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DA P ROBLEMI DELL 'I O

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Academic year: 2021

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B

ERNARD

W

ILLIAMS

DA P ROBLEMI DELL 'I O

4 L'

IO E IL FUTURO

Si può concepire che un complesso di tratti psicologici centrali migri da un corpo a un altro Supponiamo che esista un processo tale che di due persone, A e B, che vi si siano sottoposte si possa dire – dando per scontati tutti i problemi posti da tale affermazione – che si sono scambiate i corpi. Ciò significa – ma questa è un'affermazione che dà per scontate meno cose – quanto segue: c'è un corpo umano il contatto con il quale in un primo tempo era contatto con la persona A, nel senso che certe parole provenienti da quel corpo erano espressione di ricordi delle esperienze passate di A e che certi suoi movimenti costituivano, in parte, le azioni di A ed erano intesi come espressione del carattere di A, e così via; successivamente, invece, una volta completato quel processo, le parole provenienti da quel corpo sono espressione di quelli che sembrano essere i ricordi che precedentemente identificavamo come ricordi delle passate esperienze di B, e i suoi movimenti sono in parte espressione del carattere di B, e così via. Il contrario si dica dell'altro corpo.

Si prescinde dalle differenze fisiologiche o psicologiche di A e B

Sul modo di costruire questi casi immaginari e sul modo di intenderli una volta che siano stati variamente costruiti ci sono certi importanti vincoli di natura filosofica. Ricorderò due limiti principali, non per approfondirli in questa sede, ma anzi proprio per sbarazzarmene.

La nostra capacità di immaginare casi di questo tipo, specialmente per quanto concerne carattere e tratti comportamentali, ha dei limiti anche nel senso più ristretto di disponibilità a recepire gli atti successivi di quel corpo che prima apparteneva ad A come espressivi del carattere di B. Nel caso in cui i precedenti A e B fossero notevolmente diversi tra loro sia fisicamente sia psicologicamente e, poniamo, fossero anche di sesso diverso, ci riuscirebbe estremamente difficile individuare le disposizioni di B nei possibili comportamenti del corpo di A.

Ebbene, <59> dimentichiamoci di questa difficoltà e limitiamoci ad assumere, ai fini di questo nostro discorso, che A e B siano simili quanto basta (comunque vada intesa questa espressione) per non sollevare la difficoltà appena accennata; dopo l'esperimento, le persone che hanno dimestichezza con A e con B sono semplicemente estremamente colpite dal fatto che gli atti associati con quello che prima era il corpo di A ricordano da vicino il carattere di B, e viceversa. Così è solo in un senso molto ristretto che sembra esserci possibile l'impresa di immaginare uno scambio di corpi. Ma a questo punto c'è un ulteriore limite da superare se vogliamo che tale impresa, lungi dall'essere possibile solo nel senso estremamente ristretto appena menzionato, ci ponga a contatto con un esito che, dopo seria riflessione, siamo disposti a descrivere come scambio di corpi tra A e B ossia con un esito in cui, posti di fronte a quello che precedentemente era il corpo di A, noi siamo disposti a dire di essere davanti a B.

Si assume che il parcheggio dei ricordi non intacchi il loro essere effetto di un corpo

Una condizione necessaria di tale esito sembra essere che quanto dice quel corpo venga inteso come espressione autentica della memoria del passato di B. Ma quella di memoria è una nozione causale; e, per come di fatto la usiamo, sembra rappresentare una condizione necessaria dell'attuale conoscenza da parte di x delle precedenti esperienze di x – conoscenza che costituisce la memoria di quelle esperienze – che la catena causale che collega esperienze e conoscenze non corra al di fuori del corpo di x. Pertanto, se le parole provenienti da un dato corpo vanno intese come espressione dei ricordi delle esperienze di B, deve sussistere un qualche adeguato legame causale tra lo stato proprio di quel corpo e l'originario accadere di quelle esperienze a B. Un modo radicale per garantire il ricorrere di tale condizione nel caso immaginario dello scambio dei corpi consiste nel supporre, con Shoemaker,1 una trasposizione dei cervelli di A e B. Ma potremmo anche non aver bisogno di porre una condizione così radicale. Supponiamo, per esempio, che sia possibile estrarre le informazioni presenti nel cervello di un uomo, immagazzinarle in un dispositivo apposito mentre si ripara o si rinnova il cervello, per poi reimmettervele dentro; ebbene, sembrerebbe eccessivo insistere che l'uomo che in tal modo si costituisce non possa assolutamente avere i ricordi che aveva prima dell'operazione. Circa la conoscenza del nostro passato personale, noi distinguiamo tra il ricordare puro e <60> semplice, il richiamare alla mente perché ammoniti a farIo da altri e l'imparare di nuovo; queste distinzioni corrispondono (grosso modo) a tre tipi di conoscenza del

1 S. Shoemaker, Self-Knowledge and Self-Identity, Cornell University Press, Ithaca (N. Y.) 1963, pp. 23 sgg.

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passato, quella non dovuta a un nuovo input, quella dovuta a un input parzialmente nuovo e quella dovuta a un input totalmente nuovo; e sembra chiaro che il caso del «parcheggio delle informazioni» appena accennato non va considerato un nuovo input nel senso che sarebbe necessario e sufficiente per farne un «imparare di nuovo». Perciò possiamo immaginare il caso di cui ci stiamo occupando in termini di informazioni estratte dai cervelli di A e B, parcheggiate nei dispositivi appositi e reimmesse nell'altro cervello. Il tipo di modello a cui mi riferirò mentalmente nell'elaborare il mio argomento è (credo non erroneamente) proprio questo.

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ELLA PRIMASTORIASIVUOLEBENEFICIAREILCORPICUISIGIUNGEDOPOLOSCAMBIO Immaginiamo quanto segue. Il processo di cui ci stiamo occupando esiste; due persone possono, poniamo, entrare in una macchina e uscirne cambiate nel modo desiderato. Se A e B sono le persone che vi entrano, chiameremo le persone che ne escono dopo il trattamento persona-col-corpo-di-A e persona-col-corpo-di-B: la persona-col-corpo-di-A è quella (chiunque sia) che ho davanti quando, dopo l'esperimento, ho davanti il corpo che precedentemente era di A – ossia quella che naturalmente verrebbe presa per A da qualcuno che l'avesse soltanto vista, che avesse dimestichezza con l'aspetto di A prima dell'esperimento e che non sapesse dell'esperimento appena compiuto. Una descrizione dell'esperimento che non dia per dimostrato ciò che va dimostrato lascerà impregiudicato il problema di quale persona sia tra A e B (ammesso che sia una di esse) la persona-col-corpo-di-B; la descrizione dell'esperimento come «scambio di corpo tra due persone» naturalmente implica che la persona-col-corpo-di-A sia in realtà B.

Prendiamo due persone, A e B, che si accingono a sottoporsi al processo. (Possiamo supporre, senza entrare in molti particolari, che vi si sottopongono volontariamente. Affrontare nel dettaglio, e a questo punto, perché mai lo vogliano, che cosa temano, e così via, significherebbe anticipare dei problemi che vanno affrontati in seguito). Annunciamo loro che una delle due persone che avranno subito l'esperimento o la persona-col-corpo-di-A o la persona-col-corpo-di-B – dopo l'esperimento riceverà 100.000 dollari, mentre l'altra verrà torturata. Chiediamo poi sia ad A che a B di scegliere quale trattamento debba essere riservato a ciascuna delle due persone che <61> usciranno dalla macchina dopo aver subito l'esperimento, e di scegliere (ammesso che sia possibile farlo) in modo egoistico. Supponiamo che A scelga di riservare il trattamento piacevole alla persona-col-corpo-di-B e quello spiacevole alla persona-col-corpo-di-A, e che B scelga il contrario (ciò che potrebbe indicare che, secondo loro, l'espressione «scambio dei corpi» costituisca una fedele descrizione dell'esito). L'esperimento non può andare conformemente a entrambi gli insiemi di preferenze, quello espresso da A e quello espresso da B. C'è dunque un senso chiaro in cui A e B non possono ottenere entrambi quello che desiderano; ossia: se lo sperimentatore, prima dell'esperimento, annuncia ad A e a B che intende dar corso (per esempio) all'alternativa di riservare il trattamento spiacevole alla persona-col-corpo-di-B e quello piacevole alla persona- col-corpo-di-A, A può dire giustamente: «Non è questo l'esito che ho scelto io», e B può dire giustamente: «Questo è l'esito che ho scelto io». Così, evidentemente, sia A che B, prima dell'esperimento, possono venire a sapere o che l'esito sarà quello scelto da loro o che non lo sarà, e in questo senso possono ottenere o non ottenere quello che desiderano. Ebbene, sarà anche vero che quando, dopo l'esperimento, lo sperimentatore procederà ad agire in conformità a una delle preferenze espresse e non all'altra, allora, tra A e B, uno avrà ottenuto quello che desiderava e l'altro no?

Sembrano esserci buone ragioni per rispondere affermativamente. Supponiamo, infatti, che lo sperimentatore, dopo essersi fatto dire da A e B quali sono le loro preferenze, non dica loro nulla di ciò che farà. Dà il via all'esperimento e alla fine, per esempio, riserva il trattamento spiacevole alla persona-col-corpo-di-B e quello piacevole alla persona-col-corpo-di-A. A quel punto la persona-col-corpo-di-B non solo si lamenterà dello spiacevole trattamento in quanto tale, ma obietterà anche (dal momento che ha i ricordi di A) che non è questo l'esito che aveva scelto, bensì che la persona-col-corpo-di-B fosse trattata bene; e dal momento che A aveva espresso questa scelta in un'ottica egoistica, potrebbe aggiungere di averIa espressa precisamente perché non voleva che le cose spiacevoli accadessero a lui. La persona-col- corpo-di-A, al contrario, esprimerà soddisfazione sia per la bella somma di 100.000 dollari che le viene data sia per il fatto che lo sperimentatore ha scelto di agire come lui, B, aveva scelto così saggiamente. Questi fatti rendono ampiamente plausibile l'affermazione che lo sperimentatore alla fine ha fatto sì che B ottenesse quello che desiderava e che A non lo ottenesse. È dunque ampiamente <62> giustificato dire che la persona-col-corpo-di-B in realtà è A e che la persona-col-corpo-di-A in realtà è B; e perciò anche dire che l'esperimento di fatto consiste in uno scambio di corpi. Per le stesse ragioni sembrerebbe che in effetti A e B abbiano scelto saggiamente: per A è stata una sfortuna che la sua scelta corretta non sia andata a buon fine, così come per B è stata una fortuna che la sua scelta corretta sia invece andata a buon

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fine. Questo sembra mostrare che, per me, preoccuparmi di ciò che mi accadrà in futuro non significa necessariamente preoccuparmi di ciò che accadrà a questo corpo (quello che ho in questo momento); e a sua volta questo fatto potrebbe venire inteso in modo da vedervi, in qualche senso, una conferma della tesi, avanzata con una frase oscura da Cartesio, che io e il mio corpo siamo «realmente distinti» (anche se, ovviamente, non c'è nulla in queste considerazioni che possa avallare l'idea che io possa esistere senza un corpo).

Una scelta diversa sarebbe giudicata dissennata

Se consideriamo, poi, i casi in cui A e B, nei confronti dell'esperimento, fanno altre scelte, le tesi appena avanzate sembrano destinate a trovare nuove conferme. Supponiamo che A scelga di riservare il denaro alla persona-col-corpo-di-A e il dolore alla persona-col-corpo-di-B, e che B scelga il contrario. Di nuovo non può esserci nessun esito che soddisfi le preferenze espresse da entrambe le persone: non è possibile che entrambe ottengano quello che desiderano. Prima dell'esperimento, lo sperimentatore annuncia che la persona-col-corpo-di-A avrà il denaro e la persona-col-corpo-di-B il dolore. Così A a questo punto ottiene quello che vuole (l'esito annunciato collima con le preferenze espresse da lui). Dopo l'esperimento lo sperimentatore si comporta come aveva annunciato. Ebbene, sia la persona-col-corpo-di-A che la persona-col- corpo-di-B dovranno riconoscere che quanto sta accadendo è in armonia con le preferenze originariamente espresse da A. La persona-col-corpo-di-B, naturalmente, (avendo i ricordi di A) esprimerà questo riconoscimento dicendo che questa è la distribuzione scelta da lui; ricorderà inoltre, tra l'altro, che lo sperimentatore aveva annunciato questo esito, che egli l'aveva approvato come coincidente con la sua scelta, e così via. Tuttavia egli (la persona-col-corpo-di- B) certamente non gradirà quello che le sta accadendo e preferirebbe di gran lunga che le toccasse quello che viene dato alla persona-col-corpo-di-A, ossia 100.000 dollari. Dal canto suo, la persona-col-corpo-di-A ricorderà di avere scelto un esito diverso da questo, ma considererà una fortuna il fatto che lo sperirnentarore non abbia agito conformemente a ciò che egli ricorda di <63> avere scelto. Si direbbe, dunque, che la persona-col-corpo-di-A abbia ottenuto ciò che desiderava, ma non ciò che aveva scelto, e che la persona-col-corpo-di-B abbia ottenuto ciò che aveva scelto, ma non ciò che desiderava. Così, ancora una volta, sembra proprio che quelle persone siano, rispettivamente, B e A; e che, in questo caso, le scelte iniziali sia di A che di B siano state dissennate.

Supponiamo, infine, che, al momento di operare la propria scelta iniziale, A si orienti come nel primo caso e B come nel secondo; sia A che B, cioè, scelgono che il denaro tocchi alla persona-con-il-corpo-di-B e il dolore alla persona-con-il-corpo-di-A. In questo caso lo sperimentatore sembra trovarsi nella felice condizione di poter dare a entrambe le persone quello che desiderano – o almeno, come Dio, quello che hanno scelto. Qui la persona-col- corpo-di-B apprezza ciò che riceve, ricorda di averlo scelto e si congratula con se stessa della saggezza di quella che considera la propria scelta; al contrario, la persona-col-corpo-di-A non apprezza ciò che riceve, ricorda di averlo scelto ed è costretta a riconoscere la dissennatezza di quella che considera la propria scelta. Così, ancora una volta, sembriamo approdare a esiti che suffragano le conclusioni tratte dal primo caso.

Che si tratti di scambio di corpi è mostrato anche dall’interesse per il corpo che si otterrà

Consideriamo ora non il problema della scelta da parte di A e B di certi esiti destinati a verificarsi dopo l'esperimento, ma quello della disponibilità di A e di B a sottoporsi all'esperimento stesso. Qualora fossero inizialmente orientati ad accettare la descrizione dell'esperimento come «scambio di corpi», allora ad interessare loro sarebbero, tra l'altro, le caratteristiche del corpo dell'altra persona. Sotto questo profilo, anche ciò che accadrebbe dopo l'esperimento sembra suggerire la validità della descrizione dell'esperimento stesso in termini di

«scambio di corpi». Se A e B accettano di sottoporsi all'esperimento, in quanto sia l'uno che l'altro apprezzano l'aspetto, la prestanza e le altre caratteristiche del corpo dell'altro, dopo l'esperimento la persona-col-corpo-di-B potrebbe benissimo dire una frase come: «Quando ho accettato di sottopormi all'esperimento, ho pensato che il volto di B fosse senz'altro attraente, ma ora, guardandomi allo specchio, non ne sono più così sicuro»; e la persona-col-corpo-di-A potrebbe dire: «Quando ho accettato di fare l'esperimento, non sapevo che A avesse una gamba di legno; ora, a esperimento finito, mi trovo questa spiacevole sorpresa e vorrei ripetere l'esperimento per tornare come prima». È anche possibile che essa aggiunga che quella gamba le riesce molto scomoda e che la persona-col-corpo-di-B le risponda, per esempio, che anche lei dapprima aveva avuto la stessa sensazione, ma <64> che col tempo ci si era abituata: ma forse occorrerebbe conoscere meglio – se non altro meglio di me – la fisiologia dell'assuefazione agli arti artificiali per sapere se la persona-col-corpo-di-A troverebbe così insopportabile la gamba di legno: in fin dei conti, quel corpo ha già avuto la gamba artificiale per un certo periodo. Ma, a parte questo dettaglio, anche la fisionomia generale di questo esito,

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considerata da questo punto di vista, sembra confermare le nostre precedenti conclusioni sull'esperimento.

La prospettiva di sanare un disagio psicologico non basta per parlare di uno scambio di menti Supponiamo ora che, quando viene loro proposto l'esperimento (in termini che non diano per dimostrato ciò che si deve dimostrare), A e B pensino piuttosto ai loro vantaggi e svantaggi psicologici. Il pensiero di A corre innanzitutto a certi tipi di ansie a cui è molto incline, mentre B riflette su certi tremendi ricordi di esperienze passate che ancora lo tormentano. Ciascuno di essi spera che l'esperimento sortisca il risultato di permettere loro di affrancarsi da queste cose.

Certi argomenti filosofici potrebbero perfino averli indotti a pensare che la continuità corporea è condizione almeno necessaria dell'identità personale: A, per esempio, ragiona che, se l'esperimento riuscirà, allora la persona che avrà un rapporto di continuità corporea con lui non proverà più quelle ansie; è ben vero che quelle ansie – forse, in un certo senso, le sue – le proverà l'altra persona, ma almeno quella persona non sarà lui. Si dà corso all'esperimento e lo sperimentatore (a cui precedentemente A e B hanno rivelato privatamente le proprie difficoltà e le proprie speranze) chiede alla persona-col-corpo-di-A se si sia liberata delle sue ansie. Ma questa presumibilmente gli risponderà di non riuscire a capire di cosa stia parlando: non è mai stato una persona ansiosa, lui; il suo problema è che ha ricordi estremamente sgradevoli; sa, anzi, di essersi sottoposto all'esperimento nell'intento di scrollarseli di dosso; senonché deve riconoscere con rammarico di averli ancora. La persona-col-corpo-di-B reagirà nello stesso modo alle domande concernenti i suoi ricordi dolorosi e lamenterà di essere ancora vittima delle sue ansie di prima. Questi risultati sembrano confermare ulteriormente la correttezza della descrizione dell'esperimento in termini di «scambio di corpi». Complessivamente, questi esiti fanno pensare che la sola cosa razionale da fare, di fronte a questo esperimento, sia quella di identificare se stessi con i propri ricordi e non con il proprio corpo. Gli argomenti filosofici tesi a mostrare che la continuità corporea è condizione almeno necessaria dell'identità personale sembrerebbero semplicemente sbagliati.

N

ELLASECONDASTORIASIPROSPETTAILPROPRIO CORPOTORTURATOELA PROPRIA MENTE SCONVOLTA

<65> Considenamo ora qualcosa di apparentemente diverso. Qualcuno, che mi ha in suo potere, mi dice che domani verrò torturato. Sono terrorizzato e penso a quello che mi attende domani con grande apprensione. Quella persona aggiunge che, quando verrà il momento, io non mi ricorderò che mi sia stato detto quanto sta per accadermi perché, appena prima della tortura, subirò qualche altra cosa che mi farà dimenticare ciò che mi era stato comunicato.

Questo non mi rallegrerà di certo, dal momento che so perfettamente di poter dimenticare le cose e mi rendo conto che può benissimo avvenire che la tortura mi riesca inaspettata perché ho dimenticato, o perché mi hanno fatto dimenticare, la predizione: si tratterà ugualmente di una tortura a cui, finché ricorderò la previsione, penserò con sgomento. A questo punto la persona in questione aggiunge che il mio dimenticare l'annuncio che mi è stato fatto è solo un aspetto di un cambiamento ben più notevole: quando arriverà il momento della tortura, io non ricorderò più nessuna delle cose che ora sono in grado di ricordare. Ma nemmeno questa notizia mi rallegrerà, perché mi verrà subito fatto di pensare, per esempio, che sono in procinto di essere coinvolto in un incidente in seguito al quale mi sveglierò in uno stato di amnesia completa e di dolore atroce; tutto ciò potrebbe senz'altro accadermi e non mi farebbe affatto piacere né la cosa in sé né il sapere che mi accadrà. Quella persona aggiunge, poi, che nel momento in cui verrò torturato, non solo non ricorderò nessuna delle cose che ora sono in grado di ricordare, ma avrò un insieme di impressioni del mio passato del tutto diverse dai miei ricordi attuali.

Ebbene, penso che neppure questa notizia varrebbe a tranquillizzarmi. Penserei, infatti, che ciò possa o debba concretamente voler dire che io sono in procinto di diventare completamente pazzo e, magari, di convincermi di essere Giorgio IV o qualche altro personaggio storico; e il fatto che mi si dica che sta per accadermi una cosa simile, lungi dall'alleviare il terrore che provo nel sentirmi dire da persona attendibile che verrò torturato, lo accrescerebbe. Né vedo perché mai dovrei sentirmi in uno stato d'animo migliore quando il mio interlocutore aggiungesse, infine, che le impressioni del mio passato di cui verrei fornito il giorno prima della tortura quadreranno esattamente con il passato di un'altra persona ora vivente, e che io le acquisterò (per esempio) per copiatura nel mio cervello delle informazioni che attualmente si trovano nel suo. Di certo, la reazione corretta sarebbe pur sempre la paura: e non perché io non sappia quello che sta per accadermi, bensì perché lo conosco per lo meno in un aspetto di vitale <66> importanza, ossia che, come tutto fa pensare, quella tortura toccherà a me e sarà, anzi, preceduta da certi sconvolgimenti mentali.

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ALEDUE STORIESONODIVERSEDESCRIZIONI DIUN MEDESIMOPROCESSO

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Se tutto ciò è vero, a questo punto l'intera questione sembra del tutto misteriosa. Ciò che abbiamo appena finito di dire, infatti, naturalmente non costituisce altro che un aspetto diversamente presentato della transazione precedentemente considerata; un aspetto che ci presenta quella transazione come una prospettiva assolutamente odiosa, mentre le considerazioni precedenti ce la rappresentavano come un'opzione che, tra le altre proposte in quella sede, sarebbe razionale scegliere e che, forse, andrebbe anzi scelta con piacere.

Naturalmente le due presentazioni sono diverse tra loro, e lo sono per due aspetti di notevole importanza; ebbene, se esaminiamo queste due differenze, possiamo realmente convincerci che la seconda presentazione è errata o fuorviante, e quindi che si deve dar credito alla prima versione visto che ci era parsa così convincente? Certamente no.

La seconda stora si focalizza su un sé corporeo sofferente anche senza coscienza

La prima differenza è che nella seconda versione la tortura è presentata sempre come qualcosa che sta per toccare a me: il mio interlocutore afferma invariabilmente che la sua predizione riguarda me, sicché egli non risulta molto neutrale. Ma doveva forse essere neutrale? Ossia, per esprimermi in un altro modo: è solo per un effetto di ordine emotivo e retorico che l'uso, da parte sua, della seconda persona mi spaventa, mentre una riflessione più accurata mi avrebbe portato a rendermi conto che non avevo nulla da temere? Certamente questo non è affatto ovvio. Il problema è solo che, a quanto pare, io sono in grado di seguire con successo tutti i passaggi delle sue predizioni. E se rifletto sulla questione se le sue parole mi diano delle ragioni per temere di venire torturato, potrei pensare che, dietro le mie paure, c'è all'incirca questo principio: che l'eventualità che io subisca in futuro un dolore fisico non è esclusa da alcuno stato psicologico in cui potrei trovarmi allora, con la sola ovvia eccezione di quegli stati che escludono per loro natura l'esperienza del dolore, per esempio (ammesso che si tratti di uno stato psicologico) dell'incoscienza. In particolare, i ricordi che avrò del mio passato non influiranno minimamente sul fatto che io provi dolore o no. Questo principio sembra abbastanza solido.

Cambiamenti psicologici potrebbero compensare dei pronosticati mali futuri

C'è un fatto importante di cui si deve tener conto; questo: ciò che io, per come stanno le cose, considererei un male non sempre va razionalmente temuto come tale, se mi si predice, insieme, che accadrà a me in futuro e che io, nel contempo, subirò significativi <67>

cambiamenti psicologici. Il fatto che io, per come stanno le cose, consideri quell'evento un male può dipendere dalle mie credenze e dal mio carattere, ossia da fattori che potrebbero anch'essi mutare in virtù dei cambiamenti psicologici in questione. Se, per esempio, io soffrissi tremendamente di acrofobia e mi si dicesse che, nel prossimo futuro, mi troverò sulla cima vertiginosamente alta e ripida di un monte, non potrei non essere spaventato da simile prospettiva; ma se mi si dicesse anche che, nel contempo, io subirò dei cambiamenti psicologici che mi libereranno completamente dall'acrofobia (e io ci credessi, come credo all'altra predizione), allora non avrei nessuna ragione di temere l'evento che mi è stato preannunciato o, per lo meno, non avrei la stessa ragione di prima. Ancora: supponiamo che il pensiero di un prossimo incontro con una persona mi procuri allarme o eccitazione a causa dei ricordi che ho dei nostri passati rapporti. In parte questi miei ricordi interferiscono con le mie emozioni, e non solo con quelle che provo nel presente ma anche con quelle che prevedo di provare in futuro: è proprio a un incontro che risente a sua volta della presenza di quei ricordi che io sto pensando.

Ebbene, se sono convinto che, quando arriverà quel momento, non avrò più quei ricordi, non avrò nemmeno le stesse ragioni di prima per pensare a quell'incontro con l'una o con l'altra emozione. (Lo spiritismo – sia detto per inciso – sembra comportare la credenza che, quando sarò morto, io continuerò ad avere esattamente le stesse ragioni di prima per reagire con un dato atteggiamento all'incontro con una data persona: con la sola variante che posso essere certo che quell'incontro sarà piacevole).

Ma il dolore fisico non pare compensabile con alcun cambiamento psicologico

Tuttavia il dolore fisico – che io ho preso ad esempio per ragioni di semplicità (e non perché ne sia ossessionato) – dipende dal carattere o dalle credenze di una persona in misura assolutamente trascurabile. Non c'è cambiamento del mio carattere o delle mie credenze che sembri modificare in misura sostanziale la sgradevolezza di torture che interessino la mia persona, e di conseguenza non c'è cambiamento, per grande che sia, del mio carattere e delle mie credenze che possa sradicare dal mio animo il timore delle torture che mi vengono predette insieme a quei cambiamenti.

Non tutti i cambiamenti psicologici allevianti paiono essere desiderabili

Con ciò non intendo affatto dire che il solo motivo, o il solo motivo razionale, della paura che provo dinanzi a tutte queste predizioni consista nel modo in cui vivrò psicologicamente la situazione nell'esito finale. Quello che intendo sottolineare è solo che ciò rappresenta una

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componente di quella mia paura; ma non si tratta dell'unica <68> componente. Una persona, infatti, certamente temerà e in qualche modo respingerà quegli stessi cambiamenti o, se non altro, sarebbe portata a farlo in molti casi. Qui risiede uno dei vecchi paradossi dell'utilitarismo edonistico; supponiamo che si garantisca a una persona che, sottoponendosi a certe operazioni e lasciandosi collegare a una macchina, ne avrebbe una sequenza ininterrotta di esperienze deliziose e sempre nuove per il resto della sua esistenza; ebbene, quella persona potrebbe benissimo rifiutarsi di avvalersi di questa opportunità e potrebbe anzi reagire con orrore a chi volesse imporgli la cosa; e il fatto che paura e orrore, in questo secondo caso, sembrino reazioni appropriate può contribuire a screditare l'interpretazione (ammesso che qualcuno abbia il coraggio di avanzarla) secondo cui la ragione per respingere volontariamente quell'opportunità sarebbe rappresentata dalla consapevolezza di doveri verso altri che, nel suo stato di piacere, resterebbero disattesi. La prospettiva di una follia contenta di sé o di una vita puramente vegetativa ma soddisfatta riesce a molti (ma forse non a tutti) terrificante in sensi che ovviamente non hanno nulla a che vedere con il modo in cui, in quel momento, quelle persone vivrebbero psicologicamente la propria situazione: in quel momento, infatti, la loro situazione non sarebbe per nulla terrificante. Nel caso di cui stiamo discorrendo, tutte queste considerazioni sembrano semplicemente fare più luce sul fatto che le predizioni conferiscono alla persona in questione un duplice motivo di spavento: la prospettiva della tortura e quella del cambiamento del proprio carattere e dei propri ricordi del passato che precederà la tortura stessa. E certamente – vale la pena di ripeterlo – questa seconda prospettiva non sembra darci alcuna ragione per respingere o per non temere la prima.

Un’altra peculiarità della seconda storia è che non si fa menzione dell'altra persona

Ho detto che ci sono due differenze degne di nota tra la seconda e la prima presentazione della nostra situazione. La prima differenza, sulla quale ho appena speso qualche parola, è che la previsione della tortura viene fatta a me, sia pure a un «me» psicologicamente molto cambiato. Ma dobbiamo ancora trovare una ragione che ci autorizzi a dire che il nostro interlocutore non avrebbe dovuro farlo o che in realtà, qualora lo avesse fatto, io avrei dovuto essere incapace di seguirlo, mentre, a quanto pare, sono perfettamente in grado di farlo. La seconda differenza è che, in questa presentazione, il nostro interlocutore non fa menzione dell'altra persona se non nel senso di attribuirle incidentalmente il ruolo di matrice dei ricordi passati che finiscono per diventare i miei. Non la ricorda affatto come la persona <69> che finirà per avere i miei ricordi del passato (nonché, sia detto per inciso, i 100.000 dollari:

considerazione, questa, che nello stato d'animo appropriato a questa versione non potrà che suggerirmi sentimenti di invidia).

Ma perché dovrebbe interessarmi l'altra persona ?

Ma perché dovrebbe menzionare questa persona e ciò che sta per accaderle?

Egoisticamente mi interessa sapere quello che accadrà a me, e ora lo so: verrò torturato e, prima ancora, subirò degli interventi chirurgici al cervello, nonché dei cambiamenti che interesseranno il mio carattere e le impressioni del passato. Sapere che un'altra persona o molte altre o, magari, nessuna, subirà il mio stesso trattamento potrà bensì non lasciarmi indifferente e suggerirmi, per esempio, sentimenti di simpatia o di orrore per la potenza del tiranno, ma certamente non potrà influire sulla mia aspettativa delle torture imminenti. Senonché – dirà qualcuno – ciò significa escludere precisamente quella componente che, come ha messo in luce la prima presentazione del caso, fa tutta la differenza: significa escludere la persona che, come ha messo in luce la prima presentazione, sarà te. Significa escludere non già una componente che esercita un influsso decisivo sulle tue paure, ma la persona stessa per la quale temi. E questo, dirà il mio obiettore, fa tutta la differenza.

Eppure è concepibile una progressione di passi attravero sui divengo l'altra persona

Senonché, può farla davvero? Si consideri la seguente serie di casi. In ciascuno di essi dobbiamo supporre che A, come prima, verrà sottoposto a tortura dopo aver subito i trattamenti che mi accingo a descrivere; dobbiamo supporre altresì che la persona A venga informata in anticipo che, prima di essere torturata, le accadranno esattamente queste cose:

(i) A verrà sottoposto a un'operazione che produce l'amnesia totale;

(ii) A, oltre che l'amnesia, subirà un'altra interferenza che produrrà certi cambiamenti nel suo carattere;

(iii) oltre che produrre dei cambiamenti nel carattere di A, si inducono nel contempo in lui certe credenze mnestiche illusorie: tali credenze sono assolutamente fittizie e non quadrano con la vita di nessuna persona reale;

(iv) lo stesso che (iii), con la differenza che tratti di carattere e impressioni mnestiche sono entrambi tali da risultare appropriati a un'altra persona reale B;

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(v) lo stesso che (iv), con la differenza che quel risultato viene prodotto prelevando le informazioni dal cervello di B e inserendole in A con un metodo che lascia B nello stesso stato di prima;

<70> (vi) ad A accadrà lo stesso che in (v), ma B non resta come prima perché la stessa operazione viene fatta nella direzione opposta.

Ritengo che nessuno contesterà che A abbia delle ragioni, e delle ragioni molto evidenti, per paventare il dolore della tortura quando la situazione che gli si prospetta è quella delineata in (i);

né sembrano sussistere ragioni per non estendere tale atteggiamento alla situazione (ii), e la situazione (iii) certamente non è tale da introdurre differenze di principio: come si è suggerito sopra, sembra trattarsi di un insieme di circostanze che abbiamo più di una ragione per temere.

La situazione (iv) se non altro introduce la persona B, che era al centro dell'obiezione di cui ci stiamo occupando; non sembra però introdurla in un modo che determini una differenza materiale: il fatto che io possa aspettarmi del dolore da una trasformazione che porta con sé nuove impressioni mnestiche sembrerebbe qualcosa di estrinseco alla situazione stessa, una circostanza dovuta a questo: che quelle impressioni mnestiche hanno un modello. In (iv) non appare soddisfatta nemmeno la condizione causale da me menzionata all'inizio perché dei

«ricordi» siano davvero dei ricordi; si noterà, tuttavia, che, se l'operazione venisse condotta a termine compiutamente, io sarei in grado di strappare alla persona-col-corpo-di-A quel tipo di osservazioni circa le sue precedenti aspettative dall'esperimento – osservazioni appropriate all'originaria persona B – che tanto ci hanno impressionaro nella prima versione della storia.

Analoga assicurazione circa il verificarsi di questa circostanza abbiamo nella situazione (v), dove, però, plausibilmente sembra verificarsi anche la condizione causale.

Al riguardo, tuttavia, vanno notate due cose. La prima: se concentriamo la nostra attenzione su A e sulla persona-col-corpo-di-A, si direbbe che non abbiamo aggiunto nulla che, dal punto di vista delle sue paure, faccia una differenza materiale; come nel passaggio da (iii) a (iv) non faceva alcuna differenza rilevante il fatto che le nuove impressioni mnestiche che precedono il dolore avessero, in effetti, un modello, così nel passaggio da (iv) a (v) tutto quello che abbiamo aggiunto è che quelle impressioni hanno un modello che ne è anche la causa: e resta ancora difficile capire perché mai questo possa, per quella persona intenta a scrutare nel proprio futuro, fare la differenza tra aspettarsi e non aspettarsi un dolore. Chiariamo questo punto prendendo in esame il caso del cambiamento di carattere: se A è in grado di aspettarsi il dolore, è in grado anche di aspettarsi il dolore preceduto da un cambiamento delle sue disposizioni; e il fatto che

<71> tale cambiamento sia o meno modellato sulle disposizioni di un'altra persona o ne sia anzi indirettamente causato non può determinare alcuna differenza nelle sue aspettative. Se le sue paure possono, per così dire, arrivare a lui per il tramite di quel cambiamento, il modo in cui di fatto tale cambiamento viene prodotto sembra un particolare del tutto insignificante. Il secondo punto sulla situazione (v) è che, ove la questione cruciale circa le paure di A per quanto accade alla persona-col-corpo-di-A fosse se la persona-col-corpo-di-A sia o no la persona B,2 allora quella condizione non viene soddisfatta nemmeno nella situazione (v): qui, infatti, in aggiunta alla persona-col-corpodi-A, abbiamo anche indiscutibilmente B, e certamente non si tratta della medesima persona.

Nella situazione (vi), al contrario, sembra proprio trattarsi della stessa persona. Ma se in (v), come era avvenuto in (iv) e in (iii) le originarie paure di A potevano arrivare a lui per il tramite dei cambiamenti previsti, certamente possono arrivargli per tale tramite anche in (vi). Dal punto di vista delle aspettative e delle paure di A, anzi, tra (vi) e (v) c'è meno differenza che tra (v) e (iv) o tra (iv) e (iii). In quei passaggi c'erano se non altro – anche se non siamo riusciti a coglierne la reale rilevanza – delle differenze circa il contenuto o la causa di ciò che gli è accaduto; in questo caso, al contrario, in ciò che gli accade non c'è assolutamente alcuna differenza e la sola differenza che interviene riguarda ciò che accade a qualcun altro. Ammesso che provi paura quando gli si predice (v), perché mai dovrebbe smettere di provarla quando gli si predice (vi)?

Personalmente riesco a vedere un solo modo pertinente per attribuire un'entità notevole alla transizione da (v) a (vi); e tale modo comporta una grossa difficoltà. Esso consiste nel negare che, come ho affermato, la transizione da (v) a (vi) comporti semplicemente l'aggiunta di un cambiamento che accada a qualcun altro; tale transizione comporterebbe, anzi, si dirà, la reintroduzione di A stesso come persona-col-corpo-di-B: essendo riapparso in questa forma, è su questa persona, anziché sulla sfortunata persona-col-corpo-di-A, che verteranno le aspettative di A. E ciò significa, di fatto, riproporre il punto di vista messo a fuoco nella nostra prima presentazione dell'esperimento. Senonché in tal modo si approderebbe inevitabilmente alla conseguenza che A non dovrebbe avere paure di sorta per <72> la persona-col-corpo-di-A che appare nella situazione (v), in quanto, sulla scorta di questo argomento, in (vi) A non è la

2 Naturalmente non dev'essere questa la questione cruciale; essa però sembra un modo corretto di affrontare l'obiezione in esame.

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persona-col-corpo-di-A, bensì la persona-col-corpo-di-B. Ma la persona-col-corpo-di-A in (v) coincide esattamente per carattere, storia, nonché per tutto il resto, con la persona-col-corpo-di- A in (vi); sicché, se quest'ultima non è A, non lo è neppure la prima. (È indubbiamente questo punto che, all'interno di questa prospettiva, ci incoraggia a parlare della differenza rappresentata da (vi) in termini di reintroduzione di A). Ma in (v) nessun altro può vantare pretese più forti a essere A. Così in (v), a quanto sembra, A semplicemente non esiste. Questa circostanza certamente spiegherebbe perché A non debba temere per lo stato di cose presente in (v), anche se potrebbe benissimo paventare il tragitto che vi conduce. Senonché in precedenza sembrava piuttosto che egli potesse avere delle paure per lo stato di cose presente in (v). Ammettiamo, tuttavia, che ciò rappresentasse un'illusione e che, in effetti, in (v) A non esista. Ebbene, in questo caso esisterà in (iv), in (iii), in (ii) o in (i)? Per (i) e per (ii) sembra molto difficile negarlo; ebbene, dobbiamo forse tracciare la linea di demarcazione tra (iii) e (iv)?

A questo punto qualcuno dirà: non devi insistere perché venga tracciata quella linea; i casi- limite sono casi-limite: non si devono spingere i nostri concetti oltre i loro limiti. Senonché questo consiglio, che pure in molti casi esprime buon senso, nel nostro caso sembra comportare una difficoltà straordinaria. Esso può bensì essere intellettualmente di conforto a osservatori della situazione di A; ma che cosa potrà farsene A? Sentirmi dire che, quanto al problema se a soffrire, in una situazione futura, sia io o no, rappresenta una situazione limite, e che è concettualmente indecidibile se sia io o no, è qualcosa di cui, a quanto pare, non posso fare nulla; e non posso farne nulla in particolare perché quelle affermazioni non sembrano prestarsi a nessuna rappresentazione comprensibile all'interno delle mie aspettative e delle emozioni che le accompagnano.

Se mi aspetto che in futuro si determinerà una certa situazione S, in relazione a questa mia aspettativa c'è ovviamente tutta una gamma di emozioni e di preoccupazioni concernenti S che posso sperimentare fin d'ora. A meno che io non sia eccezionalmente egoista, il mio interesse per quanto mi aspetto che accada non è condizionato dal fatto di essere personalmente coinvolto in S – dove per «essere coinvolto» intendo o il mio comparire in S come una persona che fa o che subisce qualcosa, oppure anche l'eventualità che S abbia, immediatamente o in un momento successivo, delle conseguenze che <73> ricadranno su di me. Ci sono tuttavia delle emozioni che io avrò solo nel caso in cui sia coinvolto in S, e la paura ne è un esempio evidente.

Ora, la descrizione di S a seguito della quale essa figura nelle mie emozioni sarà necessariamente, in molti sensi, indeterminata; e uno dei sensi in cui può esserlo è che manchi di precisare se S coinvolga anche me oppure no. Potrei aver ragione di aspettarmi, per esempio, che uno di noi cinque venga ferito, ma nessuna ragione per pensare che debba essere ferito io anziché uno degli altri. Le mie emozioni attuali risentiranno di questa indeterminatezza, sicché, per esempio, stante la portata egoistica tipica di un sentimento come la paura, presumibilmente io sarò un po' più allegro che se sapessi che sarò ferito io e un po' meno allegro che se sapessi di non correre affatto questo rischio. La paura si mescolerà all'apprensione e ne sarà nel contempo limitata. Queste emozioni gravitano attorno al pensiero di come finirà per risolversi l'indeterminatezza iniziale; momenti di autentica paura legata al pensiero che tocchi proprio a me si alternano a momenti in cui spero che non tocchi a me. Tutte le mie emozioni sono appese all'eventualità che accada ciò che mi aspetto; e in questo caso ciò che mi aspetto può accadere solo in uno o nell'altro dei modi possibili.

Aspettative indeterminate possono dar luogo a paura anche in altri modi. Potrei aspettarmi, per esempio, magari solo perché sono nevrotico, che stia per accadermi qualcosa di sgradevole, qualcosa che, quando accadrà, prenderà bensì una forma definita, ma che, nel momento in cui vi penso, non riesco a far rientrare in nessuna gamma limitata di possibilità concrete. Ancora diversa è la paura di qualcosa di radicalmente indeterminato, la paura (se così si può dire) di un orrore senza nome. E chi l'avesse potrebbe arrivare a dire di avere, in un certo senso, un'aspettativa perfettamente determinata: se accadrà davvero ciò che si aspetta che accada, dopo il verificarsi dell'evento non avrà da dire su di esso nulla di più determinato di quello che poteva dire quando semplicemente se lo aspettava. Ovviamente questi sono entrambi casi di paura in quanto, in mezzo a tanta indeterminatezza, una cosa resta certa, la credenza che quelle cose accadranno a me.

Nell'aspettativa di S è centrale il pensiero dell'effetto che mi farà nel momento in cui si verifica – un pensiero che può essere indeterminato, vertere su diverse alternative, e così via.

Quando S coinvolge me, c'è la possibilità che assuma una forma speciale: il pensiero di ciò che rappresenterà per me la proiezione fantastica di me stesso come <74> elemento di S.3 Non è che, quando S coinvolge anche me, io debba pensare S in questo modo; tuttavia posso farlo.

(Si potrebbe forse suggerire che questa possibilità si riflette anche nel linguaggio, ossia nella

3 Per una trattazione più dettagliata dei problemi concernenti questo punto, rinvio al terzo saggio del presente volume, Immaginazione e io, pp. 35-57.

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distinzione tra «aspettarsi di sentirsi offesi» e «aspettarsi di venire offesi»; ma su questo punto – che, comunque, non riveste alcuna importanza – ho molti dubbi).

Supponiamo ora che ci sia una situazione S riguardo alla quale, per ragioni di ordine concettuale, sia indecidibile se essa coinvolga me oppure no, come avviene nell'immaginaria situazione-limite di cui stiamo discorrendo. È importante che l'aspettativa di S non sia indeteterminata in nessuno dei sensi che sono appena stati considerati. Non assomiglia all'orrore senza nome, in quanto di certo in quel caso c'era che la cosa sarebbe accaduta al soggetto e ciò faceva si che il suo stato fosse inequivocabilmente di paura. Non assomiglia neppure all'aspettativa di quel tale che prevedeva sarebbe stata ferita una delle cinque persone del suo gruppo; la sua paura era bensì equivoca, ma alla radice di essa, e dell'aspettativa, c'era che, quando S avesse avuto luogo, avrebbe avuto luogo certamente in un modo o nell'altro. In questo caso, la paura – la paura della tortura, non dell'esperimento iniziale – non sembra né appropriata né inappropriata, e nemmeno propriamenre equivoca. Di conseguenza il soggetto avverte un'ineliminabile difficoltà nel determinare come debba giudicare S. Se si lascerà andare a una rappresentazione del proprio futuro mediante l'immaginazione (se si proverà a immaginare che effetto gli farà), implicitamente darà una risposta a una domanda che per necessità non ha risposta; se penserà di non potersi affidare a tale rappresentazione, darà anche allora una risposta a quella domanda, sia pure una risposta di segno contrario. Forse non potrà far altro che trattenersi dal porsi il problema; ma si potrà dire che stia semplicemente trattenendosi dal farlo, se quella della possibilità o della impossibilità di affrontarlo è una questione indecidibile?

Si potrebbe osservare che tutte queste considerazioni mettono in luce solo quanto segue:

che, comunque, in questo caso la paura non ha un fondamento appropriato, ma che potrebbe esserci qualche altra, più ambivalente, forma di sollecitudine che sarebbe appropriata a questa particolare aspettativa, l'aspettativa della situazione concettualmente indecidibile. Forse ci sono sentimenti analoghi che ricorrono <75> effettivamente nelle situazioni reali. Così, di quando in quando, certi oggetti materiali subiscono trasformazioni che ci lasciano perplessi e che rendono concettualmente insolubile il problema della loro identità. Supponiamo che io sia sentimentalmente attaccato a un oggetto e che tale oggetto abbia appena subito una trasformazione di questo tipo; ebbene, potrebbe darsi che io, pur senza essergli del tutto indifferente, non provi più nei suoi confronti i sentimenti di prima, ma abbia invece qualche altro sentimento piuttosto ambivalente. Così, si potrebbe dire, nei confronti della persona destinata a soffrire un dolore nel prossimo futuro – persona con cui i miei rapporti di identità sono concettualmente oscuri – io potrei non avere né i sentimenti che avrei se essa fosse certamente me né quelli che avrei se certamente non lo fosse, e avere invece un'altra ambivalente sollecitudine del tipo che si è detto.

Senonché questa analogia non ci offre un contributo significativo ai fini dell'eliminazione dell'aspetto più inquietante del caso in esame – un aspetto già emerso in precedenza quando abbiamo parlato della difficoltà del soggetto di pensare la situazione sia in termini di proiezione nel proprio futuro sia in termini diversi. Infatti, considerare la persona destinata a soffrire un dolore nel prossimo futuro né più né meno che come l'oggetto del sentimento, sia pure trasformato per un atto di magia, e considerare la mia ambivalente angoscia per il suo futuro dolore alla stessa stregua dell'ambivalente angoscia per un danno futuro a un oggetto come quello di cui si è parlato, significa ovviamente considerare me stesso e quella persona come entità chiaramente distinte tra loro e quindi spostare l'oscurità concettuale dal punto che le era proprio. Io devo avvicinarmi di più a quella persona. Ma posso avvicinarmi di più a lei senza aspettarmi che sarà lei a soffrire? Se possa farlo, l'analogia non ce lo ha mostrato. Certamente non possiamo avvicinarci di più a lei aspettandoci un dolore, per così dire, ambivalente; per un dolore simile non c'è posto. Qualsiasi sforzo di rispecchiare nelle mie aspettative una situazione in cui sia indecidibile se io ci sono o no sembra incontrare ostacoli insuperabili.

Queste difficoltà sembrano anzi assumere l'aspetto di una vera e propria assurdità se, dall'indecidibilità concettuale, passiamo a qualcosa che le assomiglia molto, ossia alla decisione basata su una convenzione. È quanto emerge ove consideriamo un'altra descrizione, chiaramente convenzionalista, della serie di casi da cui è scaturita questa discussione. Tale descrizione respingerebbe un punto su cui <76> ho fatto leva in un argomento precedente, ossia che, se neghiamo che la persona-col-corpo-di-A in (vi) è A (in quanto A è la persona-col- corpo-di-B), allora dobbiamo anche negare che sia A la persona-col-corpo-di-A in (v), in quanto esse sono esattamente uguali. «No, si potrebbe obiettare, affermare questo vorrebbe dire precisamente assumere che noi diciamo la stessa cosa in situazioni di tipo diverso. In presenza di un candidato che abbia ottimi titoli per venir chiamato A – ossia della persona-col-corpo-di-B – noi senza dubbio lo chiameremo A; ma ciò non significa che non dobbiamo chiamare A la persona-col-corpo-di-A in quell'altra situazione in cui non disponiamo di candidati migliori.

Situazioni diverse richiedono descrizioni diverse.» Questo modo di ragionare è quello seguito

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sul terreno giuridico quando si tratta di stabilire la proprietà di un bene che abbia subito trasformazioni sconcertanti; qui si tratta solo di prendere una decisione e in ciascuna situazione quel bene dovrà andare alla persona a cui in diritto e in fatto è più ragionevole che vada. Ma come linea argomentativa con cui affrontare le paure e le aspettative di una persona circa il suo futuro non sembra avere alcun senso. Se in (v) le paure di A possono estendersi a ciò che accadrà alla persona-col-corpo-di-A, non vedo come tali paure possano razionalmente venire sganciate in (v) dalla sorte della persona esattamente uguale per il fatto che ad A si dice che in quest'ultima situazione qualcuno avrebbe una ragione che non aveva nella situazione precedente per decidere di chiamare A un'altra persona.

Così, per riassumere il nostro discorso, sembra che dell'imrnaginario esperimento illustrato sopra e della scelta che esso comporta si diano due presentazioni, ciascuna delle quali dà voce a convinzioni diverse e approda a conclusioni opposte. Inoltre, l'idea che la situazione che si crea dopo l'esperimento sia concettualmente indecidibile nell'aspetto che stiamo affrontando, lungi dall'attenuare le nostre perplessità, sembra accrescerle; e l'idea (a cui si fa appello così spesso su questo terreno) che possa venir decisa per convenzione è ancora peggio. Di conseguenza, non ho affatto le idee chiare su quale opzione sarebbe saggio adottare qualora ci trovassimo di fronte le due persone dell'esperimento prima che quest'ultimo abbia luogo. E questa circostanza mi lascia alquanto perplesso.

A parte tali perplessità, c'è però un aspetto degli argomenti che vi approdano che merita di venir messo a fuoco in quanto va contro un'idea che spesso, secondo me, viene solo vagamente intuita. Spesso si riconosce che nelle questioni concernenti le persone ci sono aspetti <77> «di prima persona» e aspetti «di terza persona» e che i rapporti tra gli uni e gli altri presentano delle difficoltà. Si riconosce, inoltre, che le questioni di identità personale chiamano in causa considerazioni «mentalistiche» (per usare un termine alquanto vago) e considerazioni concernenti la continuità corporea (ciò che non significa che si diano criteri mentalistici e corporei di identità personale). Ebbene, si potrebbe pensare che queste due distinzioni siano parallele l'una all'altra, ossia, grosso modo, che un approccio in prima persona concentri l'attenzione su considerazioni mentalistiche, mentre un approccio in terza persona enfatizzerebbe la considerazione della continuità corporea. La presente discussione rappresenta un'illustrazione della tesi opposta. Il primo argomento, che è approdato alla conclusione «mentalistica» che A e B si scambierebbero il corpo e che ogni persona si identifica con il destino dei suoi ricordi e del suo carattere, era un argomento condotto interamente in terza persona. Il secondo argomento, che ha avanzato l'idea dell'identificazione con la continuità corporea, si è occupato della questione di che cosa A possa aspettarsi in prima persona. Questo esito (che peraltro non approfondirò ulteriormente in questa sede) mi sembra non privo di significato.

Concluderò suggerendo un modo in verità piuttosto malsicuro in cui ci si potrebbe avvicinare a una soluzione del problema servendosi soltanto dei limitati materiali già disponibili.

Gli argomenti apparentemente decisivi della prima presentazione – argomenti che sembravano avallare l'idea che A dovesse identificarsi con la persona-col-corpo-di-B – hanno presentato la situazione in modo estremamente lineare, soddisfacendo, per quanto era possibile, la descrizione in termini di «scambio dei corpi». Ma tale linearità è fondamentalmente artificiosa: è il prodotto della volontà dello sperimentatore di creare una situazione che si presti in maniera naturale a venir descritta in quel modo. Con il tipo di metodi adottati, lo sperimentatore avrebbe potuto facilmente fermarsi prima o andare oltre. Avrebbe potuto arrestarsi alla situazione (v), lasciando B nello stesso stato di prima, o andare avanti e produrre due persone aventi entrambe carattere e ricordi simili a quelli di A o anche una o due persone con caratteristiche simili a quelle di B. Se avesse fatto una di queste cose, ci sarebbe riuscito più difficile stabilire che cosa si doveva dire; semplicemente ha scelto di semplificare le cose in modo da renderci il più possibile facile trovare qualcosa da dire. Ora, se disponessimo del modello di uno spettro umano presente nei corpi, <78> di uno spettro che mediante certe procedure possa effettivamente in qualche modo venir trasferito da un corpo all'altro, potremmo bensì considerare quell'esperimento lineare come l'esperimento effettivo: il solo metodo realmente possibile per cui gli spettri umani cambiano posto senza essere distrutti o dispersi.

Ma un modello simile non possiamo prenderlo sul serio. Lo sperimentatore non ha affatto indotto uno scambio di corpi nel senso di quel modello; ha invece prodotto, tra tutta una gamma di situazioni ugualmente possibili, quella che noi dovremmo essere più disposti a indicare come uno scambio di corpi. Di contro, il principio che le paure di una persona possano estendersi al dolore futuro, quali che siano i cambiamenti psicologici che lo precedono, sembra positivamente semplice. Forse, in realtà, non lo è; ma che cosa in esso non vada, ce lo si deve mostrare. E finché non ce lo si mostrerà, nel caso in cui fossimo la persona A e dovessimo prendere una decisione egoistica, forse dovremmo decidere di dirottare il dolore sulla persona-col-corpo-di-B.

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Sarebbe una decisione rischiosa; ma il fatto che qui ci sia spazio per la nozione di rischio rappresenta già di per sé una delle caratteristiche principali del problema.

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(Si veda il problema 1.12 e i complementi alla fine di questo capitolo).

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