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La terapia elettroconvulsivante nel trattamento della Depressione Bipolare

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Academic year: 2021

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INDICE

Cap. 1: Introduzione

1.1 Il disturbo Bipolare

1.2 La Terapia Elettroconvulsivante 1.3 La TEC nella depressione bipolare

Cap. 2: Scopo dello studio

Cap. 3: Materiali e Metodi 3.1 Campione

3.2 Procedure di somministrazione della TEC 3.3 Strumenti di valutazione 3.3 Analisi statistiche Cap. 4: Risultati Cap. 5: Discussione Tabelle Bibliografia

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INTRODUZIONE

Il disturbo bipolare (DB) è una patologia ricorrente associata a una significativa morbilità, mortalità, alto rischio di suicidio e sostanziale compromissione della qualità della vita correlata allo stato di salute, che influisce negativamente sulle relazioni sociali dell’individuo, sulla sua sfera familiare e lavorativa (Kessler et al., 2005; Murray et al., 1994). Negli ultimi anni, nonostante l'introduzione nella pratica clinica di antipsicotici atipici con un’azione stabilizzante dell'umore, si è assistito a una crescente consapevolezza dei limiti della terapia farmacologica nel trattamento del DB. Queste limitazioni sono particolarmente evidenti per il trattamento degli episodi depressivi, che presentano una ridotta risposta agli antidepressivi (Sachs et al., 2014) e percentuali di remissione inferiori rispetto agli episodi espansivi (Solomon et al., 2010). Inoltre, l’impiego degli antidepressivi nel disturbo bipolare è stato collegato a viraggi maniacali, induzione di stati misti, accelerazione dei cicli e peggioramento del decorso della malattia, per cui questi dovrebbero essere riservati ai casi gravi e acuti di depressione bipolare e non routinariamente utilizzati in casi di moderata entità. Gli antidepressivi dovrebbero essere inoltre interrotti subito dopo il miglioramento e mantenuti soltanto in coloro che presentano numerose ricadute dopo la loro sospensione (Ghaemi et al., 2003).

La Terapia Elettroconvulsivante (TEC), a oltre 75 anni dalla nascita, continua a rappresentare un trattamento insostituibile nella terapia del DB, in quanto efficace nella risoluzione degli episodi depressivi, maniacali, e misti (Dierckx et al., 2012; Kho et al., 2003; Loo, 2010; Mukherjee et al., 1994; UkEctReviewGroup, 2003; Valentı´M and

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Molina O, 2008). La TEC rappresenta uno strumento terapeutico particolarmente indicato in questo disturbo in quanto non solo non esercita un effetto di destabilizzazione del decorso nel breve e nel lungo termine, ma con la continuazione delle sedute si possono prevenire l’insorgenza di nuovi episodi (Grunze et al., 2002; Versiani et al., 2010; Zornberg and Pope, 1993). Per queste caratteristiche terapeutiche uniche e secondo la definizione data di Goodwin e Jamison (GoodwinandJamison, 2007), la TEC può essere considerato il primo trattamento con un’azione stabilizzante dell’umore.

Il Disturbo Bipolare

Il DSM V prevede quattro differenti forme di disturbo bipolare: il disturbo bipolare I e II, il disturbo ciclotimico, il disturbo bipolare indotto da sostanze, il disturbo bipolare dovuto a patologie mediche e la categoria residua del disturbo bipolare non altrimenti specificato. L’episodio misto, nell’ultima edizione del DSM è stato sostituito dallo

specifier con caratteristiche miste che può essere usato per descrivere

l’episodio maniacale, ipomaniacale o depressivo. Altri specificatori sono: con ansia, con cicli rapidi, con caratteristiche atipiche, con caratteristiche psicotiche, con caratteristiche melanconiche, con catatonia, con esordio nel postpartum e con andamento stagionale.

Rientrano nella categoria del Disturbo Bipolare I quei pazienti che hanno presentato episodi maniacali, alternati o meno ad episodi depressivi maggiori. L’assenza di fasi depressive connota un particolare sotto-tipo di disturbo bipolare I, definito “mania ricorrente”, che corrisponde alla

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“mania monopolare” degli autori classici. Si tratta di una forma piuttosto rara nella pratica anche se gli studi ne stimano una frequenza compresa tra il 5% e il 35% di tutte le forme bipolari (Perugi et al., 2007). Le percentuali più elevate sono probabilmente da attribuire, più che all'effettiva assenza di episodi depressivi, al mancato rilievo degli stessi, soprattutto quando sono di lieve entità. Questi episodi sono in genere rilevabili attraverso un’indagine anamnestica più accurata, che coinvolga anche i familiari, o attraverso l’osservazione diretta a lungo termine. Altre variabili che possono determinare una sovrastima della prevalenza della mania ricorrente sono il disegno retrospettivo dello studio e, soprattutto, la breve durata del periodo di osservazione. A questo proposito è stato rilevato che prolungando fino 20 anni il follow-up 20/27 pazienti (74%) originariamente diagnosticati come affetti da mania monopolare presentano nel tempo episodi depressivi. La ricorrenza esclusivamente maniacale sembrerebbe più comune in alcune popolazioni africane ed orientali (Angst and Grobler, 2015); lascia tuttavia perplessi una sua prevalenza del 47% osservata tra i pazienti con disturbo bipolare I delle Isole Fiji (Aghanwa, 2001).

La mania monopolare costituisce una variante del disturbo bipolare I e, per quanto i dati siano contraddittori, i pazienti che ne sono affetti non sembrano differenziarsi da quelli con una presentazione più classica per storia familiare, caratteristiche demografiche e cliniche e risposta al trattamento. Potrebbero avere anzi un minore rischio per condotte autolesive e rapida ciclicità, una migliore prognosi e un migliore adattamento sociale, lavorativo e familiare (Angst and Grobler, 2015).

Sul piano trasversale, si considerano caratteristici dell'episodio

depressivo del disturbo bipolare I il rallentamento psicomotorio e la

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la paralisi plumbea, la tensione, l’irritabilità, l’ipersonnia e l’iperfagia (GoodwinandJamison, 2007). Deliri e allucinazioni sono meno frequenti nella fase depressiva che in quella maniacale. In realtà la sintomatologia depressiva è simile in tutti i sottotipi di disturbo dell'umore, dal bipolare I al bipolare II all'unipolare. Le differenze riportate in letteratura sarebbero da ascrivere all'erronea inclusione tra le forme unipolari di quadri di demoralizzazione concomitanti ad altri disturbi e a fenomeni di comorbidità. Nel disturbo bipolare I l'episodio depressivo di solito insorge gradualmente, in qualche settimana, anche se non è rara una comparsa più rapida, in uno-due giorni. In ogni caso l'instaurarsi della fenomenica depressiva risulta più veloce nelle forme bipolari che in quelle unipolari.

L'episodio maniacale ha abitualmente una modalità di insorgenza più rapida rispetto a quella dell'episodio depressivo, sviluppandosi spesso nell'arco di pochi giorni o, talvolta, di poche ore (Keitner et al., 1996). Con l'aumentare del numero di recidive in genere l'esordio diviene via via più veloce. In alcuni pazienti la mania è preceduta da una fase ipomaniacale la cui durata varia da qualche giorno a qualche settimana. Il sintomo patognomonico dell’insorgenza di una fase espansiva è spesso l’insonnia (77% dei casi) (Jackson et al., 2003). Inoltre, in mania sono di frequente riscontro sintomi psicotici incongrui all'umore, quali deliri, allucinazioni, deragliamenti e incoerenza, e questo ha portato ad un progressivo allargamento dei confini dei disturbi bipolari fino a comprendere numerosi quadri in precedenza attribuiti allo spettro schizofrenico.

Sebbene il disturbo bipolare I si connoti per gli episodi maniacali, esso costituisce una patologia a prevalente espressione depressiva. Il monitoraggio settimanale delle oscillazioni dell’umore per un periodo di

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oltre 13 anni ha infatti evidenziato che i pazienti che ne sono affetti trascorrono più tempo in depressione che in (ipo)mania o in stato misto (rispettivamente 32%, 9% e 6% del tempo) (Judd et al., 2002). Nella maggior parte dei casi le forme depressive attenuate, come la depressione minore e la depressione sotto-soglia, prevalgono sulla depressione maggiore (rispettivamente 14%, 9% e 9% del tempo) (Altshuler et al., 2002; Judd et al., 1998; Kupka et al., 2005).

Nel decorso spontaneo del disturbo bipolare I i singoli episodi hanno una durata abbastanza regolare, mediamente 3-4 mesi per la mania, 6-8 mesi per la depressione, 5-12 mesi per gli stati misti (Coryell et al., 1990). Una durata maggiore è stata segnalata nelle forme ad esordio tardivo, ma questo è almeno in parte attribuito alla difficoltà ed al ritardo con cui gli anziani ricorrono a trattamenti specifici. La lunghezza degli episodi presenta una certa variabilità da paziente a paziente ma tende a mantenersi stabile nel singolo paziente per cui, soprattutto per quanto riguarda la mania, la durata delle fasi pregresse costituisce un valido predittore per quelle successive.

L'età di esordio del disturbo bipolare I si colloca tra i 15 e i 40 anni, in media intorno ai 22 anni, senza differenza tra i sessi (GoodwinandJamison, 2007). L’ampia variabilità inter-individuale è attribuita alle caratteristiche del campione studiato e, soprattutto, ai criteri utilizzati per stabilire l’età di insorgenza: epoca di comparsa dei primi sintomi, epoca in cui sono soddisfatti i criteri per la diagnosi o epoca del primo contatto specialistico. L’esordio pre-puberale in passato era considerato estremamente raro, tanto che nella letteratura mondiale fino al 1997 erano stati descritti meno di 100 bambini con disturbo bipolare. Almeno due fattori contraddicono l’attendibilità di questo dato. Innanzitutto, nelle anamnesi più accurate tra il 20% ed il 40% dei

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pazienti bipolari adulti indica come periodo di comparsa del disturbo l'infanzia; il fenomeno è diventato più comune nelle ultime generazioni. In secondo luogo, è stato rilevato che una discreta percentuale di disturbi depressivi insorti in epoca pre-puberale hanno un’evoluzione di tipo bipolare che si può manifestare nell'infanzia stessa (32% dei casi) o nell'adolescenza (20% dei casi). L’esiguità delle segnalazioni riportate in letteratura fino a 10 anni fa sembrano da attribuire soprattutto al tentativo di individuare bambini o adolescenti che soddisfino i criteri per la patologia bipolare degli adulti. Questo nella pratica si verifica soltanto in un gruppo ristretto di adolescenti più grandi con discreto funzionamento premorboso, esordio improvviso, buona risposta alle cure, ritorno allo stato di benessere negli intervalli liberi. Nei bambini e negli adolescenti più giovani l'identificazione del disturbo bipolare deve tener conto di diversi fattori correlati all'età e, in particolare, allo sviluppo psicofisiologico che possono avere una funzione patoplastica sulle manifestazioni sintomatologiche. Un ulteriore motivo di confusione è rappresentato dall’elevata frequenza di comorbidità sia per disturbi d'ansia (33% nei bambini, 12% negli adolescenti), sia per abuso di alcol o sostanze (Schurhoff et al., 2000).

La patologia bipolare nell'infanzia e nell'adolescenza evolve spesso verso la cronicità ed ha una prognosi negativa (Ernst and Goldberg, 2004). Soprattutto in età pediatrica sono frequenti gli episodi a decorso protratto, gli stati misti e la ciclicità rapida o ultra-rapida. E’ inoltre alto il rischio di passaggio da disturbo bipolare II a I, come se il primo, in questa fase della vita, costituisse il precursore del secondo.

L’esordio dopo i 60 anni è considerato un evento raro, anche se il fenomeno potrebbe essere sottostimato (Carlson et al., 1974). I pazienti con insorgenza tardiva hanno un basso carico familiare per disturbi

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dell’umore e un’elevata comorbidità per patologie somatiche, soprattutto di tipo neurologico, ponendo quindi un problema di diagnosi differenziale con le forme secondarie a patologie mediche (Tohen et al., 1994).

Rispetto ai dati precedenti, negli studi condotti dal 1990 in poi risulta un abbassamento dell’età media di esordio di circa 3-6 anni. Per spiegare questo fenomeno sono state proposte diverse ipotesi: a) il cambiamento della nosologia e dei criteri diagnostici che ha portato all’inclusione di sottogruppi con sintomi psicotici la cui età di esordio è più bassa; b) l’anticipazione genetica, che aumenterebbe la predisposizione a sviluppare il disturbo ad ogni successiva generazione; c) il sempre più diffuso ricorso agli antidepressivi e agli stimolanti in età giovanile, che può favorire l’induzione di (ipo)mania in soggetti predisposti; d) l’uso sempre più frequente nei giovani di alcol e sostanze che possono contribuire ad abbassare l’età di esordio nei soggetti predisposti. Nessuna di queste ipotesi è tuttavia supportata da evidenze (GoodwinandJamison, 2007).

Numerosi studi hanno dimostrato che in base all’età di esordio è possibile distinguere diversi sottogruppi di pazienti ciascuno dei quali ha specifiche caratteristiche cliniche, prognostiche e di risposta alle terapie. In particolare, l’insorgenza precoce costituisce un marker di maggiore gravità e la sua specificità è confermata anche dagli studi di genetica tradizionale e di linkage/mapping (Benedetti et al., 2002). Da questi studi emerge che l’età di esordio più precoce correla con la familiarità per disturbo bipolare ad esordio precoce e con il polimorfismo del trasportatore della serotonina e della glicogeno sintasi chinasi; il meccanismo di trasmissione potrebbe essere associato a 3 specifiche

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regioni cromosomiche o seguire un modello non-mendeliano a gene maggiore (Faraone et al., 2004).

Anche la polarità di esordio sembra influenzare la prognosi e il trattamento. La depressione rappresenta il primo episodio nel 50-66% dei casi, soprattutto nel sesso femminile: il rapporto depressione/mania è di 3:1 nelle donne e di 3:2 negli uomini (GoodwinandJamison, 2007) Gli studi che riportano una maggiore incidenza di mania in genere fanno riferimento alla prima ospedalizzazione per cui è probabile che eventuali precedenti fasi depressive non siano state rilevate. Nel corso della malattia gli episodi depressivi continuano a prevalere nel sesso femminile, mentre nel sesso maschile fasi depressive ed espansive si equivalgono (Koukopoulos A, 1995); non tutte le evidenze sono tuttavia concordi al riguardo. In entrambi i sessi è stata evidenziata la tendenza ad un maggior numero di ricadute della stessa polarità del primo episodio che finisce con il diventare la “polarità prevalente” del successivo decorso. Correlano con la polarità depressiva del primo episodio un esordio più tardivo del disturbo, un’incidenza minore di sintomi psicotici e maggiore di idee e gesti autolesivi, un numero più alto di recidive, un decorso più spesso a cicli rapidi o cronico, una durata più lunga di malattia e una prognosi peggiore. Meno studiato è l’esordio in stato misto che sembra associarsi ad una più precoce età di esordio e ad un numero maggiore di ricadute.

Il numero di episodi a cui il paziente può andare incontro nel corso della vita varia notevolmente da soggetto a soggetto, oscillando da 2-3 a più di 20-30, con una media intorno a 8-10. Negli studi più recenti, che includono pazienti che hanno seguito trattamenti, la frequenza delle recidive risulta più alta di quella rilevata negli studi condotti in epoca pre-farmaclogica (Angst, 1985). Questa differenza viene da alcuni autori

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attribuita all’uso di antidepressivi, che faciliterebbero l’accelerazione dei cicli, da altri ad errori metodologici degli studi più vecchi, dove veniva considerato come episodio unico il susseguirsi di fasi di opposta polarità che si verificavano durante lo stesso periodo di ospedalizzazione, da altri ancora ad un bias di selezione degli studi più recenti condotti su pazienti gravi selezionati per il trattamento con il litio. A scopi di ricerca oggi si tende a valutare, più che il numero assoluto di episodi, la “frequenza annuale degli episodi”, cioè il numero di episodi diviso la durata della malattia. La frequenza annuale nei pazienti con disturbo bipolare I è in media 0.23, signficativamente più alta di quella riscontrata nei pazienti con depressione maggiore ricorrente (GoodwinandJamison, 2007).

Un altro parametro che ha importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche è la durata del ciclo maniaco-depressivo, cioè l'intervallo di tempo compreso tra l’insorgenza di un episodio e l’inizio del successivo. Poiché la durata delle singole fasi maniacali e depressive è relativamente costante nello stesso individuo, la lunghezza del ciclo è soprattutto in funzione della durata dell'intervallo libero, cioè del periodo di benessere intercritico. La maggior parte degli studi ha messo in evidenza che l'intervallo libero tende ad accorciarsi nelle fasi iniziali della malattia, per poi stabilizzarsi dopo 3-5 recidive; il lasso di tempo che intercorre tra il primo ed il secondo episodio, detto "periodo di latenza", non di rado supera i 5 anni. Nella letteratura classica sono considerati rari gli intervalli liberi di durata superiore a 15-20 anni ed eccezionali quelli di 40-50 anni. La durata del ciclo rappresenta una caratteristica familiare, essendo spesso di lunghezza analoga nei membri della stessa famiglia, e questo fa pensare ad una ereditarietà delle ricorrenze. Alcuni studi hanno evidenziato una relazione tra cicli più brevi ed età di esordio più precoce, presenza di sintomi psicotici, di

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comportamenti autolesivi e di abuso di alcol. Altri studi non hanno invece trovato una correlazione tra lunghezza dei cicli, epoca di esordio e prognosi.

Disturbo Bipolare II

In base ai criteri del DSM V, il disturbo bipolare II comprende quei pazienti che hanno presentato uno o più episodi depressivi maggiori ed almeno un episodio ipomaniacale (AmericanPsychiatricAssociation, 2014).

Sul piano trasversale l'elemento distintivo è costituito dall’episodio ipomaniacale che corrisponde ad un periodo di elevazione dell'umore, delle energie fisiche e del flusso delle idee, e quindi di "esuberanza", di "instancabilità" e di "progettualità", che talvolta permette il raggiungimento di importanti risultati concreti. Questi soggetti possono essere creativi e produttivi in campo artistico, negli affari e in qualsiasi attività decidano di intraprendere tanto da essere definiti come "coloro che muovono e agitano il mondo". In questo senso l'ipomania può rappresentare l'aspetto positivo del disturbo bipolare, risultando di grande beneficio per il paziente e per la società. Non di rado, tuttavia, le ripercussioni sul piano lavorativo e sociale sono negative sia perché possono prevalere l'irritabilità, l'impulsività e l'aggressività, sia perché, pur non trattandosi di uno stato psicotico, è abituale una scarsa capacità di giudizio.

Per quanto riguarda la fase depressiva, l’unica differenza segnalata rispetto alla depressione unipolare è la prevalenza di sintomi atipici, mentre non sono state osservate differenze per quanto riguarda il rallentamento psicomotorio (Benazzi, 2002).

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Ancor più del disturbo bipolare I, il disturbo bipolare II è oggi considerato come una patologia cronica ad espressione primariamente depressiva. In uno studio di follow-up, durato oltre 13 anni, i pazienti trascorrevano il 50% del loro tempo in depressione, contro l’1% in ipomania e il 12% con umore instabile o misto (Judd et al., 2003). Le forme depressive attenuate, come la depressione minore e sottosoglia, prevalevano sulla depressione maggiore (rispettivamente 24%, 14% e 13% del tempo trascorso in malattia) (Judd et al., 2003).

Il disturbo bipolare di tipo II è poco studiato, sia per la relativa mancanza di omogeneità della diagnosi, sia perchè nella maggior parte degli studi non viene differenziato dal tipo I. Abitualmente si fa riferimento ai dati relativi a quest’ultimo per quanto riguarda l'età e la polarità di esordio, il numero degli episodi, la frequenza delle recidive e le

caratteristiche del ciclo. I pochi studi in cui le due forme sono state

analizzate separatamente hanno fornito risultati contrastanti. In alcuni non sono state rilevate differenze significative circa l’età di esordio, la gravità dei sintomi depressivi, i tentativi di suicidio, il numero totale di episodi, la lunghezza dei cicli e la prognosi. In altri i pazienti con disturbo bipolare II, rispetto a quelli con disturbo bipolare I, mostravano una prevalenza del sesso femminile, un’insorgenza più tardiva (30-50 anni), un maggior numero di episodi depressivi, ipomaniacali e totali, una più breve durata degli episodi, un minor numero di ricoveri, una più frequente stagionalità delle recidive (Vieta et al., 1997). Più alti risultavano inoltre il rischio di rapida ciclicità e la comorbidità con disturbi d’ansia, abuso di alcol o droghe e disturbi di personalità. La possibilità di un’evoluzione cronica, talvolta segnalata, sembra correlata più che al disturbo bipolare II di per sé, alla presenza di comorbidità.

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La Terapia Elettroconvulsivante

La Terapia Elettroconvulsivante (TEC) consiste nell’induzione di una crisi convulsiva mediante l’impiego di uno stimolo elettrico, mentre il paziente è sotto anestesia generale con rilasciamento muscolare. Nonostante la sua efficacia sia documentata da numerosi studi condotti con metodologie di ricerca sufficientemente rigorose, continua ad essere uno dei trattamenti più controversi utilizzati in medicina, tale da accendere polemiche senza fine (Potter and Rudorfer, 1993; Scott, 2010).

La TEC nacque a Roma nel 1938 grazie all’intuizione degli psichiatri Ugo Cerletti e Lucio Bini, che idearono e perfezionarono una nuova tecnica di induzione delle crisi convulsive mediante l’impiego di uno stimolo elettrico, in sostituzione del cardiazol. Il primo paziente trattato, un operaio di Milano, ha presentato un marcato miglioramento della sintomatologia fin dalla prima seduta, con una remissione completa dopo 11 trattamenti e ha mantenuto un buon equilibrio timico per oltre 1 anno (Passione, 2007; Shorter and Healy, 2007). La nuova procedura appena presentata alla comunità scientifica internazionale ebbe un successo immediato e l’apparecchiatura per la somministrazione del trattamento fu in breve tempo acquistata da ospedali psichiatrici e cliniche universitarie e case di cura di tutta Europa e quindi di ogni parte del mondo.

La TEC fu inizialmente impiegata nel trattamento di gravi disturbi mentali; tuttavia la sostanziale mancanza di valide alternative terapeutiche ne favorì un uso indiscriminato e spesso inappropriato;

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questo ha fortemente contribuito alla cattiva fama del trattamento e al numero crescente di oppositori, in particolare nel nostro paese (Kemali and Maj, 1985).

A partire dagli anni Cinquanta, con il perfezionamento delle tecniche anestesiologiche e con l’impiego della succinilcolina si è ottenuta una riduzione degli effetti collaterali più gravi e soprattutto è stato in parte eliminato il trauma emotivo associato al trattamento(Holmberg and Thesleff, 1952). Più recentemente, il monitoraggio dei parametri cardiorespiratori mediante la registrazione ECG-grafica e l’impiego del pulsossimetro hanno ulteriormente contribuito alla riduzione del rischio di mortalità, stimato di 1 ogni 80.000 trattamenti, che equivale a quella dell’anestesia generale . Inoltre, con le nuove apparecchiature, a corrente costante e ad impulso breve, gli effetti collaterali sulla sfera cognitiva risultano fortemente ridotti.

Indicazioni ed efficacia

In Italia, così come in altri Paesi europei, la TEC viene impiegata come trattamento di prima scelta solo in particolari condizioni, come nei pazienti in stato di arresto psicomotorio o catatonici e in quelli con elevato rischio autolesivo, mentre la sua indicazione è largamente estesa nei casi di farmacoresistenza e/o di intolleranza ai trattamenti farmacologici.

La decisione di praticare la TEC deve essere presa dopo un’attenta valutazione della diagnosi e delle caratteristiche sintomatologiche. L’équipe medica valuterà la risposta alle terapie precedenti, il rapporto rischio/beneficio tra la TEC e gli altri trattamenti disponibili e, non ultimo, la preferenza del paziente.

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In accordo con le linee-guida internazionali, il trattamento con la TEC è indicato nella depressione, nelle fasi maniacali e nei disturbi psicotici dello spettro schizofrenico (American et al., 2001; Royal et al., 2013); altre indicazioni sono rappresentate dalla sindrome catatonica e dalla sua variante rappresentata dalla sindrome maligna da neurolettici. In questi disturbi la sua efficacia è ampiamente dimostrata e documentata da numerosi studi condotti con adeguate metodologie scientifiche.

La TEC, inizialmente ritenuta efficace nella schizofrenia, ha trovato la sua più specifica indicazione nel trattamento della depressione, per la quale è stata, per molti anni, l’unico trattamento disponibile, con percentuali di risposta comprese tra l’80% e il 90% (American et al., 2001).

A partire dagli anni Settanta, con la diffusione degli antidepressivi triciclici e più recentemente con lo sviluppo dei serotoninergici, si è assistito a una graduale riduzione del suo impiego come trattamento di prima scelta. La TEC viene utilizzata soprattutto nei pazienti con depressione resistente, che non hanno risposto a due o più trattamenti con antidepressivi appartenenti a classi diverse, assunti a dosaggi e per tempi adeguati. Sebbene la percentuale di risposta alla TEC sia, in alcuni casi, inferiore a quella osservata nei pazienti non farmacoresistenti, questo trattamento risulta superiore a qualsiasi altro strumento terapeutico oggi disponibile dando risposte comprese tra il 50% e l’80%. (Kellner et al., 2012; UkEctReviewGroup, 2003).

Nel trattamento della depressione nell’anziano questa terapia riveste un ruolo di primo piano: in questi pazienti, infatti, la scarsa tolleranza agli antidepressivi e la contemporanea presenza di patologie somatiche limitano le opzioni farmacologiche. I pazienti anziani trattati con la TEC presentano una prognosi migliore rispetto ai pazienti di età inferiore

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(Tew et al., 1999).

La caratteristiche cliniche predittive di risposta alla TEC restano ancora incerte e i dati della letteratura sull’argomento sono contrastanti. La presenza di rallentamento psicomotorio, di sintomi psicotici, storicamente considerati predittori di risposta, non sono correlati in maniera univoca a una migliore risposta alla TEC, così come la farmacoresistenza a una prognosi sfavorevole (Prudic et al., 1990; Rasmussen et al., 2009). Mentre è stato confermato da diversi Autori che, in presenza di episodi depressivi di lunga durata, si osserva una riduzione della risposta alla TEC (Dombrovski et al., 2005; Kho et al., 2005; Perugi et al., 2012).

La TEC viene solitamente utilizzata nella terapia della mania come trattamento di seconda scelta e solo quando il paziente non ha risposto a un adeguato trattamento con sali di litio, neurolettici e anticonvulsivanti (Hiremani et al., 2008; Mukherjee et al., 1994). È impiegata come trattamento di prima scelta nella mania confusa (Fink, 1999) e nei pazienti bipolari con decorso a rapida ciclicità, nei quali la risposta ai trattamenti farmacologici è stata modesta (Kho, 2002; Minnai et al., 2011). Le caratteristiche sintomatologiche della mania, predittive di una buona risposta ai sali di litio, quali euforia, grandiosità e sintomi psicotici congrui, sono indicative anche di una buona risposta alla TEC, mentre la presenza di irritabilità e sospettosità si associa generalmente a una minore risposta (Schnur et al., 1992).

La TEC è efficace nel trattamento della fase mista del disturbo bipolare con percentuali di risposta intorno al 70% (Medda et al., 2015; Valentı´M and Molina O, 2008). In queste forme, per la presenza di sintomi psicotici, di scarsa risposta ai trattamenti farmacologici ed elevato rischio autolesivo, la TEC rappresenta un trattamento di prima

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scelta.

La TEC in combinazione con gli AP può essere impiegata nei disturbi dello spettro schizofrenico resistenti ai trattamenti farmacologici. (Fink and Sackeim, 1996). In un campione di pazienti schizofrenici resistenti alla clozapina, la somministrazione della TEC in add-on con la clozapina, è risultata particolarmente efficace mostrando percetuali di risposta intorno al 50% (Petrides et al., 2015). Tuttavia, dai dati della letteratura non sembra che la TEC abbia una specifica azione sui deliri e le allucinazioni. Di conseguenza, il miglioramento clinico riportato in tutti questi studi è non necessariamente attribuibile ad una riduzione della gravità dei sintomi psicotici ma questo può essere attribuibile al miglioramento del tono dell’umore, dell’agitazione o del rallentamento psicomotorio, rispetto al nucleo psicotico (Sommer et al., 2012).

La presenza, nel quadro schizofrenico, di sintomatologia affettiva o catatonica è una forte indicazione di una risposta positiva alla TEC (Pompili et al., 2013). I pazienti con esordio improvviso ed episodi di breve durata presentano una risposta migliore rispetto a quelli con episodi di lunga durata e senza periodi di remissione (Pawelczyk et al., 2014; Pompili et al., 2013).

La catatonia e i sintomi catatonici solitamente costituiscono un’altra condizione in cui la TEC rappresenta un trattamento d’elezione e salvavita (Zisselman and Jaffe, 2010), in particolare nelle forme di catatonia maligna resistente al lorazepam (Fink, 2010, 2013) .

La TEC è inoltre utilizzata con successo nel trattamento delle fasi depressive nei pazienti con Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC); l’osservazione clinica di un miglioramento, oltre che del tono dell’umore, dei sintomi ossessivi ha portato alcuni Autori a suggerire l’impiego della TEC nel trattamento delle gravi forme di DOC resistente

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ai trattamenti(Hanisch et al., 2009; Strassnig et al., 2004), tuttavia i dati più recenti della letteratura non sembrano confermare l’ efficacia della TEC sui sintomi ossessivi (Fontenelle et al., 2015; Lins-Martins et al., 2015).

Controindicazioni

Non vi sono controindicazioni assolute all’impiego della TEC. In ogni paziente deve essere valutato il rapporto rischio/beneficio e tale valutazione deve essere compiuta sia dallo psichiatra, cui spetta il compito di considerare la gravità e la durata del disturbo psichiatrico e le probabilità di miglioramento con un ciclo di TEC, sia dall’internista, che deve prendere in esame le condizioni generali del soggetto per verificare che non vi siano condizioni di rischio per la salute e per la vita del paziente.

Tuttavia, prima di iniziare il ciclo di TEC, deve essere attentamente indagata ed esclusa la presenza di patologie a carico degli apparati cardiovascolare, respiratorio e dell’SNC che determina un incremento del rischio (Tess and Smetana, 2009) .

In primo piano ci sono l’infarto del miocardio recente, la grave insufficienza coronarica e lo scompenso cardiaco. L’insufficienza cardiaca e i disturbi del ritmo, se adeguatamente trattati, non comportano particolari rischi con la TEC.

Costituiscono condizioni di aumentato rischio anche le patologie dell’SNC associate a un aumento della pressione endocranica, come i tumori cerebrali o altre lesioni cerebrali occupanti spazio. In presenza di queste patologie, l’ulteriore aumento della pressione endocranica indotto dalla TEC potrebbe provocare erniazioni di parti dell’encefalo. Sono

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potenzialmente rischiose anche le malformazioni vascolari cerebrali, che possono andare incontro a rottura in seguito all’aumento della pressione arteriosa indotto dalla TEC. I pazienti con infarto cerebrale recente presentano un più elevato rischio di complicanze in considerazione delle importanti modificazioni emodinamiche indotte da questo trattamento. Le affezioni respiratorie acute o croniche devono essere attentamente valutate dal punto di vista anestesiologico perché possono rendere difficoltose le operazioni di ventilazione durante e dopo la TEC. Nel caso di pazienti epilettici può essere sufficiente una maggiore cautela e una maggiore copertura con anticomiziali per mettere al riparo il paziente da crisi epilettiche o, per quanto eccezionale, da uno stato di male epilettico. La gravidanza non rappresenta una controindicazione assoluta per la TEC, che anzi deve essere preferita almeno nel corso dei primi tre mesi ai trattamenti farmacologici. Le fratture, e anche lo schiacciamento di corpi vertebrali, richiedono una più completa curarizzazione del paziente.

Nei casi in cui, nonostante la presenza di condizioni che aumentano il rischio, la TEC rappresenta l’unica via percorribile o comunque la più indicata, si porrà una cura ancora maggiore sia nella preparazione del paziente (visita anestesiologica, esami clinici e strumentali) che nell’esecuzione; e si predisporranno, oltre a quelli di routine, presidi (farmacologici e strumentali) specifici per le possibili emergenze legate ai problemi del paziente (Medda et al., 2011).

Meccanismo d’azione

Gli effetti terapeutici della TEC sono dovuti alle molteplici azioni a livello neurochimico e neurofisiologico indotte dal trattamento a livello

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del SNC. Al momento, non è ancora stato identificato uno specifico meccanismo responsabile dell’azione terapeutica, ma è probabile che sia proprio la molteplicità di azioni a rendere questo trattamento particolarmente efficace.

Numerose osservazioni indicano che la TEC ha un’importante azione sulla trasmissione monoaminergica alla quale sarebbero attribuibili, almeno in parte, gli effetti terapeutici del trattamento. La TEC così come la somministrazione cronica di antidepressivi, determina una down regulation dei recettori β-adrenergici, aumenta il turnover della NA e della sensibilità dei recettori α1 adrenergici e determina una riduzione dei recettori α2 pre-sinaptici: tutto questo porterebbe a una facilitazione della trasmissione noradrenergica (Werstiuk et al., 1996). La TEC influenzerebbe anche la trasmissione serotoninergica con effetti sui recettori pre- e post- sinaptici, effetti che sono tuttavia controversi e che potrebbero variare nelle diverse aree cerebrali. La TEC determina inoltre un incremento della trasmissione dopaminergica e recentemente è stata osservata una riduzione del binding dei recettori D2 a livello della circonvoluzione del cingolo (Saijo et al., 2010).

Secondo altri autori, l’efficacia del trattamento, è da attribuire all’induzione di una crisi epilettica generalizzata, con il reclutamento dei neuroni delle strutture centroencefaliche (ipotalamo, gangli della base e talamo) (Abrams and Taylor, 1976). La TEC ha un effetto anticonvulsivante che si manifesta dopo la fine della crisi, con la comparsa di un periodo refrattario durante il quale non è possibile indurre una nuova convulsione e, nel corso del trattamento, con un progressivo incremento della soglia convulsivante e una riduzione della durata della crisi. La correlazione tra entità dell’aumento della soglia convulsivante e risposta clinica, ha fatto ipotizzare alcuni autori

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(Sackeim, 1994) che tale effetto sia coinvolto nel meccanismo d’azione. Dopo un ciclo di TEC è stato registrato un incremento del GABA, principale neurotrasmettitore inibitore, in diverse regioni del SNC e in particolare a livello occipitale, come si osserva durante il trattamento con SSRI (Sanacora et al., 2003).

Dagli studi di brain imaging funzionale è emerso che durante la TEC si osserva un incremento del flusso ematico cerebrale in particolare nei gangli della base, nel midollo allungato, nel diencefalo, nell’amigdala e nella corteccia frontale, parietale e temporale. Mentre, subito dopo il trattamento, il flusso ematico aumenta nel talamo, e diminuisce nella corteccia del cingolo, nella corteccia frontale mediale (Takano et al., 2007). Questi Autori hanno ipotizzato che queste ultime strutture cerebrali siano coinvolte nel meccanismo d’azione della TEC mentre le prime siano responsabili della generalizzazione della crisi epilettica. Le ricerche degli ultimi anni suggeriscono il coinvolgimento del BDNF (Brain-Derived Neutrophic Factor) nell’eziopatogenesi dei disturbi dell’umore e nel meccanismo d’azione dei farmaci impiegati nella terapia di questi disturbi (Post, 2007). Alcuni Autori hanno posto in relazione l’insorgenza dell’episodio depressivo a un deficit della neurogenesi ippocampale nell’adulto (Bolwig and Madsen, 2007). Questi effetti sembrano secondari alla riduzione dei fattori neurotrofici e della neurogenesi durante la fase depressiva (Sheline et al., 2003). L’osservazione dell’incremento dei livelli di BDNF in pazienti depressi trattati con TEC (Bocchio-Chiavetto et al., 2006; Piccinni et al., 2009) ha fatto ipotizzare che la TEC possa esercitare un’azione antidepressiva stimolando la neurogenesi.

Secondo Michael (Michael, 2009) il meccanismo d’azione della TEC è strettamente correlato alle sue molteplici azioni a diversi livelli del SNC;

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essa infatti agisce dal livello molecolare e di trasmissione del segnale, fino a livello di aree cerebrali, sistemi funzionali e di connessione interemisferica. Il processo terapeutico viene attivato dall’insorgenza della crisi epilettica, mediata dall’acido glutammico, che produce una fase di ipereccitabilità neuronale con interruzione della normale attività cerebrale. Dopo si osserva uno stato di inibizione, mediata dal GABA, con soppressione dell’attività neuronale che viene interrotta grazie ad una reazione omeostatica di ripresa funzionale tale da indurre una

graduale ripresa del ritmo EEG-grafico e il recupero dello stato di coscienza. Questa capacità di ripristino dell’equilibrio funzionale, rappresenta una caratteristica tipica dei sistemi biologici complessi, e, per alcuni aspetti, ha un meccanismo d’azione simile a quanto avviene con l’impiego del defibrillatore che riconverte un’aritmia cardiaca in ritmo sinusale. Pertanto, l’autore ha ipotizzato che l’effetto terapeutico della TEC, più che alla crisi convulsiva in se stessa, sia strettamente legato alle modificazioni neurochimiche e funzionali associate al meccanismo omeostatico che induce la ripresa dell’attività neuronale. Questo processo si attiva dopo ogni seduta, alla fine della crisi epilettica, e si ripete per tutta la durata del ciclo di TEC (Michael, 2009).

Rischi ed effetti collaterali

Nonostante la natura invasiva della procedura, la TEC ha un tasso di mortalità stimato intorno a 1/10.000 pazienti trattati, o 1/80.000 trattamenti, inferiore a quello dell’anestesia generale (American et al., 2001). L’insorgenza di complicanze cardiovascolari, quali arresto cardiaco, aritmie, ischemie e crisi ipertensive è associata a un’elevata mortalità. La loro insorgenza è più frequente subito dopo la fine della

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crisi epilettica e sono più comuni nei pazienti con patologie cardiache preesistenti. Altri possibili effetti collaterali sono rappresentati da crisi epilettiche prolungate e da stato di male epilettico. Si parla di crisi epilettiche prolungate quando la crisi comiziale ha una durata maggiore di tre minuti. Nello stato di male epilettico, la crisi comiziale ha una durata superiore a 30 minuti o si manifestano due o più crisi senza che nella fase intervallare ci sia recupero di coscienza. Quest’ultima evenienza può presentarsi specialmente in pazienti con condizioni mediche generali che abbassano la soglia convulsiva o che interferiscono con la fine della crisi; incluso l’uso di teofillina e di sali di litio. L’apnea prolungata rappresenta un evento abbastanza raro che si manifesta nei pazienti con rallentato metabolismo della succinilcolina. In questi casi è necessario mantenere un’adeguata ossigenazione del paziente fino alla ripresa della respirazione spontanea, che di solito avviene dopo circa 20-40 minuti.

Nella fase post-ictale, i pazienti sperimentano un breve periodo di disorientamento con peggioramento delle capacità attentive, prassiche e mnesiche. Alcuni pazienti possono sviluppare una fase confusionale, chiamata delirium post-ictale, caratterizzata da agitazione motoria, disorientamento e mancata risposta ai comandi.

Questo stato regredisce dopo 5-45 minuti, e solitamente il paziente non ricorda quanto accaduto. La comparsa di disturbi della memoria rappresenta uno degli effetti collaterali più temuto da parte dei pazienti e dei loro familiari e spesso limita l’impiego della TEC. La TEC determina un’amnesia anterograda e retrograda. L’amnesia anterograda è caratterizzata dalla difficoltà a ricordare le nuove informazioni. L’estensione e la persistenza di questo disturbo variano da paziente a paziente. I pazienti, prima della dimissione devono essere informati della

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possibilità di insorgenza di questo effetto collaterale e, finché l’amnesia anterograda non sia completamente risolta non dovrebbero riprendere il lavoro né prendere decisioni importanti relative alla sfera privata e/o finanziarie. Una volta terminato il ciclo di TEC l’amnesia anterograda si risolve e scompare dopo qualche settimana (Weiner et al., 1986) solitamente la TEC non induce una compromissione persistente delle capacità di acquisire e mantenere nuove informazioni (O'Connor et al., 2008).

Un altro effetto collaterale è rappresentato dall’amnesia retrograda che si manifesta con difficoltà nel ricordare eventi personali (autobiografici) e pubblici accaduti prima del ciclo di TEC ed è solitamente maggiore per gli avvenimenti che si sono verificati subito prima l’inizio delle sedute (Fraser et al., 2008; Semkovska and McLoughlin, 2010). L’entità dell’amnesia è più marcata subito dopo il trattamento: alcuni giorni dopo la fine del ciclo di TEC, la memoria per gli avvenimenti del passato remoto è di solito conservata, mentre permane una difficoltà a ricordare gli avvenimenti che sono accaduti alcuni mesi prima della TEC. L’amnesia retrograda non è solitamente completa ma piuttosto i pazienti riferiscono di avere dei vuoti nei loro ricordi degli avvenimenti autobiografici e pubblici.

Solitamente tanto più ci si allontana dal ciclo di TEC tanto più l’entità e l’estensione della amnesia retrograda si riduce e gli avvenimenti più remoti hanno maggiori probabilità di essere ricordati. Il recupero di questi deficit avviene più lentamente rispetto alla risoluzione dell’amnesia anterograda (Keller, 2012) .

I parametri utilizzati nella somministrazione della TEC possono influenzare le caratteristiche dell’entità dei deficit cognitivi, in particolare: la forma dell’onda di stimolo, il posizionamento degli

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elettrodi, l’intensità dello stimolo, l’intervallo temporale tra le applicazioni, il numero dei trattamenti e i farmaci associati.

I deficit cognitivi variano considerevolmente tra i pazienti, sono maggiori nei pazienti di età avanzata, nel sesso femminile e con basso livello di funzionamento intellettivo premorboso (Sackeim et al., 2007); inoltre i pazienti con sofferenza vascolare cerebrale o disturbi neurologici hanno un rischio maggiore di sviluppare delirium e deficit mnesici. Una piccola percentuale di pazienti durante il ciclo di TEC può presentare un viraggio maniacale/ipomaniacale. In questo caso si possono seguire due differenti strategie: la prosecuzione del ciclo fino alla remissione dei sintomi maniacali e depressivi; oppure l’interruzione del ciclo, trattando la sintomatologia maniacale con sali di litio e/o altri stabilizzanti dell’umore.

Effetti collaterali minori sono cefalea, nausea e dolori muscolari. La cefalea è correlata alle contrazioni dei muscoli massetere e temporale e alle modificazioni emodinamiche indotte dall’applicazione; è un fenomeno transitorio e risponde al trattamento con aspirina o FANS. I dolori muscolari, che sono tra i più frequenti effetti collaterali, sono secondari alle fascicolazioni muscolari indotte dalla succinilcolina e possono essere eliminati mediante un adeguamento della dose di quest’ultima; anch’essi rispondono al trattamento con analgesici.

La TEC nella Depressione Bipolare

L’efficacia della TEC nel trattamento delle forme depressive resistenti è documentato da numerosi studi clinici, condotti con rigorose

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metodologie di ricerca (UkEctReviewGroup, 2003). La maggior parte di questi studi, tuttavia, è stata condotta su pazienti unipolari mentre la sua efficacia nella depressione bipolare I e II è stata meno estensivamente studiata.

I dati della letteratura disponibili comprendono studi di confronto con la terapia farmacologica, studi comparativi con la depressione unipolare, stati misti e mania.

Per quanto riguarda l’efficacia rispetto ai farmaci antidepressivi nel trattamento della depressione bipolare, dai dati della letteratura degli ultimi 30 anni, emerge che la TEC ha un efficacia superiore rispetto agli antidepressivi (Homan e coll 1982: 23% vs12,5%; Black e coll, 1987. 69% vs 47%) (Black et al., 1987; Homan et al., 1982). Altri autori, (Dinan and Barry, 1989), in un campione di 30 pazienti depressi resistenti alla terapia con triciclici, hanno osservato che la TEC ha un efficacia sovrapponibile a quella dei sali di litio, ma questi ultimi hanno una maggiore rapidità d’azione. Recentemente, un gruppo di ricerca Norvegese, ha pubblicato, il primo e unico studio randomizzato e controllato, che confronta l’efficacia della TEC e della terapia farmacologica nella depressione bipolare (Schoeyen et al., 2015). Gli autori hanno osservato in fase acuta che la TEC è più efficace del trattamento farmacologico. Il campione era costituito da 73 pazienti con disturbo bipolare di tipo I o II, in fase depressiva resistenti al trattamento. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale alla TEC o trattamento farmacologico. Il ciclo di TEC comprendeva tre sessioni a settimana fino a 6 settimane, con il posizionamento unilaterale destro e la stimolazione degli impulsi brevi. La Resistenza al trattamento era definita in caso di una mancanza di risposta a due trial con antidepressivi e/o stabilizzatori dell'umore con documentata efficacia nella depressione

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bipolare (litio, lamotrigina, quetiapina, olanzapina) in dosi adeguate per almeno 6 settimane. La Risposta è definita come una diminuzione del punteggio della MADRS di almeno il 50% rispetto al basale, mentre la Remissione si raggiunge con un punteggio della MADRS inferiore o uguale a 12. La percentuale di risposta è stata significativamente più alta nel gruppo TEC rispetto al gruppo che ha ricevuto il trattamento farmacologico (73,9% contro 35,0%), mentre il tasso di remissione completa non differiva tra i due gruppi (34,8%vs 30,0%).

Secondo alcuni autori non vi sono differenze di efficacia della TEC nella depressione unipolare e bipolare. (Abrams and Taylor, 1974; Black et al., 1986; Grunhaus et al., 2002).

Abrams e coll. (Abrams and Taylor, 1974) hanno valutato un campione costituito da 43 pazienti (28 depressi unipolari e 15 depressi bipolari) in fase depressiva trattati con TEC. Il gruppo dei bipolari presenta una minore età di esordio e una maggiore durata di malattia mentre il numero di precedenti episodi di malattia è sovrapponibile nei due gruppi. Non sono state rilevate differenze tra i due gruppi nei punteggi medi della Hamilton, al baseline e dopo il ciclo di applicazioni. Alla fine del ciclo si osserva una risposta alla TEC del 62.8% nei pazienti bipolari e del 58.2% negli unipolari.

Black e coll. (Black et al., 1986), in uno studio retrospettivo, hanno confrontato la risposta alla TEC tra un gruppo di pazienti depressi unipolari (368) e un gruppo di depressi bipolari (55). I pazienti depressi unipolari e bipolari ricevono lo stesso numero di trattamenti (in media 9 ± 0.1 applicazioni) e l’efficacia della TEC è sovrapponibile nei due gruppi (con percentuali di risposta rispettivamente del 70% e del 69%). Questi dati sono stati confermati recentemente da Bailine et al. (Bailine et al., 2010). Gli autori hanno osservato la risposta alla TEC in un

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campione di 220 pazienti con diagnosi di depressione maggiore (170 unipolari e 50 bipolari), non registrando differenze statisticamente significative tra i due gruppi nelle percentuali di risposta (78.8% UP vs 80% BP) e di remissione (61,2% UP vs 64% BP). Inoltre nei pazienti bipolari non è stato osservato un incremento del rischio di viraggio espansivo durante la somministrazione della TEC.

Altri autori (Homan et al., 1982) hanno osservato una migliore risposta alla TEC nei pazienti con depressione unipolare rispetto alla depressione bipolare. In questo studio retrospettivo sono stati reclutati 318 pazienti (25% bipolari e il 75% unipolari) ricoverati per episodio depressivo e trattati con: Antidepressivi (AD), TEC in associazione ad antidepressivo, TEC, Litio, e un gruppo di controllo con placebo. I pazienti trattati con TEC, sia bipolari che unipolari, mostrano una percentuale di risposta (“marcato miglioramento” alla CGI) superiore rispetto al gruppo trattato con AD (38%, VS 12%). I pazienti bipolari a cui è stata somministrata la TEC, o TEC + AD, hanno mostrato percentuali di risposta inferiori (22%), rispetto agli unipolari (40%); invece coloro che sono stati trattati con il solo AD non hanno mostrato differenze di risposta tra i 2 gruppi. Inoltre, nei 6 mesi successivi, i pazienti trattati con TEC, sia unipolari che bipolari, hanno mostrato una minore percentuale di ricoveri ( 11% TEC; 17% AD) rispetto agli altri gruppi.

Questi dati sono in linea con quanto osservato da Medda et al. (Medda et al., 2009)che hanno confrontato la risposta alla TEC in un campione di 130 pazienti con depressione unipolare (17), bipolare II (67) e bipolare I (46). Tutti i pazienti hanno mostrato un significativo miglioramento dopo il ciclo di TEC, con percentuali di risposta (CGI<2) pari al 94.1% nei pazienti unipolari, 79.1% nei pazienti bipolari II e 67.4% nei pazienti bipolari I. I pazienti unipolari hanno mostrato tuttavia tassi di remissione

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(HAM-D < 8) significativamente superiori (70.6%) rispetto ai bipolari II (43.3%) e ai bipolari I (34.8%). I pazienti bipolari I presentavano inoltre, alla fine del ciclo TEC, punteggi significativamente più alti alla YMRS e alla BPRS psycothic cluster rispetto ai bipolari II e agli unipolari. Hallam et al. (Hallam et al., 2009)hanno confrontato la risposta alla TEC in un gruppo di pazienti con depressione bipolare e unipolare utilizzando scale di valutazione in eterosomministrazione e autosomministrazione. Non ci sono differenze significative nel numero di sedute di TEC tra i 2 gruppi. Alla fine del ciclo TEC, sia i pazienti bipolari che unipolari mostrano un significativo miglioramento oggettivo nella sintomatologia. I pazienti con depressione unipolare mostrano tuttavia percentuali di risposta superiori rispetto ai bipolari se si utilizzano misure di valutazione soggettiva.

Alcuni autori hanno osservato che i pazienti bipolari presentano una risposta più rapida alla TEC rispetto agli unipolari.

In un studio retrospettivo degli anni ‘70, Perris e D’Elia (Perris and d'Elia, 1966)hanno osservato una più veloce risposta nei pazienti bipolari.

Sackeim et al. (Sackeim and Prudic, 2005), confrontando l’efficacia della TEC in un campione di pazienti con depressione unipolare e bipolare, hanno osservato che i pazienti bipolari ricevono un numero minore di applicazioni rispetto agli unipolari ( UP: 7,2 ± 2.5 vs BP: 6,2 ± 2.3, p = 0.03), mentre non sono emerse differenze nella risposta e/o remissione ( UP: 64,2% vs BP: 68,5%, P = 0.54) tra i due gruppi.

Questi risultati sono stati confermati da Daly et al. (Daly et al., 2001) che hanno evidenziato un miglioramento della sintomatologia più rapido nei pazienti bipolari rispetto agli unipolari. Confrontando la variazione dei punteggi della HAM-D tra i due gruppi durante le prime 8 applicazioni,

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si osserva che i bipolari mostrano punteggi inferiori alla HAM-D dopo la 1° e la 5° applicazione, e queste differenze sono statisticamente significative dopo la 4°, la 6°, la 7° e l’8° seduta. Tuttavia alla fine del ciclo di TEC non emergono differenze nella risposta tra i due gruppi. Questi dati evidenziano che durante il ciclo di TEC si osserva un miglioramento clinico più rapido nei bipolari rispetto agli unipolari, indipendentemente dalla risposta finale.

In uno studio di Sienaert et al. (Sienaert et al., 2009a) sono stati reclutati 64 pazienti trattati con TEC con diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore al DSM-IV, sia di tipo bipolare (N = 13) che unipolare (N = 51), con o senza sintomi psicotici. I due gruppi non differiscono per età, sesso, pregressa somministrazione di TEC, presenza di sintomi psicotici; i pazienti bipolari mostrano un più alto numero di ricoveri, rispettivamente 5,23 + 3,00 vs 3,39 + 2,79. Le percentuali di risposta sono equivalenti nei due gruppi (84,62% nei bipolari e 76,47% negli unipolari) mentre i pazienti bipolari necessitano di un numero inferiore di trattamenti rispetto agli unipolari (6.9 ± 3.05 VS 9.5 ± 3.84). Quindi questi dati, in linea con quanto affermato da Daly et al., confermano che i pazienti bipolari non differiscono nella risposta alla TEC, tuttavia mostrano una risposta più rapida rispetto agli unipolari.

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questa tesi è la presentazione e la discussione dei dati relativi alla risposta alla TEC, in un campione di pazienti farmacoresistenti con diagnosi di Depressione bipolare (Bipolari I e Bipolari II). Si tratta di uno studio osservazionale condotto presso la Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Pisa. In base alla risposta alla TEC il campione è stato suddiviso in tre gruppi: Non Responders, Responders e Remitters. Sono state confrontate le differenze delle caratteristiche demografiche, cliniche e sintomatologiche nei tre gruppi.

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MATERIALI E METODI

1)Caratteristiche dei pazienti

Lo studio include 295 pazienti bipolari con sintomatologia depressiva resistente alla terapia farmacologica, che hanno effettuato la TEC tra Dicembre 2008 e Luglio 2011 nel Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Pisa. Tutti i pazienti hanno compiuto 18 anni e rispondono ai criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, quarta edizione (DSM-IV) per un Episodio Depressivo Maggiore associato ad un Disturbo Bipolare I ( N = 134; 45.4%) o Bipolare II ( N = 161; 54.6%). Le diagnosi sono state fatte da 2 medici psichiatri e confermate mediante la somministrazione di M.I.N.I. (Mini International Neuropsychiatric Interview – versione italiana 5.01) (Sheehan et al., 1998) in accordo ai criteri del DSM-IV. Tutti i soggetti partecipanti hanno fornito il consenso informato scritto per effettuare la TEC e per partecipare allo studio e sono non–responders al trattamento farmacologico. Per la depressione bipolare la resistenza farmacologica è valutata come la mancata risposta a 2 trial terapeutici per almeno 8 settimane che consistono di un protocollo con stabilizzante dell’umore associato ad un antidepressivo triciclico e un secondo protocollo con stabilizzante dell’umore associato ad un SSRI. Nella depressione psicotica resistente esiste un criterio aggiuntivo, la somministrazione concomitante di un farmaco antipsicotico al dosaggio equivalente di almeno 300 mg/die di cloropromazina.

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baseline) e 1 settimana dopo la fine del ciclo di applicazioni (punteggi finali) utilizzando la Hamilton Rating Scale for Depression (HAM – D) (Hamilton, 1960) per la valutazione della gravità dell’episodio depressivo, la Young Mania Rating Scale (YMRS) (Young et al., 1978) per la valutazione della gravità della sintomatologia espansiva, la Brief Psychiatric rating Scale (BPRS) (Ventura et al., 1998)per la valutazione della psicopatologia generale e la Clinical Global Improvement (CGI)(Guy, 1976) per la valutazione del miglioramento.

La decisione di sospendere il ciclo di applicazioni di TEC è stabilita dal medico che ha in cura il paziente e non è a conoscenza delle valutazioni diagnostiche e sintomatologiche.

Sulla base della CGI-I, sono stati definiti Remitters al ciclo di TEC i pazienti con punteggio uguale a 1 (“marcato miglioramento”),

Responders con un punteggio uguale o inferiore a 2 (“moderato

miglioramento”) mentre Non Responders tutti gli altri.

2) Procedura della TEC

Prima di iniziare il ciclo di TEC, i pazienti vengono sottoposti alle seguenti valutazioni:

• Valutazione medica: raccolta di una anamnesi generale con esame obiettivo, esami ematochimici comprendenti pseudocolinesterasi e numero di Dibucaina, ECG con visita cardiologica ed eventualmente ecocardiogramma.

• Rx torace che viene effettuato dai pazienti affetti da patologie cardiovascolari, polmonari e forti fumatori (> di 20 sigarette/die).

• Qualora non fosse stato effettuato in precedenza, i pazienti vengono sottoposti ad esame neuroradiologico con TC o RMN encefalo ( con o

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senza mezzo di contrasto).

Non vengono sottoposti a TEC i pazienti affetti da patologie organiche quali: malattie cardiovascolari (infarto del miocardio recente, angina, scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa non trattata), aneurismi o malformazioni vascolari, tumori cerebrali o altre lesioni cerebrali occupanti spazio, infarto cerebrale recente, patologie polmonari (gravi broncopneumopatie croniche ostruttive, polmonite), gravi patologie dell’apparato osteoarticolare, epilessia, distacco retinico.

• Valutazione anestesiologica: è indagata la presenza di una anamnesi positiva di intolleranza all’anestesia, di reflusso gastro-esofageo, la presenza di trattamenti farmacologici in atto, e la presenza di forme allergiche.

Di particolare importanza sono i valori di numero di dibucaina e pseudocolinesterasi perché un loro deficit può rallentare il metabolismo della succinilcolina con conseguente incremento della fase di apnea respiratoria.

Nella fase di preanestesia si somministra un farmaco anticolinergico vagolitico (atropina solfato), 30-45 minuti prima di eseguire la TEC, alla dose di 0,02 mg/Kg per via i.m. Per l’induzione dell’anestesia si utilizza il tiopentale sodico, alla dose di 3-4 mg/Kg, e il rilassamento muscolare viene ottenuto con la succinilcolina, alla dose di 0,5-1 mg/Kg.

Dopo aver raggiunto una narcosi profonda con completo rilassamento muscolare si procede alla ossigenazione del paziente mediante ossigeno puro con maschera facciale a R.P.P.I.

All'interno della cavità orale viene applicato un Byte per la protezione delle arcate dentarie durante la convulsione, e dopo circa due minuti viene praticata la TEC.

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(Mecta Corporation, Lake Oswego, USA), capace di generare stimoli ad onda quadra bidirezionale.

Per realizzare un contatto elettrico adeguato con il cuoio capelluto si applica uno strato di gel elettroconduttivo sulla superficie degli elettrodi. La TEC viene somministrata secondo la tecnica bilaterale, posizionando gli elettrodi su entrambi i lati della testa nella zona fronto-temporale, con il punto centrale dell’elettrodo localizzato 3-4 cm al di sopra del punto mediano della linea che collega il meato acustico esterno all’angolo palpebrale esterno. La quantità di energia necessaria ad indurre la convulsione viene calcolata con il metodo dell’età (Petrides and Fink, 1996).

La crisi è considerata adeguata se la durata della convulsione registrata con EEG è superiore a 25 secondi e/o e quella motoria è maggiore di 20 secondi. Nel caso di durata inferiore della convulsione motoria lo stimolo all’applicazione successiva verrà incrementato (di 1.5 volte) secondo tabelle definite nei protocolli internazionali, fino a produrre una convulsione adeguata.

Durante la somministrazione della TEC vengono monitorati i parametri cardio-respiratori mediante la registrazione ECG-grafica e l’impiego del pulsossimetro.

L’insorgenza della convulsione, la durata e altre informazioni riguardanti le caratteristiche di quest’ultima vengono registrate tramite l’elettroencefalogramma.

I due elettrodi di registrazione dell’EEG vengono posti uno a livello frontale sinistro a circa 1 cm al di sopra del punto medio sopracciliare, e l’altro a livello mastoideo sinistro, al di sopra del processo osseo, dietro l’orecchio.

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complessivo di trattamenti per ogni paziente è stabilito mediante l’osservazione clinica dal medico specialista curante che non partecipa alla ricerca.

3) Strumenti di valutazione

M.I.N.I. Mini International Neuropsychiatric Interview - versione 5.0.1

(Sheehan et al., 1998).

La M.I.N.I. è stata progettata come intervista breve strutturata per i disturbi psichiatrici più importanti, sia per l’Asse I del DSM- IV che per l’ICD-10. Può essere utilizzata dai clinici dopo un breve training. Per gli intervistatori non specializzati è necessario un training più prolungato. La M.I.N.I. è suddivisa in moduli identificati con lettere, ciascuno dei quali corrispondente ad una categoria diagnostica.

Le possibili diagnosi rilevabili con questo strumento sono: Episodio Depressivo Maggiore, attuale e lifetime, Episodio Depressivo Maggiore con manifestazioni melanconiche attuale, Distimia attuale, Ideazione suicidaria attuale, Episodio ( Ipo) maniacale, attuale e lifetime, Disturbo di Panico, attuale (ultimo mese) e lifetime, Agorafobia attuale, Fobia sociale attuale (ultimo mese), Disturbo Ossessivo-Compulsivo attuale (ultimo mese), Disturbo Post-Traumatico da Stress attuale (ultimo mese), Dipendenza – Abuso di alcool nell’ultimo anno e lifetime, Dipendenza – Abuso di sostanze nell’ultimo anno e lifetime, Disturbi Psicotici, attuale e lifetime, Anoressia Nervosa attuale (ultimi 3 mesi), Bulimia Nervosa attuale (ultimi 3 mesi), Disturbo d’Ansia Generalizzata attuale (ultimi 6 mesi), Disturbo Antisociale di personalità lifetime.

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riguardante i disturbi psicotici) vengono presentate delle domande di screening che corrispondono ai criteri fondamentali del disturbo.

Il clinico deve assicurarsi che ciascun aspetto della domanda posta sia preso in considerazione dal paziente (per esempio: periodo di tempo, frequenza, gravità e/o alternative).

I sintomi che possono essere spiegati da una causa organica o dall’uso di alcool o di sostanze stupefacenti non dovrebbero essere annotati nella M.I.N.I.

CLINICAL GLOBAL IMPRESSIONS ( CGI ) (Guy, 1976)

La CGI è stata sviluppata per uno studio di vaste dimensioni sulla schizofrenia (PRB Collaborative Schizophrenia Studies). Ha lo scopo di valutare il rapporto rischio/beneficio ( Efficacia) del trattamento in pazienti psichiatrici.

E’ applicata dallo psichiatra il quale valuta ripetutamente nel corso del trattamento la gravità della malattia, le sue variazioni nel tempo e l’efficacia terapeutica, cioè il rapporto tra effetto terapeutico ed effetti indesiderati.

La versione utilizzata nello studio presentato è composta da 2 items, uno per la gravità e uno per il miglioramento.

Nel primo item viene espresso un punteggio che va da 0 a 7: 0 = non valutato

1 = normale

2 = solo marginalmente ammalato 3 = lievemente ammalato

4 = moderatamente ammalato 5 = patologia psichica grave

6 = patologia psichica molto grave 7 = patologia psichica gravissima

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Nel secondo item analogamente viene espresso un punteggio da 0 a 7: 0 = non valutato 1 = molto migliorate 2 = moderatamente migliorate 3 = lievemente migliorate 4 = nessun cambiamento 5 = lievemente peggiorate 6 = moderatamente peggiorate 7 = molto peggiorate.

Il periodo valutato è per la gravità della malattia la settimana precedente, per il miglioramento globale il tempo trascorso dall’inizio del trattamento.

HAMILTON DEPRESSION RATING SCALE ( HAM- D) (Hamilton,

1960).

La scala Hamilton fornisce un modo semplice per valutare quantitativamente la gravità delle condizioni del paziente e per documentare le modificazioni di tali condizioni. Non deve essere impiegata come strumento diagnostico.

La valutazione può essere effettuata in diversi modi, in rapporto allo scopo che ci si propone, ma non si deve dimenticare mai che i punteggi sono soltanto un modo particolare di registrare il giudizio del valutatore. Per la valutazione si deve tener conto di tutte le informazioni disponibili che possano aiutare il clinico a condurre l’intervista e a formulare la valutazione finale, per la definizione della quale è necessario tenere in adeguata considerazione tanto l’entità del sintomo quanto la frequenza con cui si è manifestato. Il periodo valutato va dagli ultimi giorni fino ad 1 settimana prima dell’intervista.

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La HAM-D è adatta per pazienti adulti con sintomatologia depressiva di qualsiasi tipo.

La scala è adatta alla valutazione delle modificazioni della sintomatologia sotto trattamento e può essere perciò impiegata nel pre-trattamento e nel post-pre-trattamento; valutazioni intermedie sono a discrezione del clinico.

L’HAM-D nella versione più diffusa (Hamilton, 1960) e utilizzata nello studio presentato è composta da 21 items. Di questi, il n° 16, Perdita di Peso, è suddiviso in 2 sub-item mutualmente escludentisi che esplorano: il primo, la perdita di peso riferita; il secondo, la perdita di peso misurata dalla bilancia. Anche l’item n°18, Variazioni Diurne, è suddiviso in 2 sub-item: il primo, che esplora la presenza di variazioni diurne della sintomatologia e il senso verso il quale vanno le eventuali variazioni ( peggioramento mattutino o serale); il secondo, che valuta la gravità delle eventuali variazioni.

Generalmente i primi 17 items sono considerati quelli nucleari della depressione ed è su questi che di solito viene definito il cut-off di gravità, che può essere così schematizzato:

≥ 25 depressione grave 18 -24 depressione moderata 8 – 17 depressione lieve ≤ 7 assenza di depressione

Poiché il punteggio totale non può essere considerato espressione della gravità della depressione ma piuttosto, data l’eterogeneità degli items, della sua pervasività, vengono generalmente utilizzati i punteggi nei fattori.

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Una delle fattorizzazioni più utilizzate è quella di Cleary e Guy, che hanno isolato 6 fattori:

fatt I: ansia/ somatizzazione, composto da 6 items ( n° 10, 11, 12, 13, 15 e 17);

fatt II: peso, composto dai 2 items esploranti la perdita di peso ( n° 16 A e 16 B);

fatt III: disturbi cognitivi, composto da 6 items ( n° 2, 3, 9, 19, 20, 21); fatt IV: variazioni diurne, composto da 2 items ( n° 18 A e 18 B); fatt V: rallentamento, composto da 4 items ( n° 1, 7, 8,14);

fatt VI: disturbi del sonno, composto da 3 items ( n° 4, 5, 6).

Gli items sono variamente valutati: alcuni (10 ) su una scala a 5 punti ( 0-4) altri ( 2 ) su una scala a 4 punti ( 0-3 ) ed i rimanenti ( 9 ) su una scala a 3 punti ( 0-2 ).

I livelli di gravità sono, per la maggior parte degli items, abbastanza ben definiti.

L’affidabilità della scala è risultata buona nei diversi studi che hanno valutato la consistenza interna.

MANIA RATING SCALE (MRS)(Young et al., 1978)

È una scala di 11 items che esplorano i sintomi chiave della mania. La valutazione della gravità si basa su ciò che il paziente riferisce circa le proprie condizioni nelle ultime 48 ore e soprattutto sull’osservazione del comportamento fatta dal clinico durante l’intervista. La scala deve essere somministrata da un clinico esperto e usata solo come strumento di valutazione quantitativa della mania e non come uno strumento diagnostico (Young et al., 1978). Il periodo valutato è quello dei due giorni immediatamente precedenti l’intervista. La scala è composta da 11 item che esplorano l’umore, l’attività motoria, i disturbi quantitativi e

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