Istituto Nazionale di Economia Agraria
INDAGINE CONOSCITIVA PER L’UTILIZZAZIONE NATURALISTICA
DEGLI INVASI DEL MULARGIA A MONTE SU REI E
DEL FLUMENDOSA A NURAGHE ARRUBIU
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Gestione Commisariale ex AgensudIndagine conoscitiva per l’utilizzazione naturalistica degli invasi del
Mulargia a Monte Su Rei e del Flumendosa a Nuraghe Arrubiu
Gruppo di lavoro ENAS
Il gruppo di lavoro è costituito dal seguente elenco di funzionari e di tecnici ENAS:
1 geologo coordinatore del lavoro e con competenza relativa ai suoli, la suscettività d’uso e la pianificazione del terri-torio – Maria Antonietta Dessena
1 biologo con competenza sulla qualità delle acque – Paola Buscarinu
1 biologo a supporto della caratterizzazione ecologica dell’invaso – Tomasa Virdis 1 ingegnere idraulico con competenza sulla quantità delle acque – Paolo Botti 1 ingegnere ambientale per l’elaborazione dati idrologici – Giorgio Ortu
1 ingegnere edile dottorato e specializzato in lettura del paesaggio – Nicoletta Sale 1 ingegnere elettrico con competenza sulle stazioni di monitoraggio – Siro Pillosu
2 tecnici specializzati sulle misure e stazioni in campo idrologico – Giovanni Borghero e Sergio Zuddas di consulenti esterni a contratto con l’ENAS:
1 ingegnere con competenza su data base e GIS – Ambiente – Simona Ortu
1 geologo con competenza su data base e GIS – Pianificazione, normativa – Ignazio Ghironi
1 biologo con competenza su fauna ornitologica e ittica – Maurizio Medda in collaborazione con Elisabetta Lecca, Paolo Massidda e Salvatore Cara per la parte ittica
1 botanico con competenza su flora e vegetazione mediterranea – Micòl Vascellari Coordinamento INEA
Pasquale Nino Giacomo Romano Giuseppina Costantini
Editing - Maria Antonietta Dessena e Nicoletta Sale
Le elaborazioni cartografiche e la loro redazione finale sono state curate dagli autori in collaborazione con Ignazio Ghironi e Simona Ortu.
Le basi topografiche derivano da fonte I.G.M. in scala 1.25.000 su levate 1986/88. I dati tematici e tabellari sono stati prodotti durante la stesura del lavoro.
il Presidente ENAS prof. Sergio Vacca il Direttore Generale ing. Giorgio Sanna il Direttore f.f. del Servizio Qualità Acqua Erogata dott. geol. M. Antonietta Dessena
In Sardegna, a causa conformazione morfologica e della sostanziale impermeabilità delle formazioni geologiche – meno del 20% della superficie territoriale è infatti rappresentata da acquiferi significativi - e del regime idrologico, tipicamente mediterraneo, caratterizzato da due brevi ma intense stagioni piovose (autunno e primavera) e da una lunga stagione secca, le risorse idriche sono prevalentemente rappresentate dalle acque superficiali, invasate in oltre 50 laghi artificiali, realizzati per la gran parte nell’ultimo cinquantennio del XX secolo, con importanti opere di sbarramento dei principali corsi d’acqua dell’isola.
Di questi invasi, la cui capacità utile complessiva ammonta a circa 1.500,00 mmc, il 17% dei volumi invasati ha un uso prevalente idroelettrico, il 37% è destinato all’uso irriguo, al potabile va il 33%, all’industriale il 4% e ad usi ambientali il 10%. Sostanzialmente, circa l’80% dei fabbisogni della Sardegna è soddisfatto da risorse superficiali, stoccate in 32 invasi apparte-nenti al Sistema idrico multisettoriale regionale, gestito dall’Ente Acque della Sardegna.
La realizzazione di ogni invaso ha comportato significativi impatti nell’ambiente ma anche nel tessuto sociale ed eco-nomico: importanti aree agricole sono state sommerse, con la conseguenza di determinare la riduzione del reddito globale delle comunità interessate, tuttavia, non compensato sia dall’ammontare delle indennità di esproprio delle aree, né dalle opere compensative, sia dall’eventuale occupazione stabile di addetti alla gestione delle opere di ritenuta.
Col tempo, la nuova conformazione territoriale/paesaggistica delle aree di invaso, grazie anche all’accresciuta sensi-bilità nei confronti dell’ambiente da parte delle Comunità locali, che spesso hanno dedicato importanti risorse finanziarie al miglioramento delle condizioni estetiche di aree perilacuali, ma anche grazie ad una domanda diversificata di turismo, più attenta alle zone interne, in alternativa o in connessione con il turismo costiero, quella che a lungo è stata una penalizzazione del territorio oggi sta manifestandosi come un’opportunità.
L’esempio dei principali laghi del Sistema idraulico del Flumendosa, il Medio Flumendosa, sbarrato in località Nuraghe Arrubiu ed il Mulargia a Monti Su Rei, credo possa essere considerato un importante esempio di opportunità, ben compresa dalle Amministrazioni locali e dalle forze economiche del territorio. In meno di un decennio di attività del Consorzio Turistico dei laghi del Flumendosa si è assistito alla realizzazione di un sistema di recettività di ottimo livello, rivolto a utenze di capa-cità economica diversificata, sempre tuttavia con un ottimale rapporto qualità/prezzo dei servizi esitati; alla realizzazione di un sistema di trasporto turistico collettivo nei due laghi ed allo svolgersi, nel corso dell’anno, di numerosissime iniziative sportive, culturali, gastronomiche, e via elencando.
Il volume, redatto dai tecnici e dai ricercatori dell’Ente Acque della Sardegna, con l’importante collaborazione dei Con-sulenti dell’Ente, ma soprattutto degli Amministratori del territorio, ai quali tutti va il mio più vivo ringraziamento, unitamente alla soddisfazione per la qualità del lavoro svolto, oltre ad una disamina delle condizioni ambientali degli invasi, all’analisi ed alla valutazione del rapporto qualità delle risorse/territorio, fornisce al sistema della pianificazione regionale/provinciale/locale strumenti indispensabili per la programmazione territoriale lato sensu.
ENAS - come detto in precedenza – gestisce, in quanto Ente strumentale della Regione Sardegna i 32 invasi del Sistema idrico multisettoriale. Oltre al Sistema idraulico del Flumendosa, che alimenta un terzo delle attività economiche e circa la metà della popolazione della Sardegna, importantissimi invasi, come l’Omodeo (l’invaso artificiale più grande d’Italia), il Liscia, il Cedrino, e via elencando, presentano caratteristiche ambientali/paesaggistiche, culturali, archeologiche e monumentali, di tradizioni, ecc. estremamente importanti, che costituiscono o possono attrattori di un turismo colto, o comunque interessato alla conoscenza delle zone interne dell’isola. ENAS ha ritenuto, come politica aziendale, sostenuta ed incoraggiata dai Governi regionali, di porsi come catalizzatore dei processi di sviluppo che comprendano la salvaguardia e la valorizzazione dei com-pendi lacustri, attivati o da attivarsi dagli Enti locali, contribuendo oltreché con l’apporto progettuale delle proprie strutture tecniche anche con la messa a disposizione delle strutture industriali e tecnologiche di pertinenza delle dighe e delle centrali ai fini turistici. L’obiettivo, in stretta comunanza con gli Enti locali, è quello di creare un unico sistema turistico dei laghi, che abbia capacità di accoglienza estese a tutto l’arco dell’anno.
Per questo, l’opportunità creata dall’INEA, che ringrazio vivamente per lì occasione offerta, va certamente nella dire-zione di contribuire a creare un modello di governance dei serbatoi che, nella salvaguardia delle risorse idriche, permetta di estendere ai territori di pertinenza i benefici economici di un uso sostenibile di iniziative turistiche, sportive, ecc., nei com-pendi lacustri artificiali.
il Presidente dell’ENAS
Prof. Sergio Vacca
Prefazione
A seguito della contrazione delle aree umide, avvenuta particolarmente nei primi decenni del 1900, ma intrapresa con significativi esempi già nella seconda metà del’ottocento, attraverso la bonifica di vaste aree paludose per far luogo a colture agrarie ed all’allevamento del bestiame, si è ridotta considerevolmente la biodiversità e sono stati alterati gli equilibri naturali sui quali si fonda la sopravvivenza di molte specie animali e di importanti comunità vegetali.
Convenzioni internazionali, tra le più famose quella di Ramsar, norme comunitarie, nazionali e regionali tendono oggi a proteggere le aree umide superstiti attraverso azioni di salvaguardia e valorizzazione.
Sempre nel secolo XX sono stati, tuttavia, realizzati numerosissimi serbatoi artificiali per gli usi idroelettrico, irriguo, potabile, industriale, che, pur in condizioni ambientali diverse da quelle, ad esempio, delle zone umide costiere, e spesso a grandi distanze, restituiscono al territorio volumi idrici che possono in qualche modo mutuare, particolarmente nelle zone più aride come il Meridione d’Italia, la diminuzione delle aree umide naturali.
L’INEA, nella sua azione costante di monitoraggio e valutazione del Comparto agricolo nazionale e del suo territorio – è appena il caso di ricordare il recente censimento delle risorse di suolo irrigabile del territorio nazionale, realizzato con la finalità di stimarne il potenziale economico attraverso la valutazione dell’attitudine alle produzioni irrigue e della compatibilità am-bientale dell’uso intensivo dell’acqua in agricoltura - ha voluto attuare nelle Regioni dell’ex Obiettivo 1 un’attività conoscitiva sugli invasi gestiti da diversi organismi tra i quali, in particolare, i Consorzi di Bonifica.
Gli invasi, oltre a rappresentare una parte significativa del residuo patrimonio di zone umide, costituiscono anche impor-tanti attrattori per usi ricreativi e, conseguentemente, stimolo progressivo per attività economiche complementari che facciano leva sull’interesse naturalistico dei siti.
L’obiettivo dell’azione svolta dall’INEA, con la collaborazione di numerosi Consorzi di Bonifica e, per la Sardegna, dell’Ente Acque della Sardegna, è stato perciò quello di acquisire e divulgare le conoscenze sulle condizioni ecologiche degli invasi e degli ambienti nei quali insistono, e di elaborare linee guida per la gestione sostenibile degli stessi invasi, anche in vista dell’implementazione degli usi, oltre a quelli produttivi, naturalistici e ricreativi.
L’indagine multi ed interdisciplinare che ne è scaturita ha riguardato gli aspetti limnologici, ma anche riferiti ai paesaggi nei quali gli invasi sono inseriti; le linee guida, in particolare, hanno studiato le interrelazioni tra le condizioni di esercizio e le qualità ambientali: un aspetto tenuto particolarmente sotto controllo, per le implicazioni sulla sicurezza delle sponde, ma anche di carattere paesaggistico, è stato quello delle oscillazioni stagionali del livello statico.
Questo volume è stato realizzato all’interno della Convenzione “Attività di assistenza tecnica e supporto agli enti conces-sionari nel settore dell’uso irriguo delle risorse idriche” dall’Ente Acque della Sardegna, nel quale, oltre all’analisi delle condi-zioni ambientali, lato sensu, e della valutazione delle interrelacondi-zioni con gli aspetti gestionali, compaiono contributi importanti ai fini della pianificazione territoriale e paesaggistica, utili perciò anche come strumenti di gestione per gli Enti locali.
il Presidente dell’INEA On. Lino Carlo Rava
CAPITOLO 1
ANALISI AMBIENTALE E CARTOGRAFIA TEMATICA
1.1 Inquadramento geografico dell’area (I. Ghironi)
1.2 Pregio e valore naturalistico dell’area: normativa (S. Ortu) 1.2.1 Piano Paesaggistico Regionale
1.3 Rappresentazione tridimensionale del territorio: Pendenza, Esposizione, Altitudine (I. Ghironi, S. Ortu) 1.3.1 Modello di superficie
1.3.2 Modello altimetrico 1.3.3 Pendenze
1.3.4 Esposizione dei versanti
1.4 Lineamenti geologici (M.A. Dessena, I. Ghironi) 1.5 Lineamenti morfologici (I. Ghironi)
1.6 Uso del suolo (M.A. Dessena, M. Vascellari, Tomasa Virdis) 1.6.1 Metodologia
1.7 Unità di pedopaesaggio (M.A. Dessena) 1.7.1 Lineamenti generali delle unità
1.8 La suscettività d’uso o valutazione attitudinale (M.A. Dessena) 1.8.1 Le tabelle di classificazione
CAPITOLO 2 MONITORAGGIO
2.1 Metodologia e studio della vegetazione (M. Vascellari) 2.1.1Copertura della vegetazione_Mulargia
2.1.2 Fisionomia e struttura della vegetazione_Mulargia 2.1.3 Qualità ambientale_Mulargia
2.1.4 Copertura della vegetazione_Flumendosa
2.1.5 Fisionomia e struttura della vegetazione _Flumendosa 2.1.6 Qualità ambientale_Flumendosa
2.2 Ornitologia (M. Medda)
2.3 Preindagine sul popolamento ittico dei laghi medio Flumendosa e Mulargia (E. Lecca, P. Massidda, S. Cara) 2.3.1 Introduzione 2.3.2 Discussione 2.3.3 Conclusioni pag. 6 pag. 8 pag. 10 pag. 15 pag. 15 pag. 15 pag. 15 pag. 15 pag. 18 pag. 20 pag. 20 pag. 21 pag. 25 pag. 25 pag. 30 pag. 31 pag. 34 pag. 34 pag. 37 pag. 42 pag. 44 pag. 47 pag. 52 pag. 54 pag. 58 pag. 58 pag. 58 pag. 58
2.4 I dati di quantità e qualità delle acque 2.4.1 Idrometeorologia (S. Pillosu)
2.4.2 Quantità e qualità delle acque (P. Buscarinu)
2.5 Realizzazione del Sistema Informativo Geografico (S. Pillosu, I. Ghironi)
CAPITOLO 3
IPOTESI DI GESTIONE DELL’AREA DI STUDIO
3.1 Il Programma regionale di Sviluppo della Sardegna (PRS) (M. A. Dessena, N. Sale) 3.1.1 Prime iniziative turistiche (N. Sale)
3.2 L’esplorazione del paesaggio (N. Sale) 3.2.1 Carta della panoramicità (N. Sale)
3.2.1.1 Genesi 3.2.1.2 Analisi
3.2.2 Carta degli accessi ai laghi ed alle aree panoramiche (N. Sale) 3.3 Interventi possibili (N. Sale)
3.3 Scenari di sentieristica: temi naturalistico-biologici e antropologici (M. A. Dessena, N. Sale) 3.4 La carta della sentieristica. Un metodo di lavoro (M. A. Dessena, N. Sale)
3.5 Carta dell’ubicazione dei rilievi puntuali, delle caratteristiche ambientali e di dettaglio della vegetazione e dell’avifauna (I. Ghironi, S. Ortu)
3.6 Carta degli scenari possibili (M. A. Dessena, I. Ghironi, S. Ortu)
BIBLIOGRAFIA pag. 64 pag. 64 pag. 65 pag. 76 pag. 76 pag. 77 pag. 78 pag. 80 pag. 88 pag. 88 pag. 88 pag. 88 pag. 90 pag. 90 pag. 93
CAPITOLO 1
ANALISI AMBIENTALE E CARTOGRAFIA TEMATICA
1.1 Inquadramento geografico dell’area
L’area di studio interessata ricade all’interno del bacino idrografico del Flumendosa che occupa una parte cospi-cua del territorio sud orientale della Sardegna (si veda la figura 1.1). Il fiume ha una lunghezza di circa 125 Km ed il suo bacino idrografico si estende su una superficie di circa 1870 Kmq. Il Flumendosa nasce dal versante orientale del Gennargentu, tra Genna Combidarteri e Monte Pedulo e sfocia lungo la costa sud orientale, nei pressi di Porto Corallo. Il fiume è convenzionalmente diviso in tre parti: l’Alto, il Medio ed il Basso Flumendosa. Parte del Medio e Basso sono localizzati in Provincia di Cagliari.
I due laghi Mulargia, a Monte su Rei, e Flumendosa, a Nuraghe Arrubiu, sono localizzati nella parte mediana del percorso del Fiume Flumendosa e dei suoi affluenti, appunto rio Mulargia.
I corsi d’acqua citati sono caratterizzati da una notevole pendenza degli alvei e da un abbondante trasporto solido (vedi tav.2).
Il fiume procede in questo tratto finale secondo la direzione Ovest-Est seguendo un percorso condizionato dalla cosiddetta faglia di Villasalto. In quest’ultimo tratto l’ampio alveo del fiume viene raggiunto dall’ultimo affluente, il Flumini Uri.
Nei pressi della foce un cordone litorale lungo quasi sette chilometri racchiude un canale parallelo alla costa, intersecato dalle vecchie foci del Flumendosa.
I comuni compresi nell’area e più prossimi ai laghi sono rappresentati da: Orroli (interamente inserito), Goni, Nurri, Siurgus Donigala e Villanovatulo (quasi interamente inseriti), Escalaplano, Esterzili, Mandas e Sadali (al 50%) e limitatamente Seulo e Serri sebbene in particolare Seulo abbia dimostrato grande interesse all’iniziativa (vedi tav.1).
1.2 Pregio e valore naturalistico dell’area: normativa
Nel territorio in esame sono comprese delle aree tutelate da norme di legge nazionali e regionali per il loro parti-colare pregio e valore naturalistico oppure per la vulnerabilità che manifestano nei riguardi dell’attività antropica e dei fenomeni naturali stessi.
I riferimenti normativi principali per la vincolistica in vigore sono (vedi tav. 3):
•Legge Quadro n°394, 6 Dicembre 1991 – ‘Aree Protette’ e Legge Regionale n°31, 7 Giugno 1989 – ‘Norme per l’istituzione e la gestione dei parchi, delle riserve e dei monumenti naturali, nonché delle aree di particolare rilevanza naturalistica e ambientale’.
I riferimenti nell’area esaminata sono la Riserva Naturale attorno al Lago Mulargia.
•Regio Decreto n°3267, 30 Dicembre 1923 – ‘Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani’.
Individua le aree soggette a vincolo forestale.
•Legge Nazionale n°183, 18 Maggio 1989 – ‘Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo’.
Individua le aree soggette a vincolo idrogeologico.
•Decreto Legislativo n°431, 8 Agosto 1985 (Legge Galasso) – ‘Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale’ aggiornato dal Decreto Legislativo n°42, 22 Gennaio 2004 (Codice Urbani) – ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’.
Individua, tra le ‘Aree tutelate per legge’ (art.142):
- i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
- i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
- le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
- i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi.
•Decreto Ministeriale n°265, 16 Ottobre 2001 – ‘Istituzione del Parco Geominerario storico ed ambientale della Sardegna’.
1.2.1Piano Paesaggistico Regionale
Il Piano Paesaggistico Regionale (PPR) adottato dalla Giunta Regionale con la delibera n°36/7 del 05/09/2006, è stato redatto in conformità con le direttive espresse dal Decreto Legislativo n°42/2004 – Codice dei beni culturali e del paesaggio, dalla Convenzione Europea del Paesaggio e dal Protocollo MAP per le zone costiere.
Dopo l’annullamento degli strumenti di programmazione urbanistica territoriale e un periodo di vuoto legislativo al quale la legge di tutela delle coste (L.R. n°8/2004 - Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la Pianificazione Paesaggistica e la Tutela del Territorio Regionale) aveva posto termine, il PPR costituisce il quadro di riferimento e di coordinamento per lo sviluppo sostenibile dell’intero territorio regionale, degli atti di programmazione e pianificazione regionale, provinciale e locale.
La politica del territorio si dota di uno strumento che tutela i diritti dell’ambiente e che ricerca la qualità urbani-stica e una compatibilità delle trasformazioni, tenendo conto anche della tutela della vegetazione, delle risorse idriche, del suolo, dell’aria, dei beni storici e culturali.
Il piano paesaggistico regionale persegue il fine di preservare, tutelare, valorizzare e tramandare alle generazioni future l’identità ambientale, storica, culturale e insediativa del territorio sardo; proteggere e tutelare il paesaggio cul-turale e nacul-turale e la relativa biodiversità; assicurare la salvaguardia del territorio e promuoverne forme di sviluppo sostenibile, al fine di conservarne e migliorarne le qualità.
L’obiettivo fondamentale del Piano è quello di mettere il Paesaggio a riferimento di una nuova idea di Sardegna, di una nuova rinascita fondata sull’identità del territorio, in cui ambiente e storia costituiscono il punto di forza del nuovo modello di sviluppo.
Coerentemente con questo presupposto, il PPR viene formulato sulla base di due orientamenti essenziali: •identificare le grandi invarianti del paesaggio regionale, i luoghi sostanzialmente intatti dell’identità e della lunga durata, naturale e storica, i valori irrinunciabili e non negoziabili sui quali fondare il progetto di qualità del terri-torio della Sardegna per il terzo millennio, costruendo un consenso diffuso sull’esigenza della salvaguardia, riassunta dall’enunciato-base “non toccare il territorio intatto”;
•ricostruire, risanare i luoghi delle grandi e piccole trasformazioni in atto, recuperare il degrado che ne è con-seguito sia per abbandono, sia per sovra utilizzo, con una costruzione partecipata del progetto per le nuove “regole” dei paesaggi locali, in coerenza con quanto stabilisce la Convenzione Europea sul Paesaggio, che “[...] concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e degradati”.
La prima fase della formazione del PPR (Piano della Costa, già approvato) consiste nell’approvazione prelimi-nare, da parte della Giunta regionale, di una serie di documenti i quali, pur essendo riferiti all’insieme del territorio regionale, disciplinano i beni e i paesaggi interessanti la fascia costiera, ossia l’insieme dei territori che (per la loro origine e conformazione, per le caratteristiche dei beni in essi presenti, per i processi storici che ne hanno caratterizzato l’attuale assetto) hanno un rapporto privilegiato con il mare.
La fascia costiera, pur essendo composta da elementi appartenenti a diverse specifiche categorie di beni (le dune, le falesie, gli stagni, i promontori ecc.) costituisce nel suo insieme una risorsa paesaggistica di rilevantissimo valore: non solo per il pregio (a volte eccezionale) delle sue singole parti, ma per la superiore, eccezionale qualità che la loro composizione determina.
La fase successiva consiste nel raggiungere lo stesso livello di approfondimento anche per le parti del territorio regionale aventi minore attinenza con il mare (Piano delle zone interne, quasi concluso).
Poiché il PPR individua nel paesaggio il risultato della composizione di più aspetti, e identifica le sue qualità nella sintesi tra elementi naturali e lasciti dell’azione antropica (preistorica, storica e attuale), è solo a fini strumentali che, nella pratica pianificatoria, fa riferimento a diversi “sistemi” (ambientale, insediativo, storico-culturale, vedi tavv. 4, 5, 6).
i tre assetti ambientale, storico-culturale, insediativo. Tre letture del territorio, per giungere alla individuazione degli elementi che ne compongono l’identità. Tre settori di analisi finalizzati all’individuazione delle regole da porre perché di ogni parte del territorio siano tutelati ed evidenziati i valori (e i disvalori), sotto il profilo di ciò che la natura (assetto ambientale), la sedimentazione della storia e della cultura (assetto storiculturale), l’organizzazione territoriale co-struita dall’uomo (assetto insediativo) hanno conferito al processo di costruzione del paesaggio.
Ciascuno dei tre piani di lettura individua un numero discreto di “categorie di beni a confine certo”, cioè di tipo-logie di elementi del territorio, ai quali il PPR attribuisce l’appellativo di “beni paesaggistici” (art. 142 e 143 del D.L. 42/2004).
Dalla ricognizione e dall’individuazione delle caratteristiche dei beni nasce la definizione delle regole, suddivise nei tre “capitoli” delle norme. Ciascuno di essi detta le attenzioni che si devono porre perché, in relazione ai beni appar-tenenti a ciascuna categoria, le caratteristiche positive del paesaggio vengano conservate, o ricostituite dove degradate, o trasformate dove irrimediabilmente perdute.
Le tre letture hanno consentito di individuare e regolare i beni appartenenti a ciascuna delle categorie individuate. Ma, nella concretezza del paesaggio, ogni elemento del territorio appartiene a un determinato contesto, e in quel conte-sto entra in una particolare relazione con beni appartenenti ad altre categorie.
Ecco perché, all’analisi del territorio finalizzata all’individuazione delle specifiche categorie di beni da tutelare in ossequio alla legislazione nazionale di tutela, si è aggiunta un’analisi finalizzata invece a riconoscere le specificità paesaggistiche dei singoli contesti.
Il territorio costiero è stato diviso in 27 Ambiti di paesaggio catalogati tra aree di interesse paesaggistico, com-promesse o degradate, per ciascuno dei quali si è condotta una specifica analisi di contesto.
Per ciascun ambito il PPR prescrive specifici indirizzi volti a orientare la pianificazione sottordinata (in particola-re quella comunale e intercomunale) al raggiungimento di determinati obiettivi e alla promozione di determinate azioni, per il mantenimento delle caratteristiche principali, per lo sviluppo urbanistico ed edilizio, ma anche per il recupero e la riqualificazione, specificati in una serie di schede tecniche costituenti parte integrante delle norme.
Così da una parte negli assetti storico-culturale e ambientale, oltre che in quello insediativo, sono stati messi in evidenza elementi oggettivi, che richiedono da parte dei responsabili delle amministrazioni pubbliche e di tutti i cittadi-ni una ponderata riflessione, che non può esaurirsi solamente nella considerazione delle esigenze odierne. Il paesaggio come bene strategico di lunga durata è un dato di fatto che le comunità più attente e responsabili hanno messo al centro dell’azione politica e sociale.
Dall’altra gli ambiti di paesaggio costituiscono in sostanza una importante cerniera tra la pianificazione paesaggi-stica e la pianificazione urbanipaesaggi-stica: sono il testimone che la Regione affida agli enti locali perché proseguano, affinino, completino l’opera di tutela e valorizzazione del paesaggio alla scala della loro competenza e della loro responsabili-tà.
1.3 Rappresentazione tridimensionale del territorio: Pendenza, Esposizione, Altitudine
Tutti gli elaborati di base e tematici realizzati nel progetto sono stati elaborati ed implementati su piattaforma GIS.
Una parte importante ha riguardato l’elaborazione dei modelli digitali del terreno dai quali derivare in maniera univoca ed oggettiva le carte della pendenza, dell’esposizione e dell’altitudine. A tal fine sono state integrate le curve di livello esistenti e i punti quotati in formato vettoriale a partire dalle Carte Tecniche Regionali. L’integrazione è avvenuta per fasi successive.
La prima fase è consistita nella verifica della correttezza geometrica ed altimetrica delle isoipse e dei punti quota-ti già esistenquota-ti in formato vettoriale. La correttezza alquota-timetrica delle curve è stata valutata visualizzando le stesse in 3D. La seconda fase è consistita nella chiusura dei tratti di curva di livello mancanti (gaps), in modo da ottenere isoipse per quanto possibile continue. Infine convertendo in formato shape, gli elementi vettoriali sono stati interpolati mediante il software ArcGis 9.1 che ha permesso la realizzazione di un modello tridimensionale del terreno di estrema precisione (TIN) con risoluzione al suolo di 10x10 m e un’accuratezza mai inferiore alla metà della corrispondente CTR, pari a 5 m.
Attraverso l’analisi del TIN si è arrivati all’estrapolazione dei vari raster del modello di superficie (HILLSHA-DE), del modello altimetrico (DEM), delle pendenze (SLOPE) e dell’esposizione dei versanti (ASPECT).
1.3.1 Modello di superficie
L’andamento del rilievo può essere reso evidente tramite la visualizzazione in hillshading, che consente la simu-lazione di un punto di luce che incide sulla superficie, facendo risaltare la tridimensionalità dell’informazione contenuta nel grid. L’hillshade può essere visualizzato sia in modalità a due dimensioni, sia a tre dimensioni. In questa seconda modalità vengono in parte occultate le forme, dal momento che viene ricostruita una visione reale del territorio, ma è ulteriormente messo in risalto l’andamento del rilievo. L’utilizzo dell’hillshade consente di evidenziare le forme del ri-lievo in modo molto esplicito e chiaro, sottolineando le forme del territorio. Il modello di superficie costituisce il primo punto di vista che è dato del territorio. Esprime la lettura della topografia, effettuata selezionando opportunamente le prospettive e le modalità tecniche della rappresentazione (vedi tav. 7).
1.3.2 Modello altimetrico
Il modello altimetrico rispetto al precedente, dà un’importante informazione in più, in ambito morfoclimati-co. Rapportando il modello altimetrico ai gradienti termometrici ricavabili dall’elaborazione dei parametri climatici e dell’esposizione dei versanti (oggetto di una specifica cartografia, che sarà descritta qui di seguito), è possibile derivare una carta termometrica, utilissima base per la conoscenza e l’approfondimento delle specifiche del territorio. È questo un campo di conoscenza nel quale si è estremamente carenti e che necessita di grande sviluppo, soprattutto in un areale nel quale prospera la vitivinicoltura, che si deve misurare con la concorrenza d’oltralpe, dove le analisi delle caratte-ristiche morfoclimatiche e pedoclimatiche del territorio sono la parte integrante della filiera agroalimentare e, punto qualificante, garanzia della qualità (vedi tav. 7).
1.3.3 Pendenze
La modalità di analisi “cell by cell” utilizzata da Grid effettua il calcolo della pendenza per ogni cella rispetto alle circostanti, individuando quella massima ed attribuendola come valore associato alla cella in esame. La pendenza viene ricavata calcolando il cambiamento del valore altimetrico di ogni cella rispetto a quelle circostanti, e dividendolo per l’ampiezza della singola cella; si ottiene in questo modo un valore di pendenza, esprimibile in percentuale o in gradi,
che varia in modo continuo tra le celle. Dal punto di vista morfologico le pendenze dei versanti rivestono una notevole importanza nel concorrere a determinare l’entità dei deflussi in particolar modo per quanto riguarda la loro velocità di scorrimento. È ovvio sottolineare l’importanza che tale parametro può avere a livello di conoscenza territoriale al fine della sua organizzazione e della individuazione a priori di livelli comparativi di rischio (che andranno evidentemente rapportati al tipo ed alle modalità degli interventi che verranno attuati) (vedi tav. 8).
1.3.4 Esposizione dei versanti
L’esposizione dei versanti è ricavata in base alla posizione altimetrica di ogni cella rispetto a quelle circostanti, ottenendo un valore angolare espresso in gradi rispetto alla direzione nord. Viene identificata la direzione, secondo la massima pendenza, del massimo tasso di cambiamento del valore altimetrico di ogni cella rispetto a quelle vicine: ciò equivale a dire che l’esposizione esprime la direzione della pendenza. Il valore risultante è una direzione angolare, espressa in gradi (da 0 a 360 in senso orario) con valori continui. Può essere utilizzato come complemento necessario per arrivare ad una settorializzazione microclimatica sufficientemente dettagliata ed attenta a quei fattori di insolazione, di nebulosità, d’irradiazione fondamentali per la qualità delle colture. Ulteriore applicazione, sempre ai fini della defi-nizione di spazi fisicamente omogenei per la coltivazione di essenze tipicamente collinari (e che quindi, per le necessità ed i costi delle lavorazioni del suolo, devono essere ad alto valore aggiunto) può consistere nel rapportare l’esposizione con la pendenza (vedi tav. 8).
Figura 1.3 - Fondovalle sui metasedimenti
Figura 1.2 - Colline sedimentarie mioceniche
1.4 Lineamenti geologici
L’assetto geologico e morfologico dell’area in studio è caratterizzata da una varia e complessa storia geologica comprendente litologie appartenenti a tutte le ere geologiche, dal Paleozoico al Quaternario (vedi tav. 9).
Già durante il Paleozoico questo settore fu interessato dai due grandi eventi morfogenetici: il ciclo caledoniano ed il ciclo ercinico che diedero origine ad affioramenti di rocce rappresentate da metavulcaniti e metasedimenti, marmi, quarziti, ecc. Tali movimenti danno origine a spinte di compressione, faglie e pieghe, accompagnate da un dinamo-metamorfismo a carattere regionale. Al termine si forma una struttura a falde sovrapposte tettonicamente e accavallate da Nord-Est verso Sud-Ovest, ognuna costituita da successioni anche molto differenti tra di loro.
Nel periodo post-ercinico iniziò lo smantellamento e la modellazione dei rilievi paleozoici e la contemporanea deposizione, in ambiente continentale lacustre, di una successione sedimentaria associata a vulcaniti.
Il Mesozoico è stato caratterizzato da oscillazioni del livello marino sul penepiano ercinico. Ne sono testimoni i conglomerati basali quarzosi accompagnati da marne ed argille (indicativi dell’inizio della trasgressione marina), cui seguono i depositi calcareo - dolomitici (di ambiente marino più profondo) appartenenti sia al Trias che al Giurese.
Tale successione forma la serie dei cosiddetti “tacchi” o “tonneri”, isolati altopiani carbonatici limitati da pareti spesso verticali, che caratterizzano il paesaggio nella fascia centro-meridionale del bacino.
Nel Cenozoico i movimenti tettonici legati all’orogenesi alpina ed alla rotazione della placca sardo-corsa de-terminano l’assetto attuale della regione; si susseguono fenomeni epirogenetici assai diversificati legati alla tettonica disgiuntiva.
Il periodo di continentalità, iniziato alla fine del Mesozoico, viene interrotto dalla breve trasgressione marina eo-cenica: si ha la deposizione di coltri conglomeratico-arenacee e successivamente di bancate di calcari e calcari marnosi affioranti soprattutto nell’Alto Gerrei con gradini morfologici.
Nell’Oligocene si verificò un ringiovanimento del rilievo, concomitante ad una forte erosione delle litologie af-fioranti e la rideposizione di sedimenti terrigeni in ambiente continentale dando origine a forme particolarmente dolci. Nell’Oligocene, a causa dell’apertura della “fossa sarda”, si verifica il ringiovanimento del rilievo, fenomeno che causa una forte erosione e la deposizione di un potente accumulo terrigeno: conglomerati, arenarie, argille e marne (Formazione di Ussana),che si ritrova maggiormente in prossimità del Lago Flumendosa.
Successivamente all’apertura della “fossa sarda” si assiste, nel Miocene, ad una nuova ingressione marina che porta alla sedimentazione di arenarie e conglomerati fluvio-deltizi e di varie litologie carbonatiche precedute, intercala-te e ricoperintercala-te da prodotti vulcanici di varia composizione petrografica che costituiscono la formazione lavico-tufacea. Le formazioni mioceniche hanno un’estensione limitata e si ritrovano nell’area di studio quasi esclusivamente nel bacino del Lago di Mulargia.
Seguono conglomerati, sabbie, limi e basalti in espandimenti tabulari ascrivibili al Pliocene. Anche queste for-mazioni sono localizzate soprattutto nel bacino idrografico del lago Mulargia.
Nel Pliocene le effusioni basaltiche danno origine agli espandimenti sotto forma di plateaux rilevabili ad est degli abitati di Nurri e Orroli.
Durante il Quaternario si verificano processi erosivi anche molto intensi che portano alla modellazione dei ver-santi, alla formazione dei detriti di falda a grossi blocchi derivanti dalle frane di crollo lungo i bordi degli espandimenti basaltici e dei rilievi carbonatici, alla deposizione dei colluvi in corrispondenza degli impluvi e delle alluvioni lungo gli alvei principali, alla formazione dei suoli.
Figura 1.3 - Fondovalle sui metasedimenti
Figura 1.2 - Colline sedimentarie mioceniche
Figura 1.4 - Fratture sui metasedimenti
Figura 1.5 - Suoli sui detriti
1.5 Lineamenti morfologici
La morfologia dell’area in studio rispecchia le complesse vicende geologiche succedutesi nel tempo; ogni perio-do ha lasciato la sua traccia con morfologie caratteristiche.
Un elemento da tenere presente è l’origine assai remota di buona parte delle formazioni rocciose presenti che, conseguentemente, sono state oggetto di una prolungata opera di alterazione, erosione e disgregazione che ne ha addol-cito le forme e ha contribuito non poco ad attenuare i dislivelli altimetrici.
In particolare, dopo la peneplanazione ercinica, nel Mesozoico e in buona parte del Terziario, nel territorio si sono avuti solo blandi movimenti oscillatori e dislocativi.
Con i movimenti legati alla neotettonica riprende massicciamente l’erosione dei rilievi.
Alle forme subpianeggianti cacuminali si contrappongono vallate piuttosto incise con versanti molto acclivi. Lo stesso Flumendosa scorre in una profonda valle incassata di origine tettonica (canyon) conservando però l’antico andamento meandriforme.
Rilievi montuosi e collinari si estendono nel territorio a formare unità ora intensamente modellate (come capita talvolta nei graniti e generalmente negli scisti) ora con un’accidentalità più marcata (come nei porfiroidi e nei porfidi). Per quanto riguarda le particolarità morfologiche dell’area in esame, spiccano per frequenza i rilievi tabulari. Essi sono rappresentati dai “tacchi” carbonatici e dalle “giare” basaltiche. Meno frequenti sono i residui dell’Eocenico.
I primi non sono altro che i lembi residui di un’antica copertura calcareo-dolomitica mesozoica, le cui superfici strutturali, ora spesso fortemente ondulate anche per l’intervento di processi carsici, sono caratterizzate, lungo i bordi, da brusche rotture di pendio con scarpate rocciose più o meno alte. Il bordo di tali superfici tabulari in qualche caso è lineare, in molti altri invece è sfrangiato per la presenza di profondi solchi.
Le estensioni di queste zone tabulari (che un tempo dovevano costituire una distesa continua) sono ora diversis-sime; gli esempi più eclatanti di queste forme sono costituiti, nell’area in studio, dal “Taccu di Sadali”, dal “Taccu di Nurri”.
Gli altopiani eocenici sono caratterizzati dalla presenza di coltri conglomeratiche che hanno livellato la sommità` dei rilievi.
Un altro tipo di morfologia si riscontra in corrispondenza degli affioramenti miocenici (che sono costituiti da litotipi facilmente erodibili sormontati da calcari più compatti). Il paesaggio in queste zone è caratterizzato per lo più da dolci colline che si alternano ad ampie valli. Laddove la copertura calcarea non è stata distrutta e asportata comple-tamente dall’erosione, il paesaggio presenta una successione di scarpate poco pronunciate costituite dalle testate dei banchi calcarei.
Questo tipo di morfologia si può incontrare nell’area in esame a Sud di Nurri e di Orroli, tra Siurgus-Donigala e Mandas e a Nord-Est di Serri.
Attualmente i processi erosivi, legati fondamentalmente all’erosione idrica, continuano a svolgere un’azione di modellamento sulle forme del paesaggio.
1.6 Uso del suolo
L’area esaminata include al suo interno l’intero territorio dei Comuni di Escalaplano, Goni , Seulo, Sadali, Villa-novatulo, Isili, Nurri, Serri, Orroli, Siurgus Donigala, Mandas, Silius, San Basilio, Seui, Esterzili.
L’analisi dell’uso del suolo viene effettuata partendo dalla la Carta di Uso del Suolo della Regione Autonoma della Sardegna realizzata alla scala di 1:25.000 (CORINE) aggiornata per l’area in esame tramite la fotointerpretazione di immagini IKONOS messe a disposizione dall’Assessorato agli EE.LL. della Regione Sardegna e rilievi a terra.
La carta dell’uso del suolo e della copertura vegetale consente di effettuare una ricostruzione del territorio sulla base del suo utilizzo relativamente a differenti usi, da quello agricolo, silvo-pastorale, forestale, antropico ecc (vedi tav. 10).
La legenda utilizzata per l’identificazione delle varie classi deriva quindi dalla Legenda Corine Land Cover opportunamente adeguata. All’interno di essa la codifica dei poligoni d’uso del suolo si articola secondo diversi livelli di dettaglio, ognuno dei quali costituito da un certo numero di classi, identificate mediante un codice numerico (livello 3.3).
E’ facilmente osservabile come l’azione antropica, soprattutto nell’ultimo secolo, abbia notevolmente alterato il paesaggio naturale, relegando spesso il bosco nelle aree più impervie e meno produttive. Inoltre non sempre l’uomo ha
Figura 1.4 - Fratture sui metasedimenti
Figura 1.5 - Suoli sui detriti
investito a colture agricole le aree più favorevoli e fertili, ma molto più spesso lo ha fatto sulle superfici inadatte a tale uso (versanti con acclività elevate).
Questo comportamento, in certi casi indiscriminato, ha spesso rotto o modificato l’equilibrio suolo-pianta, por-tando talvolta alla scomparsa del suolo stesso e lasciando quindi via libera alla violenta azione demolitrice degli agenti atmosferici.
Anche gli stessi interventi antropici, seppure volti al miglioramento delle condizioni del territorio nei confronti dell’erosione (per esempio i rimboschimenti), ma condotti con una scarsa conoscenza dello stesso, hanno causato un peggioramento delle condizioni iniziali. L’esempio più eclatante di quanto citato è comunque rappresentato dall’usuale pratica dei pastori di incendiare le zone destinate a pascolo con lo scopo di migliorarle causando, invece, il degrado totale del territorio.
1.6.1 Metodologia
Sono state distinte 29 classi di copertura ed uso del suolo comprese le zone umide, i bacini artificiali e le aree urbane. Di seguito vengono descritte per categorie e nel grafico allegato le diverse percentuali delle aree occupate:
1) Colture arboree e ortive
Sono inclusi in questa categoria i frutteti, gli oliveti, i vigneti, i mandorleti e gli orti. Sono stati considerati anche gli oliveti e i mandorleti ormai in stato di totale abbandono.
I vigneti nel bacino sono allevati prevalentemente “ad alberello”, mentre le forme “a spalliera” e “a tendone” hanno un’estensione assolutamente marginale.
L’uva prodotta è soprattutto destinata alla vinificazione; la produzione di uva da tavola è molto limitata. Negli ultimi anni su disposizione della CEE sono stati eliminati molti vigneti per adeguare la produzione nazionale alla quota assegnata all’Italia.
4) Seminativi
In questa classe sono compresi i seminativi ed i sistemi particellari complessi, le aree agroforestali. e le aree a prato pascolo. Alcune aree a pascolo successivamente al decespugliamento, subiscono un tipo di lavorazione assai si-mile a quello eseguito sulle aree destinate ai seminativi s.s. ed i relativi suoli sono spesso soggetti a fenomeni erosivi. Poiché queste aree decespugliate interessano versanti spesso più ripidi, l’erosione può assumere proporzioni decisa-mente maggiori tanto da causare la formazione di profondi solchi di ruscellamento.
5) Pascolo naturale
Il pascolo naturale nudo è caratterizzato dalla presenza esclusiva di essenze vegetali erbacee, mentre quello cespugliato comprende sia essenze vegetali erbacee sia una copertura di piccoli arbusti non superiore al 60 %. I popo-lamenti erbacei sono variabilissimi come composizione floristica e tendono ad essere costituiti da specie annuali, nelle aree più aride e calde, mentre nelle zone più fresche e più elevate in quota sono le specie perenni che si affermano in percentuale maggiore.
La descrizione dettagliata delle diverse tipologie così come la loro delimitazione in dettaglio è riportata nella carta della copertura vegetale.
8) Macchia mediterranea, gariga, formazioni di ripa, aree a ricolonizzazione naturale
La copertura di essenze vegetali la cui altezza non supera i 2 metri costituisce la macchia bassa, mentre la coper-tura di essenze vegetali la cui altezza è compresa tra i 2 e i 6 metri costituisce la macchia alta.
Con il termine macchia si intende quindi una formazione vegetale sempreverde di altezza inferiore ai 6 metri e con copertura maggiore del 60%.
La descrizione dettagliata delle diverse tipologie così come la loro delimitazione in dettaglio è riportata nella
carta della copertura vegetale.
La macchia, tendendo a coprire interamente il suolo, riduce moltissimo la componente erbacea; ciò determina i frequentissimi incendi cui è soggetta, per favorire sia il passaggio degli animali al pascolo, sia per avere una maggiore produzione erbacea e sia per favorire l’emissione di nuovi polloni teneri delle specie legnose, dalla pronta ripresa ve-getativa.
La macchia, in tutti gli stadi, ha una funzione importantissima per la difesa dell’erosione e per favorire i processi di formazione del suolo. Pertanto risulta importantissimo favorire il recupero naturale di queste aree secondo le essenze prevalenti nell’area.
La descrizione dettagliata delle diverse tipologie così come la loro delimitazione in dettaglio è riportata nella carta della copertura vegetale.
10) Bosco naturale
Il bosco naturale è costituito dalla vegetazione naturale fitta a prevalenza di leccio e/o sughera con una copertura superiore al 60% ed un’altezza media superiore ai 6 metri.
Le specie arboree principali sono leccio (Quercus ilex), roverella (Quercus pubescens e Q. congesta), sughera (Quercus suber).
Nel sottobosco, oltre alle specie vegetali che costituiscono la macchia, sono presenti il pungitopo (Ruscus acule-atus), asparago (Asparagus acutifolius), ciclamino (Cyclamen repandum), carici (Carex distachya).
La descrizione dettagliata delle diverse tipologie così come la loro delimitazione in dettaglio è riportata nella carta della copertura vegetale.
11) Rimboschimenti e aree a ricolonizzazione artificiale
Questa classe comprende tutti i rimboschimenti, sia quelli di conifere che quelli di latifoglie. I rimboschimenti di conifere riguardano soprattutto varie specie di Pinus e costituiscono la quasi totalità della superficie rimboschita. I rimboschimenti misti e quelli di latifoglie sono molto meno estesi; quest’ultimi sono costituiti quasi esclusivamente da Eucalyptus sp.pl.
Le lavorazioni di impianto possono essere di vario tipo: a buche, a trincea di scavo e rinterro, a gradoni, a stri-sce.
Il tipo più praticato nel bacino, soprattutto in passato, è quello a gradoni: consiste nell’apertura con mezzo mec-canico di terrazzamenti di varia larghezza, (da 3 a 4 metri a seconda del mezzo mecmec-canico impiegato) lungo le curve di livello e con contropendenza a monte, per trattenere meglio le acque meteoriche ed evitare il ruscellamento e la conseguente erosione sulle pendici.
Attualmente in Sardegna quest’ultima tecnica di preparazione del terreno viene gradualmente sostituita dalla lavorazione “a buche”. Questa presenta il vantaggio di rispettare eventuali ceppaie o piante che si trovino lungo la linea di la-voro e inoltre consente un “disturbo” dell’assetto morfologico notevolmente inferiore.
All’interno delle aree rimboschite si realizzano fasce di terreno nudo, chiamate “fasce frangifuoco”. Esse attra-versano versanti spesso anche molto acclivi, per una larghezza sino ad alcune decine di metri, e hanno la funzione di fermare o, al limite, rallentare l’avanzata di un incendio.
Su queste aree, essendo prive di vegetazione e avendo subito un profondo scasso del suolo, si innescano marcati fenomeni di erosione lineare, che spesso si propagano anche alle zone sottostanti, soprattutto dove il rimboschimento è recente o mal attecchito.
12) Aree urbanizzate, agroresidenziali, servizi e reti di distribuzione, insediamenti industriali/artigianali, aree ricreative
Figura 1.6 - Uso del suolo. Calcolo percentuale delle aree sul totale
La tavola 11 comprende le aree modellate artificialmente ed in particolare l’ubicazione di cave, discariche, de-puratori, scarichi ecc.
Figura 1.7 - Pascoli sul Paleozoico
Figura 1.8 - Seminativi
1.7 Unità di pedopaesaggio
La Carta delle Unita’ di Pedopaesaggio (UP) esprime attraverso i termini convenzionali di classificazione, ge-nesi, caratteristiche e comportamento dì ciascun suolo, il risultato di determinate condizioni ambientali che si sono realizzate nel tempo.
Lo studio multidisciplinare dell’area supera in questa analisi la semplice descrizione dell’ambiente considerato attraverso le sue singole componenti, mentre ne definisce l’aspetto di sintesi ricercando oltre alla caratterizzazione ana-litica anche le interrelazioni tra le varie componenti dell’ambiente, compreso l’uomo.
L’approccio viene definito olistico e le diverse unità individuate vengono definite come “configurazione ripetiti-va (pattern) di forme di superficie terrestre legate tra loro geograficamente e geomorfologicamente”. Tale metodo risulta di indubbia efficacia quando il lavoro deve offrire un valido contributo alla pianificazione e gestione del territorio for-nendo un quadro sinottico delle varie componenti ambientali che grazie alle loro caratteristiche di ripetitività possiamo riconoscere altrove, ma soprattutto possiamo utilizzare come base nella valutazione della suscettività d’uso dei suoli per usi differenti; i dati presenti in legenda sono funzionali a queste scelte.
La definizione delle unità si basa prioritariamente sull’individuazione dei substrati litologici principali; questo poiché la variabilità di composizione dei substrati viene ritenuta il parametro che maggiormente influenza i caratteri chimici e fisici dei suoli. All’interno di ogni litologia si delineano le unità cartografiche di suolo, attraverso selezioni successive che tengono conto delle forme di rilievo e della loro posizione nel paesaggio, dei processi erosivi e della loro intensità, del drenaggio superficiale e sotterraneo e delle diverse tipologie d’utilizzazione del suolo.
La carta delle UP dell’area in esame è stata estratta da quella realizzata per l’intero bacino idrografico a cui affe-riscono i due laghi, ed integrata. Nominalmente figurano pertanto 49 unità anche se in realtà quelle presenti nel nostro buffer sono pari a 38, alcune ben rappresentate altre un po’ meno. E’ stata comunque mantenuta la numerazione di cui alla carta estesa per mantenere l’omogeneità del GIS dell’ENAS (vedi tav.12).
I suoli riportati in carta sono stati classificati secondo il sistema elaborato dal Servizio del Suolo degli Stati Uniti (Soil Taxonomy, 1996); sono stati riconosciuti 5 Ordini e il livello tassonomico raggiunto è quello del sottogruppo.
Nella legenda è stata inserita anche la classificazione di suscettività d’uso dei suoli che verrà illustrata nel para-grafo successivo. A corredo dei paragrafi 1.7 e 1.8 verrà allegata la carta dei suoli e della suscettività d’uso.
1.7.1 Lineamenti generali delle unità
E’ da premettere che il territorio in studio presenta prevalentemente un regime di umidità xerico, cioè con se-zioni del suolo asciutte per almeno 45 giorni consecutivi entro i primi quattro mesi successivi al solstizio d’estate, per almeno 6 anni su 10. L’osservazione dei profili sui rilievi più elevati (per esempio Punta la Marmora) fa supporre che in queste aree possa esservi un regime idrico differente dallo xerico, ma questa ipotesi non può essere provata per la mancanza di stazioni di misura delle temperature e della piovosità. Anche in alcuni settori meridionali, dove prevale l’agricoltura irrigua, p.e. in prossimità del paese di Orroli, il regime idrologico dei suoli fa pensare ad un ambiente più umido (udico).
Sul complesso metamorfico di base, costituente l’ossatura paleozoica dei rilievi, prevalgono “catene” con asso-ciazioni di Entisuoli, Inceptisuoli e Alfisuoli sviluppatisi rispettivamente sugli alti morfologici (dorsali e pianalti), sui versanti e sui depositi di versante più stabili. In particolare, nei tratti più elevati e scoscesi si ritrovano Lithic e Typic Xerochrepts e Lithic, Typic e Dystric Xerorthents o, al di sopra degli 800 m s.l.m., di Xerumbrepts (Lithic ed Entic) sotto le coperture residuali di macchia o bosco fitto. Sui versanti prevalgono gli Inceptisuoli, ma con profili decisamente più profondi (mediamente 50-100 cm) e più evoluti nei caratteri distintivi degli orizzonti, soprattutto del B cambico e dell’orizzonte umbrico, ricco in sostanza organica. Sui depositi di versante stabilizzati del Plio-Pleistocene hanno avuto modo di evolversi gli Alfisuoli, testimoni di climi diversi dall’attuale e ben conservati dalla macchia mediterranea.
Sui graniti le aree soggette ad intensa erosione, distinte da forme caratteristiche quali torrioni, inselberg, versanti più o meno accidentati e disseminati di massi sferici anche di dimensioni metriche, presentano suoli fortemente erosi, quali Entisuoli, prevalentemente litici. Dove si conserva la copertura boschiva originaria o la macchia mediterranea più fitta, pur su acclività elevate, accanto alla roccia affiorante si osservano tasche, con suoli da poco a mediamente profondi, con profilo A-C (Lithic e Typic Xerorthents) e profilo A-Bw-C (Typic, Lithic e Dystric Xerochrepts). Inoltre, generalmente al di sopra degli 800 m, in condizioni quindi di clima relativamente umido, l’abbondanza di sostanza or-ganica permette di classificare i suoli nel grande gruppo degli Xerumbrepts. Nelle aree ondulate o pianeggianti, in cui è presente materiale d’accumulo colluviale o eluviale, i suoli si presentano da mediamente a molto profondi.
Il complesso permiano può essere grossolanamente diviso in due substrati litologici che hanno risposto differen-temente alla pedogenesi. Un primo insieme è costituito dagli affioramenti di materiali più facilmente alterabili: conglo-merati, arenarie e siltiti più o meno cementate, che determinano forme dolci con rilievi smussati e vallecole aperte. Sul fondo di queste ultime, però, è evidente una reincisione lineare causata da una forte ripresa dei fenomeni erosivi dovuta al pressochè totale denudamento dei versanti e delle valli in seguito ai ripetuti incendi estivi e alle lavorazioni a ritto-chino praticate per “migliorare i pascoli”. I suoli che si sono formati su queste superfici sono frequentemente troncati e non è raro osservare l’affioramento degli orizzonti profondi (B e C) o della stessa roccia madre. I più diffusi sono gli Entisuoli litici e tipici con spessori minimi. Alla base dei versanti, nelle valli e sotto radi lembi di cisto sono conservati i Typic Xerochrepts a profilo A-Bw-C o A-Bw-R.
Il secondo insieme è formato dagli estesi rilievi effusivi che occupano soprattutto la parte centrale del bacino in esame. Sono costituiti sia da domi di rioliti e andesiti ipo-abissali, che emergono vistosamente dal complesso scistoso basale, sia da espandimenti ignimbritici che formano elevati pianalti. Questi rilievi si presentano smussati nelle parti sommitali, con forme abbastanza dolci, estesi affioramenti rocciosi e sottili coltri pedogenizzate parzialmente stabiliz-zate da cuscinetti erbosi e arbusti nani (ginepri, erica). Si possono osservare Lithic e Dystric Xerorthents a profilo A-C o
A-R, con epipedon più o meno ricco in sostanza organica, spesso compattato dall’eccesso di pascolamento. Inoltre sono presenti Entic, Lithic e Typic Xerumbrepts e Xerochrepts poco profondi (<60 cm) conservati soprattutto nelle piccole conche di accumulo eluviale e/o colluviale. I versanti di questi rilievi, per contro, sono estremamente acclivi, con forme accidentate, profondamente segnati da potenti canaloni, sul cui fondo si accumulano vere e proprie “pietraie” tuttora attive. I suoli sono costituiti fondamentalmente da Inceptisuoli anche piuttosto profondi, ma spesso troncati.
Il complesso basale mesozoico, sovrastato dalle potenti bancate carbonatiche dei “tacchi”, affiora discontinua-mente sotto le scarpate di queste ultime. L’elevata erodibilità e alterabilità, soprattutto dei depositi più fini, la presenza di lembi di macchia mediterranea di leccio, corbezzolo, erica, cisto e non ultimo il continuo apporto di detriti, ha per-messo la formazione di suoli da poco a mediamente profondi, con profilo A-Bw-C, riconducibili ai sottogruppi Typic Xerochrepts e Xerumbrepts. Dove i processi di erosione sono più intensi, per cause naturali o antropiche, si osservano profili troncati poco profondi quali gli Entisuoli litici.
Anche i suoli sui depositi conglomeratici e arenacei eocenici, che si trovano sulle superfici stabili dei pianori e nelle vallecole di accumulo nell’area meridionale del bacino, presentano profili più evoluti (Inceptisuoli). Sulle super-fici più erose affiora la roccia madre o sono presenti suoli quali i Lithic Xerorthents, poveri di sostanza organica e con elevata pietrosità.
Il paesaggio dei sedimenti carbonatici mesozoici è caratterizzato da forme prevalentemente tabulari (“tacchi”), al cui interno si articolano a diverse quote forme rilevate in smantellamento e forme pianeggianti o depresse soggette a prevalenti processi di accumulo. Su queste litologie carbonatiche è evidente la stretta correlazione suolo-copertura vegetale. Il suolo ha subìto un rapido e progressivo assottigliamento, fino all’affioramento della roccia, sulle superfici dove il bosco di leccio originario è ormai scomparso (per disboscamenti e/o per gli incendi) ed è stato sostituito dal pascolo. Questo substrato, che aveva subìto una lenta e lunga pedogenesi in tempi passati (in condizioni di clima caldo-umido), e con una fitta copertura boschiva, nelle condizioni attuali di profondo degrado potrà solo con estrema difficoltà generare un nuovo suolo. Si possono distinguere, quindi, superfici in rilievo, dove affiora la roccia madre, e superfici subpianeggianti dove il suolo relitto è conservato all’interno delle soluzioni di continuità più o meno ampie e profonde della roccia.
I suoli sono a profilo A-C, poco profondi, classificabili come Entisuoli (sottogruppi litici), ma anche a profilo A-Bw-C (Lithic Xerochrepts). Frequenti sono i suoli sepolti, localizzati in piccole tasche, che attestano un ambiente pedoclimatico più caldo e più umido dell’attuale, testimoniato dalla presenza di argilla illuviale e di ossidi di Fe e di Mn (Alfisuoli). In corrispondenza dei paesaggi caratterizzati tuttora dal bosco di leccio, pur diradato, o dalla macchia mediterranea, i suoli si conservano più profondi, ricchi in sostanza organica distribuita in tutto il profilo (Mollisuoli).
Dove affiorano i sedimenti conglomeratici della Formazione di Ussana si osservano due paesaggi principali: uno aspro e fortemente inciso con scarpate, coperto da macchia rada e talora da bosco fitto (Padenti Mannu), l’altra piuttosto ondulata e dolce, principalmente adibita a seminativo. Le zone più alte dei rilievi sono estremamente erose e, soprattutto dove sono arate, affiorano direttamente i conglomerati o qualche orizzonte C con accumulo di carbonati (Ruptic-lithic Xerochrepts). In funzione della natura mineralogica sui versanti si trovano i Mollisuoli, su conglomeratici carbonatici, e gli Alfisuoli dove la componente è silicatica.
Gli affioramenti dei depositi clastici e carbonatici miocenici sono limitati al settore sud-occidentale del bacino, conformemente all’ingressione del mare cenozoico fino ai bordi della fossa campidanese. Infatti questi depositi mo-strano caratteri tipicamente fluvio-deltizi o di mare poco profondo; ciò determina la presenza di una grande varietà di litotipi sedimentari (arenarie, conglomerati, marne, calcari, argille) che determinano di conseguenza una estrema frammentazione, sia areale che tipologica, delle associazioni pedologiche.
Si può comunque affermare che sui versanti più erosi, sottoposti a pascolo o a lavorazioni a rittochino, sono pre-dominanti gli Entisuoli dei sottogruppi litici e tipici e gli Inceptisuoli troncati, poco profondi. Sui versanti meno acclivi (<20 %) si sono sviluppati Inceptisuoli anche con accumuli di carbonati in profondità.
Gli espandimenti lavici basaltici plio-quaternari che ricoprono i sedimenti terziari, si estendono su vaste superfici costituendo tavolati subpianeggianti denominati “giare”. L’uso più diffuso è sicuramente il pascolo, sia naturale che a seminativo, che sopportano notevoli carichi di bestiame grazie alla elevata fertilità dei suoli che vi si sviluppano. In
condizioni normali sono infatti presenti suoli da mediamente a molto profondi, con profili A-C, A-Bw-C o A-Bw-R (prevalenti Mollisuoli). Il sovrapascolamento ha portato anche in queste aree ad un impoverimento e ad un costipamen-to ormai irreversibile del suolo.
Alla base dei coni vulcanici dove la superficie presenta una leggera convessità, così come alla base delle scarpate delle giare, si formano i Vertic e i Pachic Haploxerolls, suoli inspessiti dall’apporto per gravità di materiale detritico.
Le coltri detritiche quaternarie, depositatesi sulle superfici depresse dei fondovalle, possono presentare caratteri prettamente colluviali, con rari apporti alluvionali, mentre lungo i corsi d’acqua principali esse sono fondamentalmente costituite da potenti depositi alluvionali, spesso terrazzati. I suoli sono prevalentemente classificati come Entisuoli e Inceptisuoli e, in subordine, sulle superfici più antiche, come Alfisuoli; spesso potenti oltre un metro, presentano fon-damentalmente caratteri tipici. Quando la natura dei depositi colluviali è tale da fornire abbondanti prodotti argillosi, i suoli, di colore bruno scuro, presentano caratteri vertici, con fessurazioni che si estendono anche in profondità (Vertic Haploxerolls).
Sulle alluvioni recenti abbiamo gli Xerofluvents tipici e i Fluventic Xerochrepts.
Dall’analisi incrociata delle diverse tematiche che compongono le unità in relazione agli aspetti storico-culturali di gestione del territorio e per dare un senso a quali siano gli usi attuali e le potenzialità di questo territorio è necessario fare alcune considerazioni.
Nel territorio sono presenti evidenti segni della presenza umana già dall’età prenuragica (cultura di Ozieri) a quella romana. La maggiore criticità relativa al patrimonio archeologico è dovuta al generale stato di abbandono dei siti dopo le fasi di scavo e documentazione a causa della difficoltà di accesso alle aree, alla carenza di servizi alla visita connessi con efficaci gestione in rete.
Rispetto alla presenza umana prenuragica e nuragica nel territorio (nuraghi, domus de janas, menhirs ecc.), la massima espansione si rileva in corrispondenza degli espandimenti basaltici e presumibilmentequesta si differenzia come tipologia a seconda della posizione che occupa nel paesaggio.
In particolare le emergenze diffuse lungo i fianchi del lago medio Flumendosa avevano funzioni prevalenti di avvistamento e difesa, quelli al centro dell’espandimento avevano caratteri sociali (villaggi, abitazioni, centri di rac-colta ecc.) e così pure quelle diffuse nell’area valliva compresa tra gli espandimenti lavici e tutto il settore eocenico costituito da depositi conglomeratici-arenacei ad ovest ed i rilievi paleozoici più aspri a sud e sud-ovest. Quest’ultima area è sicuramente interessata dal contributo del dilavamento di elementi minerali utili dalle due tipologie litologiche e pedologiche, che favoriscono la fertilità dei suoli e la presenza di sostanza organica, tanto che pur non avendo questi suoli profondità elevata e con limitazioni dovute all’eccessiva presenza di scheletro ed al drenaggio, presentano una discreta suscettività all’uso agricolo, ma anche forestale, culturale (emergenze storiche), turistico ricreativo.
In tali aree spesso l’eccessivo pascolamento e la distruzione degli antichi boschi di latifoglie già in epoca storica, hanno provocato estesi fenomeni erosivi anche incanalati.
Laddove il bosco persiste si ritrovano anche accumuli detritici con grossi blocchi. Questo fa intendere che non essendo terreno coltivabile è stato preservato.
Altre aree dove è possibile rilevare emergenze nuragiche sono situate tra Nurri ed Isili lungo il percorso ferrovia-rio (anche trenino verde) che rapprenda un tratto di interesse sia naturalistico che culturale ed agronomico. Qui i suoli si sono sviluppato sui sedimenti miocenici e sulle vulcaniti, i cui contributi alimentano l’utilizzo agricolo.
Dove le pendenze sono più elevate e maggiore è la componente grossolana del detrito, prevale il bosco di lati-foglie.
La funzione del nuraghe qui pare in parte di sorveglianza e in parte di vita sociale.
Nel tratto compreso tra Orroli ed il lato occidentale del lago Mulargia sono presenti emergenze archeologiche diffuse su suoli più poveri compresi tra le metamorfiti ed il Permiano conglomeratico-arenaceo del Paleozoico.
con-servata con localmente specie arboree testimonia un territorio un tempo ben più colonizzato dalla vegetazione e dove probabilmente ancora le emergenze avevano una tipologia mista a seconda della posizione morfologica.
Da segnalare presenze strategiche nella parte settentrionale dell’area su morfologie accidentate e profondamente incise ma con punti di vista panoramici di rilievo. Qui i suoli hanno infatti debole spessore a tratti più profondi nelle tasche di detrito con boschi e macchia e uso di tipo agro-pastorale.
Altre emergenze culturali di età prevalentemente romana si ritrovano nell’area di Mandas (strade e infrastrutture varie), limitrofa all’area in studio, al limite con i sedimenti miocenici ed i rilievi del Paleozoico.
Qui la presenza romana era presumibilmente legata allo sfruttamento agricolo del territorio legato all’approvvi-gionamento di cibo per le truppe.
Chiese, capanne, necropoli sono infine localizzate prevalentemente in vicinanza dei centri urbani o nell’area campestre limitrofa.