dalla piattaforma sopra descritta, ha consentito l’analisi effettiva di variabili che hanno portato a corroborare o integrare gli studi già presenti relativamente alla reazione da parte dei consumatori di fronte a un fattore esterno così pervasivo e imponente sulla vita quotidiana. La prima selezione delle domande presenti sulla piattaforma, si è basata infatti sulle caratteristiche principali riguardanti la relazione tra emozioni o stati d’animo durante il 2020 e i rispettivi cambiamenti nell’approccio alla cucina, in tutte le sue declinazioni, appartenenti alla ricerca Core, per poi inserire quelle della ricerca specifica avvenuta nei mesi di quarantena.

La fase analitica è iniziata con l’estrazione da Global Web Index di dati che riguardano l’universo degli utenti digitali, autori delle conversazioni sui social network, successivamente analizzate, ed è stato studiato secondo differenti variabili scelte a discrezione del ricercatore, seguendo criteri di rilevanza rispetto all’obiettivo di analisi.

2.4.1 Raccolta dati secondari dal Coronavirus Multimarket Study

Dopo aver esplicitato le proprietà della piattaforma, si procede ad illustrare la ricerca effettuata in occasione della pandemia, denominata Coronavirus Multimarket Study: si tratta di un’indagine campionaria, con campionamento per quote, suddivisa in cinque wave che hanno coperto il periodo dal 16 marzo al 2 luglio e con domande rivolte agli stessi partecipanti della ricerca core, che aveva un campione di 1029 soggetti, permettendo così di realizzare alcuni confronti.

Nello specifico, la metodologia di ricerca adottata è stata la CASI, ovvero Computer Assisted Self Interview, in cui il campione ha utilizzato uno strumento elettronico per l’auto-somministrazione del questionario web. Di seguito, viene presentata la

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suddivisione delle wave per date, con i rispettivi item, ovvero opzioni di risposta (Tabella I); ad esempio relativamente al genere ne sono presenti due, maschio e femmina:

Rilevamento Periodo Campione Opzioni di risposta

1 16 marzo - 20 marzo 1010 582

2 31 marzo - 2 aprile 1075 407

3 22 aprile - 27 aprile 1075 385

4 19 maggio - 26 maggio 1069 335

5 29 giugno - 2 luglio 1029 312

Tabella I – Rilevamenti indagine Coronavirus Multimarket Study

Per quanto riguarda poi la scelta tra le 234 domande disponibili, principalmente sono state considerate le categorie tematiche più consone che si sarebbero indagate in un questionario creato per una raccolta di dati primari. Quelle da cui sono state prelevate le suddette voci specifiche della ricerca vengono presentate in tabella II:

Categorie tematiche Domande

Livello di preoccupazione 10

Livelli di ottimismo 10

Livelli di approvazione 51

Cambiamenti nel comportamento 56

Comportamento di acquisto 16

Ruolo dei brand 30

Tabella II - Categorie tematiche

Successivamente all’identificazione delle specifiche tecniche di ricerca di mercato, è stata poi costruita l’audience legando le differenti caratteristiche rilevanti con gli operatori booleani AND, OR e, in un caso solo, NOT, inserendo quindi la generazione di riferimento e le caratteristiche relative inerenti al settore alimentare. Di seguito si riporta la figura II da esempio:

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Figura II - Struttura informatica dell'audience

Gli operatori hanno consentito la creazione di cross-tab, che verranno citate nel capitolo successivo per esporre i risultati relativi alle variabili considerate durante il lockdown. Con tale termine si fa riferimento alle tabelle a doppia entrata, per cui l’operatore booleano AND permette di studiare un’unità campionaria che possiede contemporaneamente più modalità delle variabili studiate, mentre l’OR amplia le caratteristiche presenti in un soggetto che può possedere o una o l’altra modalità e/o variabile, ma non per forza ambedue insieme. Una volta predisposto lo strumento per l’indagine è stato possibile procedere con l’analisi effettiva dei dati emersi.

2.4.2 Analisi quantitativa

In seguito alla preparazione dell’audience in base alle esigenze di ricerca, la prima fase analitica ha riguardato i dati raccolti da Global Web Index e si è suddivisa nell’utilizzo

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