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Caratteri e trasformazioni del paesaggio urbano delle vigne intorno a S. Cesareo

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SCUOLA DOTTORALE:

C

ULTURE E TRASFORMAZIONI DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO

DOTTORATO DI RICERCA:

S

TORIA E CONSERVAZIONE DELL

OGGETTO D

ARTE E

D

ARCHITETTURA

XXIV CICLO

Caratteri e trasformazioni del paesaggio urbano delle vigne

intorno a S. Cesareo

Adelina Ramundo

Tutor: Prof. R. Santangeli Valenzani

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PARTE I

Capitolo 1. Età antica.

1.1 Inquadramento topografico e aspetti geomorfologici.

1.2 Periodo arcaico e repubblicano.

1.3 Periodo imperiale e tardoantico.

1.3.1 Topografia e funzioni nell‟ambito della XII Regio.

1.3.2 La necropoli del I miglio della via Appia: contesti funerari nell‟area di S.

Cesareo.

Capitolo 2. Età medievale.

2.1 La disgregazione degli assetti antichi e il processo di ruralizzazione nella valle

dell‘Appia tra VI e X secolo.

2.2 Dal monastero Corsarum a S. Cesareo in Turri.

2.3 Il monastero domenicano di S. Sisto Vecchio e la prima documentazione su vigne e

orti all‘Antoniana.

Capitolo 3. Età moderna.

3.1 Il paesaggio urbano nella valle dell‘Appia tra ‗400 e ‗500.

3.1.1 Declino e trasformazioni del complesso monastico di S. Cesareo.

3.1.2 Nuovi dati per una ricostruzione catastale.

3.2 Le vigne del monastero dei SS. Domenico e Sisto, del Collegio Clementino e dei Padri

della Minerva tra ‗600 e ‗800.

3.2.1 La stabilizzazione dei confini delle vigne: un paesaggio cristallizzato

(1604-1870).

3.2.2 La stagione antiquaria a S. Cesareo: dai restauri di Baronio agli scavi di

Ficoroni.

PARTE II

Inventario dei materiali archeologici.

Appendice documentaria: G. Remondini, Dissertazioni sopra i Sepolcri degli Antichi

Romani, nella quale si dà Relazione di alcune Antichità trovate l‟anno 1761 nelle vigne di

S. Cesareo.

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Capitolo 1

Età antica

1.1 Inquadramento topografico e aspetti geomorfologici.

Lungo il tratto iniziale di via di Porta S. Sebastiano, nei pressi del bivio con la via Latina, si apre l‘ingresso del Parco di S. Sebastiano, una vasta area verde di circa 80˙000 m2

che si estende verso ovest fino al tracciato di viale delle Terme di Caracalla. Il parco è delimitato, almeno in parte, dagli stessi muri che in età medievale e moderna circondavano le tre vigne che occupavano l‘area, appartenenti alle Monache dei SS. Domenico e Sisto, al Collegio Clementino e ai Padri della Minerva. Il settore urbano così delimitato costituisce l‘ambito spaziale entro cui si muove questa ricerca.

I limiti delle tre proprietà risultano delineati nella loro forma definitiva nella pianta di G.B. Nolli del 1748, quando ormai da cinquanta anni essi hanno raggiunto un assetto stabile; il settore più settentrionale, tra le terme di Caracalla e via di Porta S. Sebastiano, era occupato dalla proprietà dei Padri della Minerva a cui si affiancava, nella porzione compresa tra le terme e il vicolo dell‘Antoniana, la vigna delle monache dei SS. Domenico e Sisto; la restante parte, che si estendeva alle spalle della chiesa di S. Cesareo fino al confine meridionale con le proprietà Moroni, Casali, Albanesi e Cantoni, apparteneva al Collegio Clementino.

La tradizionale assenza di un fitto tessuto residenziale ha fatto sì che ancora oggi sia possibile distinguere con chiarezza i caratteri morfologici dell‘area. L‘elemento caratterizzante è senza dubbio il sensibile dislivello che percorre centralmente il parco da nord a sud, distinguendo il settore pianeggiante disposto lungo di via di Porta S. Sebastiano dalla zona sopraelevata che copre il versante più occidentale.

La conformazione fisica dell‘area in rapporto col più ampio contesto geomorfologico risulta ben evidenziata nei primi studi sulla geologia di Roma a partire dalla Carta fisica del suolo di Roma di G. Brocchi1: la zona in esame rientra in quell‘avvallamento compreso tra i colli Celio e Aventino che costituisce la naturale prosecuzione della depressione posta tra Aventino e Palatino. Questo passaggio incuneato tra colli isolati e separati da valli costituisce il corridoio naturale entro cui si sarebbe sviluppato il tracciato urbano della via Appia.

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Questa conformazione ha la sua origine nei complessi fenomeni geologici che hanno interessato il territorio romano specialmente in relazione alla attività eruttiva dei sistemi vulcanici sabatino e laziale2. Nella zona in esame, i depositi tufacei prodotti dall‘attività del Vulcano Sabatino3 si sovrappongono alle più antiche formazioni geologiche costituite essenzialmente dalle argille marine plioceniche e dai successivi depositi argillosi e sabbiosi del Pleistocene medio4. Questi depositi tufacei sono all‘origine della vasta formazione che dalla zona esterna alle mura compresa tra la via Latina e via Cristoforo Colombo si estende fino alle terme di Caracalla e a via Druso, determinando la configurazione del rilievo che corre da Cesareo a S. Balbina e del Monte d‘Oro5

. Una serie di alluvioni fluviali comportano quindi la formazione dei depositi lacustri e palustri che si insinuano nelle valli del Tevere e dell‘Aniene e che interessano il margine orientale della zona in esame, in corrispondenza della depressione che, attraverso la valle del Circo Massimo, giunge fino al Tevere6.

L‘osservazione della cartografia storica dimostra con chiarezza il carattere incisivo di questo rilievo nella definizione morfologica dell‘area. Già L. Bufalini7

, nella sua pianta del 1551, rappresenta con efficacia l‘andamento dell‘altura che dalla chiesa di S. Balbina scende verso le terme di Caracalla e va ad insinuarsi tra il vicolo dell‘Antoniana e la chiesa di S. Cesareo, proseguendo poi verso le Mura Aureliane. Nella veduta di E. Du Pérac del 1577 il rilievo è rappresentato come una scarpata piuttosto ripida che separa nettamente la zona nord-orientale pianeggiante da quella sud-occidentale elevata. All‘opposto, la cartografia seicentesca sembra quasi eliminare l‘altura dalla rappresentazione della zona; solo le vedute di Greuter (1618) e Falda (1676) accennano la forma del rilievo ma con una enfasi decisamente minore rispetto agli esempi passati. Con la pianta di Nolli, la morfologia della zona torna ad essere rappresentata correttamente: l‘altura alle spalle di S. Cesareo è riprodotta come parte di un sistema più ampio compreso tra il lato occidentale delle

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Sull‘attività del Vulcano Sabatino e del Vulcano Laziale cfr. G. Giordano in FUNICIELLO-PRATURLON -GIORDANO 2008, pp. 87-95. Sui caratteri geomorfologici e la successione stratigrafica del comprensorio Casilina-Appia-Ardeatina cfr. VENTRIGLIA 1971, pp. 78-81.

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Queste formazioni tufacee interessano prevalentemente la parte settentrionale e occidentale della zona romana ma si presentano in misura minore anche nei settori sud-orientali, cfr. VENTRIGLIA 1971, p. 25-26, G.

Giordano in FUNICIELLO-PRATURLON-GIORDANO 2008, pp. 88.

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Nel Pliocene tutta la zona interessata dalla Campagna Romana è ancora invasa dalle acque del Tirreno; questa fase comporta il deposito di sedimenti sabbiosi. La fase di sollevamento tettonico e di erosione che si verifica al passaggio tra Pliocene e Pleistocene è seguita da diversi cicli di ingressione e regressione marina che comportano diversi depositi di argille, sabbie e ghiaie (tra Calabriano e Siciliano = Pleistocene inferiore-medio) fino alla formazione fluvio-palustre prodotta dall‘azione del Paleotevere (Siciliano superiore). Sulla storia geologica del territorio di Roma e la relativa descrizione dei terreni costituenti il sottosuolo cfr. VENTRIGLIA 1971, pp. 11-38 e M. Parotto, R. Funiciello - G. Giordano in FUNICIELLO-PRATURLON -GIORDANO 2005, pp. 25-38.

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Le formazioni piroclastiche prodotte dall‘attività del Vulcano Laziale, che coprono gran parte del territorio romano specialmente a est e a sud della città, affiorano poco oltre i confini della zona in esame, lungo le attuali via Marco Polo e via Cilicia (Unità del Palatino) e nella porzione più settentrionale del Monte d‘Oro (Pozzolane rosse). La successiva fase effusiva è all‘origine delle formazioni laviche sud-orientali a cui appartiene anche la cosiddetta ―colata di Capo di Bove‖. Cfr. VENTRIGLIA 1971, pp. 27-34, CAMA 2011, p. 265.

I diversi affioramenti della formazione piroclastica prodotta dal Vulcano Laziale sono elencati in VENTRIGLIA 1971, pp. 29-30 e da M. Parotto e R. Funiciello - G. Giordano in FUNICIELLO-PRATURLON -GIORDANO 2008, pp. 25-85.

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M. Parotto, R. Funiciello - G. Giordano in FUNICIELLO-PRATURLON-GIORDANO 2008, pp. 71-72.

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FRUTAZ 1962,tav. 204. E‘ noto l‘interesse di Bufalini per l‘orografia di Roma, insieme all‘attenzione per la viabilità e i resti di strutture antiche (cfr. INSOLERA 1981, pp. 112-122); nell‘ambito della sua descrizione orografica, l‘altura dietro S. Cesareo assume un valore altamente significativo nella definizione morfologica della zona compresa tra le Terme di Caracalla e le mura.

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terme e le Mura Aureliane fino a Porta S. Sebastiano. L‘importanza di questa altura come elemento di organizzazione dello spazio emerge anche dalla forma assunta dai confini delle proprietà così come dalla viabilità interna, entrambe tendenti ad assecondare l‘andamento nord-sud del rilievo. Un contratto d‘affitto del 1730 conferma questo ruolo di divisione spaziale notando che la vigna delle Monache dei SS. Domenico e Sisto su due lati confina con la strada mentre dalla parte inferiore di sotto e da capo con la vigna del Ven.

Collegio Clementino mediante un greppo o sia frattone, a piede del quale dalla parte della vigna di detto Collegio Clementino è stato novamente nel limite di detto greppone nella vigna di detto Ven. Monastero scavato e fatto un fosso e tagliato il greppone suddetto a piombo.

Questa conformazione fisica, che vede l‘allungamento verso il Tevere del rilievo alle spalle di S. Cesareo e del vicino Monte d‘Oro, ha determinato i caratteri essenziali dell‘area in esame. La valle tra Celio e Aventino costituisce storicamente un corridoio naturale di accesso al cuore della città; d‘altra parte, essendo un‘area geograficamente periferica rispetto al centro dello sviluppo urbano, essa risulta fortemente influenzata dai mutamenti nei limiti sacri, giuridici e urbanistici della città. E‘ opportuno tenere presente che Roma, per buona parte della sua vicenda storica, non può essere considerata una città racchiusa nelle proprie mura quanto piuttosto una ―città-territorio‖, connotata dall‘alternanza di zone verdi e di abitato, in cui i limiti

fisici non coincidono necessariamente con quelli di una dimensione di intervento non solo urbanistico ed architettonico, ma politico-economico in continuo aumento spaziale e reale8.

Il rapporto dialettico tra città e suburbio è particolarmente evidente nella zona in esame, che sembra plasmata dalle relazioni intercorrenti tra questi due poli e che si configura come ponte tra la realtà urbana e quella extraurbana. Questa funzione di ―diaframma‖ spiega l‘avvicendarsi e il sovrapporsi di funzioni diverse e talvolta opposte nel corso del tempo.

1.2 Periodo arcaico e repubblicano.

Le fasi storiche più antiche non hanno lasciato alcuna testimonianza diretta nell‘ambito del settore urbano che stiamo considerando; per tracciare un quadro storico di queste prime fasi occorre quindi riferirsi ai caratteri dell‘area immediatamente circostante.

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Le testimonianze relative al settore meridionale della città, compreso tra l‘Aventino9

e il Celio10, concorrono nel delineare una condizione di marginalità rispetto ai primi fenomeni di aggregazione urbana e di estraneità rispetto ai più antichi limiti cittadini.

Nei secoli di sviluppo proto-urbano di Roma11 l‘Aventino è un pagus periferico nettamente distinto rispetto ai nuclei abitati dei montes sebbene dotato di uno statuto sacrale speciale in virtù della sua vicinanza al centro abitato e dell‘antichità della sua frequentazione12

. Le fonti letterarie13 concordano nel ricordare il suo isolamento rispetto agli altri colli, sottolineando in modo particolare la difficoltà di accesso a causa delle pendici scoscese e della zona paludosa che lo separava dal Palatino; questa particolare morfologia spiegherebbe l‘esiguità delle prime forme di popolamento14

. Il Celio sembra essere interessato con maggiore precocità dai primi fenomeni di espansione dell‘abitato essendo elevato alla dignità di mons nella fase del primo Septimontium15; nonostante ciò, anche questo colle sembra mantenere un carattere piuttosto periferico nei secoli di crescita proto-urbana16.

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In età repubblicana, la denominazione Aventinus doveva riferirsi non solo all‘altura principale, compresa tra il Tevere e la valle del Circo Massimo, ma anche al rilievo minore meridionale; il linguaggio ufficiale, tuttavia, tendeva a distinguere le due sommità; nella divisione augustea, la denominazione Aventino resta alla

regio XIII, cioè quella che comprende il colle verso il Tevere, mentre la XII regio, comprendente la seconda

altura, verrà denominata Piscina Publica (sul dibattito relativo alla questione della denominazione del colle cfr. PLATNER-ASHBY 1929, p. 66 e G. De Spirito in LTUR, I, s.v. Aventinus mons, pp. 147-151).

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Per la sua conformazione il colle era distinto in Caelius maior (l‘altura più elevata in corrispondenza di villa Mattei e S. Maria in Domnica) e Caelius minor (in corrispondenza dei SS. Quattro Coronati). Sull‘origine del nome Caelius cfr. COLINI 1944, pp. 17-19; G. Giannelli in LTUR, I, s.v. Caelius mons (età

classica), pp. 208-211.

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I primi nuclei insediativi stabili di carattere pre-urbano riferibili all‘Età del Bronzo medio (1700-1350) si concentrano nell‘area del Campidoglio e alle sue radici verso il Tevere; l‘abitato del colle doveva dominare il fiume e le piane paludose immediatamente circostanti, andando incontro alle esigenze difensive e di approvvigionamento (cfr. CARANDINI 1997 pp. 113-114). Lo sviluppo protourbano di Roma viene riassunto da Carandini nella successione Trimontium-Quinquimontium-Septimontium, ovvero nell‘estensione dell‘abitato dai tre montes Palatium, Velia e Cermalus (periodo laziale IIA2) al Fagutal e alla Subura (fine del periodo IIA2-inizi del periodo IIB) e, infine, alle Esquiliae e al Celio (cosiddetto primo Septimontium, periodo laziale IIB1). La fase culminante di questo processo, il secondo Septimontium (periodi IIB2-IIIA), comporta l‘annessione dei colles ed un maggiore addensamento dell‘abitato anche lungo le pendici dei rilievi verso le valli (CARANDINI 1997, pp. 267-379).

12

Nella fase del Trimontium l‘Aventino figura insieme a Fagutal e Subura come pagus peri-proto-urbano dipendente dal centro abitato e strettamente connesso agli approdi sul Tevere; Carandini definisce infatti ―paganico-emporico‖ il carattere del colle in questa fase (CARANDINI 1997, pp. 284-285).

13

Le fonti letterarie indicano come elementi peculiari del paesaggio del colle la presenza di boschi (DION. HAL., 1.79.12; PLIN., Nat. 15.138), l‘isolamento dagli altri colli anche a causa della zona paludosa sul versante del Palatino (STRABO, 5.3.7; VARRO, ling., 5.43.; OV., fast., 2.391-392; TIB., 2.5.33-34) e la

prolungata mancanza di popolamento(PLUT., Numa 15.3).

14

La tradizione fa risalire ad Anco Marcio il primo popolamento dell‘Aventino; questo nucleo abitato sarebbe stato cinto da mura e annesso alla città palatina. Storicamente è probabile che i primi insediamenti sull‘Aventino siano dovuti all‘assegnazione di lotti di terra a pochi coloni mentre la maggior parte del colle dovette restare di dominio pubblico. Sulle prime fasi di popolamento dell‘Aventino cfr. MERLIN 1906, pp.

33-39; sulla leggenda relativa all‘opposizione di Romolo e Remo, rappresentanti rispettivamente dei centri del Palatino e dell‘Aventino cfr. CARANDINI 2006, pp. 263 – 298.

15

La tradizione letteraria ricorda una precoce aggregazione del Celio alla città palatina: secondo alcuni autori l‘annessione avviene già con Romolo (DION. HAL., 2.50.1), secondo altri con Tullo Ostilio (DION.HAL., 3.1.5) o con Anco Marcio (STRABO, 5.3.7; CIC., rep., 2.18.33).

16

CARANDINI 1997, p. 362, 364-365. L‘assenza di sepolture anteriori al VI sec. a.C. viene considerata da Colini una prova significativa della mancanza di insediamenti (COLINI 1944, p. 24). Le più recenti interpretazioni storiche portano ad attenuare questa affermazione sebbene le testimonianze archeologiche a

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Un significativo avanzamento nel processo di integrazione al primitivo nucleo insediativo si verifica con la comprensione dei due colli entro il circuito delle cosiddette ―mura serviane‖ tra VI e IV sec. a.C. Il tracciato murario scendeva dalla sommità del Celio lungo il piccolo avvallamento sotto S. Tommaso in

Formis e attraversava la valle del Circo Massimo aprendosi in corrispondenza di porta Capena17; superata la porta, la struttura proseguiva verso ovest andando cingere il rilievo principale dell‘Aventino. Da questo tracciato, tuttavia, restano esclusi l‘altura minore e le sue pendici meridionali; l‘esclusione dalla piena realtà urbana è dimostrata d‘altra parte dalla persistente estraneità dell‘Aventino rispetto al tracciato del pomerio, il limite sacro e giuridico della città che rende sacra la città stessa e che comporta una netta distinzione tra urbs e ager18. Del resto, le fonti letterarie riecheggiano a distanza di tempo il carattere lungamente agreste del colle, coperto da boschi e foreste, disabitato e sostanzialmente legato a un tipo di sfruttamento pastorale. Solo con la lex Icilia de Aventino publicando del 456 a.C. il colle avrebbe cominciato a trasformarsi in un quartiere popolato, anche se la prima via carrabile, il clivus Publicius, viene costruita nel 238 a.C.19.

La valle compresa tra Celio e Aventino condivide con le due alture lo stesso carattere periferico rientrando originariamente in quella corona di pagi che, pur non facendo parte a tutti gli effetti della proto-città, godono di un regime giuridico parzialmente assimilabile a quello cittadino e possiedono un collegamento funzionale con il nucleo civico in virtù degli usi cultuali, sepolcrali, commerciali e militari. I confini del pagus rispetto all‘agro circostante, al limite tra auspicia urbana e auspicia militiae, sono segnalati

favore dell‘antichità dell‘insediamento sul Celio continuino ad essere piuttosto esigue (cfr. PAVOLINI 2006, p. 12).

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La porta è citata dalle fonti letterarie a partire dal 484 a.C. (DION.HAL., 8.4.1) e questo dato proverebbe l‘antichità della sua origine (cfr. F. Coarelli in LTUR, IV, s.v. “Murus Servii Tullii”; mura repubblicane:

Porta Capena, p. 325). La sua esatta localizzazione manca ancora di prove definitive sebbene la sua presenza

nell‘area dell‘attuale parco di porta Capena sia generalmente riconosciuta sulla base delle ricerche condotte nella seconda metà dell‘Ottocento da J.H. Parker. La serie di saggi condotti da Parker all‘altezza del rudere ancora oggi visibile nel parco di porta Capena davanti alla FAO ha portato alla scoperta di ampi tratti murari in tufo che sono stati interpretati come resti delle mura serviane. Il taglio perpendicolare di una di queste strutture e la presenza di un ulteriore pilastro in tufo in corrispondenza di un tratto di strada basolata hanno indotto a supporre l‘identificazione della porta. Una analisi della documentazione di Parker e una revisione generale della questione sono pubblicati in MODOLO 2011.

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M. Andreussi riporta le linee generali del dibattito antico e moderno riguardante l‘etimologia della parola

pomerium e la possibilità di considerarlo una linea o uno spazio intorno alle mura; a tali argomentazioni sono

ovviamente connesse le questioni relative alla possibilità di legare o meno il pomerio alle mura e all‘esatta collocazione del pomerio rispetto alle mura stesse. Viene proposta inoltre una panoramica sui supposti ampliamenti pomeriali a partire dal nucleo romuleo sul Palatino, l‘aggiunta del Foro Romano e del Campidoglio da parte di Tito Tazio, quindi l‘ampliamento al Viminale, Esquilino e Quirinale con Servio Tullio. A questi seguono gli ampliamenti di epoca repubblicana relativi a Silla e Cesare, quindi l‘ipotetico intervento di Augusto. In età imperiale si ricordano gli ampliamenti di Claudio (49 d.C.) e Vespasiano e Tito (75 d.C.), oltre alla semplice conferma del tracciato da parte di Adriano (121 d.C.); cfr.LABROUSSE 1937, p. 165; ANDREUSSI 1988, pp. 228-231; M. Andreussi in LTUR, IV, s.v. Pomerium, pp. 96-105. Sulla questione

del presunto ampliamento con Aureliano e il legame con l‘edificazione del nuovo circuito murario cfr. STROSZECK 2001. Al di là del dibattito specifico, ciò che interessa notare in questa sede è la prolungata esclusione della zona in esame dall‘urbs giuridicamente definita.

19L‘iscrizione relativa a un magister dei pagani dell‘Aventino (CIL, XIV, 2105), anteriore al 13 a.C.,

mantiene il ricordo, in un‘epoca ormai avanzata, di un agglomerato in qualche modo indipendente nonostante il popolamento del colle sia ormai pienamente realizzato anche grazie allo sviluppo commerciale connesso ai traffici sul Tevere (cfr. MERLIN 1906, pp. 69-80).

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dai santuari del I miglio20; nell‘area in esame, questo confine viene indicato dall‘aedes Martis, localizzato da numerose fonti letterarie ed epigrafiche genericamente all‘esterno di porta Capena lungo la via Appia21.

Proprio il tracciato della via Appia deve aver rappresentato, sin dalle fasi più arcaiche, l‘elemento centrale dell‘organizzazione topografica e funzionale della zona compresa entro i limiti segnalati dall‘aedes Martis. Sebbene la presenza di un percorso protostorico non venga attestata esplicitamente dalle fonti, l‘esistenza di un primitivo tracciato viario è testimoniata con sicurezza per il periodo immediatamente precedente alla metà del IV sec. a.C.22. La stessa morfologia del territorio deve aver fornito le condizioni ideali per la creazione della via di collegamento tra Roma e i territori del Lazio meridionale e della Campania. La valle tra Celio e Aventino si ricongiunge, infatti, al percorso di crinale che ha origine ai piedi del monte Crescenzo, sui Colli Albani, e prosegue lungo la dorsale geologicamente identificata con la colata di Capo di Bove23 mettendo così in comunicazione diretta il Tevere con i territori del Latium Vetus. L‘esigenza di collegare la piana commerciale del Tevere con la zona a vocazione pastorale dei Colli Albani sarebbe alla base dell‘antichità di questo asse strategico24 che dall‘Isola Tiberina attraversa la valle del Circo Massimo prima di biforcarsi nei due segmenti viari dell‘Appia e della Latina.

Sulla base di questi dati generali relativi all‘assetto morfologico, topografico e giuridico è possibile inquadrare i più antichi caratteri funzionali della zona in esame; non stupisce osservare come nel periodo arcaico-repubblicano l‘intera area compresa tra Aventino e Celio sia caratterizzata da forme di insediamento tipicamente extraurbane.

La presenza di boschi e sorgenti, ampiamente documentata dalle fonti letterarie, induce a credere che la funzione sacra possa aver motivato le prime forme di frequentazione, in linea con la religiosità arcaica che trova i propri luoghi di culto nel lucus e nelle fontes25.

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L‘origine di questi santuari, attestati con certezza a partire dall‘età regia, viene fatta risalire al periodo proto-urbano (CARANDINI 1997, p. 377).

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Su aedes, templum e lucus Martis e sulle ipotesi di localizzazione cfr. F. Coarelli in LTUR Suburbium, IV, s.v. Martis aedes, Templum, Lucus, pp. 44-45. Sul vicino clivus Martis cfr. L. Spera in LTUR Suburbium, IV, s.v. Martis, clivus, pp. 45-47; MANACORDA 2011. Nella Notitia l‘aedes Martis è citata con Minervae et

Tempestatis (VALENTINI-ZUCCHETTI 1940-1953, I, Cur. p. 91; Not. p. 165); a questa aedes Minervae,

altrimenti sconosciuta, è stato attribuito il ritrovamento, effettuato nel 1767 presso Porta Latina, di un pozzo colmo di statue fittili.

22

LIV., 7.39.16; il passo riferisce il famoso episodio relativo all‘avanzamento della coorte ribelle lungo

l‘ottavo miglio della strada quae nunc Appia est nel corso della rivolta militare del 342 a.C.

23

Cfr. FUNICIELLO 1995, p. 45, fig. 11; CAMA 2011, p. 265. 24

CARANDINI 1997, p. 241; COARELLI 2001, p. 8.

25

Nella zona immediatamente esterna a porta Capena, lungo le pendici del Celio, sembra profilarsi una sorta di distretto sacro formato da più fonti. Si ricordano il lucus e l‘annesso fons Camenarum associato al lacum

Promethei (VALENTINI-ZUCCHETTI 1940-1953, I, Cur. p. 89, Not., p. 164; p. 216). La persistenza di questo luogo sacro nel corso dei secoli è data da numerose testimonianze: se Giovenale (IUV., 1.3.16) lo vede ormai alterato e dissacrato, indicandolo non più come un lucus ma come arbores con una silva mendicans, Frontino (FRONT., aq., 4) afferma che era ancora un luogo venerato; del resto lo troviamo ancora citato da

Simmaco (SYMM., Epist., 1.20.1) in epoca tarda, quindi nel De montibus, portis et viis urbis Romae (VALENTINI-ZUCCHETTI 1940-1953, I, p. 297). Un‘altra fonte nota è il fons Mercurii ricordato da Ovidio (fast., 5.673-674). Più tardi, un fons Mercurii viene ricordato nei Mirabilia urbis Romae; difficile appare la corrispondenza con il balneum Mercuri dell‘Itinerario di Einsiedeln poiché nel percorso A porta Sancti Petri

usque sanctum Paulum sembra collocarsi sul versante sud-occidentale dell‘Aventino (cfr. VALENTINI -ZUCCHETTI 1940-1953, III, p. 61). Altre tre fonti, fons Lollianus, Palatinus e Scaurianus sono note da alcune iscrizioni copiate da Pirro Ligorio (CIL, VI, 162, 1*-2*-6*; cfr. COLINI 1944, pp. 45-47;). Anche il costone

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La realizzazione del tracciato stradale della via Appia, avvenuta nel 312 a.C. con il censore Appio Claudio Cieco26 deve aver rafforzato la naturale funzione di comunicazione di questo settore in rapporto alla gestione della vita politica e militare, valore che verrà mantenuto nel corso dell‘età imperiale anche in chiave propagandistica27.

Il tratto distintivo del paesaggio della valle dell‘Appia tra età arcaica e repubblicana è rappresentato, tuttavia, dall‘avvio dell‘uso funerario connesso all‘antico divieto di sepoltura e incinerazione in città presente nella legislazione romana già a partire dalle Leggi delle XII tavole28. Lo sviluppo della necropoli in questo settore deve aver ricevuto un notevole incentivo in seguito alla pavimentazione dell‘Appia: la posizione delle sepolture lungo la strada permetteva la massima visibilità garantendo quelle forme di autorappresentazione sociale tipiche della mentalità collettiva romana.

Le fonti letterarie in proposito sono indicative: come è noto, fuori porta Capena Livio ricorda l‘antico sepolcro di Horatia29 mentre Cicerone menziona i monumenti funerari di importanti famiglie come i Metelli e i Servilii30 oppure la tomba del console A. Attilius Calatinus31; ancora fuori porta Capena è ricordato il sepolcro dei Marcelli32 associato al tempio di Honos e Virtus33. Tra le testimonianze ancora oggi esistenti resta il sepolcro degli Scipioni, il cui nucleo originario viene realizzato all‘inizio del III sec. a.C. risultando

tufaceo orientale del piccolo Aventino, descritto da molti autori come un luogo selvaggio, coperto di boschi e ricco d‘acqua, costituisce l‘ambiente ideale per la localizzazione, sin dai tempi più remoti, di distretti sacri come quello consacrato a Faunus e Picus (OV., fast., 3.295 ss.) o alla Bona Dea Subsaxana(PROP., 4.9.24-25; OV., fast. 5.149;MACROB., Saturn., 1.12.26; VALENTINI-ZUCCHETTI 1940-1953, I, Cur. p. 137; Not. p.

180; MERLIN 1906, p. 163-167; L. Chioffi in LTUR, I, pp. 200 – 201).

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LIV., 9.29.5-7. Come è noto, la pavimentazione della via saxo quadrato nel tratto compreso tra porta Capena e il tempio di Marte avviene nel 296 a.C. ad opera degli edili Ogulnii (LIV., 10.23.11-12). Nel 293 viene eseguita la pavimentazione nel tratto compreso tra il tempio di Marte e Boville (LIV., 10.47.4). Cfr. J. R. Patterson, in LTUR, V, s.v. Via Appia, pp. 130-133.

27

E‘ significativo, a tale riguardo, l‘episodio narrato da Livio (7.23.3) relativo alla convocazione dell‘esercito romano extra portam Capenam ad Martis aedem del 305 a.C. Del resto sempre Livio (23.32.2) ricorda la presenza, nei pressi di porta Capena, di un senaculum, un luogo non inaugurato destinato agli incontri tra il senato e i magistrati cum imperio che non potevano varcare il limite pomeriale, probabilmente realizzato dopo la battaglia di Canne. Ricordiamo, inoltre, che dal tempio di Marte partiva la parata cerimoniale della

trasvectio equitum(DION.HAL., 6.13.4). Questi aspetti connaturati alla gestione del potere militare e della

vita politica troveranno una ideale continuità in età imperiale nella presenza di strutture come il mutatorium

Caesaris, adibito al cambio dell‘imperatore dalle vesti militari a quelle civili, e nell‘erezione di monumenti

onorari come l‘ara Fortunae Reducis, voluta dal senato nel 19 a.C, per celebrare il ritorno di Augusto dalla Siria oppure i tre archi rispettivamente dedicati a Druso, Traiano e Lucio Vero che i Cataloghi Regionari localizzano entro i confini della Regio I.

28

CIC., de leg., 2.23.58-59; sulla questione del divieto di sepoltura entro il pomerio in relazione alle testimonianze archeologiche cfr. STROSZECK 2001.

29 LIV., 1.26.14. 30 CIC., Tusc. 1.13. 31 CIC., de sen., 61. 32

LIV., 25.40.3; 26.32.4; 29.11.13 In analogia col sepolcro degli Scipioni, il mausoleo dei Marcelli sarebbe stato decorato con le statue raffiguranti le tre diverse generazioni di Marcelli ad opera dell‘ultimo protagonista della vicenda, figlio del conquistatore di Siracusa (cfr. COARELLI 1972, p. 71). Per la relazione tra il mausoleo dei Marcelli e il tempio cfr. ASCON., Pis., 11..

33

Il tempio sarebbe stato fondato Q. Fabius Maximus Rullianus con un rinnovamento del voto da parte di M.

Claudius Marcellus quindi consacrato nel 205 a.C. ad opera di M. Marcellus. La fondazione del tempio è

stata messa in relazione all‘istituzione, nel 304 a.C., della transvectio equitum proprio a partire da questo santuario. L‘importanza del tempio è dimostrata dalla sua sopravvivenza almeno fino al IV sec. d.C. come dimostrano la menzione nei Cataloghi Regionari e il riferimento dell‘epistola di Simmaco; cfr. D. Palombi.

(10)

10

già interamente occupato verso la metà del II sec. a.C.34. Diversi autori, inoltre, testimoniano l‘uso in chiave funerario delle aree adiacenti alla via Latina35.

La valle dell‘Appia doveva presentarsi, quindi, come un‘area scarsamente edificata, punteggiata di strutture funerarie monumentali distribuite irregolarmente sul territorio ma in stretta relazione col tracciato viario in modo analogo a quanto si verifica davanti alle altre porte delle mura serviane tra VI e III secolo a.C. Probabilmente, tra le sepolture più antiche doveva prevalere la forma della camera ipogea o della tomba a camera rupestre, spesso monumentalizzata in una seconda fase come avviene nel sepolcro degli Scipioni36; attorno a questi monumenti principali dovevano disporsi le sepolture più umili, soprattutto tombe terragne, che non hanno lasciato traccia37. Questa immagine è confermata dai rinvenimenti archeologici effettuati nel settore a sud dell‘Aventino; un nucleo di sarcofagi rinvenuti nell‘area di viale Marco Polo, pertinenti a due membri della gens Cornelia e databili tra il IV e la metà del III sec. a.C., sono stati considerati indizio della presenza di un sepolcro familiare scavato nel tufo in corrispondenza dell‘antica via Ardeatina38. Lungo il tracciato dell‘attuale viale delle Terme di Caracalla, nel tratto tra piazzale Numa Pompilio e le mura, un architrave in travertino recante l‘iscrizione Rupilius databile tra II e I sec. a.C. costituirebbe un‘altra prova di una sepoltura repubblicana; gli strati più antichi della necropoli scoperta durante gli sterri per la realizzazione del tratto intramuraneo della via Imperiale mostrano, del resto, tracce di usi funerari (sepolture terragne con vasellame in bucchero a decorazione graffita) risalenti già al VI-V sec. a.C39.

Nell‘area in esame le più antiche testimonianze archeologiche rintracciate risultano coerenti con quanto si è detto sull‘originario utilizzo in chiave funeraria dei terreni adiacenti al tracciato dell‘Appia; si tratta, infatti, di materiali pertinenti ad almeno tre sepolcri risalenti alla piena età repubblicana.

Un gruppo di brocchette composto attualmente da quarantotto pezzi testimonia l‘esistenza tra II sec. a. C. e I sec. d. C. di un sepolcro collettivo localizzabile genericamente entro i confini della vigna del Clementino (cfr. inventario, scheda n. 164). Non è rimasta alcuna documentazione circa i caratteri architettonici del monumento, definito semplicemente cammera sepolcrale dal padre somasco Baldini nella sua descrizione del ritrovamento40; l‘alto numero di ossuari (almeno trecento in origine) lascia supporre un edificio di dimensioni ragguardevoli di cui la breve trattazione settecentesca non fornisce alcun indizio utile a definirne la localizzazione topografica.

34

L‘iscrizione incisa sul sarcofago di L. Scipione Barbato (CIL, I², 8-9) ricorda l‘aedes Tempestatum che, come si è visto, risulta associato all‘aedes Martis e all‘aedes Minervae nei Cataloghi Regionari (VALENTINI -ZUCCHETTI 1940-1953, I, Not. p. 89). Il tempio, posto fuori porta Capena, doveva trovarsi in stretta relazione

con la fonte delle Camene (OVID., fast., 6.191-194;SYMM., Epist., 1.20.1; SERVIO, Aen., 1.8 ;

Sulla storia complessiva del sepolcro e sui suoi caratteri architettonici cfr. COARELLI 1972; COARELLI 1974, pp. 326-333. 35 IUV., 1.170; PRUD., Symm. 1.403-405. 36 Cfr. VON HESBERG 1994, pp. 32-33. 37

Sull‘aspetto delle necropoli arcaiche di Roma e sul loro sviluppo tra VI e II secolo cfr. VON HESBERG

1994, pp. 29-38.

38

AVETTA 1985, p. 244.

39

AVETTA 1985, p. 244; KAMMARER-GROTHAUS 2002, p. 143.

40

Lo scavo avvenne infatti nel 1732 e la descrizione più completa del ritrovamento è quella data dal padre somasco G.F. Baldini nel 1736 (cfr. cap. 3, par. 2.2).

(11)

11

Il nucleo è tipologicamente omogeneo essendo composto in massima parte da brocchette monoansate che trovano confronti con tipi ceramici compresi tra la fine del III e la metà del II sec. a.C.; quattro esemplari sono databili tra la seconda metà del II inizi del I sec. a.C.; l‘olletta e due boccali a collarino trovano confronti con esempi datati al I sec. d.C.41. Ciascun pezzo è contraddistinto da un‘iscrizione incisa dopo la cottura del vaso recante nome del defunto e data di morte o deposizione. Normalmente l‘indicazione onomastica dei defunti si presenta nella forma tradizionale prenome + gentilizio anche se, su un totale di 180 testi epigrafici documentati, almeno 14 impiegano i tria nomina, elemento che permette di abbassare la datazione al I sec. a.C. almeno per questi esemplari. In 7 casi è presente la filiazione, indicazione esplicita della piena cittadinanza mentre in 22 esempi si ha l‘attestazione dello status di liberto; solo in una circostanza è citata la tribù e, sempre in un solo caso, è attestata la condizione di servus publicus. Sotto il profilo onomastico la situazione risulta piuttosto variegata senza la prevalenza di uno o più nuclei gentilizi; si possono evidenziare, tuttavia, alcuni gruppi più consistenti: Caecilii (7), Iunii (4), Cornelii (3), Lutatii (3),

Servilii (3), Clodii (2), Fulvii (2), Laelii (2), Manlii (2), Minucii (2), Porcii (2), Valerii (2).

La presenza di frammenti ossei attestati al momento della scoperta ha immediatamente indirizzato le interpretazioni successive al rituale funerario dell‘os resectum42, noto dalle fonti letterarie43 ma scarsamente attestato dal punto di vista archeologico44; a Roma questa sembra essere l‘unica attestazione di questo particolare rito funebre, peraltro significativa considerando l‘alto numero di individui qui sepolti e la relativa omogeneità di forme ceramiche e formulario epigrafico.

Altri due monumenti funerari di età repubblicana sono stati individuati lungo il tracciato stradale dell‘Appia, affiancati l‘uno all‘altro, sotto le odierne strutture della Casina Bessarione; entrambe le strutture presentano nuclei in opera cementizia e rivestimento in blocchi squadrati di peperino45. Il primo sepolcro, a pianta quadrangolare, è largo 5,40 m (18 piedi; il lato rivolto verso la strada rimane nascosto sotto il muro perimetrale della Casina); oltre al nucleo cementizio si conservano tre filari di blocchi di rivestimento (0,60 x 0,60 m; lunghezza variabile) disposti per testa e per taglio con giunture rinforzate da grappe con incassi a coda di rondine. Il secondo monumento, leggermente arretrato rispetto al filo stradale, è stato pesantemente manomesso e privato dei blocchi di rivestimento, le cui tracce sono state comunque individuate sul nucleo in cementizio al quale i blocchi erano semplicemente addossati. Anche questo sepolcro aveva una pianta quadrangolare di dimensioni paragonabili al primo edificio (circa 5,40 m di lato); sullo zoccolo di base, costituito da un filare di blocchi (spessi 0,60 m), poggiava una cornice aggettante in lastre di peperino (spesse 0,30 m) sulla quale doveva impostarsi un rivestimento in lastre verticali leggermente arretrate.

41

Un‘analisi tipologica dettagliata sui 48 ossuari supersiti è stata recentemente oggetto della tesi di laurea di R. Maioglio presso l‘Università Roma Tre. I pezzi sono stati documentati attraverso una ricognizione grafica e fotografica quindi sono stati classificati e studiati sotto il profilo tipologico. L‘analisi tipologica delle forme ceramiche è stata quindi integrata con i dati di natura epigrafica, il cui confronto ha consentito di affinare la datazione del contesto.

42

Il rituale prevedeva la separazione di una parte del corpo dal resto del cadavere destinato all‘incinerazione; l‘osso separato era invece destinato all‘inumazione come forma di purificazione della famiglia del defunto (cfr. VARRO, de l. l., 5, 23).

43

CIC., De leg., 2.22.55; FEST. frag. ex. Apogr. LXII; VARRO, de l. l., 5, 23.

44

Una rassegna dei ritrovamenti archeologici compatibili col rituale dell‘os resectum è stata condotta da R. Maioglio.

45

Gli scavi sono stati condotti tra il 1983 e il 1984 dalla X Ripartizione del Comune di Roma in occasione di alcuni lavori di deumidificazione realizzati nella Casina Bessarione. Parte della documentazione è contenuta in RT, XIII, feb. 1983-gen. 1984; i risultati dello scavo sono pubblicati in MUCCI 1986.

(12)

12

Il nucleo funerario costituito da questi due sepolcri richiama lo schema insediativo che si può osservare nel vicino complesso dei Sette Dormienti, dove due monumenti tardorepubblicani del tipo a dado in blocchi di peperino si affiancano ad appena 0,80 m l‘uno dall‘altro rivolgendo la facciata principale verso l‘Appia ad una distanza di c.a 16 m46. Le similitudini tra i due complessi funerari potrebbero riguardare anche i caratteri architettonici; sebbene siano rimasti pochi elementi utili, i due monumenti sotto la Casina Bessarione potrebbero rientrare nella tipologia dei sepolcri a dado con nucleo in cementizio e rivestimento in blocchi lapidei47; in alternativa, si potrebbe pensare anche al tipo a edicola con alto zoccolo coronato da motivi architettonici, particolarmente diffuso nel I sec. a.C.48. Non sono rimasti elementi utili per definire meglio i caratteri architettonici e decorativi dei due monumenti, tantomeno l‘identità dei proprietari. Lo scavo ha dimostrato che l‘area dei due sepolcri ha subito forti modifiche e sconvolgimenti già in età antica prima di essere inglobata nelle strutture medievali della Casina Bessarione e divenire oggetto di ricerche antiquarie. L‘appartenenza ai due sepolcri almeno di una parte degli scarsi frammenti lapidei, architettonici ed epigrafici, rinvenuti nell‘area della Casina nel corso dei restauri degli anni ‘30 (cfr. inventario, schede nn. 135-140, 173, 176-178, 183-187, 190, 191) e nel corso dello scavo degli anni ‗8049, resta ad un livello di ipotesi.

L‘attribuzione univoca di questi materiali è resa ancora più ambigua dalla densità di edifici funerari che ha caratterizzato nel tempo quest‘area limitata. Alcuni scassi compiuti nel terreno adiacente alla Casina nel giugno del 1936 hanno messo in luce i resti di un ambiente ipogeo con pareti dipinte che Muñoz identifica con un colombario del quale, tuttavia, non sembra essere rimasta traccia documentaria50.

Certamente, all‘interno di questo materiale, va rilevata la presenza di due iscrizioni riferibili al I sec. a.C. La prima (n. 139), incisa su una lastra frammentaria in peperino, attesta un Caius Calpurnius Niceforus, liberto 46 GIORGI ET AL. 2011, pp. 119-124. 47 Cfr. VON HESBERG 1992, pp.197-209 ; GIORGI ET AL. 2011, p. 121. 48

In particolare, verso la fine del I sec. a.C. si nota una prevalenza del tipo a pianta quadrata piuttosto che rettangolare; sotto il profilo delle dimensioni, i due sepolcri in esame risulterebbero di proporzioni abbastanza ridotte nell‘ambito di una tipologia che poteva raggiungere proporzioni ben più significative. Von Hesberg ricorda il cosiddetto monumento di Pompeo, sulla via Appia nei pressi di Albano, a pianta quadrata di 14 x 14 m e una serie di sepolcri di dimensioni minori (9 x 9 m c.a.) sulla via Appia, Latina, Casilina, Prenestina e Cassia. Questo genere di sepolcri è attribuito da Von Hesberg a esponenti del ceto senatorio o equestre sebbene nessuno dei diversi monumenti da lui passati in rassegna sia attribuibile ad una specifica famiglia (cfr. VON HESBERG 1994,pp. 148-149).

49

Si tratta di tre frammenti in marmo bianco rinvenuti tra il 9 e il 22 febbraio 1983 nella terra di riporto; il primo, di forma irregolare (dimensioni lati: 26x40x13x42 cm) recava inciso: - - - / [- - - ]d [- - - ] / [- - -

]de [- - -] / [- - -]dc [- - -]; il secondo: - - - / [- - -]i [- - -] / [- - -]ae [- - -]; il terzo: - - - / [- - -]rc [- - - ] / [- - - ]tr [- - - ] (cfr. RT, XIII, feb. 1983).

50

Uno stralcio dal Verbale del Deliberazioni del Governatorato adottate il 3 giugno 1936 riporta: Premesso

che nell‟eseguire uno scasso nel terreno adiacente al giardino della casina del cardinale, per il trapiantamento di arbusti, è venuto in luce un piccolo ingresso di un antico ipogeo, che si presenta con le pareti dipinte e non privo d‟interesse, riconosciuta l‟urgente necessità di procedere ad opportune indagini per stabilire la convenienza o meno di scavare questo monumento sepolcrale antico, il Governatore delibera di autorizzare l‟Ufficio Antichità e Belle Arti ad eseguir in economia piccole indagini nel terreno per esplorare il monumento in oggetto, fino alla concorrenza di spesa di L. 2600. Nello stesso fascicolo è

presente la lettera inviata il 28 aprile 1936 da A. Muñoz alla Direzione del Servizio Giardini, nella quale si dichiara l‘intenzione di condurre ulteriori ricerche di cui non si ha, allo stato attuale, altra documentazione: Si

ringrazia di aver dato disposizione perché fosse segnalata a questo ufficio la scoperta di un antico ambiente sotterraneo venuto in luce presso la casa del Bessarione. Sembra trattarsi di un colombario e per poter giudicare del suo interesse questo ufficio desidererebbe, col consenso di codesta direzione, eseguirsi un piccolo saggio di scavo, dopo il quale potrà giudicarsi se converrà lasciare il vano accessibile o se potrà essere ricoperto nuovamente (ASC, Ripart. X, 1920 – 1953, b. 146, fasc. 1).

(13)

13

di una Calpurnia, che sembra agire in qualità di dedicante; resta, inoltre, il cognome Cadmus. La seconda (n. 140), anch‘essa frammentaria, ricorda il liberto di un Lucius e attesta un cognome che, se è corretto integrare nella forma [N]icepori, lascerebbe supporre un collegamento con l‘iscrizione precedente; è presente, inoltre, la misura del lato frontale del sepolcro, 10 piedi, che lascerebbe escludere un‘attribuzione ai due monumenti affiancati sull‘Appia indicando, d‘altra parte, l‘esistenza di un terzo sepolcro repubblicano. E‘ certamente significativo, comunque, che due delle tre iscrizioni repubblicane scoperte nella zona in esame provengano dal contesto della Casina Bessarione che sembra configurarsi, quindi, come il nucleo originario di insediamento nel tratto di necropoli considerato. Non è possibile dire se a questo stesso ambito vada attribuita anche la terza iscrizione repubblicana (n. 46) pertinente alla sepoltura di due liberti di un Publius Cornelius.

Sulla base di queste testimonianze è possibile affermare che almeno dal II-I sec. a.C. la zona in esame dovesse avere una vocazione funeraria piuttosto affermata, secondo uno schema insediativo tipico delle aree extraurbane poste in prossimità delle grandi strade in uscita da Roma; la posizione dei due monumenti sepolcrali repubblicani, strettamente affiancati e allineati lungo il tracciato viario, suggerisce un‘occupazione del territorio a file di sepolcri che diventeranno sempre più fitte nel tempo, con una graduale riempimento degli spazi liberi ed una estensione in profondità a partire dal limite stradale51. Siamo quindi già distanti dalla situazione descritta per il IV-II sec. a.C. dalle fonti letterarie circa la presenza di grandi sepolcri isolati legati a famiglie di alto rango che utilizzarono il I miglio della via Appia as an arena for aristocratic competition. Accanto ad un committenza di alto livello, quale quella che si può immaginare per i monumenti della Casina Bessarione, possiamo individuare una committenza più vasta ed eterogenea, composta da un alto numero di individui di varia estrazione sociale probabilmente riunito in forme organizzative e gestionali collegiali, posto a capo di un grande sepolcro collettivo attraverso il quale manifestare la propria visibilità.

1.3 Periodo imperiale.

La necropoli che in età repubblicana comincia a svilupparsi lungo il I miglio della via Appia, nel corso dei primi tre secoli dell‘età imperiale diventa l‘elemento dominate del paesaggio urbano; questo non significa, tuttavia, che durante questo lungo arco cronologico l‘area non sia interessata da altre forme di insediamento rapportabili con l‘importanza del tracciato viario come via di comunicazione e luogo di scambio.

51

Si veda, ad esempio, il caso della necropoli dell‘Isola Sacra (Sulle forme delle necropoli romane nel periodo tardo repubblicano cfr. VON HESBERG 1994, pp. 38-45.

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14

Restringendo l‘attenzione al settore che stiamo esaminando, la massima concentrazione di testimonianze funerarie si registra tra I e II sec. d.C.; le grandi lacune esistenti nella documentazione rendono difficoltosa la ricostruzione topografica di questa vasta area sepolcrale e la comprensione del suo rapporto con quella serie di spazi ed edifici destinati ad attività civili e commerciali che ci vengono testimoniati dalle fonti e che dovevano costituire una sorta di naturale completamento del paesaggio delle necropoli (santuari periferici, aree artigianali e commerciali, ville con campi e giardini più o meno estesi)52.

1.3.1 Topografia e funzioni nell‟ambito della XII Regio.

L‘organizzazione urbana concepita da Augusto nel 7 a.C. attribuisce alla via Appia un ruolo fondamentale nella definizione dei confini delle nuove regiones, rappresentando l‘asse rettilineo meridionale generatore della nuova partizione territoriale53; in particolare l‘Appia segna il limite tra due regiones contigue, la Regio I - Porta Capena54 e la Regio XII - Piscina Publica55.

L‘assetto della XII Regio, entro i cui confini è inglobato il settore in esame, è noto soltanto per alcuni elementi di rilievo mentre restano sostanzialmente sconosciute l‘identità di diversi toponimi trasmessi dalle fonti e l‘organizzazione topografica complessiva56

.

52

VON HESBERG 1994, p. 39.

53

Sui caratteri della divisione augustea cfr. A. Fraschetti e D. Palombi in LTUR, IV, s.v. Regiones

quattuordecim, storia, topografia, pp. 197-204 e la relativa bibliografia.

54

Porta Capena è un punto significativo della partizione in quanto in essa convergono le regiones I, II, X, XII e, forse, XIII; le regiones II, III, IV e X convergono invece sulla Meta Sudans.

55

Tale denominazione deriverebbe dalla presenza un bacino idrico ricordato nelle fonti a partire dal 215 a.C. (LIV., 23.32.4; cfr. F. Coarelli in LTUR, IV, s.v. Piscina Publica, pp. 93-94.).

56

Le fonti principali per la conoscenza dei caratteri topografici della regione rimangono gli elenchi di toponimi forniti dai Cataloghi Regionari e la base dedicata dai magistri vicorum all‘imperatore Adriano nel 136 d.C (CIL, VI, 975). Per la XII Regio la base dei vicomagistri elenca undici vici: Veneris almae, Piscinae

Publicae, Dianae, Triari, Fontis salientis, Laci tecti, Fortunae Mammosae, Compiti pastoris, Portae Rudusculanae, Porta Naevia, Victoris. I Cataloghi elencano tredici diversi siti (vedi infra). Risulta spesso

difficile giungere ad una localizzazione esatta dei toponimi citati in queste due fonti, redatte in epoche diverse e di cui non si conoscono, specie per i cataloghi, finalità e criteri di redazione; sembra possibile escludere un criterio di maggior rappresentatività dei monumenti citati né una loro collocazione esclusiva lungo i limiti delle regiones, sebbene spesso sia possibile notare una significativa coerenza topografica nella loro successione (cfr. D. Palombi in LTUR, IV, s.v. Regiones quattuordecim (topografia), p. 199). Per la XII

Regio Lanciani aveva ipotizzato una distribuzione triangolare delle strutture citate dai Cataloghi: partendo

dall‘area Radicaria, collocata con certezza nella parte più settentrionale della valle, tra le pendici occidentali del Celio e il tracciato stradale identificabile con la via Appia o la via Nova, si sarebbero succedute sul lato orientale la via Nova, Fortuna Mammosa e Isis Athenodoria; sul lato occidentale si sarebbero succeduti, da nord a sud, l‘aedes Bonae Deae subsaxanae, il clivus Delphini, le Thermae Antoninianae, le VII domus

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15

Se, come abbiamo visto, il confine orientale con la I Regio era costituito dal percorso dell‘Appia, il confine settentrionale con la XIII Regio doveva correre nella vallata che separava le due alture dell‘Aventino in corrispondenza dell‘attuale viale Aventino57

; il confine meridionale doveva rimanere aperto seguendo il progressivo dilatamento della città58.

Sulla base delle informazioni contenute nei Cataloghi Regionari è possibile distinguere toponimi connessi alla viabilità interna (via Nova e clivum Delphini, ai quali vanno aggiunti i vici menzionati nella base capitolina), riferimenti ad aree commerciali/artigianali (area radicaria, campus lanatarius), testimonianze relative a probabili luoghi di culto (Fortuna Mammosa, Iside Athenodoria, aedes Bona Dea Subsaxana), a strutture pubbliche (Thermae Antoninianae, cohors IIII vigilum) e a edifici residenziali privati (VII domus

Parthorum, domus Cilonis, domus Cornificies, privata Adriani)59; a questi si aggiunge l‘attestazione di 43

balnea e 80 o 81 laci.

Questo quadro rispecchia ovviamente una situazione tarda, risultato di una crescita urbana che si è andata stratificando nel tempo; è probabile, tuttavia, che già sul finire dell‘età repubblicana fossero sorti dei veri sobborghi extramuranei che, qui come altrove, si addensavano soprattutto in prossimità delle porte e in corrispondenza delle grandi vie di comunicazione60. La stessa riorganizzazione dello spazio urbano attuata da Augusto, basata sulla nuova partizione in XIV regiones di unità territoriali già esistenti, i vici, sembra testimoniare la presa d‘atto formale dell‘ampliamento della città oltre le proprie mura; le nuove regioni extramuranee, tra cui la I e la XII, descrivono quindi una città cresciuta ben oltre quelli che sono considerati i suoi confini ufficiali61.

Nelle principali ricostruzioni topografiche entro le quali trovano una loro collocazione i toponimi trasmessi dalle fonti per la dodicesima regione, l‘area in esame viene considerata in via del tutto marginale62.

La viabilità minore annessa ai vici che metteva in collegamento gli assi stradali principali (via Appia, via Ardeatina e, più tardi, via Nova) viene delineata a partire dalla relazione di alcuni di questi tracciati con le porte serviane. Si riconoscono così i tracciati del vicus Portae Naeviae63, che correva in direzione N-S sul piccolo Aventino in direzione dell‘omonima porta oltre la quale iniziava la via Ardeatina, e il vicus Portae

Partorum e il campus lanatarius; la base di questo ipotetico triangolo vedrebbe la successione della domus Cilonis, identificata nelle strutture trovate presso S. Balbina, la caserma della IV coorte dei vigili nei pressi di

S. Saba grazie al ritrovamento di diverse epigrafi relative al corpo dei vigili reimpiegate nella chiesa, la

domus Cornificies e i privata Adriani (LANCIANI 1891, pp. 210 – 211).

57

Cfr. M. Andreussi in LTUR, I, s.v. Aventinus mons, p. 150.

58

Cfr. D. Palombi in LTUR, IV, s.v. Regiones quattuordecim (topografia), p. 199.

59

Per i riferimenti bibliografici di ciascun toponimo si rimanda alle rispettive voci in LTUR.

60

RICHTER 1901, p. 240; JORDAN-HÜLSEN 1907, p. 181.

61

L‘ambiguità della definizione di un limite univoco tra città e non-città nel caso di Roma viene chiaramente affermata da S. Panciera il quale sottolinea, di contro, l‘importanza di valutare la ―molteplicità‖ di confini che possono essere considerati nel delineare i caratteri della realtà urbana (PANCIERA 1999). Da ricordare a tal proposito, il noto passo del Digesto sui continentia aedificia: Urbs est Roma, quae muro cingeretur, Roma

est etiam, qua continentia aedificia essent (Dig., 50,16,87).

62

Come inquadramento topografico generale alla regione vanno tenute presenti le principali sintesi di topografia romana; si richiamano, in particolare, le ricostruzioni generali in RICHTER 1901, **, pp. 340-355; JORDAN-HÜLSEN 1907, pp. 181-219 e gli approfondimenti su ciascun toponimo in PLATNER-ASHBY 1929, RICHARDSON 1992 e LTUR. Alla topografia dell‘Aventino in età antica è dedicata la monografia di A. Merlin (1906).

63

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16

Raudusculanae64, che percorreva la valle tra le due alture dell‘Aventino terminando all‘altezza della porta da cui partiva la via Ostiense. Queste due strade avevano entrambe origine dal vicus Piscinae Publicae65 che attraversava la valle tra Aventinus maior e minor sul versante verso Circo Massimo. All‘interno di questa rete viaria, sconosciuta nei restanti toponimi, dovevano trovare posto edifici e aree di varia natura; accanto alle monumentali terme Antoniniane, trova una sua corretta localizzazione l‘area radicaria66 citata nel

frammento 1 della Forma Urbis severiana di fronte al mutatorium Caesaris fuori porta Capena. Delle quattro strutture residenziali citate nei Cataloghi67, l‘unico riconoscimento sicuro è quello della domus Cilonis nell‘area di S. Balbina68

nelle cui vicinanze, tra l‘altro, si tende a collocare il santuario della Bona Dea

Subsaxana69; più vaga rimane la localizzazione della caserma della IV coorte dei vigili nell‘area di S. Saba70. Le altre strutture citate nei Cataloghi non possiedono alcun elemento utile per una effettiva localizzazione; dalle ricostruzioni proposte, tuttavia, emerge chiaramente come l‘area in esame non presenti alcun elemento utile per un aggancio con i toponimi e gli edifici noti dalle fonti.

Nella Forma Urbis di Lanciani tutto il settore adiacente alla via Appia compreso tra le Terme di Caracalla e le Mura Aureliane risulta privo di strutture antiche rilevanti tali da permettere ipotesi di identificazione. L‘unica eccezione è rappresentata dal notevole edificio a pilastri rinvenuto nel 1658 entro i confini della vigna dei Padri della Minerva; la presenza di questo edificio ha in parte incoraggiato alcune ipotesi interpretative che individuano in quest‘area due importanti complessi noti esclusivamente da fonti letterarie, le terme Severiane71 e le terme Commodiane72. I Cataloghi Regionari attestano le due strutture all‘interno della I Regio associandole nello stesso lemma dopo il balneum Torquati et Vespasiani e prima dell‘area

Apollinis et Splenis73. Già Canina, che individua il confine tra la prima e la dodicesima regione subito a sud delle terme di Caracalla, colloca le terme Severiane nell‘area alle spalle di S. Cesareo, le Commodiane più a sud tra vigna Moroni e vigna Casali74; questa supposizione si basa essenzialmente sulla vicinanza ai resti

64

Cfr. F. Coarelli in LTUR, III, s.v. “Murus Servii Tullii”; mura repubblicane: Porta Raudusculana, p. 331.

65

Cfr. G. De Spirito in LTUR, V, s.v. Vicus Piscinae Publicae, pp. 184-185. La localizzazione è supposta sulla base di una iscrizione (AE 1980, 14) che lo ricorda a proposito di alcuni restauri realizzati in un settore del Circo Massimo.

66

Cfr. E. Rodríguez Almeida in LTUR, I, s.v. Area radicaria, pp. 119-120.

67

In realtà occorre considerare che

68

L‘identificazione della domus, che per primo Lanciani collega ad alcune strutture murarie rinvenute a S. Balbina, è stata confermata a partire da un frammento della Forma Urbis severiana e dal rinvenimento di fistule acquarie menzionanti L. Fabius Cilo (CIL, XV, 7447; cfr. F. Guidobaldi in LTUR, II, s.v. Domus: L.

Fabius Cilo, pp. 95-96). Per i Privata Hadriani si è supposta una possibile identificazione con le strutture

adrianee della domus attribuita a L. Fabius Cilonis (cfr. M. Andreussi in LTUR, II, s.v. Privata Hadriani, p. 164). Per la domus Cornificiae è del tutto ipotetica la provenienza dalla XII Regio di una fistula in cui si legge Cornificiae (CIL, XV, 7567; cfr. M. Fora in LTUR, II, s.v. Domus: Annia Cornificia Faustina, p.434. Per il toponimo VII Domos Parthorum la presunta identificazione con resti oggi compresi nell‘area dello Stadio delle Terme di Caracalla è stata proposta per la prima volta da G.B. De Rossi ma è stata poi confutata da G. Lugli (cfr. TAFFETANI 2011; sull‘ipotesi di una corruzione del testo originario dei Cataloghi che avrebbe riportato due distinti toponimi, VII Domos e Domus Parthorum, e sulla possibile identificazione con l‘aedes Laterani cfr. R. Santangeli Valenzani in LTUR, II, s.v. Domus Septem Parthorum, p. 176).

69

L. Chioffi in LTUR, I, s.v. Bona Dea Subsaxana, pp. 200-201.

70

A.M. Ramieri in LTUR, I, s.v. Cohortium vigilum stationes, pp. 292-294.

71

N. Pollard in LTUR, V, s.v. Thermae Severianae, p. 64.

72

A. Capodiferro in LTUR, V, s.v. Thermae Cleandri/Commodianae, p. 49.

73

VALENTINI-ZUCCHETTI 1940-1953, I, Cur. p. 91, Not. p. 165.

74

L. Canina, Pianta topografica di Roma antica con i principali monumenti ideati nel loro primitivo stato

secondo le ultime scoperte e con i frammenti della marmorea pianta capitolina disposti nel suo d'intorno delineata dal commendatore L. Canina nell'anno MDCCCXXXII ed accresciuta delle ulteriori scoperte fatte

(17)

17

dell‘acquedotto Antoniniano che attraversava il settore più meridionale dell‘area prima di risalire verso le terme di Caracalla75. Un sostanziale scetticismo viene tuttavia espresso già da Jordan e Hülsen che ricordano come possibile elemento di confronto per i due complessi termali i resti localizzati da Lanciani sulle pendici settentrionali del Monte d‘Oro; per l‘edificio della vigna della Minerva non vengono proposte soluzioni alternative pur escludendone la funzione funeraria76. Nella pianta di Lugli e Gismondi del 194977 viene riproposta l‘interpretazione di Canina con una inversione nella collocazione dei due complessi: a nord, in corrispondenza del rilievo tra la vigna del Clementino e quella del monastero dei SS. Domenico e Sisto, le terme Commodiane, più a sud, nell‘area di vigna Casali, le terme Severiane. Questa ipotesi è stata sostenuta in seguito anche da A. Insalaco che mette in relazione l‘edificio a pilastri con i due ambienti mosaicati scoperti nel 1936 sotto la chiesa di S. Cesareo78.

La documentazione archeologica a nostra disposizione non fornisce, in realtà, alcuna prova decisiva in merito. Come è noto, la maggior parte delle ricerche archeologiche nel settore in esame si è concentrata prevalentemente tra Seicento e Settecento; di queste ricerche non resta altra documentazione se non quella prodotta dagli eruditi del tempo e riguarda soprattutto i rinvenimenti epigrafici (cfr. inventario dei materiali archeologici); nel panorama della ricerca antiquaria, l‘unica notevole eccezione è rappresentata proprio dall‘edificio della vigna della Minerva, documentato da due disegni realizzati dal Commissario alle Antichità di Roma Leonardo Agostini al momento della scoperta (cfr. cap. 3.2.2.) che costituiscono, probabilmente, la fonte di Lanciani. Il primo disegno è contenuto nel Codice Barberiniano Latino 442679; il secondo, un‘altra versione dello stesso soggetto, fa parte della raccolta di disegni di Cassiano Dal Pozzo attualmente a custodita Windsor80.

Sul retro dell‘esemplare vaticano è riportata una annotazione topografica secondo cui l‘edificio è stato rinvenuto in una vigna presso le terme Antoniane appartenente ad un P. Domenicano. Questo generico riferimento viene precisato da F. Martinelli81 che descrive l‘edificio al momento della scoperta giustificando la localizzazione proposta da Lanciani82:

sino a tutto l'anno MDCCCL scoperte, Roma, s.l. 1850, pubblicata, nel settore in esame, in FRUTAZ 1962,

tav. 98. 75 CANINA 1850, p. 65. 76 JORDAN-HÜLSEN 1907, pp. 209, 218. 77

G. Lugli, I. Gismondi, Forma Urbis Romae imperatorum aetate, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1949 pubblicata, nel settore che ci interessa, in FRUTAZ 1962, tav. 122.

78

INSALACO 1984.

79 BAV, Barb. Lat. 4426, f. 24. 80

OSBORNE –CLARIDGE 1998, pp. 108 – 109

81

MARTINELLI 1658, pp. 139-140

82

Lanciani identifica il ―padre domenicano‖ citato nel disegno con un certo padre Fanelli menzionato anche in una licenza del 1666 relativa ai successivi scavi di Agostino Mansueti (cfr. cap. *****). In realtà nel 1658 la vigna in questione era ancora di proprietà della famiglia Foschi che ne disporrà il lascito testamentario in favore del convento della Minerva solo nel 1705. Questa incongruenza si può spiegare ipotizzando che Fanelli fosse momentaneamente affittuario della vigna. E‘ da considerare che Tommaso Foschi, fratello dell‘autore del testamento Orazio Giacinto, era egli stesso un domenicano della Minerva e, pertanto, potrebbe essere stato il tramite per l‘affitto della proprietà di famiglia al p. Fanelli. Tommaso Foschi viene citato in diverse occasioni all‘interno del cosiddetto Campione (un inventario settecentesco dell‘archivio del convento di S. Maria Sopra Minerva) in riferimento a documenti datati tra il 1646 e il 1670 (Archivio di S. Maria Sopra Minerva, CM, III, 327).

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Lasciate a man sinistra S. Gregorio e andatevene alla chiesa de‘ SS. Nereo e Achilleo, dove giacciono i loro corpi, fabricata secondo alcuni nel luogo appresso il tempio d‘ Iside.

In quest‘anno 1658 cavandosi più oltre vicino e più indietro della strada alle radici delle Therme Antoniane veddi alcuni corritori che credo fossero li fondamenti d‘edifitij attinenti a dette Terme, uno de quali era ornato con pitture antichissime grottesche e in un nicchio era dipinta la Madre di Dio e alcuni santi che per l‘antichità non si riconoscevano, onde vado congetturando che fossero nascondigli de christiani nel tempo delle persecutioni: e sopra quest‘ edifitio può essere che fossero situate quelle statue che vi ho accennato nel palazzo di Farnese.

La pianta dell‘edificio scavato, affiancata da due prospetti, è riprodotta nella parte inferiore del foglio; in alto è rappresentata in dettaglio l‘immagine sacra che doveva decorare l‘interno di una nicchia e che è riferibile, evidentemente, ad una fase tarda di utilizzo dell‘edificio (cfr. cap. 2.2 e cap. 3.2.2); a lato è presente una breve legenda relativa a quattro elementi notevoli della struttura: il luogo dell‟immagine, l‘entrata nel luogo, la nicchia e la nave grande.

Osservando la pianta, l‘elemento che caratterizza la struttura sono le quattro file di pilastri che affiancano la ―nave grande‖; le quattro file sono composte da un numero di pilastri che varia da cinque a otto e che, probabilmente, dovevano proseguire su entrambi i lati. La penultima fila presenta un setto murario che sembra chiudere totalmente il passaggio tra il primo e il secondo pilastro e che risulta allineato con altri elementi murari tra il secondo, il terzo e il quarto pilastro, dove il passaggio è invece aperto; tra il sesto e il settimo si trova l‘indicazione ―entrata nel luogo‖. La navata minore è caratterizzata da una fila di pilastri compositi; tra il terzo e il quarto è presente una struttura dotata di una nicchia centrale; la parete di fondo è articolata da lesene.

La serie di pilastri serviva a sostenere arcate di altezza differente; il primo prospetto rappresenta la successione di arcate di divisione tra la navata principale e quella minore, in cui è ben distinguibile la grande nicchia decorata; la serie di arcate del livello superiore è probabilmente da riferire alla parete di fondo della navata minore, sulla quale è presente l‘immagine sacra. Il secondo prospetto rappresenta dall‘esterno il lato breve dell‘edificio in cui è visibile un‘arcata principale affiancata da altre arcate inferiori; lo stretto passaggio lungo la navata minore dovrebbe corrispondere al piccolo corridoio alle spalle della nicchia. Dai caratteri della rappresentazione si può ipotizzare che l‘edificio fosse costruito in laterizio (come sembrerebbe dalle ghiere degli archi e da alcune porzioni di pilastri); un piccolo dettaglio sulla parete di fondo della navata minore potrebbe tuttavia indicare la presenza di un tratto murario in opera reticolata, forse parte di un edificio adiacente o inglobato nella struttura in esame.

L‘assenza di qualsiasi riferimento metrico e topografico preciso rende difficile la ricostruzione delle proporzioni e dell‘orientamento dell‘edificio, nonché definire la sua natura. La cartografia moderna, in particolare le piante e le vedute di Bufalini, Cartaro, Du Pérac e De Paoli, non riporta traccia dell‘edificio nell‘area compresa tra S. Cesareo e SS. Nereo e Achilleo; a parte le grandi rovine delle terme di Caracalla, sono documentati unicamente alcuni resti murari sulla sommità del rilievo alle spalle di S. Cesareo. Falda, che rappresenta la zona in esame negli anni dello scavo, non riproduce alcuna struttura nell‘area tra il rilievo

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