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Il Περὶ Ἐπικούρου β di Filodemo: per un'edizione del PHerc. 1289

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Academic year: 2021

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1. Introduzione

Oggetto della presente tesi sono i risultati dell’analisi di PHerc. 1289, un papiro proveniente dalla famosa Villa dei papiri di Ercolano, andata distrutta a causa dell’eruzione del Vesuvio che colpì Pompei ed Ercolano nel 79 d. C.1

Gli scavi della Villa cominciarono nel 1750 per volere di Carlo di Borbone, e durarono fino al 1761, quando, a causa delle esalazioni velenose e per difficoltà di ordine finanziario, furono sospesi, e poi definitivamente abbandonati. All’interno della Villa vennero scoperti più di mille papiri: circa duecento papiri tra il 19 Ottobre 1752 e il 21 maggio 1753, e un numero almeno quattro volte maggiore dal 24 febbraio al 25 agosto 1754, in cinque punti diversi della Villa. In totale i rotoli ritrovati all’interno della Villa dovevano essere all’incirca 1100, includendo quei papiri che vennero distrutti o ignorati dagli scavatori, perché scambiati per pezzi di legno carbonizzato2. In effetti l’aspetto assunto dai rotoli ercolanesi, ancora chiusi, a causa del processo di carbonizzazione che subirono, è molto particolare: ridotti a dei blocchi impastati e contorti, possono senz’altro ricordare dei ceppi, dei piccoli pezzi di legno senza valore. Ma proprio il processo di carbonizzazione che li rese irriconoscibili ci consente ancora oggi di leggere il testo riportato. Infatti la carbonizzazione incompleta prodotta dal calore dei materiali vulcanici ha garantito la conservazione in un ambiente umido, impedendo il naturale deterioramento della carta, al contatto con acqua e fango3.

Dei papiri fino ad oggi trovati 837 conservano testi greci, solo 121 testi latini4. Forse

manca, dunque, una buona parte della biblioteca latina, che verosimilmente doveva affiancare quella greca5. I testi conservati nella villa hanno però una loro peculiarità:

compongono una biblioteca caratterizzata da una spiccato interesse filosofico, e nello specifico si tratta di opere riconducibili alla filosofia epicurea6. È plausibile pensare che la

formazione di questa biblioteca dipenda dall’attività di Filodemo di Gadara, proprio

1 La devastazione causata dall’eruzione del Vesuvio è stata raccontata e tramandata da Plinio il giovane: Ep.

VI 16, 20.

2 A queste conclusioni giunge CAPASSO, Manuale, 82, che offre una descrizione di tutta la storia degli scavi

e dei ritrovamenti.

3 BASILE, Cause, 14.

4 Secondo il catalogo on-line dei papiri ercolanesi: http://www.chartes.it/.

5 Cfr. LONGO AURICCHIO, La biblioteca, 194. A Cicerone si deve la notizia secondo cui le più importanti

biblioteche dell’epoca romana erano costituite appunto da un settore greco e da un settore latino (ad Q. fratrem III 4,5; 5, 6; ad Att. XIII 8; 31, 2; 32,2). La testimonianza di Cicerone è confermata da un passo di Petronio (Sat. 48).

6 Per un esame complessivo dei testi filosofici epicurei ritrovati nella biblioteca cfr. GIGANTE, Epicureismo,

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l’autore del nostro testo, che frequentò la Villa, e intorno al quale si formò un vero e proprio circolo epicureo7.

La biblioteca ritrovata nella Villa è costituita da tre nuclei principali. Tale considerazione è stata formulata da Cavallo sulla base dell’esame paleografico dei papiri8. Il primo nucleo, il più antico, costituito in prevalenza da opere riferibili al III-II sec. a.C., comprende scritti della tradizione epicurea: opere di Epicuro, tra cui i rotoli che riportano alcuni libri del Περὶ φύσεως, e poi opere di Demetrio Lacone, Polistrato, Carneisco e Zenone Sidonio, maestro di Filodemo. Tali rotoli verosimilmente provenivano da Atene, e furono portati da Filodemo in Italia nel 75 a.C., anno a partire dal quale il filosofo fu ospite della Villa. Ma l’apporto più sostanziale alla biblioteca è certo dato dalle opere che costituiscono il secondo nucleo, cioè le opere scritte da Filodemo nel I secolo a. C., attraverso le quali è possibile, inoltre, ricostruire il percorso cronologico e filosofico della produzione dell’autore. Un terzo nucleo di opere è costituito da opere di scuola epicurea posteriori all’età di Filodemo, che rivelano un persistente interesse per la filosofia epicurea nella Villa anche dopo la scomparsa di Filodemo (35 a.C.). Si tratta di rotoli che conservano opere di Epicuro, Metrodoro, Colote, Polistrato, Demetrio Lacone, nonché opere di Filodemo. A questo terzo nucleo appartengono anche alcuni testi di filosofia stoica9, tra i

quali frammenti riconducibili a Crisippo di Soli, il terzo Scolarca della Στοά. L’assenza di rotoli databili al I sec. d.C. inoltrato suggerisce che già prima del 79 d.C. la biblioteca fosse in uno stato di abbandono, o che almeno non venisse più ampliata. Tale circostanza è riferibile probabilmente ad un avvicendamento dei proprietari della Villa, meno interessati dei predecessori alla filosofia epicurea ed ellenistica10.

7 Filodemo nacque a Gadara intorno al 110 a.C. Trascorse un periodo non precisato ad Alessandria, ma studiò

nel Κῆπος epicureo di Atene, sotto la guida di Zenone Sidonio. Sembra che abbia vissuto per un periodo ad Imera, in Sicilia, prima di essere esiliato per aver causato offese di tipo religioso. Infine, negli anni 70, giunse ad Ercolano, dove si pensa sia rimasto fino alla morte, avvenuta probabilmente intorno al 30 a.C. Cfr. SEDLEY, Epicureanism, 32-33, e per una paronamica d’insieme sulla biografia e l’operato di Filodemo: LONGO AURICCHIO, INDELLI, DEL MASTRO, Philodème de Gadara, 334-359, ERLER, Philodem aus Gadara, 289-295, e DORANDI, Philodemos, 822-827. GIGANTE, Bibliothèque, 73-87 utilizza gli epigrammi di Filodemo contenuti nell’Antologia Palatina come testimonianze per la ricostruzione della vita dell’autore.

8 Queste le conclusioni alle quali giunge CAVALLO, Libri, 58-65, a partire dall’analisi paleografica condotta

sui papiri. Sulla costituzione della biblioteca della Villa cfr. anche GIGANTE, Bibliothèque, 34-70 e CAVALIERI, La Biblioteca, 57-71. LONGO AURICCHIO, La Biblioteca, 190-208 offre anche informazioni sulla sistemazione dei rotoli all’interno degli ambienti della Villa al momento del ritrovamento.

9 Sui quali cfr. MARRONE, Testi stoici, 181-184 e MARRONE, Testi stoici II, 223-225.

10 Dibattuta è l’identità del padrone della Villa. (ERLER, Epikur, 46). Per una visione generale del problema

cfr. CAPASSO, Aspetti e problemi, 172-185, e CAPASSO, Manuale, 41-64. La tesi tuttora comunemente accettata è quella formulata da COMPARETTI, DE PETRA, La Villa, 5-9, secondo il quale la Villa apparteneva a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare, e console nel 58 a.C., il quale fu amico e protettore di Filodemo. Cfr. anche SCATOZZA HÖRICHT, LONGO AURICCHIO, Dopo il Comparetti-Depetra, 157-167.

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Il testo conservato nel nostro papiro appartiene al secondo nucleo di formazione della biblioteca. All’interno della produzione di Filodemo, si colloca nella prima fase dell’attività letteraria del filosofo, quella caratterizzata da una produzione di tipo biografico-storiografico.

Il PHerc. 1289 conserva, infatti, il secondo libro dell’opera Περὶ Ἐπικούρου. Il primo volume dell’opera è contenuto invece nel PHerc. 123211. L’opera conservata dai due papiri

rientra nella produzione biografica di Filodemo dedicata al Κῆπος, di cui fanno parte anche le Πραγματεῖαι, e di cui è considerato un antecedente l’opera anonima sul circolo epicureo di Lampsaco contenuta nel PHerc. 176.

Il PHerc. 1289 conserva un testo ampiamente studiato dalla critica moderna, ma la cui ultima edizione, risalente al 1994 ad opera di Adele Tepedino Guerra, non ha potuto godere delle nuove tecnologie che hanno consentito agli studi sui papiri ercolanesi di questi ultimi anni progressi fino a poco tempo fa inimmaginabili. Infatti, grazie agli studi sviluppati negli ultimi venti anni, non pochi sono stati i progressi fatti nello studio dei papiri ercolanesi. Da un lato la lettura dei papiri è stata agevolata dall’applicazione di strumentazioni tecnologiche sempre più avanzate per semplificare la lettura dei papiri carbonizzati, in particolare dall’impiego delle immagini multispettrali. Dall’altro, grande rilevanza hanno avuto nell’ultimo ventennio gli studi sull’anatomia del rotolo, utili per misurare le lacune, e, dunque, la porzione di testo perduta, nonché per ricollocare gli strati sovrapposti e sottoposti, in modo da ricostituire le colonne, e quindi il testo originario. L’elaborazione delle immagini multispettrali dell’intera collezione dei papiri di Ercolano, realizzate nel 1999 per interessamento dell’allora direttore del CISPE Marcello Gigante e ad opera della fondazione CPART, The Center for the Preservation of Ancient Religious Texts, un centro legato alla FARMS, Foundation for Ancient Research and Mormon Studies affiliata alla Brigham University, ha costituito senz’altro un momento di svolta fondamentale12. L’immagine multispettrale, infatti, si ottiene tramite un processo in cui

11 Il numero del libro è stato di recente letto in quanto resta della subscriptio da DEL MASTRO, Titoli, 239.

Già TEPEDINO GUERRA, Su Epicuro, 5-6 pensava che potesse trattarsi del primo libro dell’opera; in due studi precedenti ipotizzava invece che fosse l’ultimo per il tono e lo stile. Cfr. TEPEDINO GUERRA, Una testimonianza, 85 n. 11 e TEPEDINO GUERRA, Osservazioni, 167 n. 2.

12 La tecnologia delle immagini multispettrali era stata già utilizzata con successo per lo studio dei rotoli di

Petra, carbonizzatisi nel VI sec. d.C. in seguito ad un incendio che si sviluppò nella chiesa in cui erano conservati. È interessante notare le diverse reazioni dei papiri di Petra e di quelli di Ercolano ai test effettuati. I papiri di Petra sono scritti con un inchiostro a base di ferro o forse di carbone; i papiri di Ercolano, invece, sono scritti con un inchiostro a base vegetale: così sui papiri di Ercolano è stato possibile ottenere un contrasto maggiore tra l’inchiostro e il foglio. In generale comunque sui papiri di Ercolano la tecnica delle immagini multispettrali ha dato risultati molto più positivi rispetto all’esperienza dei papiri di Petra. Cfr.

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varie immagini computerizzate sono sottoposte a diversi filtri, con l’intento di trovare il tipo di luminosità con cui il testo sia il più possibile leggibile. La nuova tecnica offre così tre vantaggi: in primo luogo non danneggia in alcun modo i frammenti, permette inoltre di conservare immagini di papiri che, già visibilmente danneggiati, possibilmente in futuro avranno uno stato di conservazione peggiore, e, consente, infine, di realizzare immagini computerizzate che possono essere manipolate nei modi più diversi. Proprio le immagini multispettrali sono state fondamentali per la ricostruzione del testo nel presente lavoro sul PHerc. 1289: hanno infatti permesso l’identificazione di diverse lettere e in alcuni casi di parole prima completamente illeggibili. Grazie alle immagini è stato possibile confermare od escludere definitivamente la validità di precedenti congetture ed ampliare il testo letto rispetto all’edizione di Tepedino. Certo, il difetto delle immagini multispettrali rimane la bidimensionalità: l’immagine, ovviamente, appiattisce la realtà del papiro, per cui non è possibile, guardando solamente le immagini, individuare e capire la complessità stratigrafica dei frammenti. Come è noto, uno dei problemi più ardui nello studio di un papiro ercolanese è l’individuazione degli strati. Date le particolari condizioni dei papiri, lo svolgimento dei papiri ercolanesi è sempre stato molto difficile, soprattutto a causa dell’eccessiva vicinanza tra le volute, spesso attaccate le une alle altre13. Ciò ha

determinato la presenza di strati di papiro rimasti attaccati ad uno strato successivo, i cosiddetti sottoposti, o precedente, i cosiddetti sovrapposti. Le porzioni di testo presenti in questi strati hanno dunque una collocazione diversa da quella originaria, e sono da ricollocare, di volta in volta, ad uno strato successivo o precedente.

Purtroppo, dunque, benché le immagini multispettrali siano ormai uno strumento necessario, per ricostruire la stratigrafia e ricollocare sovrapposti e sottoposti indispensabile resta il controllo autoptico del papiro14.

Importanti passi in avanti sono stati fatti inoltre anche nel ramo della ricerca papirologica riguardante l’anatomia del rotolo. Tra gli ultimi studi degno di nota è senz’altro il contributo offerto da Holger Essler, il quale ha messo a punto un nuovo metodo di

BOORAS, SEDLEY, Multispectral imaging, 95-100. Sulle immagini multispettrali vedi anche MACFARLANE, DEL MASTRO, ANTONI, BOORAS, Update Report, 579-586.

13 Per una storia dei metodi utilizzati per lo svolgimento dei papiri cfr. CAPASSO, Manuale, 87-116.

ANGELI, Problemi, 189-202, si sofferma sulle difficoltà incontrate nello svolgimento soprattutto dei primi rotoli, nonché sulle difficoltà di edizione dei papiri aperti con il metodo della “scorzatura”.

14 Sugli ultimi sviluppi della ricerca nel campo della tecnologia applicata allo studio dei papiri ercolanesi cfr.

DELATTRE, Reconstruire virtuellement 214 e BRENT SEALES, DELATTRE, Virtual Unrolling, 191-208. In particolare la ricerca, negli ultimi anni, si concentra sulla possibilità di ottenere delle immagini digitali di papiri non ancora svolti, attraverso l’utilizzo di raggi-x. Sebbene gli esperimenti finora condotti non abbiano rivelato il testo dei papiri, hanno permesso di chiarire la struttura interna del rotolo, fornendo molti dati importanti quali numero di volute, lunghezza del rotolo, composizione chimica.

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ricostruzione matematica del rotolo, basato fondamentalmente sul criterio della larghezza di pagina. Il metodo consente di misurare con precisione l’ampiezza delle lacune tra frammenti di papiro conservati, e di calcolare quindi la quantità di testo perduto tra un frammento e l’altro, e pertanto può essere utilizzato per stimare le dimensioni originali del rotolo. Tale metodo si rivela dunque molto efficace per la ricollocazione di sottoposti e sovrapposti, ed è quindi decisivo per la possibilità di recuperare nuove porzioni di testo15.

La tendenza dei più moderni studi di papirologia ercolanese è quella di riconsiderare e studiare, alla luce dei nuovi progressi, i papiri le cui edizioni risalgano a periodi antecedenti a queste scoperte. Quindi, per tutti i progressi compiuti nel campo della papirologia ercolanese, è opportuno riconsiderare il testo di PHerc. 1289 nei suoi aspetti più materiali di ricostruzione della successione dei frammenti, e ripetere la lettura del testo con l’ausilio delle immagini, al fine di recuperare porzioni di testo non ancora lette.

15 Il metodo di ESSLER, Rekonstruktion, 287-296 parte dalla valutazione dello “specchio di scrittura” cioè

della distanza tra il margine sinistro di una colonna e il margine sinistro della colonna seguente (dunque scrittura + intercolumnio). Lo specchio di scrittura può essere considerato un elemento ricorrente, poiché si ripete costantemente e senza variazioni apprezzabili. Tale metodo purtroppo non è però applicabile al PHerc. 1289, poiché i frammenti, isolati, non conservano i margini o è impossibile rintracciare i margini a causa della complessità stratigrafica.

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2. Il PHerc. 1289

2.1 Disegni ed edizioni di PHerc. 1289

Da sempre, per la ricostruzione dei testi ercolanesi, i disegni rappresentano una risorsa molto importante, dato che spesso testimoniano le condizioni in cui il papiro si trovava subito dopo lo svolgimento: l’usanza di disegnare i papiri svolti risale infatti al 1754, immediatamente dopo il ritrovamento dei papiri. Gli ultimi disegni di papiri furono realizzati nel 1916. In alcuni casi i disegni sono gli unici testimoni del testo, ed hanno dunque un’enorme importanza. Com’è noto, oggi esistono disegni Oxoniensi e Napoletani. Gli Oxoniensi sono i disegni che Hayter portò con sé in Inghilterra nel 1809, nell’ultimo periodo in cui fu alla guida dell’Officina. Inzialmente tali disegni avrebbero dovuto fare ritorno a Napoli, ma rimasero in Inghilterra, e sono tutt’ora conservati nella Bodleian Library di Oxford16. Solitamente i disegni Oxoniensi, poiché sono stati eseguiti

immediatamente dopo lo svolgimento dei papiri, rivelano una maggiore completezza nel testo. Con i disegni Napoletani ci si riferisce invece ai disegni conservati a Napoli. Questi comprendono sia i disegni di papiri svolti prima della partenza di Hayter, i cui primi apografi erano stati appunto da lui portati in Inghilterra, per cui si rese necessaria una seconda trascrizione dei papiri, sia ai disegni dei papiri svolti dopo il 1809, cioè dopo la partenza di Hayter. Pertanto i disegni di papiri svolti prima della partenza di Hayter, ma realizzati dopo che i disegni oggi detti Oxoniensi vennero portati a Oxford, furono realizzati anche molti anni dopo lo svolgimento del papiro, quando lo stato di conservazione del papiro era verosimilmente peggiorato e alcune parti del papiro erano andate perdute o distrutte. Tuttavia spesso negli apografi Napoletani è stata riscontrata una maggiore correttezza e fedeltà al papiro.

Del PHerc. 1289, svolto nel 1805 da A. Lentari, rimangono oggi dieci disegni Napoletani e sette disegni Oxoniensi. I disegni Napoletani furono eseguiti da Orazi (quattro disegni nel 1806), Biondi (due nel 1853), Crispino (due nel 1864: si tratta di due copie dello stesso disegno) e da Cozzi (due nel 1907). Anche per il testo del nostro papiro i disegni sono fondamentali per la ricostruzione del testo. Unicamente dai disegni, infatti, sono conservate le prime due colonne dell’opera: i disegni Oxoniensi e Napoletani riportano la col. I, solo i disegni Napoletani la col. II. Come vedremo, i disegni delle colonne I-II non trovano alcun

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riscontro nei frammenti di PHerc. 1289, conservati oggi in tre cornici: non ho trovato alcun punto di contatto né con i frammenti già editi, né con i frammenti in questo studio per la prima volta letti. I disegni conservano pertanto, in questo caso, una parte di testo altrimenti perduta. Inoltre, proprio nei disegni Oxoniensi è riprodotta per intero la subscriptio del papiro con l’indicazione del titolo e del numero del volume. Oggi sul papiro è leggibile infatti solo: φιλ[- - -⎪

περ[.]ε[- - -⎪

Non solo. Oltre che per la ricostruzione di testo altrimenti perduto, lo studio dei disegni è importante perché questi offrono informazioni sulla storia e le vicessitudini dei frammenti, informazioni di tipo cronologico riguardanti la sistemazione in cornici e la conservazione dei papiri, nonché informazioni sulle vicende, a volte travagliate, cui sono andati incontro i frammenti dei papiri conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli. A proposito del nostro papiro, dall’analisi dei disegni è emerso che l’ultimo foglio della cornice contenente i disegni Napoletani del PHerc. 1289 riporta una nota non firmata, la quale informa che originariamente il papiro era considerato una parte del PHerc. 101, svolto anche questo da Lentari nel 1805. Forse non è un caso, dunque, che nella stessa cartella contenente i disegni Napoletani di PHerc. 1289 si trovi una descrizione dei disegni di PHerc. 101, tre ad opera di Malesci17. Ad ogni modo sarebbe interessante indagare meglio i motivi che determinarono il collegamento tra il PHerc. 101 e il PHerc. 1289, anche perché non sembra che possa esserci un legame di tipo paleografico: le scritture dei due papiri sembrano molto diverse.

Dopo circa un secolo dalla realizzazione dei disegni da parte di Lentari fu Crönert18, nel 1901, a pubblicare per la prima volta il PHerc. 1289. Si trattava di un’edizione parziale poiché prendeva in considerazione soltanto la col. ΧΧΙV (Tepedino) e le prime otto linee della col. XXV (Tepedino). Il papiro fu poi pubblicato per intero da Bassi nel 191019, insieme al PHerc. 1232, contenente, come abbiamo visto, il primo volume dell’opera. Nel 1928 Vogliano pubblicò nuovamente entrambi i papiri20, i quali vennero poi studiati nel 1930 da Philippson21. Dopo una serie di lavori parziali22, nel 1994 Adele Tepedino Guerra

17 Il PHerc. 101 risulta conservato in due cornici contenenti quattro pezzi. Dopo il primo svolgimento nel

1805, venne poi ripreso e svolto una seconda volta nel 1969 da Fackelmann, il quale riuscì ad isolare 36 pezzi, conservati oggi in un’unica cornice. Il papiro conserva un testo greco di autore incerto; per la spiccata somiglianza della scrittura con PHerc. 362 e PHerc. 1010, entrambi testimoni del Περὶ φύσεως, SBORDONE, Recenti tentativi, 27 ha ipotizzato che potesse contenere la stessa opera.

18 CRÖNERT, Neues, 615-616, ma cfr. anche CRÖNERT, Kolotes, 97. 19 BASSI, Περὶ Ἐπικούρου, 513-529.

20 VOGLIANO, Epicuri scripta, 57-73. 21 PHILIPPSON, Neues, 23-32.

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ha ripubblicato per intero i due papiri23, prendendo in considerazione anche frammenti che fino ad allora non erano stati disegnati né pubblicati, e offrendo una quantità di testo decisamente più ampia rispetto all’edizione pubblicata da Vogliano.

2.2 Stato di conservazione di PHerc. 1289

Il PHerc. 1289 è oggi conservato in tre cornici che contengono in totale nove pezzi, sistemati su cartoncini di colore azzurro. Proprio la colorazione del cartoncino sul quale sono conservati i pezzi può darci utili informazioni riguardo alla storia del nostro papiro24.

Infatti da principio i papiri, fino alla fine del XVIII secolo (1798) venivano conservati “per intero”, in unico pezzo, ma a partire da un certo momento che è difficile stabilire con sicurezza, forse da collocare prima del 1802, data in cui Hayter prese la direzione dell’Officina, i papiri svolti, per motivi di comodità, cominciarono ad essere tagliati in pezzi di circa 10-30 cm ciascuno25. Durante il periodo in cui Hayter diresse l’Officina dei

papiri (1802-1806) i pezzi dei papiri svolti venivano staccati dal resto del rotolo e incollati su grandi fogli bianchi, i cartoncini, che venivano contrassegnati da lettere secondo un ordine alfabetico. I cartoncini venivano poi conservati su tavolette di legno, vicini o uno sopra l’altro. Infine i cartoncini erano fissati con degli aghi a delle tavolette di legno, e disegnati. Sui cartoncini, inoltre, si trovavano indicate anche le varie colonne che si potevano individuare sui pezzi di papiro lì incollati, e che venivano numerate con lettere alfabetiche (in minuscolo). La numerazione di Hayter seguiva dunque l’ordine in cui i pezzi si staccavano dalla macchina Piaggio, cioè l’esatta successione secondo cui il rotolo era svolto. Tale metodo di numerazione venne seguito fino al 1812. La presenza della numerazione di Hayter rende quindi facile datare lo svolgimento del papiro, e suggerisce che l’ordine in cui i pezzi sono stati conservati corrisponda all’ordine di svolgimento.

22 TEPEDINO GUERRA, Una testimonianza, 85-88, TEPEDINO GUERRA, Osservazioni, 165-178,

TEPEDINO GUERRA, TORRACA, Etica e Astronomia, 127-154.

23 TEPEDINO GUERRA, Su Epicuro.

24 Sullo studio dei supporti dei papiri ercolanesi e, in generale, sulla storia della conservazione dei papiri

all’interno dell’officina cfr. ESSLER, Bilder, 103-132.

25 Per quanto riguarda il momento in cui si cominciò a tagliare in pezzi di questo tipo i papiri, sappiamo,

grazie all’inventario pubblicato in BLANK, LONGO AURICCHIO, Inventari , 108, che fino agli anni 80 del XVIII secolo soltanto un papiro (PHerc. 1470) era stato tagliato. Probabilmente nel periodo in cui diresse l’Officina Padre Antonio Piaggio si preoccupò affinché i papiri venissero conservati per intero. Nel 1798 i papiri furono sistemati in casse e trasportati a Palermo, dove restarono fino al 1802. Sebbene sia improbabile che i papiri abbiano subito dei cambiamenti in questo periodo, dato che rimasero conservati nei magazzini, è da notare che all’epoca dell’arrivo di Hayter a Napoli (nel 1802) già sedici papiri erano stati divisi in pezzi: dunque non è da escludere un’eventuale risistemazione dei papiri in vista del trasferimento a Palermo. A questo proposito cfr. le considerazioni di ESSLER, Bilder, 105-106.

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Nella maggior parte dei casi, però, ed è il caso anche di PHerc. 1289, i papiri vennero staccati dai supporti di cartoncino bianco dei tempi di Hayter, e reincollati su fogli di carta più fine, bianca o azzurra, prima di essere appesi sulle pareti ed esposti come dei veri e propri quadri: in questo modo andò perduta, con il supporto, la numerazione di Hayter26. La scelta del supporto, cartoncino bianco o azzurro, dipendeva dalla collocazione del papiro all’interno della mostra: tutte le cornici con il cartoncino bianco si trovavano nella prima stanza, tutte quelle con cartoncino azzurro nella seconda stanza e nella terza. Su ciascun cartoncino veniva poi scritto il numero del papiro, il numero dei frammenti e il titolo, se conosciuto. Proprio durante questo processo di risistemazione vennero riordinati i pezzi e le cornici da esporre27, sulla base di due criteri principali: la successione che questi

avevano nella Collectio Prior e, soprattutto, valutazioni di tipo estetico. Così venivano esposti papiri già studiati, con un buon stato di conservazione e apprezzabili da un punto di vista estetico.

Il PHerc. 1289 risulta esposto nella stanza 3 sicuramente nell’anno 1865, il quale rappresenta un termine ante quem i frammenti di PHerc. 1289 vennero sistemati o ri-sistemati in vista dell’esposizione28.

La numerazione che oggi leggiamo sul cartoncino probabilmente risale al momento della sistemazione del papiro in vista dell’esposizione, e allo stesso momento credo risalga il titolo, aggiunto sul cartoncino e vergato nella stessa scrittura elegante in cui è vergata la numerazione dei pezzi.

Di seguito è riportata una descrizione del contenuto di ogni cornice di PHerc. 1289. Cornice 1

• Pz. 1: L 28,5 H 9 = coll. 3-4-5 (Tepedino) • Pz. 2: L 30,2 H 8 = frr. inediti

26 D’aiuto possono essere, per recuperare la numerazione originaria, i disegni Oxoniensi, i quali riportano la

numerazione di Hayter. Solo pochi papiri, meno di un decimo del totale, tra quelli appesi, sono stati svolti dopo la partenza di Hayter. L’abitudine di esporre i papiri come dei quadri risale all’inizio della storia dell’Officina: ad un periodo precedente al 1786 è da riferire la notizia secondo cui il primo papiro svolto da Piaggio il PHerc. 1497, Philod., Mus. IV, era esposto in otto cornici dorate e munite di vetri. Il PHerc. 1672, Philod., Rhet. II, poiché non fu diviso in parti come tutti gli altri, era esposto in una cornice già simile alle altre ma più lunga. Eccezion fatta per quest’ultimo papiro, normalmente venivano esposti i papiri già studiati e pubblicati, sicuramente anche per questioni di comodità.

27 In questo caso un intero gruppo di pezzi veniva spostato.

28 ESSLER, Bilder, 134, suppone che nel corso degli anni del decennio dal 1860 al 1870 tutti i pezzi delle

888 cornici che all’epoca risultano esposte, siano stati staccati dal loro supporto originario e incollati su cartoncini bianchi e azzurri a seconda della stanza alla quale erano destinati secondo le disposizioni della mostra.

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I due pezzi sono contrassegnati dalla dicitura unica “Frag. a”.

Il Pz. 2, che si trova sul cartoncino esattamente sotto il Pz. 1, è stato incollato alla rovescia, probabilmente a causa delle condizioni pessime del frammento che rendono impossibile la lettura ad occhio nudo. Grazie alle immagini multispettrali, però, mi è stato possibile individuare il senso di scrittura; per cui il pezzo andrebbe ruotato esattamente di 180o. Sul cartoncino sono visibili dei segni a matita, tracciati probabilmente dall’ultimo editore del papiro, Tepedino, che collegano i due pezzi e dividono il papiro in tre “sezioni” contrassegnate dalle lettere A-B-C. Forse l’editore ipotizzava che il Pz. 2 fosse la parte inferiore del Pz. 1. Cornice 2 • Pz. 1: L 27 H 7,4 = coll. 8-9-10-11-12-13 (Tepedino) • Pz. 2: L 5,3 H 8,3 = fr. inedito • Pz. 3: L 3,2 H 6,3 = col. 14 (Tepedino) • Pz. 4: L 10, 2 H 8 = coll. 15-16-17-18 (Tepedino) • Pz. 5: L 7,5 H 8 = coll. 19-20-21-22 (Tepedino)

Tutti i frammenti tranne il Pz. 2 sono stati numerati e divisi in colonne sul cartoncino con lo stesso inchiostro e dalla stessa mano che ha vergato i titoli e le altre numerazioni presenti nei cartoncini nel modo seguente:

Pz. 1 = coll. 1, 2, 3, 4, 5

Pz. 2 = in corrispondenza di questo pezzo mancano indicazioni Pz 3 = col. 6

Pz. 4 = col. 7 Pz. 5 = col. 8

Il Pz. 3 è incollato alla rovescia, come già notava Tepedino29: infatti in questo pezzo la

scrittura è ben visibile anche ad occhio nudo. Sul cartoncino si legge, scritto a matita probabilmente proprio da Tepedino: “incollata a rovescio”.

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Forse anche il Pz. 2 è stato incollato alla rovescia. Purtroppo in questo caso sul papiro le tracce di inchiostro visibili con chiarezza sono esigue, e anche le immagini multispettrali non sono di grande aiuto.

Sul cartoncino, dei tratti di matita orizzontali collegano il Pz. 3 al Pz. 4, forse per indicare la contiguità dei frammenti o l’appartenenza ad una stessa colonna.

Cornice 3

• Pz. 1: L 30 H 7,7 = coll. 23-24-25-26-27-28 (Tepedino) • Pz. 2: L 10 H 8 = subscriptio

Il primo pezzo è diviso in colonne, segnalate dalla stessa scrittura che abbiamo visto nelle altre cornici:

Pz. 1 = coll. 9, 10, 11, 12, 13

Dalla somma dei pezzi superstiti si ricava dunque che ad oggi rimangono 151,9 cm di papiro.

2.3 Analisi materiale e anatomia del rotolo

Come è noto, la maggior parte dei rotoli di Ercolano si carbonizzò alla temperatura di 300-320oC, e nello stesso momento i papiri furono sottoposti ad una forte pressione che ne stravolse la forma, trasformandoli in cilindri contorti e schiacciati30. Proprio a causa dello schiacciamento subito, i papiri di Ercolano presentano fratture ricorrenti che possono essere usate per individuare le sezioni, termine con il quale negli studi di papirologia ercolanese si indica a partire dagli anni ‘70 parte di una voluta del rotolo31. Inizialmente

una sezione era fatta corrispondere alla metà di una voluta, e dunque le sezioni di una voluta erano sempre considerate simmetriche32, ma studi più recenti condotti su un

30 Cfr. CAPASSO, I rotoli, 73-77, che divide i rotoli ercolanesi in quattro gruppi a seconda della forma e

delle sollecitazioni subite.

31 Il termine è impiegato per la prima volta da NARDELLI, Ripristino, 104, che si basò proprio sulle

differenze di circonferenza di volute per ricostruire l’ampiezza di parti mancanti del PHerc. 208.

32 Janko, citato da DELATTRE, La reconstruction, 67 n. 9 si chiede se per ricostruire l’ampiezza di una

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maggior numero di rotoli hanno dimostrato che spesso i papiri ercolanesi presentano sezioni asimmetriche e/o volute divise anche in tre o più parti33.

Infatti, durante il doppio processo di carbonizzazione e schiacciamento, i papiri ercolanesi furono sottoposti a forti e particolari sollecitazioni: non stupisce che si siano verificate rotture irregolari, cioè non simmetriche, all’interno della voluta. In particolare nelle zone più esterne, più lontane dal centro del rotolo, e dunque più fragili ed esposte ai danneggiamenti, è facile che si siano generate situazioni di questo tipo.

Anche PHerc. 1289 presenta una voluta con sezioni asimmetriche, nella prima parte del rotolo, cioè Cr. 1 Pz.1. La sez. A misura 6,6 cm e la sez. B 7,1 cm.

Ho individuato le due sezioni attraverso due pieghe del papiro che ricorrono uguali in due settori corrispondenti e alle fratture verticali ricorrenti34. La disposizione degli elementi

ricorrenti permette di escludere che il papiro avesse una sezione triangolare: risulta invece che fosse diviso in due sezioni asimmetriche. Sommando le due sezioni si ottiene, per questa parte iniziale del papiro, una circonferenza di voluta di 13,7 cm.

La prima piega utilizzata per individuare le sezioni è la piega a forma di “L” nella parte inferiore del Pz. 1 Cr. 1, al cm. 11,2-12,2, che ricorre ai cm. 25,1-26,1, a una distanza di 13,9 cm (in rosso nell’immagine). La seconda piega è la piega verticale al cm 10,4 che ricorre al cm 24,1, ad una distanza di 13,7 cm (in verde nell’immagine). Queste ultime pieghe verticali sono molto spesse, e l’esame autoptico conferma che sono formate da una molteplicità di strati, perciò potrebbero anche nascondere due κολλήσεις. Quest’ipotesi potrebbe anche spiegare la presenza, subito prima delle due pieghe verticali, 1,4 cm a sinistra, di fratture ricorrenti, che delimitano le sezioni. Spesso infatti il punto di κόλλησις, cioè di sovrapposizione dei due fogli, era soggetto a rompersi durante le operazioni di svolgimento. Ciò provocava delle tipiche fratture immediatamente prima della κόλλησις, (circa 1 cm a sinistra), cioè nel punto in cui un nuovo foglio è incollato al precedente, e i due si sovrappongono per 1 cm circa35. In questo caso, dunque, le fratture ricorrenti di Pz.

33 A tal proposito sono utili gli studi di ASSANTE, Anatomia del PHerc. 1044, 231-245, e ASSANTE, Per

una nuova edizione, 55-65, nonché GIULIANO, PHerc. 807, 209-227, ANTONI, Le PHerc. 1384, 36-38. ASSANTE, Per un riesame, 113-125 offre un dettagliato studio dedicato alla ricostruzione dell’anatomia di PHerc. 1006.

34 La presenza di elementi periodicamente ricorrenti è necessaria per l’individuazione delle sezioni e, dunque,

delle volute. Tali elementi ricorrenti, le fratture verticali, lacune, rilievi, pieghe del papiro, si ripeteranno ugualmente in tutte le parti del papiro che fanno parte di uno stesso settore, in misura via via ridotta. La sezione, quindi, si presenterà di voluta in voluta con le stesse caratteristiche, solo con un’estensione sempre minore.

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1 Cr. 1 deriverebbero allora non dallo schiacciamento del rotolo, ma dalle operazioni di svolgimento.

Cr. 1 Pz. 1 pieghe/elementi ricorrenti

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Conoscendo l’ampiezza della prima e dell’ultima voluta, è possibile determinare la lunghezza approssimativa del rotolo. Com’è noto, l’ampiezza delle volute diminuisce a mano a mano che si proceda verso la fine del rotolo36. Tale diminuzione è condizionata da due elementi: lo spessore del foglio di papiro e la tensione con cui il rotolo è stato avvolto. Nei papiri ercolanesi è stata osservata una diminuzione di circa 2 mm per voluta37. Se la tensione con cui il rotolo era avvolto è, ovviamente, un dato quasi impossibile da recuperare, lo stesso non può dirsi per lo spessore, che nei papiri ercolanesi oscilla tra 0,1-0,25 mm38. Per PHerc. 1289 è stato calcolato uno spessore di 0,22 mm, misura che rientra

dunque nella norma dei papiri ercolanesi39.

Nel caso di PHerc. 1289 non è possibile considerare sempre la sezione come la metà perfetta di una voluta40, dato che, come abbiamo visto, almeno nella parte iniziale

conservata il papiro presenta delle sezioni asimmetriche. Tuttavia, conoscendo la misura della circonferenza più interna, e quella della circonferenza più esterna è possibile fare un calcolo della probabile lunghezza originaria del papiro. Naturalmente il risultato è approssimativo perché non può tener conto dell’asimmetria riscontrata ad esempio nelle volute iniziali conservate, e perché il valore di decremento dell’ampiezza delle volute di 2

36 Nel caso in cui, al contrario, l’ampiezza delle volute aumenti andando verso la fine del rotolo, bisognerà

ipotizzare una confusione nell’ordine dei pezzi conservati e procedere alla ricollocazione.

37 Invece nei papiri egiziani la diminuzione di circonferenza di voluta oscilla tra i 2,2 e i 2,8 mm. Forse

questa differenza dipende dalle diverse condizioni in cui i papiri egiziani e quelli ercolanesi sono stati conservati: i primi spesso abbandonati o gettati in discariche, i secondi ben ordinati all’interno della biblioteca. Probabilmente è per questo che i papiri di Ercolano, essendo stati arrotolati con maggiore cura, presentano volute più strette: cfr. a tal proposito D’ALESSIO, Danni, 40-41.

38 JANKO, On Poems, I 109 (e 109 n. 1). È una misura inferiore rispetto a quella osservata nei papiri

egiziani. Tale differenza potrebbe essere determinata non solo da un diverso tipo di carta utilizzata, ma anche dal processo di disidratazione che subirono le fibre dei papiri ercolanesi durante la carbonizzazione. Cfr. DELATTRE, La reconstruction, 68 n. 10. CAPASSO, I rotoli, 77, attraverso esperimenti condotti su fogli di papiro moderni (realizzati secondo le tecniche antiche) e frammentini di epoca ellenistica ha dimostrato che il restringimento delle fibre dovuto alla disidratazione e alla carbonizzazione provoca dei mutamenti sensibili nella fisionomia del rotolo: una diminuzione delle dimensioni variabile, ma compresa tra 1/3 ed 1/6 delle dimensioni originali.

39 Per il PHerc. 1289 la misura dello spessore è stata calcolata dividendo per 2π la differenza minima

osservata nella parte finale, che è di 0,14 cm, seguendo dunque D’ALESSIO, Danni, 41 n. 59, e considerando lo spessore equivalente al raggio della circonferenza minima che risulta dalla sottrazione della voluta più interna da quella immediatamente precedente. DELATTRE, La reconstruction, 68 n. 10, invece, calcola lo spessore di un papiro dividendo la differenza minima di variazione tra una voluta e l’altra per π. Si tratta, in ogni caso, di una stima approssimata, poiché approssimato è il nostro calcolo sin dall’inizio. Infatti la spirale del rotolo di papiro è assimilabile ad una “spirale di Archimede”; ma per poter calcolare lo spessore abbiamo considerato la spirale come una serie di cerchi concentrici (il che è, appunto, un’approssimazione). Il calcolo in teoria è falsato sin dall’inizio. C’è da dire inoltre che l’ordine delle misure che stiamo trattando è così piccolo che non siamo in grado di apprezzare sensibilmente una variazione (ad es. tra 0,22 e 0,23 mm); allo stesso tempo, proprio perché parliamo di misure infime, i risultati vengono falsificati più facilmente dall’approssimazione.

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mm è anch’esso un valore approssimato; tuttavia dà un ordine di grandezza per la possibile lunghezza del rotolo.

Un dato per noi molto importante è quello che ricaviamo dall’Inventario dei papiri ercolanesi, forse copia dell’inventario compilato da Francesco de la Vega, che succedette al Paderni nella direzione del museo di Portici nel 1781 (e quindi risalente ai primi anni ottanta del XVIII secolo), pubblicato da Blank e Longo Auricchio nel 200441, grazie al

quale è possibile fare un passo in avanti nella ipotetica ricostruzione del rotolo. L’inventario offre la descrizione del papiro non ancora svolto:

“Pezzo compresso per lungo, ed impastato, di lunghezza once 4. 3/5, di larghezza once 3”. Si tratta per noi di un dato di non poco conto, perché ci consente di ricostruire la dimensione della circonferenza più esterna del rotolo.

Dato che un’oncia equivale a 2,54 cm, il papiro non ancora svolto aveva un’altezza di 10, 31 cm (4. 3/5= 4, 06 * 2,54) e aveva un diametro di 7, 62 cm.

Poiché dunque conosciamo la circonferenza della prima voluta rimastaci (13,7 cm, Cr. 1 Pz. 1), e della circonferenza più interna (2,6 cm, Cr. 3 Pz. 2) e inoltre, grazie al catalogo, disponiamo dei dati necessari per calcolare l’ampiezza della circonferenza della voluta più esterna del rotolo, possiamo calcolare approssimativamente la lunghezza originaria del rotolo, utilizzando il valore di decremento dell’ampiezza delle volute di 0,2 cm.

Dai calcoli risulta che il papiro originariamente doveva misurare 1387,2 cm = 13, 87 m circa. Oggi ci rimangono solo 151,9 cm, dunque sarebbero andati perduti, durante le operazioni di svolgimento o dopo, 1235,3 cm = 12,35 m circa di papiro. Di questi, 963,9 cm sono andati perduti nella parte iniziale, cioè dalla voluta più esterna fino alla voluta di Cr. 1 Pz.1. Invece nella restante parte del rotolo sono andati perduti 271,4 cm.

Alla misura della lunghezza totale del rotolo di 13,87 m vanno aggiunti almeno 2 o 4 cm, corrispondenti alle sezioni finali, andate perdute. Siamo sicuri della perdita di tali sezioni per il fatto che la subscriptio è conservata solo in parte.

Sappiamo che la lunghezza standard dei rotoli ercolanesi è di circa 10 metri, e che al massimo potevano essere aggiunti 2 metri nel caso in cui fosse stato necessario terminare il volumen42. Anche per quanto riguarda i papiri ercolanesi, infatti, è ben documentata la

corrispondenza rotolo-libro tipica dell’antichità. Il fatto che la misura della lunghezza del nostro papiro che abbiamo ricostruito superi di poco meno di 2 m la lunghezza massima

41 BLANK, LONGO AURICCHIO, Inventari, 98. 42 Cfr. CAPASSO, Manuale, 204-205.

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dei papiri ercolanesi può dipendere dal fatto che si tratta di una misura approssimata: non stupisce quindi un’oscillazione di 1-2 metri.

Se dunque, per quanto riguarda l’effettiva misura del rotolo rimangono dei dubbi dovuti alla forzata approssimazione, una maggiore sicurezza invece si ha nelle considerazioni che emergono dall’analisi del papiro sulla successione dei frammenti così come sono stati conservati nelle cornici. A tal proposito è utile, oltre al criterio dell’ampiezza delle sezioni, il criterio della larghezza di pagina, o specchio di scrittura, misurata dal margine sinistro di una colonna al margine sinistro della colonna successiva: una larghezza che comprende dunque la misura della scrittura e quella dell’intercolumnio. Nel PHerc. 1289 la larghezza di pagina misura 5,3 cm (con variazioni al massimo di 1 millimetro in più o in meno). L’intercolumnio oscilla tra 0,71 (tra col. XXVI-XXVII) 0,85 cm (tra col. XXVII-XXVIII, e tra col. XXV-XXIV), ed un rigo di scrittura contiene un numero di lettere compreso solitamente tra 16 e 19.

Dai dati fin qui considerati è possibile affermare che i frammenti, nella successione in cui ci sono giunti, non si trovino nella sequenza corretta. Ciò non stupisce, perché i criteri di sistemazione dei pezzi, come abbiamo visto, erano squisitamente estetici.

Il caso più clamoroso riguarda il Pz. 2 della cornice 2, che credo debba essere ricollocato nella parte iniziale del papiro, e in particolare vicino al Pz. 2 Cr. 1. Infatti, la misura dell’ampiezza del Pz. 2 Cr. 1 è di circa 5,3 cm, e il pezzo sembra appartenere interamente ad un’unica sezione, poiché non ci sono fratture o altri segni che ci possano permettere di ipotizzare la presenza di più sezioni. Se consideriamo che l’ampiezza della prima sezione misurabile è, nel Pz. 1 Cr. 2, di 2,7 cm, è ovvio che i due pezzi, Pz. 1 e Pz. 2 di Cr. 2, non possono essere considerati consecutivi, né vicini. Pertanto il Pz. 2 Cr. 2 sarebbe probabilmente da ricollocare nel grande vuoto tra Pz. 2 Cr. 1 e Pz. 1 Cr. 2. Una conferma di tale ipotesi di ricollocamento viene dal colore del Pz. 2 Cr. 2, che è simile a quello del Pz. 2 Cr.143, e dallo stato disastroso in cui si trova il Pz. 2 Cr. 2: la scrittura è stata

completamente raschiata via, insieme alla faccia superiore del foglio, e rimangono solo poche tracce che non consentono di ricostruire il testo. Come sappiamo, è facile che i pezzi della parte iniziale del rotolo, conservatasi peggio, presentino queste caratteristiche, mentre i pezzi della parte finale del rotolo, più interna, e dunque più protetta, sono solitamente meglio conservati: anche questa, dunque, potrebbe essere una prova dell’appartenenza di Pz. 2 Cr. 2 alla parte iniziale del rotolo.

43 La somiglianza di colore potrebbe dipendere dal fatto che entrambi i pezzi sono costituiti da più strati

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Un altro pezzo che probabilmente deve essere ricollocato è il Pz. 3 Cr. 2 (col. XIV), che è incollato al contrario sul cartoncino. Infatti il Pz. 3 Cr. 2 presenta un’unica sezione di ampiezza 3,2 cm. Il Pz. 4 Cr. 2, collocato immediatamente dopo il Pz. 3, ha invece una sezione larga circa 2,4 cm: è evidente che c’è una differenza troppo grande tra le sezioni dei due pezzi, che pertanto non dovrebbero essere considerati contigui. Per tutto ciò dunque anche il Pz. 3 Cr. 2 è da collocare in corrispondenza del vuoto immediatamente precedente il Pz 1 Cr. 2, dove la prima sezione misurabile è di 2,7 cm.

Purtroppo non disponiamo degli elementi necessari per proporre niente di più che queste ipotesi.

2.4 Colonne di scrittura

Rende ancora più difficile definire la successione dei frammenti del rotolo e la ricostruzione del testo il fatto che il PHerc. 1289 presenta, oltre al consueto stato di carbonizzazione, una stratigrafia molto complessa, per cui la presenza di grandi sovrapposti o sottoposti impone di riconsiderare la successione delle colonne. Già l’ultimo editore, Tepedino, ha riordinato la successione delle colonne, individuando strati sovrapposti e sottoposti. Tuttavia, Tepedino non ha potuto servirsi delle immagini multispettrali che hanno permesso invece, in questo studio, di esaminare nuovamente i due pezzi contenuti nella Cr. 1.

Il Pz. 1 Cr.1 riporta le colonne III-IV-V (Tepedino), ma oltre alle colonne individuate da Tepedino sono visibili molte altre lettere situate su strati diversi. Anche se oggi non sono più rintracciabili, originariamente il pezzo doveva contenere almeno quattro colonne di scrittura, poiché dividendo la misura del pezzo (28,5 cm) per la larghezza di pagina media del papiro (5,3 cm), corrispondente alla somma della colonna di testo e dell’intercolumnio che la segue, si ottiene un risultato di 5,3 larghezze di pagina.

Il secondo pezzo contenuto nella cornice 1 presenta una stratigrafia ancora più complessa. La lettura del Pz. 2 Cr. 1 è resa difficoltosa dalla presenza di numerosi strati sovrapposti, che non è possibile ricollocare, e dal fatto che in vari punti il papiro presenta dei segni di “raschiatura”: la faccia superiore del foglio, costituita da fibre orizzontali, su cui materialmente si trovava l’inchiostro, è andata perduta; sullo strato inferiore del foglio si sono conservate, a volte, tracce di scrittura. Il pezzo contiene colonne inedite, non riportate dall’edizione Tepedino. Oggi, grazie alle immagini multispettrali, è possibile solo leggere alcune parole, anche se originariamente il pezzo conteneva almeno quattro o cinque

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colonne di scrittura: dividendo la larghezza di questo pezzo (30,2 cm) per la larghezza di pagina media del papiro (5,3 cm) si ottiene un risultato di 5,6 larghezze di pagina. Purtroppo non è possibile rintracciare gli intercolumni44, completamente coperti da lettere sovrapposte. A causa dell’evidente complessità stratigrafica non possiamo ricostruire le colonne, ma tenteremo di isolare alcuni frammenti del Pz. 2. È difficile stabilire se la successione originale dei pezzi, all’interno di Cr. 1, sia Pz. 1-Pz. 2 o Pz. 2-Pz. 1.

I pezzi contenuti nella cornice 2 corrispondono alle coll. VI-XXII (Tepedino), cioè Cr. 2 Pz. 1, Pz. 3, Pz. 4, Pz. 5. Il testo è leggibile, anche se frammentario. Dopo la col. XVIII (Tepedino), ho rintracciato sul Pz. 4 la parte sinistra di una nuova colonna, che ho quindi numerato come colonna XIX. A partire dalla col. XIX, dunque, nel presente lavoro le colonne successive seguono una numerazione diversa da quella di Tepedino. Una menzione a parte merita, all’interno di questa cornice 2, il Pz. 2, che non è stato edito da Tepedino. In effetti il pezzo presenta non solo una notevole complessità stratigrafica, ma anche tracce di scrittura molto deboli che rendono difficoltosa la lettura.

I pezzi di cornice 3 risultano invece ben leggibili, e poco complessi da un punto di vista stratigrafico.

Come già detto, le prime due colonne sono state tramandate invece solo dagli apografi. La col. I è stata conservata negli apografi Napoletani ed Oxoniensi, la col. II soltanto nei disegni Napoletani, e di entrambe le colonne non rimane oggi alcuna traccia tra i frammenti di papiro conservati. Purtroppo sfugge il rapporto tra i disegni Napoletani e Oxoniensi che riportano le prime due colonne di PHerc. 1289 e i pezzi conservati nelle tre cornici, dato che i frammenti superstiti di PHerc. 1289 non conservano le colonne tramandate dai disegni. Credo che sia improbabile che i disegni si riferiscano ai pezzi contenuti nella cornice 1, date le condizioni dei pezzi, che certo non agevolano la lettura; in particolare, per quanto riguarda il Pz. 2 di Cr. 1, la lettura è impossibile sia ad occhio nudo che con l’ausilio del microscopio. Solo attraverso le immagini multispettrali è stato possibile leggere qualche parola. Del resto non è stato possibile rintracciare alcun collegamento con i frammenti contenuti nelle altre due cornici, e già editi da Tepedino. L’ipotesi più probabile è, a, mio parere, quella secondo cui i disegni Oxoniensi e Napoletani riportano frammenti di PHerc. 1289 che sono andati distrutti, o perduti.

44 Forse un intercolumnio si trovava proprio all’inizio del frammento, se il segno orizzontale sotto il r. 2 può

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2.5 Caratteristiche paleografiche di PHerc. 1289

Per le caratteristiche paleografiche, il PHerc. 1289 fu inserito da Cavallo45 nel gruppo D

dei papiri ercolanesi, al quale appartengono scritture di modulo ampio e slanciato, con un chiaroscuro marcato. L’andamento della scrittura è sostanzialmente rigido, ma presenta un disegno delle lettere raffinato, secondo Cavallo lezioso, anche se privo di eccessivi ornamenti: α con l’occhiello stretto e spigoloso e la linea discendente da sinistra a destra allungata e ricurva alla fine; ε fatto in due tempi, con il tratto orizzontale superiore spesso discendente da sinistra verso destra e il tratto orizzontale mediano sempre staccato da quello verticale; κ con le linee oblique poco sviluppate rispetto all’asse verticale; ρ e ι spesso invadono l’interlinea mentre υ ha il tratto verticale ricurvo alla fine, da destra verso sinistra, e β e θ stretti e allungati. Le caratteristiche paleografiche suggeriscono di datare la scrittura di PHerc. 1289 ad un arco di tempo compreso tra il 75 e il 50 a.C. La scrittura di PHerc. 1289 è, quindi, una delle più antiche tra quelle in cui sono stati vergati i rotoli che riportano opere di Filodemo46. Dello stesso gruppo D al quale appartiene PHerc. 1289

fanno parte, per la comunanza di caratteristiche paleografiche, diversi rotoli che riportano opere della produzione storico-biografica di Filodemo. In particolare i rotoli sono: PHerc. 327, PHerc. 1508, PHerc. 495 e PHerc. 558, che contengono sezioni della Σύνταξις; il PHerc. 1780, che riporta le διαδοχαί dei καθηγεμόνες e degli scolarchi del Giardino e brani di almeno due διαθῆκαι47, il PHerc. 155, che conserva il Περὶ τῶν Στοικῶν, e il PHerc. 1040, grazie al quale conosciamo le Πραγματεῖαι48.

Una conferma della datazione deriva dal confronto con POxy. XXIII 2359, da Cavallo scelto come papiro-guida del cosiddetto “stile 8”, che fiorì appunto nel I sec. a.C.49. Le scritture dei due papiri presentano entrambe un andamento rigido e lettere spigolose; inoltre presentano lo stesso trattamento di alcune lettere (in particolare α, θ, μ, ο); diverso è, però, il disegno di altre lettere, come ε. Inoltre il POxy. 2359 è caratterizzato da un

45 CAVALLO, Libri, 32.

46 CAVALLO, Libri, 61-64, pur con molta cautela, cerca di ricostruire il percorso speculativo di Filodemo a

partire dall’analisi paleografica dei rotoli conservati. Il fatto che le opere che riportano studi storico-biografici presentino le scritture più antiche tra quelle in cui sono stati vergati i rotoli filodemei, potrebbe essere una prova del fatto che già nel 75-50 a.C. tali opere dovevano essere state composte, e copiate. Dunque potrebbero testimoniare un interesse per la ricerca storico-biografica nella prima fase della produzione letteraria di Filodemo. Cfr. anche GIGANTE, La Biblioteca, 14-16.

47 Riguardo al ruolo da assegnare all’opera nell’ambito della Σύνταξις cfr. TEPEDINO GUERRA, PHerc.

1780, 17-24 e DORANDI, La Rassegna, 31-42.

48 Il PHerc. 1232, che tramanda il primo libro del Περὶ Ἐπικούρου, è stato inserito invece da CAVALLO,

Libri, 42 nel gruppo P, del quale fanno parte scritture dal tracciato rigido, semplici e prive di apicature.

49 CAVALLO, La scrittura greca, 119 riferisce allo stesso stile anche PHerc. 994/1676 (Filodemo, La

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bilinearismo molto accentuato, estraneo al PHerc. 1289, e sono quasi del tutto assenti gli apici, presenti invece regolarmente nel papiro ercolanese. Le due scritture, dunque, pur restando ben distinte, sono paragonabili per alcune caratteristiche condivise.

POxy. 2359-PHerc. 1289

Sul nostro papiro sono ben visibili sette παράγραφοι: due alla col. XI, due alla col. XXVI (XXV Tepedino), una alla col. XXVII (XXVI Tepedino), due alla col. XXVIII (XXVII Tepedino). Ancora una παράγραφος si trova forse alla col. VII, ma l’inchiostro è molto sbiadito50. Grazie al testo, nella maggior parte dei casi è stato possibile rintracciare il significato delle varie παράγραφοι individuate sul papiro.

Alla col. XI, come abbiamo detto, sono visibili due παράγραφοι, la prima sotto il r. 2, la seconda sotto il r. 451. Nel caso della seconda παράγραφος il valore da attribuirle è chiaro: al r. 4 leggiamo infatti γράφων. Probabilmente il segno indicava la pausa che introduceva,

50 In generale la παράγραφος è un segno diacritico che indica pausa, e si presenta solitamente come un tratto

orizzontale posto sotto la riga all’interno della quale si trova la pausa. Esaminando il testo, tuttavia, è possibile chiarire perché, e a quale scopo, sia stata introdotta la pausa, nonché quale particolare valore abbia la pausa nel contesto dello sviluppo narrativo. Sul significato e l’uso della παράγραφος in testi conservati su papiro cfr. TURNER, Greek Manuscripts; 8, lavoro ancora oggi canonico per lo studio dei papiri in generale. Cfr. anche MONTEVECCHI, La papirologia, 61-63. DEL MASTRO, Paragraphos, 107-131, individua diverse variabili grafiche della παράγραφος nei papiri ercolanesi e analizza i diversi significati delle παράγραφοι di PHerc. 1425 e PHerc. 1538. In generale altre interessanti riflessioni bibliologiche sui papiri ercolanesi si trovano in DEL MASTRO, Osservazioni, 283-299.

51 Da TEPEDINO, Su Epicuro, 8 la παράγραφος posta sotto il r. 4 di col. 11 è considerata rinforzata , ma

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verosimilmente, una citazione o un excerptum, isolandolo dal resto della colonna. Forse però anche per la παράγραφος al r. 2 può essere data una spiegazione simile. Benché il r. 2 sia molto lacunoso, e non si possa leggere alcuna parola, al r. 3 leggiamo πρός [τ]ούς ο̣[ -].σ. Anche se non riusciamo ad intendere il significato del passo, potremmo ipotizzare che al r. 2 fosse introdotto un excerptum, magari da una lettera rivolta a più destinatari, come suggerisce il plurale dell’articolo nel nesso πρός τούς.

Alla col. XXVI (XXV Tepedino), r. 5, la παράγραφος, in questo caso rinforzata, introduce forse una citazione da un discorso, o un estratto da lettera. In particolare potrebbe avere il valore di introdurre il pensiero del maestro Epicuro. Infatti in questo punto della colonna viene detto che “(Epicuro) fa notare ad Arcefonte e a quelli vicini ad Idomeneo e Leonteo (pausa che introduce il pensiero di Epicuro) che si erano spinti troppo oltre (...)”.

Α causa delle condizioni del papiro, non possiamo intendere il valore esatto da assegnare, invece, alla παράγραφος posta al r. 11. Non si può escludere però che all’interno di questa riga fosse presente uno spatium vacuum.

La παράγραφος della col. XXVII (XXVI Tepedino), r. 2 introduce forse un’opposizione: “non arrecare danno al corpo (pausa), ma di non preoccuparsene”.

Alla col. XXVIII (XXVII Tepedino) le due παράγραφοι, una al r. 1 ed una al r. 6, sembrano avere due valori differenti. Αl r. 1 la παράγραφος ha forse valore rafforzativo: “ammonendo a sua volta lui, (pausa) lui che...”. Al r. 6, invece, dove si trova una παράγραφος rinforzata, la pausa introduce una nuova sezione, cioè la descrizione del comportamento di Timocrate, protagonista della col. XXVIII (XXVII Tepedino) Qui la pausa è rafforzata dalla presenza di uno spatium vacuum. Uno spatium vacuum si nota anche al r. 2 della col. XXIV (XXIII Tepedino), dove però, per le condizioni del testo conservato, non è possibile comprendere quale significato avesse la pausa introdotta. Certo è plausibile la presenza di una παράγραφος in corrispondenza della pausa segnalata dallo spatium vacuum, non rintracciabile, però, a causa delle condizioni del papiro.

Forse il segno a forma di X che si vede in corrispondenza del r. 3 di col. XX (XIX Tepedino), sul margine destro52, può essere inteso come un segno utilizzato per indicare

qualcosa su cui si vuole richiamare l’attenzione.

Alla col. XXIX (XXVIII Tepedino), di cui è possibile leggere soltanto la sillaba ]των, si trova una coronide molto elaborata, posizionata a sinistra subito sotto il rigo di scrittura:

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verosimilmente segnava la fine del libro, anche perché dopo la coronide non sono visibili altri segni di scrittura53.

La subscriptio, collocata nell’estremità destra del rotolo e preceduta da un ἄγραφον, è stata scritta, pare, dalla stessa mano che ha vergato il papiro. Solo il modulo delle lettere è leggermente più grande, come è consuetudine per i titoli. Il titolo è circondato da piccoli tratti ornamentali che disegnano una sorta di piccolo riquadro54. La subscriptio è

incompleta: infatti sul papiro è possibile leggere con sicurezza soltanto Φιλ; sotto si vedono tracce di lettere (Π ed Ε). Tuttavia, come abbiamo già detto, gli apografi Oxoniensi riportano per intero la subscriptio con l’indicazione del titolo dell’opera e del volume.

53 Sul significato della coronide cfr. CAVALLO, Libri, 24, e SCOGNAMIGLIO, Segni, 172 e 172 n. 56.

Altri interessanti studi sui segni nei papiri ercolanesi sono quelli offerti da ROMANO, Segni, e GIULIANO, Segni e particolarità, 135-159.

54 I tratti ornamentali sono molto semplici, e rientrano nelle consuetidini librarie osservate tra III a.C. e I d.C.

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3. Il contenuto

3.1 Il Κῆπος e la ricerca biografica

Il Περὶ Ἐπικούρου, opera dedicata alla biografia e all’operato del maestro, rientra senza dubbio nell’ampia produzione di tipo erudito-biografico di Filodemo, che occupò il primo periodo dell’attività letteraria di Filodemo, dal 75 al 50 a.C.55 Come è noto tale produzione si può distinguere in opere storico-biografiche dedicate alla ricostruzione della storia delle scuola filosofiche ed opere dedicate a personaggi eminenti o comunque legati al Κῆπος. Da un lato, quindi, la Σύνταξις τῶν φιλοσόφων, dall’altro le Πραγματεῖαι56, il Βίος di

Filonide57 e il Περὶ Ἐπικούρου58, opere che hanno nel PHerc. 17659, uno scritto non

filodemeo dedicato alla scuola di Lampsaco, il loro antecedente.

In tutta questa produzione, caratterizzata dalla costante presenza dell’aneddoto, è palese il ricorrere di Filodemo ai modi propri della biografia peripatetica, che fonda il suo metodo sulla coincidenza tra ἦθος e πράξις, tra opera e azione. Una corrispondenza tra opera e azioni sulla quale ben prima di Aristotele nella produzione letteraria greca si poggia il processo mimetico per la definizione dei personaggi: esemplari in Aristofane sono le figure di Agatone nelle Tesmoforiazuse60 e di Euripide nelle Rane61. Proprio sul processo

55 Sulla produzione storico-biografica di Filodemo cfr. anche MILITELLO, Filodemo, 103-110 e LONGO

AURICCHIO, Testi biografici, 219-250, in cui si trova un esauriente riassunto degli studi sui testi biografici nei papiri ercolanesi dalla metà degli anni ’90 al 2006.

56 “Memorie Epicuree” secondo la traduzione del titolo di GIGANTE, Filodemo, 27. L’opera, contenuta in

PHerc. 1418-310, si presenta come una raccolta di citazioni tratte dall’epistolario di Epicuro e dei membri del Κῆπος, volte a tracciare un quadro ben definito della vita del Giardino nella prima fase della sua vita.

57 Filonide fu il fondatore di una scuola epicurea e maestro del re Demetrio I Soter. Dalla critica più recente il

Βίος è attribuito a Filodemo: cfr. GALLO, Studi, 80-83 e ASSANTE, PHerc. 1044, 53-55. Nell’opera Filodemo utilizza molti excerpta da epistole, ed anche un estratto di un trattato etico di Filonide sull’amore verso la prole, Περὶ τοῦ κατὰ τὴν φιλοτεκνίαν ζήλου. Spesso si trovano citazioni testuali, confermate dall’utilizzo delle prime due persone. Un ruolo decisivo hanno gli aneddoti. Cfr. anche DE SANCTIS, Vita Philonidis, 107-118.

58 Da PHILIPPSON, Philodemos, 2465, il Περὶ Ἐπικούρου viene inserito tra le opere di storia della filosofia. 59 Il PHerc. 176 è un rotolo anepigrafo non attribuibile a Filodemo. Secondo l’analisi paleografica di

CAVALLO, Libri, 44 la scrittura di PHerc. 176 risale al II a. C.: l’autore sarebbe quindi un rappresentante dell’“Epicureismo di mezzo”. L’opera è costituita da una successione di βίοι di membri del Giardino (Leonteo: fr. 5 coll. IX-XIII, Idomeneo fr. 5 coll. XIV-XVIII, Batide fr. 5 coll. XIX-XXIII e Polieno fr. 5 coll. XXIV-XXVIII). Segue questa struttura: ad una sezione introduttiva in cui viene descritto l’ἦθος del personaggio segue una serie di excerpta da epistole che riportano scene della vita comunitaria del Giardino e ricoprono il ruolo esemplificativo che nella Σύνταξις è rivestito invece dagli aneddoti. Cfr. ANGELI, La Scuola, 27-51.

60 Centrale è l’intervento di Agatone a partire dal v. 146, con cui il poeta esemplifica la teoria della μίμησις,

cioè della corrispondenza tra parole (opere) e azione-carattere (ἦθος): χρὴ γὰρ ποιητὴν ἄνδρα πρὸς τὰ δράματα ἃ δεῖ ποιεῖν πρὸς ταῦτα τοὺς τρόπους ἔχειν. (Ar. Thesm. 149-150). Così Agatone è rappresentato come un effeminato perché compone drammi femminili; Ibico, Anacreonte ed Alceo sono raffinati come i loro carmi, Frinico bello come i suoi drammi; Filocle e Senocle, essendo brutti, compongono opere vergognose e Teognide drammi frigidi. (cfr. Ar. Thesm. 146-170): ὅμοια γὰρ ποιεῖν ἀνάγκη τῇ φύσει.

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mimetico Aristotele e i Peripatetici fondano il loro metodo di ricostruzione biografica, trovando nelle opere gli elementi per la stesura dei βίοι. Paradigmatico è il modo in cui Aristotele, nella Costituzione degli Ateniesi (V-XII), delinea la personalità riformatrice di Solone a partire dalla sua produzione poetica. Ad Aristotele e ai Peripatetici va riconosciuto il merito di avere trasformato una tendenza tipica della produzione letteraria greca in un metodo scientifico di pieno valore conoscitivo e sistematicamente applicato per la ricostruzione dei tipi umani. È attraverso l’uso abbondante di aneddoti, infatti, che si realizza la coincidenza tra ἦθος e πράξις62. Tale metodo trova una teorizzazione nelle

parole di Aristotele in Rhet. 1367b 31-32: τὰ ἔργα [...] σημεῖα τῆς ἕξεώς ἐστιν63.

La Σύνταξις64 è un’opera divisa in sezioni, ciascuna dedicata ad una diversa scuola filosofica. È caratterizzata dall’assoluta obiettività con cui Filodemo tratta l’argomento,

Sempre per la corrispondenza tra dramma e realtà le donne, ingiuriate da Euripide nella finzione letteraria, decidono (nella realtà) di punirlo. Anche il personaggio di Euripide subisce il processo di μίμησις: qui al v. 24 e soprattutto negli Acarnesi al v. 410, dove è rappresentato con i piedi per aria e ricoperto di stracci: è questo il motivo per cui, nei suoi drammi, così spesso mette in scena zoppi e mendicanti. Un saggio sulla poetica aristofanea è offerto da MASTROMARCO, Introduzione, 82-105.

61 Dove Aristofane lega alcune caratteristiche delle opere euripidee non alla personalità di Euripide, ma a

presunte vicende della vita privata dell’autore: ad esempio ai vv. 1045-1048 l’importanza della tematica erotica è connessa con le disavventure amorose del poeta (di cui testimonianze restano in varie fonti a partire dall’età alessandrina ). Sul processo mimetico biografico in Aristofane cfr. ARRIGHETTI, Poeti, 148-152.

62 Cfr. DIHLE, Studien, 58 ss.

63 È necessario partire da questo assunto aristotelico per poter comprendere il metodo di indagine biografica

conosciuto da Aristotele e applicato poi dal suo scolaro Cameleonte. Il nome di Cameleonte di Eraclea Pontica è legato alla ricostruzione biografica e alla ricerca storico-letteraria; due campi che per lo studioso comunicavano per osmosi: Cameleonte traeva infatti dalla produzione letteraria dell’autore di cui indagava la biografia non soltanto tratti della personalità, ma anche precise vicende biografiche. Un particolare valore assegnava Cameleonte alle testimonianze offerte dalla Commedia, dalle quali pure traeva spunto e conferma per la ricostruzione biografica, e che giustificava con la famosa affermazione παρὰ τοῖς κωμικοῖς ἡ περὶ τῶν τραγικῶν ἀπόκειται πίστις (presso i comici si trovano le notizie più affidabili riguardo ai tragici). Servendosi della propria inventiva, Cameleonte interpretava un dato letterario trasformandolo in realtà esterna. Il procedimento seguito da Cameleonte presenta diverse analogie con il metodo di Satiro di Callatis, autore della Vita di Euripide contenuta nel POxy. 1176, pubblicato da Hunt nel 1912 e studiato da ARRIGHETTI, Vita. La Vita di Euripide di Satiro ha andamento dialogico. La forma dialogica era stata già utilizzata da Aristotele nel περὶ ποιητῶν. Inoltre da D.L. III 8 sappiamo che andamento dialogico aveva l’opera περὶ ποιητῶν di Prassifane (allievo di Teofrasto, IV-III a.C.); anche i libri Περὶ βίων di Clearco avevano struttura dialogica. Possiamo affermare quindi che la struttura dialogica non fu esclusiva della scuola platonica, ma utilizzata ampiamente dalla scuola aristotelico-peripatetica. Diverso è però il significato che la forma dialogica assume nei due contesti. Il dialogo aristotelico si presenta come definitivo, escludendo la possibilità di terminare nell’ἀπορία. Cfr. LEO, Kleine Schriften, 367, e soprattutto ARRIGHETTI, Poeti, 161-190.

64 Della Σύνταξις ci rimangono oggi la sezione relativa alla scuola eleatica ed abderita (PHerc. 327), alla

scuola pitagorica (PHerc. 1508), per cui cfr. CAVALIERI, La Rassegna, 17-53, quella relativa alla scuola socratica (PHerc. 495-558, per cui cfr. GIULIANO, PHerc. 495-PHerc. 558, 351-411), l’Index Academicorum in due versioni (versione provvisoria: PHerc. 1021; versione definitiva: PHerc. 164, per cui cfr. DORANDI, Platone e l’Academia), e l’Index Stoicorum (PHerc. 1018, per il quale cfr. DORANDI, La stoà). Il PHerc. 1780 invece sembra riportare le successioni (διαδοχαί) dei καθηγεμόνες e degli scolarchi del Giardino; riporta inoltre i nomi di molti discepoli illustri di Epicuro e brani di almeno due διαθῆκαι (cfr. TEPEDINO GUERRA, PHerc. 1780, 17-24). In generale sulla Σύνταξις cfr. DORANDI, La Rassegna, 31-49. SEDLEY, Decentralization, 31-41 mette in relazione la stesura di Index Academicorum e Stoicorum con la fine della supremazia greca e l’inizio del crescente interesse di Roma per la ricerca filosofica, che

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non tralasciando alcun tipo di notizie, positive o negative che siano, sul conto dei filosofi di cui riporta la vita. Nella Σύνταξις Filodemo dimostra di avere pienamente acquisito il metodo della produzione biografica, fino a quel momento esercitata prevalentemente dalla scuola peripatetico-aristotelica65. La neutralità di Filodemo testimonia la sua adesione alle leggi del genere letterario biografico codificate dalla scuola peripatetica, e permette di avvicinare la Σύνταξις alla produzione biografica di Ermippo e Satiro66, autori che in più di

un caso si sono rivelati le fonti alle quali Filodemo attinge per le sue biografie67. Altra caratteristica fondamentale dell’opera è, in generale, l’innegabile disinteresse di Filodemo per la dottrina dei filosofi di cui parla: l’attenzione si concentra piuttosto sulle vicende biografiche, sul carattere e la personalità dei filosofi, per cui non è possibile intendere la Σύνταξις come una storia del pensiero filosofico antico. E da un punto di vista formale, di tecnica di composizione, una parte preponderante occupano nel testo gli excerpta, secondo il principio del metodo biografico ellenistico fondato sulla identificazione di opere e vita68.

Un’attività di propaganda diretta e decisa è praticata in altre occasioni da Filodemo, che a questo scopo, verosimilmente, compose non solo opere dichiaratamente polemiche quali Πρός τούς φασκοβυβλιακούς, (PHerc. 1005/862 e PHerc. 1485)69 e il Περὶ τῶν Στοικῶν

(PHerc. 339 e PHerc. 155)70, ma anche diverse opere dedicate al Kῆπος, tra le quali si

inserisce il Περὶ Ἐπικούρου, opera che per alcuni aspetti si allontana dalla tradizione biografica peripatetica71.

determinò una “diaspora” dei filosofi greci. Nello studio di GIGANTE, Biografia e dossografia, 25-34 la Σύνταξις viene analizzata e messa in rapporto con le Vite dei filosofi di Diogene Laerzio.

65 GIGANTE, La biblioteca, 16 ha definito l’opera un grande “manuale istituzionale”. Per lo studioso l’opera,

il cui intento primario era quello didattico, si rivolgeva non soltanto ai seguaci dell’epicureismo, ma all’intera classe dirigente romana, da poco avvicinatasi allo studio della filosofia; Gigante considera quindi la Σύνταξις un’opera essoterica, destinata alla formazione filosofico-storica di un pubblico più vasto. DORANDI, La Rassegna, 48-49 vede nella Σύνταξις un manuale filosofico per la scuola, destinato in primo luogo al cenacolo epicureo di Ercolano, anche se in maniera non esclusiva. L’utilizzo dell’aneddoto da parte di Filodemo pur in situazioni di natura non strettamente biografica come nella Σύνταξις è sottolineato da ERBÌ, Demostene, 217, in relazione alla figura di Demostene nella Retorica.

66 Per un’edizione dei frammenti di Satiro, nonché una ricostruzione della vita e delle opere del biografo cfr.

SCHORN, Satyros. Fondamentale per Ermippo è invece lo studio di BOLLANSÉE, Hermippos, in cui sono editi tutti i frammenti del biografo. In entrambi i casi diversi passi filodemei sono stati utilizzati per ricostruire le opere dei biografi. Riguardo alle fonti utilizzate da Filodemo per la stesura della Σύνταξις cfr. anche GIGANTE, Kepos, 107-114.

67DE SANCTIS, La biografia, in corso di stampa. Cfr. DORANDI, L’Academia nuova, 119-134.

68Cfr. ARRIGHETTI, Poesia, 421. In particolare lo studioso mette a confronto la Σύνταξις e il commento di

Didimo a Demostene contenuto nel PBerol. 9780, evidenziandone i numerosi punti di contatto.

69 Recentemente DEL MASTRO, Titoli, 184-187 e 324-325, è riuscito a identificare la parte inferiore della

subscriptio in PHerc. 862, e a leggere il titolo di PHerc. 1485, contenente una copia, forse provvisoria, dell’opera contenuta in PHerc. 1005/862, dove invece la subscriptio è mutila. Per PHerc. 1005/862 restano comunque importanti gli studi di Angeli, che proponeva di integrare il titolo in Πρὸς τοὺς [ἑταίρους o [συνήθεις. Cfr. ANGELI, Agli amici di scuola, 75.

70 DORANDI, Gli Stoici, 91-133.

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