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Ricerca di attivita biologica in estratti di protisti autotrofi

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale in Biologia

Molecolare e Cellulare

Tesi di Laurea Magistrale

Ricerca di attività biologica in estratti di

protisti autotrofi

Relatori Correlatori

Dott. Graziano Di Giuseppe Dott. Andrea Andreucci

Prof. Pierdomenico Perata Prof. Franco Verni

Candidato

Luca Lippi

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Sommario

1.0 INTRODUZIONE ... 2 1.1 I protisti ... 2 1.2 Classificazione ... 5 1.3 I protisti autotrofi ... 7 1.3.1 Dunaliella salina... 10 1.4 Arabidopsis thaliana ... 12

2.0 GLI ORMONI VEGETALI ... 14

2.1 Auxine ... 15

2.1.1 Biosintesi delle auxine ... 16

2.1.2 Meccanismo molecolare delle auxine ... 17

2.1.3 Omeostasi e trasporto delle auxine ... 17

2.1.4 Effetti delle auxine sulle piante ... 20

3.0 SCOPO DELLA TESI ... 21

4.0 MATERIALI E METODI ... 22

5.0 RISULTATI ... 33

5.1 Preparazione colture cellulari ... 33

5.2Preparazione dell’estratto filtrato e prova su piastra ... 34

5.3 Risultati Real-Time PCR ... 37

5.4 Analisi bioinformatica ... 48

6.0 DISCUSSIONE ... 64

7.0 CONCLUSIONI ... 68

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1.0 INTRODUZIONE

1.1 I protisti

I protisti costituiscono un gruppo eterogeneo di organismi che comprende eucarioti non animali, piante o funghi. Il primo a proporre questo raggruppamento fu Ernst Heinrich Haeckel (Corliss J.O.1998), che suggerì di racchiudere questi organismi nel regno “Protista” o “Protoctista”, raggruppamento che appare oggi come parafiletico; infatti, gli organismi classificati come tali non hanno molto in comune a parte un'organizzazione abbastanza semplice (unicellulare, coloniale o multicellulare senza tessuti altamente specializzati). I protisti presentano un’organizzazione unicellulare (citoplasmatica), ma ciò non implica necessariamente che siano organismi semplici. In alcuni phyla di protisti, gli individui possono formare colonie e associazioni di individui che sono indipendenti per la maggior parte delle funzioni. Vista la loro varietà è possibile ritrovarli in diversi habitat (Figura 1); alcuni hanno sviluppato caratteristiche che li rendono più simili alle piante e altri più simili agli animali, questo rende ogni specie caratterizzata da organelli e strutture del tutto particolari. Specie di protisti si ritrovano in quasi tutti gli habitat del pianeta, ma la componente caratteristica richiesta da questi microrganismi al loro habitat è l’umidità, in quanto il nemico principale della loro sopravvivenza è l’essiccamento. A parte ciò, la loro capacità d’adattamento è tale che alcune specie di protisti sono state ritrovate nei mari artici (Thaler et al., 2012) mentre alcuni di questi microrganismi sono responsabili di diverse malattie che affliggono l’uomo, come la malaria (Galappaththy et al., 2013). Queste malattie sono ben lungi dal poter essere considerate scomparse tanto da aver dato vita a campagne contro i vettori (molto spesso insetti) che li trasportano e li mettono in condizioni di poter parassitare l’uomo: come ad esempio per la malaria, il cui agente eziologico è Plasmodium

falciparum trasportato, nelle ghiandole secernenti fattori anticoagulanti, dalle

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Figura 1. Disegni raffiguranti diversi taxa di protisti (immagine tratta da Barnes et al., 1990).

Un particolare raggruppamento dei protisti interessa degli organismi che vengono definiti come protozoi. La caratteristica comune degli organismi appartenenti a questo raggruppamento è loro necessità di vivere in un habitat umido. Al di là delle differenze intrinseche ed estrinseche tra le varie specie, l’elemento acquoso è imprescindibile dalla loro sopravvivenza, sia che vivano liberi sia che siano parassiti. L’organizzazione interna degli organelli dei protozoi è simile a quella delle cellule eucariotiche, tuttavia alcuni organelli dei protozoi sono specializzati per la vita unicellulare, a differenza della cellula eucariotica che è indirizzata verso un destino di vita multicellulare. A causa della loro evoluzione verso una vita unicellulare, ogni specie ha dovuto sviluppare diverse strategie per poter sopravvivere nel corso della vita: la locomozione, la capacità di vivere in simbiosi con un organismo ospite oppure di parassitare altri organismi. Per quanto riguarda la locomozione, i protisti hanno evoluto diversi meccanismi ognuno con le sue strutture caratteristiche, ad esempio i rappresentanti del Subphylum Sarcodina (Amebe, Eliozoi, Foraminiferi) sono caratterizzati dalla capacità di movimento ameboide, grazie a estroflessioni della membrana dette pseudopodi che ne garantiscono la mobilità (Pawlowski e Burki, 2009). I flagellati, come dice il loro nome, hanno evoluto delle strutture simili a flagelli che ne consentono il movimento (Christensen-Dalsgaard et al., 2004). I ciliati, sono caratterizzati dalla presenza di ciglia (strutture mobili che si ritrovano sulla superficie della cellula, la loro azione permette all’organismo di spostarsi nell’ambiente) su tutta la superficie cellulare, utili non solo al movimento, ma anche

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alla cattura dei nutrienti (Clark K.D. et al., 1991). Ed infine, non tutti i protisti hanno sviluppato strutture atte alla locomozione, ma anche strutture adatte a infettare un ospite e parassitarlo, come gli sporozoi (Coppens L. 2013).

Un ruolo importante nella sopravvivenza di questi microrganismi è sicuramente quello della membra cellulare e il ruolo che riveste nella sua funzione di “filtro” tra l’ambiente esterno e l’interno della cellula. Diversi studi evidenziano come apparati di membrana di questi organismi presentino strutture in grado d’indurre l’endocitosi e l’esocitosi, complessi come il NEMsensitive factor o lo SNARE

-soluble NSF attachment protein [SNAP] receptors- (fattori che regolano il traffico

vescicolare in cellule eucariotiche e che sono coinvolti nei processi di esocitosi e endocitosi) sembrano essere caratteristici di vari protisti forse a causa della loro importanza per l’interazione tra cellula e spazio extracellulare oltre che per la regolazione dell’endocitosi e esocitosi (Froissard M. et al., 2002; Kissmehl R. et al., 2002). All’interno della cellula protista il citoplasma si ritrova diviso in due regioni: la regione localizzata subito sotto la superficie della membrana plasmatica è detta ectoplasma mentre il citoplasma più interno è detto endoplasma, generalmente più granulare e fluido del primo. Nella maggior parte dei protozoi marini la concentrazione di sostanze interne al citoplasma è uguale a quella esterna mentre nei protozoi d’acqua dolce si deve regolare la quantità d’acqua e la concentrazione delle sostanze all’interno. In questi ultimi l’acqua entra per osmosi e sono necessari dei vacuoli contrattili o pulsanti per eliminare l’eccesso d’acqua. Tra i meccanismi di controllo dell’osmosi, il sistema del “complesso vacuolare contrattile”, caratteristico di alcuni protisti, è deputato alla regolazione della pressione osmotica all’interno della cellula, regolando con pompe ATP dipendenti le concentrazioni di specifici ioni all’interno e all’esterno del vacuolo (Plattener, 2013). La maggior parte dei protozoi assume nutrienti mediante il trasporto attivo oppure mediante fagocitosi, altri per ingerire il cibo utilizzano una regione specializzata detta citostoma. Quest’ultimo processo è caratteristico di protisti eterotrofi e i nutrienti cosi ingeriti vengono racchiusi in vacuoli alimentari nei quali avviene la digestione che è mediata da opportuni enzimi e da variazioni di acidità. Completata la digestione, i residui di scarto vengono espulsi tramite esocitosi oppure attraverso il citopigio, regione specializzata nell’espulsione delle suddette sostanze di scarto. Questa azione di endocitosi e esocitosi è finemente regolata da geni (PtNSF1 e PtNSF2 nel paramecio) in grado d’influenzare il processo di fagocitosi e quello di esocitosi (Kissmehl et al., 2002).

Nei protozoi sono presenti entrambi i tipi di riproduzione: asessuata e sessuale; per la riproduzione asessuale quella più comune è la scissione binaria (nel progenitore si forma un setto trasversale o longitudinale che si espande fino a creare due cellule figlie, dotate di tutti gli organuli necessari e di completo corredo genetico; ognuna delle cellule figlie è in grado di dare origine a nuove cellule), anche se diversi meccanismi di riproduzione sono altrettanto comuni, come la gemmazione (anche

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detta scissione ineguale, avviene con la creazione di una protuberanza in posizione laterale che viene definita gemma, successivamente questa si stacca ed è più piccola della cellula progenitrice) o la scissione multipla o schizogonia (a differenza della scissione binaria, questo tipo di scissione origina da una serie di scissioni a livello nucleare che si accumulano all’interno di una stessa cellula che viene definita “plurinucleata” e solo successivamente si formano tante cellule figlie per quanti sono i nuclei a disposizione). Nella riproduzione sessuale, invece, la maggior parte degli individui è dotata di corredo genetico aploide, i gameti sono prodotti per mitosi e la meiosi avviene dopo l’unione dei gameti (Miller e Harley, 2005). Tuttavia, si sa ancora ben poco sui meccanismi molecolari di divisione dei protisti, anche con lo studio di organismi modello rimangono molti punti oscuri al riguardo. Ricerche condotte hanno mostrato l’importanza di microtubuli di actina nella divisione e compartimentalizzazione di Paramecium caudatum, ma senza aggiungere importanti dettagli alla caratterizzazione molecolare dell’intero processo di divisione (Wang Y.W. et al., 2012). Negli ultimi anni i saggi biologici hanno sempre più utilizzato i protisti come organismi modello, in quanto permettono una più facile gestione da parte dell’operatore, sia in termini di popolazione geneticamente uguale, sia per la loro capacità di adattarsi a ambienti diversi e alla loro capacità di poter essere dei buoni bioindicatori (Turner T.E. et Swindles G.T., 2012).

1.2 Classificazione

La tassonomia dei protisti è stata a lungo oggetto di discussione tra i biologi evoluzionisti e i ricercatori che si occupano di questo ramo. Il punto fondamentale della discussione è che non vi sono dei diffusi e comunemente accettati parametri di base per poter definire una specie in Protistologia o ciò che permette di poter distinguere indiscutibilmente un individuo all’altro o tra due specie simili. Causa di ciò è stata prima tra tutti la mancanza di comunicabilità su dati biologici di base, la derivante assenza del loro significato evolutivo ed ecologico e la drastica sottovalutazione della diversità tra le varie specie di protisti, tra i più importanti documenti trattanti il tema della biodiversità, come ad esempio in Mora et al. (2011), dove il numero di specie di protisti è stato estremamente sottovalutato. Questo a causa anche del problema di definizione di “specie protista”, unito al rapido accumulo di nuovi dati sui protisti e ad una tassonomia ancora non completamente strutturata per il vasto mondo della Protistologia (Boenigk J. et al., 2011).

Un dato da sottolineare è che la Protistologia ha conosciuto sempre problemi relativi alla sua tassonomia, problemi che paradossalmente si sono ingranditi con l’avanzare della tecnologia. Da quando Leeuwenhoek nel 1674 mise a fuoco i primi microrganismi grazie a un rudimentale microscopio all’avvento dei primi microscopi elettronici nel 1931 il sistema della classificazione si basava esclusivamente su

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osservazioni morfologiche dell’individuo grazie all’utilizzo di microscopi (Agar, 1996). In seguito all’avvento di metodi molecolari nel 1990 emersero nuovi metodi d’indagine e di conseguenza emersero nuove specie cellulari, grazie a caratteristiche prima sconosciute che imposero ben presto una riorganizzazione dei sistemi di classificazione. Inoltre nuove differenze furono trovate anche tra organismi della stessa specie, costringendo i protistologi a una rapida riorganizzazione della nomenclatura. Solo recentemente, grazie all’evoluzione delle tecniche di filogenesi molecolare che hanno aiutato alla composizione di un albero evolutivo composto da un piccolo numero di supergruppi (Burki et al., 2008), si è raggiunta una classificazione più chiara e dettagliata, anche se rimangono diversi punti oscuri (soprattutto per organismi che hanno caratteristiche morfologiche più simili a determinate specie, ma corredo genetico più simile ad altri).

Rispetto alla classificazione fatta da Levine e collaboratori (1980), l’attuale classificazione degli organismi eucarioti si è allargata con la ricerca di Adl et al. nel 2005, arrivando ad espandere l’attuale regno dei protisti e riorganizzandolo con una nuova tassonomia e nomenclatura. Nell’articolo si riconoscono sei “super-gruppi” di protisti: Opishtkonta, Archeplastids, Amoebozoa, Rhizaria, Chromalveolata, Excavata, che vengono paragonati per analogia ai sei “regni” della classificazione tradizionale. La nuova classificazione dei protisti riflette la nostra conoscenza sulla loro evoluzione (Adl et al. 2005), infatti gli ordini che ciascuno di questi super gruppi raccoglie dentro di se sono stati scelti in base a caratteristiche particolari che gli organismi appartenenti a tali gruppi presentano. Queste nuove caratteristiche, scelte per unificare gli ordini da assegnare a ciascun super-gruppo, non sono più solamente di tipo morfologico o filogenetico, ma tengono conto delle caratteristiche molecolari e del ciclo vitale degli organismi, come, ad esempio, nel super-gruppo

Opisthokonta, dove le cellule, almeno in uno stadio del ciclo vitale, hanno un singolo

ciglio posteriore, senza mastigonemi (sporgenze simili a peli sui flagelli), oppure nel caso di organismi unicellulari, i mitocondri hanno creste piatte. Nel super-gruppo degli Archeplastida si è tenuto conto, come carattere unificante dei vari gruppi, l’essere stati ospiti di un parassita, cianobatterio, durante l’evoluzione che ha lasciato tracce della sua presenza, attraverso la clorofilla a. Negli Amoebozoa e Rhizaria si tiene conto invece delle caratteristiche per la locomozione (entrambi hanno una locomozione ameboide, ma i primi grazie a lobopodi –pseudopodi rotondi - i secondi grazie a dei filipodi – pseudopidi lunghi e affusolati). Infine in Chromalveolata e in Excavata si tiene conto dell’eredità evolutiva persa o acquistata in determinati gruppi (Chromalveolata) e dei metodi per catturare i nutrienti (Excavata). Questa nuova riorganizzazione è più complessa e articolata, in quanto non tiene più conto di caratteristiche singole per descrivere e inquadrare i singoli organismi in un preciso taxon, ma del loro passato evolutivo e di come determinate strutture siano caratterizzate anche dal periodo del ciclo vitale dell’individuo (Adl et

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al., 2005). I microrganismi trattati in questa tesi, secondo la nuova classificazione rientrano nel super-gruppo Archeplastids, nell’ordine delle Chloroplastida comprendente le alghe verdi e gli organismi dotati di clorofilla a e b.

1.3 I protisti autotrofi

Nel campo della Protistologia, una distinzione importante è quella che riguarda le capacità alimentari dei singoli organismi, ovvero se essi siano capaci di provvedere al loro fabbisogno energetico grazie all’utilizzo di sostanze inorganiche (autotrofismo), oppure necessitino di trovare le molecole organiche necessarie alla loro sopravvivenza nell’ambiente in cui vivono (eterotrofismo). A questa suddivisione va aggiunta anche quella che divide gli organismi in chemiotrofi, cioè capaci di ricavare l’energia necessaria da reazioni chimiche di sostanza inorganiche e organismi fototrofi, capaci di utilizzare la luce con processi di fotosintesi per ricavare energia. All’interno dei protisti autotrofi sono comprese le alghe verdi, simili a piante terrestri, le alghe rosse e le alghe brune (diatomee). Le alghe costituiscono un raggruppamento filogenetico non uniforme di organismi fotosintetici che comprende vari gruppi di organismi. In questa tesi, gli organismi utilizzati rientrano, secondo il nuovo sistema di classificazione, nel super-gruppo dei Archeaplastida, nel “First Rank” delle Chloroplastida e nel “Second Rank” Chlorophyta. In questo sistema di classificazione, rientrano la maggior parte di quelle che sono chiamate comunemente: Alghe verdi. Le alghe verdi sono diffuse in tutti gli ambienti dove è disponibile della luce e possono essere morfologicamente molto diversi tra loro. Essi sono membri importanti del fitoplancton del mare, alghe comuni e sono conosciute ai più per le straordinarie “maree” colorate a cui danno origine in condizioni ottimali per la riproduzione. Le alghe verdi sono simbiotici peculiari di licheni e vermi piatti, e gli abitanti di quasi ogni ecosistema d'acqua dolce che varia da stagni, fiumi, laghi, zone umide, e banchi di neve (Domozych D.S. et al. 2012). Possono essere unicellulari e mobili, oppure pluricellulari e immobili durante alcuni stadi del loro ciclo vitale. Una stima complessiva delle alghe varia tra uno a dieci milioni di specie, molte delle quali sono alghe unicellulari, insieme che comprende anche i cianobatteri (comunemente note come alghe procariotiche verdi-azzurre) le prochlorophyte e le più note alghe eucariotiche. Le relazioni filogenetiche tra alghe eucariotiche unicellulari, sono riassunte secondo uno schema comune che prevede un procariote ancestrale, rappresentante il capostipite di due tipi di organismi: un

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alga verde-azzurra e un flagellato eterotrofo primordiale. Il procariote ancestrale avrebbe inglobato una cellula coccoide verde-azzurra trattenendola al suo interno come simbionte e trasformandola in un sistema di tilacoidi. Questa associazione alla fine avrebbe originato le alghe rosse. Il passo successivo presume una seconda associazione simbiotica: un’alga rossa avrebbe dato origine alle alghe verdi e successivamente alle piante terrestri. Gli euglenoidi, considerati come i diretti derivati di questi flagellati ancestrali, avrebbero subito successivi eventi simbiontici per l’inclusione dei cloroplasti (Urbach E. et al., 1992). Infine, il flagellato ancestrale attraverso l’acquisizione relativamente recente di un cloroplasto avrebbe generato i dinoflagellati. La divisione tassonomica delle Chlorophyta comprende più di 10.000 specie distribuite in cinque maggiori gruppi: Micromonadophyceae, Charophyceae, Pleurastrophyceae, Unlvophyceae, Chlorophyceae. Le Chlorophyceae, genericamente identificate come alghe verdi, comprendono organismi di acqua dolce e solo raramente specie marine. Tra queste spiccano i generi Dunaliella e

Asteromonas che presentano un’elevata tolleranza agli ambienti salini (Chen H. et

al., 2009).

1.3.1 Le applicazioni industriali

Recentemente le alghe sono salite all’interesse del pubblico e dell’industria per i vari rami applicativi a cui sono versatili: cosmetica, energia, agricoltura e nutrizione. Fu agli inizi degli anni ’60, con l’avvento delle prime metodiche molecolari e dei primi studi sui genomi, che i ricercatori cominciarono a condurre studi su alghe brune appartenenti alla classe delle Phaeophyceae, e precisamente al genere Sargassum (Manton I. 1967). Nei primi anni ’70 si cominciarono a cercare metaboliti e sostanze prodotte dalle alghe che potessero avere dei fini utili per l’uomo, come gli antibiotici (Glombitza K.W. et al., 1973) o la loro capacità di captare molecole radioattive (Hodge V.F. et al., 1974) e anche come possibili serbatoi di molecole antitumorali (Ito H. et Sugiura M. 1976). Tuttavia, già dal 1971 furono condotti studi sulle proprietà degli estratti di specifici tipi d’alga sulle piante terrestri (Blunde G. 1971) e dai risultati emersi si ipotizzò la presenza di ormoni vegetali come l’acido Indolo-3-acetico (IAA) e l’acido Indolo-3-butirrico (IBA) all’interno delle alghe. Nei primi anni ’90 estratti acquosi di Sargassum wightii applicati su Zizyphus mauritiana mostravano un aumento della resa e della qualità dei frutti (Rao R. 1991), questo portò alla fine degli anni ’90 alla messa in commercio di fertilizzanti provenienti da

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alghe marine, che risultavano nettamente superiori a contenuto di sostanze organiche utili per le piante, ma si continua a studiare gli effetti di questi fertilizzanti, soprattutto relativamente alle alghe Caulerpa chemnitziae S. wightii su

Vigna sinensis (S. Sivasankari et al., 2006). Un ulteriore studio che ha avuto come

oggetto l’alga Sargassum fluitans, ha mostrato come specie vegetali marine come

Panicum amarum rispondano in maniera sorprendente se fatte crescere in

prossimità di terreni concimati con S. fluitans (Amy Williams and Rusty Feagin 2010). Le alghe unicellulari, hanno numerosi e diversi processi fisiologici che richiedono una fine regolazione biochimica, coordinata in risposta a stimoli ambientali (Bradley et al., 1991). Nelle più complesse piante pluricellulari, i processi fisiologici sono sotto il controllo di regolatori della crescita come gli ormoni vegetali (Woodward and Bartel 2005). Nelle piante terrestri le auxine sono coinvolte in vari processi, a livello fisiologico, nel fototropismo e gravitropismo, nella crescita e nello sviluppo delle radici, a livello cellulare, aumentano l’estensione della parete cellulare permettendo alla cellula di espandersi in risposta a un aumento della pressione del turgore (Murphy 2002). Auxine di origine endogena sono state indentificate in diversi organismi, inclusi i batteri (Maruyama et al., 1989, Lee et al., 2004), muschi (Von Schwartzenberg et al., 2007), felci (Arthur et al., 2007) e tracheofite. L’acido indolo-3-acetico è l’auxina più biologicamente attiva ed è stata identificata anche in microalghe come Scenedesmus armatus e Chlorella pyrenoidosa (Mazur et al., 2001), nell’alga marina Caulerpa pasploides (Jacobs et al., 1993), Porphyra perforata (Zhang et al., 1993) e Ascophyllum nodosum (Kingman and Moore 1982), ma nessuno di questi articoli ha mai riportato quantità di auxine significative, rispetto a quelle contenute nelle piante terrestri. Inoltre, in un articolo relativamente recente (Lau S. et al., 2009), un gruppo di ricercatori ha cercato, con un’indagine in silico condotta su alcune specie di alghe verdi delle famiglie delle Chlorphyte, Rhodophyte e in generale sul phylum Diatomee, componenti fondamentali del pathway delle auxine: dai risultati emerge che negli organismi investigati non sembrano esserci i componenti caratteristici del pathway delle auxine delle piante terrestri; gli stessi autori però ipotizzano che le alghe possano avere dei meccanismi di segnalazione diversi da quelli delle piante. Il livello di tecnologia ha potuto solo recentemente arrivare a poter distinguere tra IAA e le altre forme auxiniche a basse dosi molecolari (A. Pencik et al., 2009). A seguito della domanda di prodotti derivanti da microalghe in agricoltura (biofertilizzanti e ammendanti), in farmaceutica, nutraceutica e recentemente come produttori di bio-combustibili, il numero di ricerche su questi microrganismi e sui loro metodi di coltura è andato sempre più crescendo

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(Gellenbeck 2012). Riuscire a comprendere e a mettere a punto metodi per l’utilizzo di questi microrganismi in questi settori dell’industria potrebbe aprire a nuove fonti di lavoro e sfruttamento che ancora non sono state considerate. Il ruolo che questi ormoni hanno per questi microrganismi non è ancora del tutto chiarito, anche se esistono dei report in cui si attribuisce la capacità d’indurre divisione cellulare in alcune specie di microalghe: Micrasterias thomasiana e Chlorella pyrenoidosa (Wood N.L. et Berliner M.D.1979; Vance B.D. 1987). Quest’ultimo punto, ovvero la comprensione del ruolo che hanno ormoni vegetali per questi microrganismi potrebbe aiutarci a comprendere un importante passo dell’evoluzione degli organismi autotrofi (Zhong B. et al.,2013) e come poter sfruttare tali conoscenze per migliorare le condizioni di crescita di questi microrganismi a scopo industriali.

1.3.1 Dunaliella salina

Dunaliella salina (Figura 2)è un organismo fotosintetico unicellulare mobile. La

prima descrizione risale a Dunal che la indicò con il nome di Haematococcus salinus, più tardi ridescritta da Teodoresco sotto il nome generico di Dunaliella, come

Dunaliella salina (Oren A. 2005). Per la classificazione di D.salina e D.tertiolecta

(l’altro organismo utilzzato in questa tesi, si rimanda al lavoro di Adl S.M. et al. del 2005. D. salina è un organismo unicellulare fotosintetico, biflagellato e morfologicamente contraddistinto dalla mancanza di una parte cellulare rigida (Ben-Amotz et Avron 1987). Dunaliella salina è un’alga verde unicellulare di forma ellittico-cilindrica, con un apice anteriore acuto che si assottiglia e una parte posteriore arrotondata. E’ lunga 8-9 μm e larga 6-7 μm e in condizioni di crescita favorevoli si divide per via vegetativa, attraverso una divisione binaria longitudinale. Anteriormente si inseriscono due flagelli caratterizzati dalla stessa lunghezza (10-13 μm). La sua superficie esterna non è completamente nuda, e in sezione trasversale appare ricoperta da un irregolare materiale elettron-denso. Gli organelli cellulari presentano una distribuzione caratteristica. L’apparato di Golgi è costituito da 6 a 8 dictiosomi (sistema lamellare formato da varie cisterne o sacculi) situati esclusivamente in posizione parabasale. Tipicamente questi organelli sono intercalati tra la porzione anteriore del nucleo e i corpi basali dei flagelli. La faccia di secrezione dei dictiosomi guarda verso il plasmalemma ed è associata con il reticolo endoplasmatico che percorre la superficie inferiore della membrana per la maggior

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parte del suo perimetro. Per un tratto della sua estensione, il reticolo endoplasmatico collega l’involucro nucleare con la regione basale dell’apparato flagellare. I mitocondri sono comunemente raccolti in prossimità dei corpi basali, dei cloroplasti e al di sotto del plasmalemma (membrana cellulare). Il nucleo occupa più o meno la posizione centrale della metà anteriore della cellula e contiene un singolo nucleolo rilevato (Preeta et al., 2012). Dunaliella salina contiene sia la clorofilla di tipo a che di tipo b e ha un’organizzazione interna tipica delle alghe verdi: nucleo legato alla membrana cellulare, mitocondri, vacuoli, apparato di Golgi e una macchia oculare (Hosseini A.T. et Shariati M. 2009). In D. salina la riproduzione sessuale è possibile (anche se rara) ed avviene in casi di isogamia (gameti morfologicamente identici) grazie a un processo di coniugazione (processo tramite il quale due microrganismi possono trasferire materiale genetico). Grazie al suo elevato tasso di crescita, la sua semplicità e soprattutto economicità, perché non richiede cure particolari, una volta che la cultura è ben avviata e ha una buona disponibilità di nutrienti, la spesa maggiore ricade sulla manutenzione dell’impianto dove è coltivata. Inoltre ha un alto contenuto di vitamine, carotenoidi (α- e β-carotene, violaxantina, neoxantina, zeaxantina e luteina), lipidi e minerali che rende

D. salina ideale per le applicazioni dell’industria farmaceutica (Hosseini et al., 2009). Dunaliella salina è considerato un organismo estremamente adatto a essere

coltivato in fotobioreattori, al chiuso o all’aperto e in acqua di mare (Xue et al., 2006). La specie Dunaliella salina è caratterizzata da una elevata tolleranza agli stress alofili, con range di concentrazioni di NaCl che vanno da 0,5 M a 3,5 M e ben sopporta le variazioni di pH. L’alterazione della salinità altera le concentrazioni di ioni e altri substrati essenziali, destabilizzando le membrane biologiche, con de-regolazione del trasporto di sodio, alterazioni lipidiche e attivazione delle protein-chinasi di membrana (Azachi M. et al., 2002). Il meccanismo che permette di resistere anche a rapide variazioni delle condizioni di salinità è dovuto all’accumulo di glicerolo all’interno della cellula che funziona da osmoregolatore, grazie alla up-regolazione di enzimi coinvolti nel metabolismo del glicerolo (Chen et al., 2011). L’adattamento allo stress salino può riadattare il complesso delle proteine di membrana, con stabilizzazione ed aumento dei trasportatori ioni e accumulo di proteine deputate a regolare l’alterata disponibilità di bicarbonato e ferro. Studi recenti, tuttavia, hanno mostrato che condizioni di ipersalinità stimolano la captazione di CO2 da parte di D. salina, valorizzando questo aspetto applicativo

nell’industrializzazione di questo microrganismo (Oren 2005). Pertanto, l’importanza dei riarrangiamenti che si attuano a livello di membrana è alla base della tolleranza di D. salina nella risposta agli stress alofili (Katz et al., 2007; Chen et al., 2011). A causa della mancanza di una parete cellulare rigida, D. salina è ritenuto

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l’organismo ideale per poter introdurre al suo interno geni esogeni senza eccessiva difficoltà (Walter et al., 2005).

Figura 2. Immagine di Dunaliella salina tratta dal sito web http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=7151

1.4 Arabidopsis thaliana

Arabidopsis thaliana (Figura 3) è una pianta appartenente alla famiglia delle

Brassicacee ed è diffusa in Europa, Asia e Nord America. Al genere Arabidopsis appartengono diverse specie, ma A. thaliana (identificata per la prima volta nel sedicesimo secolo in Germania sulle montagne di Harz da Johannes Thal, da cui deriva il nome della specie) è la più conosciuta e la più impiegata ai fini della ricerca sperimentale (Van Norman e Benfey 2009). In seguito alla mappatura del suo genoma, iniziata per la prima volta negli anni ’80, e alla facilità di coltivazione e mantenimento, essa fu eletta come pianta modello per studi di tipo fisiologico, biochimico e molecolare che avevano come target modelli vegetali. Il suo genoma è

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stato finito di sequenziare nel 2000 (Nature 2000, 408, 796-915) ed è composto da 5 cromosomi e risulta piccolo in confronto a quello di altre piante più rilevanti ai fini umani come il pomodoro, il riso e il mais, i cui genomi sono tra le 3 e le 120 volte più grandi. Le regioni cromosomiche contengono più di 25.000 geni e le funzioni del circa il 70% di questi geni sono state ottenute in base a omologie di sequenza con geni a funzione nota di altri organismi (Douglas e Ehlting 2005). Il rimanente 30% resta ancora da essere caratterizzato, questo perché, a differenza di altre piante di maggior interesse agronomico (ravanello, cavolfiore, verza e rapa) della stessa famiglia, A. thaliana non riveste alcun interesse agronomico e proprio per tale motivo entrò nell’interesse dei ricercatori più tardi rispetto ad altre piante. Solo successivamente alla mappatura del suo genoma, questa pianta fu eletta a organismo modello per eccellenza per gli studi di fisiologia e genetica vegetale. Essa si sviluppa e risponde a stress e malattie in maniera molto simile alla maggior parte delle piante coltivate. Ha un ciclo vitale, da seme a seme, molto breve di circa 8 settimane ed è piccola, pertanto adatta a crescere in spazi ristretti come quelli di un laboratorio, e una singola pianta è in grado di produrre fino a 10.000 semi. Dopo le prime pubblicazioni relative al suo genoma e la scoperta della sua versatilità come organismo modello (e la sua rapida diffusione all’interno dei laboratori che si occupavano di ricerche in agroscienze, genomica etcetc), l’industria della genomica molecolare cominciò a produrre i primi chip per l’analisi dei microarray, dando un nuovo impulso alla ricerca su A. thaliana, sviluppando le prime procedure di base per esperimenti di mutagenesi e iniziando le prime collezioni di mutanti di questa pianta che hanno sviluppato poi i nuovi sistemi di catalogazione e d’analisi di queste informazioni (Coman et al., 2013).

Arabidopsis thaliana deve il suo successo, come organismo modello, alla complessità

degli studi sui sistemi biologici che ha da sempre reso necessario il poter condurre esperimenti e osservazioni su organismi modello facilmente riproducibili e conservabili in ambienti controllati, ma che conservassero le caratteristiche tipiche del problema che si intendeva studiare. L’evolversi della biologia molecolare ha portato alla scoperta di nuovi organismi e sistemi biologici in grado di permetterci di comprendere le interazioni tra tutti i componenti fondamentali che costituiscono gli organismi viventi. Solo attraverso lo studio di un sistema vivente complesso e articolato, con tutti i suoi componenti, si può arrivare a un’efficace comprensione di come quel sistema riesca a sopravvivere e a studiarne tutti i suoi componenti. Il primo passo per identificare efficacemente tutti i componenti è sempre lo studio del

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genoma, dei trascritti e delle proteine, quindi indurre fattori che potessero perturbare le condizioni di “quiete” dell’organismo e osservarne la risposta. I risultati ottenuti integrano quello che si conosce dell’organismo modello fino a rispondere esaurientemente al problema posto. Questo tipo di approccio è applicato in qualsiasi ricerca biologica e A. thaliana, a causa delle sue caratteristiche di coltivazione e mantenimento relativamente semplici, è considerato un organismo modello affidabile per gli studi relativi alla fisiologia e biologia molecolare delle piante (Van Norman e Benfey 2009). I progressi nel campo della tecnologia molecolare hanno affermato nuovi metodi che negli ultimi anni hanno portato alla raccolta di un’ingente quantità di dati su questa pianta e sulla complessa rete di meccanismi molecolari che s’intrecciano all’interno di essa. L’approccio sperimentale è di conseguenza cambiato, andando da una procedura guidata da un’ipotesi all’indiscriminata collezione di dati e creazione di banche dati dalle quali raccogliere le informazioni da elaborare successivamente con strumenti bioinformatici, sperando che questa complessa rete di dati possa risultare sempre più utile per la comprensione del complesso mondo vegetale.

Figura 3. Immagine di Arabidopsis thaliana tratta dal sito web: http://nauka.in.ua/en/news/articles/article_detail/5068

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Gli ormoni vegetali sono piccole molecole organiche naturali che possono venir sintetizzate dalle piante e sono in grado di influenzare i processi fisiologici delle piante. Vengono suddivisi in varie classi e la loro scoperta risale alla fine del 1800 da parte di Charles Darwin; ad oggi il loro numero è andato aumentando e la loro classificazione si è fatta sempre più dettagliata e organizzata (Kutschera et al., 2009). Non sempre è chiaro dove gli ormoni vengano sintetizzati all’interno della pianta, né come agiscano poiché ogni ormone può regolare vari processi cellulari e numerosi processi fisiologici possono essere regolati da un singolo ormone. L’industria agronomica ha riservato una grande attenzione verso la sintesi di queste molecole, proprio a causa del loro effetto su vari distretti fisiologici della pianta, dalla maturazione dei frutti alla capacità di promuovere la crescita delle radici alla sincronizzazione dei raccolti. Le classi in cui gli ormoni si suddividono sono varie, di seguito si riportano quelle, generalmente, più conosciute: auxine, gibberelline, citochinine, etilene e acido abscissico. Esistono altre sostanze segnale, individuate successivamente, che mimano in alcuni casi l’effetto degli ormoni principali e amplificano il segnale indotto da loro. Nel lavoro di questa tesi si concentrerà l’attenzione sulla classe di ormoni delle auxine.

2.1 Auxine

Le auxine furono scoperte in seguito ad osservazioni relative al fototropismo dei coleottili delle graminacee; il primo a ipotizzare la presenza di una sostanza capace di modificare la fisiologia di una pianta fu Boysen-Jensen (1913) scoprendo che lo stimolo originato nell’apice della coleottile d’avena, può migrare oltrepassando la superficie di taglio: ed è quindi di natura chimica. Paal (1919) ha osservato successivamente che si può indurre la curvatura anche al buio rimettendo l’apice asportato in posizione laterale; la curvatura è dovuta a maggior crescita sotto l’apice. Went (1928) scoprì che la curvatura può essere indotta da blocchetti di agar precedentemente impregnati di un fattore attivo che diffonde dagli apici recisi. Fu chiaro che la parte apicale del coleottile modificava la quantità di una sostanza che diffondeva nel tessuto sottostante, dove provocava un accrescimento in proporzione alla sua quantità. Il nome auxine deriva dal greco e si riferisce al suo ruolo di crescita. All’auxina responsabile fu assegnata la struttura dell’acido indol-3-acetico (IAA).

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2.1.1 Biosintesi delle auxine

La biosintesi delle auxine ha alla base la molecola del triptofano (Figura 4) che va incontro a una deaminazione con produzione di acido indolpiruvico (Won et al., 2011). E’ anche possibile che il triptofano vada incontro a una decarbossilazione dando triptamina, entrambe le vie convergono producendo 3-indoloacetaldeide che tramite una reazione di ossidazione porta alla produzione di acido 3-indoloacetico. Nelle auxine si parla di catabolismo, a differenza della altre classi ormonali, dove si potrebbe parlare di conversione della molecola ormonale in altra struttura che può conservare attività biologica o servire da precursore per una simile molecola ad azione ormonale. L’acido indolacetico può essere degradato sia per azione enzimatica che non enzimatica. La via enzimatica è basata su di un’ azione ossidativa che porta alla produzione soprattutto di 3-idrossimetilossindolo a 3-metileossindolo, ma anche di indoaldeide ed una serie di altre sostanze originate da attività perossidasica su IAA (Krupinski et al., 2010). La via di ossidazione non enzimatica genera gli stessi metaboliti ossidati ed è fotossidativa. La sintesi di IAA è accertata in vari tessuti con preferenza di quelli giovani con attività meristematiche quali apici caulinari, le gemme, i semi germinanti, i fiori ed i frutti nei primi stadi di crescita.

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Figura 4. Vie di sintesi dell’acido Indolo-3-Acetico

http://plantphys.info/plant_physiology/images/auxinsynthesis.gif

2.1.2 Meccanismo molecolare delle auxine

L’intero complesso molecolare di azione delle auxine non è ancora del tutto chiaro, tuttavia si conosce come i meccanismi molecolari per l’attivazione dei geni di risposta alle auxine lavorino a stretto contatto con il complesso del proteosoma (Figura 5). Le proteine degradate dal proteosoma, infatti, sono le proteine della famiglia IAA/AUX che solitamente reprimono i fattori di trascrizione ARF (Auxine Responsive Factor), i quali, una volta liberi dal repressore, trascrivono i geni di risposta alle auxine (Gray et al., 2000). Essendo il profilo di trascrizione del signaling delle auxine molto ampio non si conoscono ancora tutti i geni coinvolti.

Figura 5. Meccanismo molecolare di funzionamento delle auxine

http://plantcellbiology.masters.grkraj.org/html/Plant_Growth_And_Development3-Plant_Hormones-Auxins_files/image048.jpg

2.1.3 Omeostasi e trasporto delle auxine

L’omeostasi delle auxine all’interno della pianta è garantito da particolari meccanismi che ne garantiscono una fine regolazione in tutto l’organismo (Figura 6),

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operando a stretto contatto con i suoi meccanismi di catabolismo (Petrášek et al., 2006).

Figura 6. Equilibrio e catabolismo delle auxine.

Il trasporto auxinico è regolato ad opera della famiglia delle proteine PIN (pompe a efflusso) che si suddivide in due sottofamiglie: le proteine PIN 1, 2, 3, 4, 6, 7 e le proteine PIN 5 e 8. Oltre alle proteine PIN si ritrovano anche altri trasportatori (pompe a influsso) AUX1/LAX (Figura 7). Entrambe queste famiglie cooperano per il trasporto e il mantenimento dell’omeostasi delle auxine (Palme et al., 1999).

Byosinthesis IAA Degradation IAA-Ala IAA-Leu Storage Amide-hydrolase Amide-synthetases Ester conjgates Storage Transport IAA-Asp IAA-Glu Degradation

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Figura 7.Meccanismi di afflusso ed efflusso delle auxine nella cellula http://lhr.ueb.cas.cz/en/images/do%20textu/schema_big/schema_auxin_big.jpg

La famiglia delle proteine PIN è una delle più studiate nel trasporto auxinico ed è stato possibile identificarne la localizzazione fisiologia nei vari distretti della pianta (Figura 8), anche se rimangono ancora dei punti oscuri al riguardo del trasporto e della sintesi delle auxine negli apici meristematici (MironovaV et al., 2010).

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Figura 8. Localizzazione delle varie proteine PIN a livello dell’apice radicale . https://encrypted-tbn1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTt05YqfSv4xUcZCmBnAnBQKMahe4PzS1yCGN8vCPryzZjcDIyW

2.1.4 Effetti delle auxine sulle piante

Nelle piante vascolari, le auxine sono coinvolte in vari processi dello sviluppo come: il gravitropismo e l’accrescimento delle radici (Woodward e Bartel 2005). A livello cellulare, le auxine stimolano la divisione cellulare e promuovono l’allungamento della parete cellulare che permette alla cellula di espandersi in risposta a una maggiore pressione del turgore vacuolare (Murphy 2002). Tuttavia, rimane ancora poco chiaro come le auxine possano influenzare così tanti e diversi meccanismi molecolari (De Smet 2010). Tra gli effetti noti che le auxine esercitano sulle piante, oltre a quelli già citati, vi sono anche la stimolazione della divisione cellulare nell’apice radicale (insieme alle citochinine), nelle colture cellulari, la stimolazione della differenziazione dello xilema e del floema, l’induzione della formazione di radici laterali, la stimolazione della crescita di radici avventizie, la stimolazione della

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crescita dei frutti e il ritardo della loro maturazione, ed infine stimola la produzione di etilene (Marchant et al., 2002).

3.0 SCOPO DELLA TESI

In base all’elenco di alghe investigate da Lau et al. (2009), si è deciso d’investigare, con un approccio di tipo fisiologico e successivamente molecolare, la presenza di molecole capaci d’indurre una risposta fenotipica e molecolare di un organismo vegetale complesso, all’interno delle specie di protisti autotrofi messe a disposizione dal laboratorio di Protistologia dell’ateneo. La scelta è ricaduta sugli individui appartenenti alla specie del genere Dunaliella che, come Chlorella pyrenoidosa, appartengono alla divisione delle Chlorophyta. Organismi appartenenti al phylum Chlorophyta hanno mostrato di rispondere alle auxine (Vance 1987), inoltre la specie Dunaliella salina è da tempo utilizzata come fonte di cibo in acquacoltura ed è stata ampiamente coltivata e studiata per la sua capacità di accumulare molecole bioattive (come il β-carotene, il glicerolo e vitamine) (Gomez et al., 2003). L’uso di questo protista autotrofo per fini industriali è legato alla sua ampia tolleranza ad elevati valori di salinità che mantengono le colture uni-algali e relativamente libere da competitori, patogeni e predatori. Per questo motivo si è diffusa rapidamente la sua commercializzazione su scala industriale in America, Israele e Australia.

Dunaliella salina è stata ampiamente studiata anche per il suo alto tasso di

carotenoidi e acidi grassi nell’industria alimentare (Ramakrishna et al., 2011). Dall’analisi della letteratura esistente che indaga gli effetti delle auxine sulle alghe pluri- ed uni-cellulari si evince come ancora non sia chiaro che ruolo abbiano molecole segnale, come gli ormoni, nell’evoluzione e nella vita di questi organismi autotrofi. Dunque lo scopo di questa tesi è d’indagare la presenza o assenza di molecole all’interno di estratti di protisti autotrofi, nello specifico all’interno di alghe unicellulari come D. salina, in grado di indurre una risposta fisiologica e molecolare in organismi autotrofi superiori e di mettere a punto protocolli che permettano di poter sfruttare tali capacità per scopi industriali. Il lavoro di questa tesi è composto

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da uno screening in vitro ottenuto dalla semina di A.thaliana in piastre contenenti estratti di Dunaliella, ed in base all’osservazione della prova in vitro risultante dalle piastre si è proseguito con un analisi di Real-Time PCR per i geni che più probabilmente sarebbero potuti essere coinvolti nello sviluppo del fenotipo osservato sulle piastre.

4.0 MATERIALI E METODI

Coltura delle cellule

olture di Dunaliella salina sono state fatte crescere in acqua di mare artificiale preparata secondo la Formula di Allen (1966) arricchita con la Formula di Walne (Walne P.R. 1966), secondo la Tabella 1.

Formula di E.J.Allen

Componenti Concentrazioni g/L di acqua bidistillata NaCl 28,13 KCl 0,77 CaCl2 1,20 MgCl2 2,55 MgSO4 3,50 NaHCO3 0,11 Soluzione A KNO3 20,2gr in 100mL Soluzione B Na2HPO4*12H2O 4gr CaCl2*12H2O 4gr FeCl3 2mL HCl (puro) 2mL

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Una volta aggiunte le due soluzioni si porta ad ebollizione e si lascia decantare il precipitato, filtrando successivamente con filtri di carta. Si conclude la preparazione con sterilizzazione tramite un ciclo di autoclave di 15’ a 121°C.

Successivamente alla sterilizzazione dell’acqua di mare preparata secondo la formula di E.J. Allen si aggiunge un soluzione di arricchimento preparata secondo la formula di Walne.

Formula di Walne

Stock A Concentrazioni g/L di acqua distillata FeCl3*6H2O 1,30 MnCl2*4H2O 0,36 H3BO3 33,60 EDTA 45,00 NaH2PO4*H2O 20,00 NaNO3 100,00

Trace metal solution* 1,0mL

Stock B Concentrazioni mg/100mL di acqua distillata

Cyanocobalamina (B12) 10

Thiamina (B1) 200

Le colture sono state tenute a temperatura costante di 23 +/- 1 °C con cicli darkness / light di 12h con lampade di tipo: Osram daylight lamp, 36 Wy10 e Osram

fluora lamp, 40 Wy77.

Dello Stock A viene aggiungo 1 mL per litro di acqua di mare che s’intende arricchire, mentre si deve aggiungere 0,1mL dello Stock B per litro di acqua di mare da

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*Trace metal solution Concentrazioni g/100 mL di acqua distillata ZnCl2 2,1 CoCl2*6H2O 2,0 (NH4)6Mo7O24*4H2O 0,9 CuSO4*5H2O 2,0

La “trace metal solution” è una soluzione di metalli che è caratteristica dello Stock A al quale va aggiunta durante la preparazione del mezzo.

Conta cellulare

La concentrazione delle singole colture è stata determinata tramite conta con camera di Burker, secondo il seguente protocollo:

- Prelevare di 10 μL di coltura. - Aggiugere 980 μL di H2O sterile.

- Aggiugere10μL di immobilizzante San Felice (160 mL acido H2CrO4 al 1% in

H2O, 80 mL CH2O al 37% in H2O, 10 mL di CH3COOH puro).

Si ottiene cosi una soluzione di 1 mL dalla quale si preleva, tramite una pipetta Pasteur, un volume sufficiente da permettere la diffusione per capillarità nella camera di Burker, quindi si può procedere con la conta.

Raccolta della biomassa cellulare

La raccolta della biomassa cellulare di Dunaliella salina è stata effettuata tramite centrifugazione secondo i seguenti parametri:

- 650 x g per 2’ e 30’’.

- Volume di partenza ~ 900 mL

Una volta eliminato il surnatante con una pompa a vuoto, il pellet cellulare è stato conservato a – 80 °C fino al suo utilizzo.

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Trattamento della biomassa cellulare per la

filtrazione

Per la preparazione alla filtrazione, della biomassa cellulare, si consiglia di partire dal pellet allo stato fluido (se congelato aspettare che si scongeli). Trasferendo il pellet in un mortaio, si aggiunga gradualmente azoto liquido polverizzando con un apposito pestello per circa 2-3 minuti. Una volta che il pellet ha ripreso forma liquida lo si trasferisca in una eppendorf da 2mL e si centrifughi a 17508 g per 5 minuti (il tempo di centrifugazione può subire piccole variazioni, ma il sopranatante che si deve ottenere alla fine deve essere il più limpido possibile). Si trasferisca il sopranatante in un contenitore sterile e si filtri con filtri da 0,2μm. Conservare a -80°C.

Preparazione di auxina sintetica (acido 2,4

diclorofenossiacetico)

La preparazione di uno stock di acido 2,4 diclorofenossiacetico (2,4-D) da utilizzare nelle prove con piantine di A. thaliana inizia con il composto allo stato solido che va disciolto in metanolo. Il protocollo di preparazione è ridondante una volta preparata la prima aliquota a 100mM.

- Pesare 0,0225g di 2,4-D.

- Sciogliere il composto in 1,0 mL di metanolo assoluto, Cf= [100 mM].

- Aggiungere 10 μL di 2,4-D [100mM] a 990 μL di H2O sterile, Cf=[1 mM]

- Aggiungere 200 μL di 2,4-D [1mM] a 19,8 mL di H2O sterile, Cf=[10 μM]

Eseguendo varie diluizioni scalari si può raggiungere le concentrazioni desiderate per i vari esperimenti.

Partizione in etere

Al fine di poter trattare il sopranatante filtrato, secondo il protocollo della partizione in etere, il pH del filtrato deve essere portato a 2,83 tramite HCl (37%). Una volta stabilizzato il pH si trasferisce la soluzione in un pallone separatore e si aggiunge etere dietilico in rapporto di volume 1:1. Quindi si aspetti che la separazione delle fasi sia netta (al fine di agevolarne la separazione si centrifughi per 2 minuti a 17600g). Completata la separazione di fase, si trasferisca la fase superiore in

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un’ampolla e utilizzando un “Rotovapor” si faccia evaporare sottovuoto a temperatura ambiente il contenuto dell’ampolla. Quindi si eluisca il sedimento in 500μL di metanolo.

Sterilizzazione di semi

I semi per gli esperimenti di questa tesi sono stati sterilizzati secondo il seguente protocollo, operando il tutto in un ambiente sterile:

- Trasferire i semi in eppendorf da 2 mL.

- Aggiungere 1 mL di etanolo al 70% e risospendere. - Attendere 30’’.

- Centrifugare in una centrifuga da tavola a velocità massima per 30’’ ed eliminare il surnatante.

- Aggiungere 1 mL di H2O sterile e risospendere.

- Centrifugare a velocità massima per 30’’ ed eliminare il surnatante. - Ripetere i due passaggi precedenti 3 volte.

- Aggiungere ipoclorito di sodio al 20% e risospendere. - Attendere 6’.

- Centrifugare a velocità massima per 30’’ ed eliminare il surnatante. - Aggiungere 1 mL di H2O e risospendere.

- Centrifugare a velocità massima per 30’’ ed eliminare il surnatante. - Ripetere gli ultimi due passaggi precedenti 7 volte.

Preparazione terreno per la semina su piastre di

Arabidopsis thaliana

La preparazione del terreno di crescita per la semina, su piastre Petri da 10cm di diametro, di semi di A. thaliana è avvenuta con l’utilizzo dei seguenti componenti (per 500 mL di mezzo):

- 4,5 g di Agar.

- 2,15 g di terreno di crescita Murashige and Skoog (MS). - 2,5 g di saccarosio.

Si provvede a sciogliere le componenti sopra elencate in un opportuno volume di acqua e si sterilizza la soluzione tramite autoclave. Al termine della quale si aggiunge

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un volume pari al 0,05% di PPM (molecola antifungina) e l’aliquota di estratto filtrato stabilita per ogni piastra (o 50μL o 500μL). Una volta solidificato il terreno si è seminato, a una distanza di circa 1cm tra un seme e l’altro, Arabidopsis thaliana una volta sigillate le piastre con parafilm si sono incubate in cella a con cicli di 12h luce e 12h buio (120 μM photons m-2*s-1) a 22°C nel ciclo diurno e 18°C per il ciclo notturno.

Preparazione del terreno di crescita liquido per le

piantine di Arabidopsis thaliana

La preparazione del terreno in piastre da sei pozzetti da 2,5mL di volume ciascuno, ricalca in parte il protocollo su piastre petri da 10cm di diametro:

- 50% del volume totale deriva da Murashige and Skoog. - 50% del volume totale deriva da H2O.

- Si scioglie nel 50% di H2O 0,5% (g/Vtot) di saccarosio.

- Si aggiunge al 50% di MS lo 0,05% del volume di PPM. - filtrare il tutto con filtri da 0,2μm.

- In ogni pozzetto vanno aliquotati 2,4 mL di terreno e 100 μL di semi sterilizzati secondo il protocollo riportato in questo capitolo.

Le piastre sono state tenute in incubazione per 96 h al buio, a una temperatura di 21°C +/-1°C in agitazione orizzontale a 80 colpi/minuto. Dopo 96h si è provveduto alla sostituzione del terreno di crescita con un terreno di più recente preparazione, al quale è stata aggiunta una precisa aliquota di estratto filtrato (D. salina e D.

tertiolecta) o di estratto trattato con il metodo della partizione, a seconda

dell’esperimento che si è deciso di eseguire. Quindi le piastre vengono sigillate nuovamente con parafilm e carta di alluminio per schermare i seedlings dalla luce e vengono poste nuovamente in agitazione orizzontale per 2h, al termine delle quali si elimina il terreno e si prelevano i seedlings sui quali si esegue l’estrazione degli acidi nucleici per la Real-Time PCR.

Estrazione di RNA per analisi dell’espressione

genica

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Per l’estrazione dell’RNA da seedlings o piante adulte, è stato utilizzato il protocollo messo a punto da Perata et al. nel 1997. Conclusa questa la fase di estrazione si effettua un controllo sulla qualità degli acidi nucleici estratti tramite corsa elettroforetica, mentre la concentrazione viene calcolata tramite la lettura allo spettrofotometro a A260nm

Analisi allo spettrofotometro

L’analisi allo spettrofotometro sfrutta la capacità di assorbimento a specifiche lunghezze d’onda da parte degli acidi nucleici, in un range che varia dai 230 ai 280 nm. Tale capacità consente all’operatore di poter risalire alla concentrazione degli acidi nucleici presenti nel suo campione. Il protocollo d’utilizzo per l’apparecchiatura si riassume come segue:

Impostare lo spettrofotometro sulla lunghezza d’onda di 260 nm.

- In una cuvetta di quarzo porre 1ml di acqua (bianco) e azzerare lo strumento (il volume può variare in base alla capacità della cuvetta).

- Preparare una cuvetta di quarzo contenente 996 ul di H20 e aggiungere 4 ul

della soluzione del campione prescelto (che può essere diluito secondo un fattore stabilito dall’esperienza dell’operatore). E’ possibile anche utilizzare diluizioni differenti, a seconda della situazione.

- Coprire con parafilm e miscelare capovolgendo delicatamente la cuvetta. - Introdurre la cuvetta nello spettrofotometro e leggere l’assorbanza (A) a 260

nm e 280 nm.

- Coi risultati ottenuti, calcolare la concentrazione di RNA sapendo che in una cuvetta con un cammino di 1 cm, l’RNA alla concentrazione di 40μg/ml ha una capacità di assorbimento di 260nm:

Concentrazione RNA (ug/ml)=A260nm

40ug/ml 1 Unità

assorbimento

- Per risalire alla concentrazione iniziale della soluzione moltiplicare il valore ottenuto per il fattore di diluizione scelto al passaggio 2.

(30)

L’elettroforesi è una tecnica di laboratorio che permette di separare i frammenti di acidi nucleici in base al loro peso molecolare e alla loro carica elettrica. I frammenti di RNA tendono a migrare verso il polo positivo ed essendo la griglia molecolare costituita da molecole di agarosio lasciato polimerizzare (l’agarosio si scioglie in TAE con temperature sopra i 70°C, raffreddandosi polimerizza) i frammenti passano attraverso di essa. Più sono grandi e pesanti e più fanno fatica restando indietro rispetto a frammenti più piccoli che passano più velocemente tra le maglie. La visualizzazione è garantita da sostanza intercalanti, come il bromuro di etidio, che sono fluorescenti se esposte ai raggi UV. Nel nostro caso è stato usato il SYBR Green al posto del bromuro di etidio. La preparazione del gel d’agarosio è stata effettuata secondo il seguente protocollo :

- 0,5 g di agarosio

- 50 ml di Tris-Borato-EDTA - 0,5 µl di SYBR Green

Si ottiene cosi un gel al 1% d’agarosio.

Per la corsa elettroforetica, nel nostro caso si sono utilizzati i seguenti accorgimenti: - mA 300

- 115 V - 15 minuti.

Retrotrascrizione da RNA a cDNA

Per retrotrascrivere i campioni da RNA a cDNA è stato usato il kit “iScript TM cDNA Synthesis Kit” della ditta Bio-rad1, basato sull’utilizzo di random primers per l’amplificazione. E’ stata preparata una “Master Mix” contenente i seguenti reagenti:

Componenti Volumi (μL)

Buffer 2,0

Reverse Trascription Enzyme 0,5

H2O Sterile 2,5

1

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Volume totale “Master Mix” 5,0

I volumi dei singoli reagenti riportati nella tabella, sono stati modificati a seconda del numero di campioni considerati per ciascuna Real-Time PCR. Nel caso riportato in tabella si ottiene un volume totale necessario per un campione, la “Master Mix” viene aggiunta al volume di campione proveniente dal trattamento con DNAsi secondo la seguente tabella:

Componenti Volumi (μL)

Campione-RNA 5,0

Master Mix 5,0

Volume totale 10,0

Quindi si prosegue con una Reverse Transcription PCR, seguendo gli step qui elencati: 5 minuti a 25° C, 30 minuti 42 °C, 15 minuti a 45 °C e 5 minuti a 85 °C. La temperatura di holding è stata impostata a 10 °C.

Real Time RT-PCR

L’intera reazione è stata effettua dal sistema meccanizzato “ABI Prism 7000 Sequence Detector System” della Applied Biosystem, ABI Prism®, USA.

Per la Real-Time PCR si è utilizzato come gene house-keeping quello dell’ubiquitina10. La reazione di Real-Time PCR è stata impostata su una piastra di 96 pozzetti, nei quali sono state caricate le mix di ogni campione secondo lo schema di seguito riportato: cDNA 4 μl Itaq UuniverSybr Green 7,5 μl Forward Primer 0,45 μl Reverse Primer 0,45 μl Sigma-H2O 2,6 μl

(32)

Volume Totale 15,0 μl

I cicli della real-time sono stati impostati come illustra lo schema seguente:

La quantificazione di ogni singolo gene è stata operata tramite il metodo della comparazione al threshold dell’housekeeping e il gene indagato (IAA1 nel nostro caso) grazie all’utilizzo dei seguenti primer:

At4G14560_FW_SG  5’-TTGGGATTACCCGGAGCACAAG-3’ Forward At4G14560_RV_SG  5’-GCGCTTGTTGTTGCTTCTGACG-3’ Reverse

Analisi bioinformatica

L’analisi in silico è stata condotta usando il software BLAST messo a disposizione dal sito: http://blast.ncbi.nlm.nih.gov/Blast.cgi?CMD=Web&PAGE_TYPE=BlastHome.

Tale analisi è stata eseguita allo scopo d’indagare l’eventuale presenza di proteine simili a quelle del pathway di sintesi delle auxine, triptofano dipendente. Scegliendo il programma di: “Basic Blast” specializzato in “protein blast” che permette di confrontare le sequenze amminoacidiche delle proteine d’interesse, con il proteoma

50,0 °C 00:10 95,0 °C 03:00 95,0 °C 00:05 60,0 °C 00:30 Stage 1 Stage 2 Holding…

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dei due organismi citati in questa tesi (D. salina e D. tertiolecta). L’algoritmo usato è:

blastp (protein-protein BLAST) con impostazioni di “choose search set” standard per

“non-redundant protein sequences” negli organismi di D. salina (taxid: 3046) e D.

tertiolecta (taxid: 3047).

High Performance Liquid Chromatography

2

Gli estratti filtrati di D.salina e D.tertiolecta sono stati acidificati con un volume di acido cloridrico 0.1 M (circa 1 mL) in modo da avere un pH 3. Al volume finale (4 mL) sono stati aggiunti 4 mL di acetato di etile e si è proceduta ad una estrazione liq/liq. La parte acquosa è stata successivamente riestratta con altri 4 mL di acetato di etile. Gli estratti organici (acetato di etile) sono stati riuniti ed evaporati sotto vuoto (Rotovapor) a temperatura ambiente e successivamente ripresi con 200 microlitri di Metanolo.

10 microlitri di questa soluzione metanolica sono stati iniettati in HPLC su colonna reversed-phase C8 (Eclipse XDB-C8 3.5µ) usando come sistema eluente un gradiente che partendo da H2O+0.1%AcFomico/MeOH 1:1 finiva in 30 minuti in solo MeOH. I composti in uscita dalla colonna sono stati rilevati in parallelo da un detector photoDiodeArray (capace di registrare in tempo reale lo spettro UV da 200 a 400 nm) e da un detector spettrometro di massa con sorgente di ionizzazione electrospray (ESI). Ogni estratto è stato iniettato due volte, nella prima lo spettrometro era settato con la sorgente ESI in modalità di detection degli ioni positivi, nella seconda con la sorgente ESI in modalità di detection degli ioni negativi.

2

La High Performance Liquid Chromatography è stata eseguita dall’Università di Trento presso i laboratori del Prof. Graziano Guella.

(34)

5.0 RISULTATI

5.1 Preparazione colture cellulari

Il primo passo necessario per la preparazione delle piastre contenenti l’estratto di

Dunaliella è stabilire una concentrazione di riferimento a cui poter eseguire la

raccolta del pellet di Dunaliella. Questo è stato fatto tramite il monitoraggio giornaliero della concentrazione di cellule per litro delle colture degli organismi di nostro interesse, questo ci ha permesso di stabilire una curva di crescita e un tempo standard a cui poter raccogliere le alghe. Tra i microrganismi messi a disposizione dal laboratorio del Dott. Di Giuseppe si è deciso di concentrarci su D. salina e D.

tertiolecta.

Figura 9: curve di crescita delle Dunalielle.

In base all’osservazione al microscopio ottico della vivacità delle colture si è deciso di raccogliere il pellet a una concentrazione di coltura cellulare di circa 1,0 x 109 cellule per litro.

L’andamento della crescita della Dunaliella (Figura 9) non è riconducibile alle più classiche curve di crescita cellulare, soprattutto per quanto riguarda la specie di D.

(35)

tertiolecta è imputabile a una variabilità sperimentale nel prelevamento

dell’aliquota dalla soluzione per la conta delle cellule.

5.2 Preparazione dell’estratto filtrato e prova su

piastra

Il pellet trattato con azoto e filtrato è stato aggiunto al terreno di semina per piastre da 20 mL su cui erano seminati 20 semi di Arabidopsis thaliana per piastra. Al

termine del periodo d’incubazione è stato possibile osservare il seguente fenotipo:

(36)

Come si può osservare dal confronto tra le figure 10 e 11, le piante mostrano una notevole riduzione della lunghezza radicale a favore di un aumento del branching delle radici secondarie e dei peli radicali. Tali caratteristiche hanno indotto a ipotizzare un’alta concentrazione di molecole “ormone-like” all’interno dell’estratto filtrato di Dunaliella. Quindi, in base alle osservazioni del fenotipo, è stata ipotizzata una possibile presenza di molecole ormone-like nell’estratto di Dunaliella. Allo scopo di confermare o smentire tale ipotesi si è proseguito con un’indagine molecolare condotta su seedlings, attraverso la tecnica di Real-Time PCR.

(37)

Fig. 12 Estratto di Dunaliella tertiolecta su

Arabidopsis thaliana

(38)

Il ripetersi di un fenotipo, come quello presente nelle figure 12 e 13, in presenza dell’estratto di D. tertiolecta ha permesso di passare alla fase successiva, l’indagine molecolare tramite Real-Time PCR.

5.3 Risultati Real-Time PCR

La Real-Time PCR è stata eseguita su acidi nucleici estratti da seedlings di

Arabidopsis thaliana. Lo scopo è stato quello d’indagare la presenza di molecole che

fossero in grado d’indurre l’espressione del gene IAA1, gene che viene trascritto quando l’organismo si trova in presenza di determinate concentrazioni di auxine. Ipotizzando la presenza di molecole “auxina-like” all’interno dell’estratto di

Dunaliella, si è proceduto con l’estrazione degli acidi nucleci da seedlings preparati

in piastre multi-wells secondo il protocollo citato nel capitolo “Materiali e Metodi” e se ne è verificata la quantità e qualità grazie all’utilizzo di uno spettrofotometro e

corsa elettroforetica

(39)

Figura 14: Esempio di Elettroforesi

Successivamente è stata analizzata l’espressione del gene IAA1 tramite Real-Time PCR, secondo il kit fornito dall’azienda, come riportato nel capitolo “Materiali e Metodi”.

Schema esperimento

Non sapendo che tipo di molecola si stava indagando e in quale concentrazione fosse presente, si decise di somministrare ai seedling una quantità di volume proporzionale a quella utilizzata nelle piastre da 20 mL con 500 μL di estratto, cioè:

(40)

Tabella 1

Campione Dettaglio Concentrazione Volume Volume pozzetto 1 Controllo - - 2,5mL 2 2,4D 10 μM 2,5mL 3 D.salina 2,5% - 62,5 μL 2,5mL 4 D.tertiolecta 2,5% - 62,5 μL 2,5mL 5 Mezzo Dunalielle - 2,5mL 2,5mL Tabella 2

Dettaglio Relative Expression Level

Controllo 1,0

2,4D 10μM 3,313

D.salina 2,5% 2,250

D.tertiolecta 2,5% 0,5

Mezzo di crescita Dunaliella 0,008

Tabella 3

Tabella 4

Analisi statistica

1° esp 2° esp Medie DevStd CntNum ErtStd

CRT 1,000 1,000 1,000 0 1,414214 0

2,4D 7,662 3,313 5,487 3,075165 1,414214 2,17447 Salina 3,106 2,250 2,678 0,60474 1,414214 0,427616 Tert 3,537 0,500 2,018 2,147708 1,414214 1,518659 Mezzo D. 1,475 0,008 0,742 1,037835 1,414214 0,73386

(41)

Grafico 1

Dai risultati della Real-Time PCR (Grafico 1) non si osserva un aumento netto dell’espressione del gene di IAA1: sia nel campione trattato con estratto filtrato di

D.salina, sia in quello con estratto filtrato di D.tertiolecta. Si tende a escludere anche

la possibilità che i due organismi utilizzati, possano secernere molecole ormone-like nel mezzo di crescita, in quanto l’induzione di quest’ultimo (Grafico 1) rimane a bassi livelli. Il 2,4D somministrato (2,4 diclorofenossiacetico) mantiene un’induzione molto più potente rispetto all’estratto filtrato anche in virtù del fatto che le auxine di origine sintetica vengono metabolizzate molto più lentamente dall’organismo vegetale, rispetto a quelle di origine naturale. La successiva linea di esperimenti ha

Dettaglio Relative Expression Level

Controllo 1,0

2,4D 10μM 7,662

D.salina 2,5% 3,106

D.tertiolecta 2,5% 3,537

(42)

cercato di indagare una possibile correlazione tra quantità di estratto somministrato e induzione genica, sia pure a bassi livelli.

Schema utilizzato per l’esperimento con estratto di D.

salina e D. tertiolecta filtrato

Per ragioni di semplicità e di biomassa a disposizione, si è optato per una riduzione del volume di estratto da somministrare, osservandone l’effetto tramite l’induzione genica.

Tabella 5

Campioni Dettaglio Concentrazioni Volume Volume pozzetto 1 D. salina 5% - 125 μL 2,5 mL 2 D. salina 2,5% - 62,5μL 2,5mL 3 D.salina 1,25% - 31,25μL 2,5mL 4 D.tertiolecta 5% - 125μL 2,5mL 5 D.tertiolecta 2,5% - 62,5μL 2,5mL 6 D.tertiolecta 1,25% - 31,25μL 2,5mL 7 2,4D 5μM - 2,5mL 8 2,4D 2,5μM - 2,5mL 9 Controllo - - 2,5mL Tabella 6

Dettaglio Relative Expression Level

Controllo 1,0

D.salina 1,25% 1,197

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