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CAPITOLO 3 – RISULTATI DELLE ANALISI

3.4 La percezione dei brand e della pubblicità durante la prima ondata pandemica

3.5.2 Suddivisione dei contenuti per tematiche e clusterizzazione

I grandi volumi di dati apportano sicuramente il beneficio di ottenere numerose informazioni sugli utenti, tuttavia è necessario cercare di suddividerli in temi al fine di estrapolare ciò che è realmente utile e ciò che invece costituisce rumore di fondo,

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costantemente presente sul web. A tal proposito l’analisi avanza tramite l’applicazione dei filtri utili a far risaltare specifiche emozioni legate al cibo:

Figura XXI- Word clouds delle emozioni più ricorrenti filtrate per themes

I quattro themes creati appositamente per la ricerca hanno quindi consentito di distinguere queste due raccolte di parole suddivisibili per le 4 seguenti percezioni (Figura XXI):

Noia, gli individui si ritrovano all’improvviso ad avere a disposizione parecchio tempo che spesso comporta la noia per non sapere cosa fare stando in casa tutti i giorni e quindi si orientano verso la cucina, che funge da passatempo.

Tristezza e frustrazione, sentimenti molto diffusi durante il 2020, il Covid-19 ha trainato la popolazione mondiale in una bolla di apprensione, preoccupazione per il futuro ma soprattutto tristezza per la situazione attuale, critica soprattutto in lockdown quando il numero di defunti è stato elevato. Di conseguenza in questo caso le persone si sono dedicate spesso alla cucina come sfogo, per cercare di non pensare a quanto stesse succedendo al di fuori di casa, ma soprattutto alla sensazione di tristezza si è collegata la fame nervosa che purtroppo spesso può sfociare in vere e proprie patologie se il contesto del soggetto è particolarmente critico o stressante; infatti, la noia è accompagnata, in ambedue le word cloud, dal

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termine “sempre” che suggerisce la costanza con cui alcuni individui necessitano di assumere alimenti.

Consolazione, si parla di alimentazione come diversivo per sfuggire mentalmente dalla realtà, quindi gli individui trovano appagamento nel mangiare i cibi pronti o preparati in casa. Il concetto è molto similare al precedente e collegabile alla fame nervosa, con la differenza che in questo caso si cerca di trarre piacere e distrarsi, mentre con la tristezza si affoga la sofferenza negli alimenti ma senza effettivamente ricercare un piacere, bensì solamente come elemento di sfogo.  Voglia di sperimentazione, sempre più crescente negli anni, questo trend era già

attivo prima della pandemia, tanti infatti provano da anni a preparare, ad esempio, il sushi fatto in casa, tuttavia la quarantena ha imposto tempi più lenti e nella prima analisi quantitativa è emersa una buona percentuale della popolazione che ha scelto di dedicarsi alla prova di piatti diversi o addirittura diete più salubri, realizzabili con costanza proprio grazie ai ritmi differenti che hanno giovato in questo senso.

Si precisa che le considerazioni effettuate vertono sui dati quantitativi presentati nei paragrafi precedenti e sono valide per il lockdown del primo semestre, ma anche in occasione della suddivisione dell’Italia in zone, imposta dal DPCM del 4 novembre; infatti, i cittadini si sono espressi similmente per quanto concerne il legame tra emozioni e tempo dedicato a cucinare o a mangiare.

Il successivo passaggio di analisi riguarda la lettura dei singoli post suddividi per themes in modo tale da ottenere una visione reale sui pensieri degli utenti e andare a confermare il raggruppamento di termini illustrato sopra (Figura XXI).

Pertanto, dalla figura XXII alla XXV, si riportano i sound bites più significativi, nei quali compaiono le quattro percezioni descritte, infatti dai seguenti estratti di parole reali è

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possibile leggere chiaramente il legame con l’ambito alimentare: 1. Noia

Figura XXII - Sound bites relativi alla noia

2. Tristezza e frustrazione

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3. Consolazione

Figura XXIV- Sound bites relativi alla consolazione

4. Sperimentazione

Figura XXV- Sound bites relativi alla sperimentazione

Proseguendo nell’indagine qualitativa e con il supporto aggiuntivo del tool Answer the public, si sono individuate ulteriori tematiche ricorrenti sia nel periodo di primo lockdown che in quello antecedente alla seconda ondata pandemica, quali l’atto di cucinare per altri

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come segno di amore, ma anche come terapia e al contempo il mangiare in sé come un reale bisogno psicologico, più che fisiologico, in momenti di tristezza e ansia, che in alcuni casi invece si manifestano con l’assenza di appetito.

In secondo luogo, emerge anche il timore di non trovare il pane, e quindi l’aiuto da parte di conoscenti o utenti di community che si rendono attivi nella fornitura di ingredienti primari come farina o lievito (Figura XXVI).

Figura XXVI - Sound bites su ulteriori tematiche

A conclusione dell’esplorazione qualitativa, è stato inserito il verbo “cucinare” come parola chiave in Answer the public, per comprendere in quale contesto e con quali modalità viene cercata su Google.

Dai seguenti raggruppamenti di ricerche nella search del motore di ricerca (Figura XXVII), emergono chiaramente le conclusioni principali che vanno a corroborare le tematiche individuate in precedenza, ovvero:

cucinare per altri, che siano bambini, famiglia o animali, risulta molto importante per la popolazione italiana,

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anche alla depressione, come antidoto per combatterla, e più in generale ad una terapia, soprattutto durante quest’ anno durante il quale il Covid-19 ha impattato sulla psiche umana.

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Se la divisione per temi è stata utile per comprendere il legame emotivo con l’alimentazione, la clusterizzazione successiva serve all’individuazione di differenti categorie di autori, e di contenuti, ma più nello specifico per determinare le differenze concernenti il sentiment e il tone of voice di comunicazione da parte di brand e aziende, non solo del settore alimentare.

La prima categoria individuata in figura XXVIII riguarda i brand alimentari che si sono distinti per una comunicazione a tema quarantena, cercando di sollevare l’animo delle persone:

Figura XXVIII - Sound bites di brand alimentari

La seconda categoria riguarda invece la collaborazione con famosi food blogger o blog di cucina, che hanno realizzato brand come Nutella e McDonald’s, i quali, nonostante la pandemia, hanno cercato di stimolare gli utenti nel consumo di alimenti collegati al proprio prodotto, per mantenere un livello alto di awareness ma soprattutto di retention (Figura XXIX).

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Figura XXIX - Sound bites di brand in partnership con food blogger o blog di cucina

Un’ ulteriore tipologia di autori individuati è costituita da aziende il cui core business non appartiene al settore alimentare, esse si sono impegnate però in contenuti che potessero in qualche modo incentivare l’utilizzo di propri prodotti in collegamento all’alimentazione. Si veda ad esempio come Netflix ha colto il trend culinario per creare engagement e infatti ad ogni commento risponde con un titolo di un contenuto interno alla piattaforma di video on demand (Figura XXX).

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L’ultima categoria riunisce invece case editrici e redazioni che colgono la paura degli italiani e le correlate difficoltà nella fase post lockdown, offrendo consigli per incentivare il lettore a ritornare a condurre una vita con ritmi più normali.

È emblematico il caso della casa editrice De Agostini che ha lanciato un messaggio di supporto psicologico per chi si trovasse in difficoltà ad uscire di casa dopo il lockdown (Figura XXXI).

Figura XXXI - Brand nel settore editoria

Dai sound bites precedenti, così come dai dati analizzati ad inizio capitolo, è emerso chiaramente che la crisi pandemica ha rivoluzionato la percezione dell’alimentazione e della dedizione all’attività culinaria, che non si può spiegare solamente con il maggior tempo a disposizione per cucinare.

Nel primo capitolo è stata effettuata una rassegna sul cibo come oggetto protagonista di fenomeni psicologici, in primis la fame nervosa, di conseguenza in un anno come il 2020 sicuramente gli individui hanno avuto modo di sperimentare differenti approcci agli alimenti rispetto agli anni precedenti, a causa della presenza di una componente negativa

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esterna pervasiva a livello globale e soprattutto d’impatto sulla maggior parte delle abitudini quotidiane.

Ne è conseguita anche una reazione da parte delle aziende che sono state tenute a modificare il ruolo e la comunicazione all’interno di una società impaurita, oltre che a tratti scoraggiata, e in questo senso si è osservata la modalità con cui numerosi brand hanno proposto idee per distrarre o far passare il tempo ai cittadini.

In questa raccolta non sono state selezionate le campagne pubblicitarie o di marketing che hanno trattato specificatamente il Covid-19, dal momento che secondo la ricerca CAWI di Hokuto e Conic, condotta dopo 40 giorni di quarantena, il 60% degli italiani ha ritenuto che la pubblicità a sfondo virus fosse troppa e avesse stancato, soprattutto tra gli under 35, mentre per il 50% di un campione di 800 individui “la pubblicità ha esagerato ad adeguare i contenuti all’ emergenza sanitaria”62.

Tuttavia, potrebbe essere interessante approfondire in uno studio di natura più psicologica- comunicativa, il modo in cui le persone vorrebbero essere trattate in periodi di crisi così devastanti e soprattutto quale tipologia di contenuti desidererebbero ricevere dalle aziende attraverso i canali media.

In conclusione, la pandemia ha in un certo senso avvicinato maggiormente il versante dell’offerta a quello della domanda, che se da un lato risulta sempre più informata, attiva e attenta, dall’altro dovrebbe essere tutelata, a conferma di ciò è sempre operativo l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria63 che in data 9 febbraio 2021 ha pubblicato il nuovo Regolamento per disciplinare l’esposizione dei bambini alle comunicazioni commerciali audiovisive relative ai prodotti alimentari o bevande HFSS, high in fat, salt, sugar, ovvero che contengono sostanze nutritive la cui assunzione eccessiva nella dieta

62Ibidem

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non è raccomandata poiché ricchi in grassi, zucchero e sale. Tale provvedimento ribadisce l’importanza affidata ai brand ed alla loro comunicazione pubblicitaria nell’influenza che possono avere sulle abitudini alimentari degli spettatori, non solo bambini, e di conseguenza la necessità di una posizione responsabile che vada a salvaguardare la salute pubblica, più del profitto personale, soprattutto in un periodo caratterizzato da una forte instabilità emotiva.

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CONCLUSIONI

Che il cibo fosse un elemento imprescindibile nelle vite delle persone era già noto, ma durante il 2020 è stata riscoperta l’arte del cucinare e della convivialità come non succedeva da anni, forse da prima del boom economico nella seconda metà del ‘900. Nel corso degli ultimi mesi la comparsa della pandemia da Covid-19 ha provocato un aumento dell’attenzione rivolta alla relazione tra emotività e alimentazione, infatti numerosi organi scientifici si sono premurati di studiarne gli effetti quotidiani, sia da un punto di vista psicologico che prettamente medico, dal momento che l’overeating può provocare una condizione di salute che rende gli individui più soggetti al contagio. L’anomalia e la pervasività del virus hanno creato un sottofondo sociale pregno di insicurezza, distanziamento, tristezza e talvolta rabbia, avvolgendo capillarmente tutti gli ambiti della vita che è stata soggetta ad una trasformazione radicale ad opera di ciascun individuo. Tuttavia, durante un cambiamento così rilevante, il cibo è rimasto un elemento costantemente presente e necessario, ma soprattutto rivestito di un ruolo nuovo: elevato a strumento di distrazione, di sollievo, di gratificazione e di condivisione, infatti, se prima della pandemia gli individui gestivano frettolosamente la pausa pranzo, considerandola quasi come una noiosa necessità, durante il lockdown il pasto ha costituito elemento di consolazione anche per spezzare la monotonia dei giorni trascorsi in casa. Ebbene, proprio su questa rivalutazione da parte sia di consumatori che delle aziende, si è focalizzato questo studio che ha preso in esame differenti tipologie di dati, per cercare di comprendere e spiegare efficacemente quanto è avvenuto, consentendo così di accertare tale rivoluzione culinaria rispetto ai cinque anni precedenti il 2020 e andando altresì a confermare la relazione tra emotività ed alimentazione anche durante la pandemia da Covid-19. Infatti, davanti all’incertezza del periodo è stato osservato un maggior numero

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di individui che si sono rivolti verso un elemento sicuro e conosciuto, a compensazione dell’instabilità di cui erano circondati, in confronto al numero inferiore di coloro che hanno sperimentato la sazietà psicologicamente “fittizia”. Da un punto di vista sociologico tale fragilità insita nell’essere umano, ovvero la ricerca del noto, è stata acuita in un periodo di crisi globale, tuttavia i risultati emersi potrebbero essere ampliati alle varie fasi della vita che naturalmente possono presentarsi ad ogni individuo, ed è davanti a questa riflessione che emerge l’importanza delle aziende nel rivestire il ruolo di attori responsabili. Se la domanda e l’offerta colloquiano costantemente nell’ambito di mercato, le aziende non possono neanche più fare a meno di una brand equity che incarni valori attuali e sinceri volti al benessere della società, in modo tale da instaurare un rapporto di fiducia e ottenere ritorni in termini di loyalty e retention; va da sé che le campagne pubblicitarie dovrebbero incentivare il consumo responsabile di prodotti che potrebbero nuocere la salute degli individui e al contempo le Corporate philanthropic disaster responses non dovrebbero agire solo col fine di un puro green washing. In altre parole, se in un periodo di crisi gli individui si sono rivolti all’emotional eating per sfogare le proprie emozioni negative e hanno percepito positivamente le campagne pubblicitarie che stimolavano il consumo di cibo ad alto contenuto di carboidrati e grassi saturi, quindi lasciandosi influenzare nell’acquisto, le aziende potenzialmente potrebbero incentivare e orientare l’utilizzo di prodotti poco salutari anche in altri periodi di crisi, poiché il consumatore potrebbe ricercare il sollievo percepito durante la pandemia da Covid-19 ad un altro periodo di instabilità personale. Infatti, dai numerosi confronti annuali ed intergenerazionali è emersa la figura di un consumatore che di fronte a livelli di preoccupazione e di pessimismo maggiori ha reagito impiegando più tempo cucinando e mangiando, soprattutto nelle fasi del lockdown caratterizzate da picchi pandemici, ed al contempo ha accolto favorevolmente pubblicità a tema Covid-19. Quest’ultima

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associazione rivela ulteriormente la necessità da parte delle aziende di attivare azioni, soprattutto in tempi di crisi, non ingannevoli, mentre l’ambiguità che è emersa dal duplice obiettivo di alcune campagne pubblicitarie può far pensare che effettivamente i brand siano ancora orientati al marketing volto al profitto e poco a quello generativo di valori. Tuttavia, l’obiettivo non era tanto quello di condannare l’operato delle aziende nel settore alimentare, quanto di confermare che il Covid-19 ha modificato l’approccio al cibo e la tipologia di messaggio pubblicitario relativo ai prodotti alimentari, la premessa necessaria costituisce però il primo limite intrinseco dello studio inerente alle implicazioni attitudinali delle campagne sviluppate dai brand, infatti, nonostante gli studi già ampiamente effettuati sull’efficacia della pubblicità nel modificare il comportamento di acquisto e di consumo, non è detto che questa relazione causale possa essere valida anche in un periodo di crisi globale e fortemente traumatico. In particolare, alla luce dei risultati ottenuti, si può affermare sicuramente che la percezione sia dell’alimentazione che della pubblicità cambino in associazione al comune denominatore della preoccupazione e del pessimismo, ma sarebbe ulteriormente utile, in ottica strategica, comprendere le effettive implicazioni socio - psicologiche della pubblicità alimentare sugli italiani durante il 2020.

Successivamente, in riferimento al social listening finale, la lettura delle conversazioni online ha permesso di definire le motivazioni dell’overeating verificatosi durante il lockdown direttamente dalle affermazioni espresse dai consumatori, facendo emergere chiaramente le emozioni negative che hanno originato un abuso di alimenti e il maggior desiderio di sperimentazione, da cui l’esigenza per la strategia aziendale attuale di focalizzarsi sulla ricostruzione del benessere di ogni individuo che ha vissuto il 2020 come l’Anno Zero e confida nella ripartenza del 2021 per ristrutturare le proprie risorse mentali e progettuali.

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Tuttavia, sono state escluse dalla lettura le campagne pubblicitarie direttamente connesse al Covid-19 e la loro percezione da parte degli utenti, che potrebbe essere interessante approfondire in uno studio di natura più psicologico-comunicativa, per comprendere quale tipologia di contenuti desidererebbero ricevere gli individui dalle aziende, durante periodi di crisi di tale entità.

Un ulteriore limite compare in riferimento al campione su cui si è basata la ricerca sia quantitativa che del sentiment, poiché faceva parte della popolazione dotata di device e con accesso ad Internet, mentre sarebbe opportuno integrare con una ricerca di mercato se effettivamente potrebbero essere influenzabili anche gli individui meno tecnofili, e quindi tendenzialmente di maggiore età e meno ammaliati dalle ads presenti sui social network.

In conclusione, dall’indagine effettuata si può affermare che a fronte della trasformazione indotta dal Covid-19 è emerso un panorama del mercato alimentare complesso in cui i consumatori, oltre alla reazione immediata del lockdown, stanno sviluppando cinque macro trend in parte già attivi prima della pandemia che però ne ha accentuato l’intensità e la diffusione e di fronte ai quali le aziende dovrebbero adeguarsi con risposte sia di tipo trasformazionale che filantropico, ovvero le Corporate philanthropic disaster responses, con l’intento di supportare la società italiana. Risulta quindi fondamentale continuare a monitorare tali andamenti in un momento di ripartenza economica per valutare le operazioni di Marketing adeguate, difatti il fenomeno verificatosi nell’anno 2020 è nuovo e in parte ancora in corso, pertanto ad oggi non è ancora stimabile con assoluta certezza che i trend sopra citati permangano negli anni e le relative risposte aziendali siano conformi a quanto richiesto dai consumatori; rimane quindi il dubbio che di fronte ad una nuova normalità, priva di noia e frustrazione, gli individui abbandonino le abitudini alimentari, per ora consolidate, relative allo slow cooking ed all’emotional eating.

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Ciononostante, vi sono due implicazioni strategiche che dovrebbero permanere: l’attenzione al sopracitato benessere del consumatore, in fase di ricostruzione, contemporaneamente all’assunzione di responsabilità sociale che rende le aziende non mere fornitrici di beni alimentari, ma attori affidabili e benevoli nella mente del cliente, tramite un posizionamento valoriale.

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