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Riflessioni critiche sulla Circolare del Ministero della Giustizia n.10 dell’11 maggio 2012 - Judicium

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Angelo Frabasile

Riflessioni critiche sulla Circolare del Ministero della Giustizia n.10 dell’11 maggio 2012 limitatamente all’interpretazione dell’art.9 co. 1 bis DPR 30.5.2002 n.115 in tema di limite reddituale di esenzione dal contributo unificato nel contenzioso lavoristico, previdenziale ed

assistenziale.

Il Ministero della Giustizia, Dip. per gli Affari di Giustizia, con Circolare diramata l’11 maggio 2012 n.10, ha fornito alcuni chiarimenti in merito ai dubbi interpretativi inerenti al contributo unificato di cui all’art.9 comma 1 bis del D.P.R. 30.5.2002 n.115 (alias T.U. sulle spese di giustizia) così come modificato dall’art.37 comma 6 del D.L.98 del 6.7.2011, poi convertito con modifiche in Legge n.111 del 15.7.2011.

Le presenti brevi osservazioni muovono una ragionata critica all’interpretazione della suddetta Circolare ministeriale con riguardo all’individuazione del limite reddituale di esenzione dal contributo unificato relativamente alle controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, di lavoro privato e di pubblico impiego.

Nello specifico l’art.37 co. 6 del D.L. 98/2011 ha aggiunto all’art.9 del T.U. sulle spese di giustizia (D.P.R. 30.5.2002 n.115), il comma 1 bis che così recita: “Nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, nonché per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, superiore a tre volte l'importo previsto dall'articolo 76, sono soggette, rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di cui all'articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 3, salvo che per i processi dinanzi alla Corte di cassazione in cui il contributo è dovuto nella misura di cui all'articolo 13, comma 1.”

L’applicazione della nuova disposizione da parte degli uffici giudiziari non sembrava in abbrivio aver sollevato dubbi circa la rilevanza, ai fini dell’esenzione o meno del contributo unificato, del reddito del solo ricorrente principale o in via riconvenzionale, onde si richiedeva al medesimo la dichiarazione in carta semplice autografa (e corredata dal documento di identità ove non autenticata nella firma) recante l’attestazione della titolarità del suo reddito imponibile, risultante dall’ultima denunzia reddituale, inferiore al limite di €31.884,48, ossia all’importo triplicato di €10.628,16 di cui al comma 1° dell’art.76 D.P.R. 115/2002.

Orbene, la Circolare ministeriale a pag.3 ha affermato che “il richiamo all’art.76 del Testo Unico sulle Spese di Giustizia deve intendersi nella sua interezza”, vale a dire, oltre al comma 1°, anche i commi 2° e 3° del medesimo articolo 76 D.P.R. n.115/2002 che, in tema di condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dettano le regole per la determinazione del reddito, includendo quello del coniuge o di familiari conviventi (“somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante”) e tenendo “conto anche dei redditi che per legge sono esenti da Irpef o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva“.

Sarebbe in ogni caso dubbio nel contesto delle cause di lavoro, previdenziali ed assistenziali, il riferimento anche al comma 4° dell’art.76 stesso DPR, in quanto afferente alle diverse cause aventi ad oggetto i diritti della personalità ed a “processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi”. Restano invece esclusi da qualsivoglia riferimento i commi 4 bis riguardante i limiti posti per quei soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati associativi di tipo mafioso ovvero finalizzati al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, alla produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, ed il comma 4 ter riguardante le persone offese dai reati di violenza sessuale anche di gruppo e di atti sessuali con minorenne.

Chiarito, dunque, il contenuto dei commi di cui consta l’art.76 DPR n.115/2002, l’assunto interpretativo del Ministero circa il richiamo integrale di essa norma ad opera dell’art.9 comma 1 bis, è censurabile per le seguenti considerazioni.

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Giova rammentare che, a differenza di altre disposizioni normative, le norme tributarie, tra cui va annoverato l’art.9 D.P.R. n.115/2002 in tema di contributo unificato trattandosi di entrata patrimoniale dello Stato (cfr. Cassazione civ., SS.UU., 05.05.2011, n.9840 - Cass. civ., SS. UU., 17.04.2012, n.5994), si connotano opportunamente per un elevato grado di specificità necessario –per ovvie ragioni di opportunità- a ridurre il più possibile ogni margine interpretativo all’interprete. Ove tuttavia la formulazione della disposizione tributaria generi dubbi, in tutto o in parte, circa la sua applicazione, l’interprete deve fare ricorso al criterio generale di interpretazione della legge sancito dall’art.12 delle Preleggi (d.p.c.c.), la cui applicabilità all’ordinamento tributario è ormai ritenuta pacifica in dottrina.

Detto articolo prevede al comma 1 che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.” In ciò consiste il principio altrimenti noto “in claris non fit interpretatio”.

Rileggendo con questa lente interpretativa generale l’art.9 comma 1 bis in questione, risulta chiaro ed indubbio che il Legislatore ha inteso introdurre, laddove prima non sussisteva, un limite reddituale all’esenzione dal versamento del contributo unificato nelle controversie ivi specificate. A tal fine ha individuato il predetto limite con l’espresso richiamo al solo importo previsto dal comma 1 dell’art.76 del D.P.R. n.115/2002, aumentato di tre volte.

E non v’è dubbio, all’evidenza della chiara formulazione dell’art.9 comma 1 bis in esame, che la prevista esenzione va rapportata ai soli redditi di cui siano titolari “le parti” (testualmente “le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito”), per esse intendendosi per l’appunto i soggetti che promuovo la domanda previdenziale, assistenziale e di lavoro pubblico o privato.

Se il Legislatore avesse, invece, voluto correlare il limite di esenzione del ricorrente non già e soltanto al suo reddito imponibile Irpef, ma anche a quello di ogni altro componente della sua famiglia, lo avrebbe esplicitato con il semplice rinvio al comma 2 dell’art.76 D.P.R. n.115/2002, oppure con il generico riferimento tout court all’art.76, anziché al solo importo di €10.628,16 di cui al suo 1° comma.

Conferma ne viene, a titolo di esempio, dall’espresso richiamo contenuto nell’art.152 disp. att. cpc, in tema di esenzione dal pagamento di spese e competenze nei giudizi previdenziali, “all’importo del reddito stabilito ai sensi degli artt. 76, commi da 1 a 3, e 77” del T.U. n.115/2002. Come si vede nell’art.152 disp. att. cpc il Legislatore ha dichiaratamente ed inequivocabilmente stabilito che, ai fini dell’esenzione dalla condanna alle spese processuali nei giudizi previdenziali ed assistenziali, si deve tener conto, per somma, non solo del reddito personale della parte interessata, ma anche – stante l’espresso rinvio anche al comma 2° dell’art.76 D.P.R. n.115/2002- del reddito di ogni componente il suo nucleo familiare.

Simile rinvio al comma 2 dell’art.76 D.P.R. n.115/2002 è del tutto assente, invece, nell’art.9 comma 1 bis introdotto dal D.L. 98/2011, convertito con modifiche nella L. n.111/11.

Lasciando in disparte l’evidenziata disamina letterale della disposizione, merita attenzione anche una disamina di tipo teleologico e sistematico delle norme menzionate.

A ben vedere l’art.76 D.P.R. n.115/2002, così come l’art.152 disp. att. cpc, non hanno ad oggetto un tributo (qual è il contributo unificato), bensì un beneficio di carattere processuale, in un caso consistente nell’ammissione al gratuito patrocinio, nell’altro caso nell’esonero (e non tecnicamente nell’esenzione) dalla condanna alle spese di lite. Non può negarsi una distinzione logico-semantica tra beneficio ed esenzione, atteso che quest’ultima consiste semplicemente in una dispensa tipicamente associata ad un obbligo tributario, mentre il beneficio evoca un vantaggio strutturalmente complesso. Infatti l’ammissione al gratuito patrocinio, in dipendenza delle condizioni di legge, consiste nel beneficiare dell’attività difensiva, a spese dello Stato, atta a

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garantire all’istante il diritto ad agire o resistere in giudizio con il patrocinio, tra l’altro, dell’avvocato eventualmente prescelto.

Non dissimilmente anche l’esenzione dal pagamento delle spese di lite previsto dal citato art.152 disp. att. cpc non consiste in una dispensa a soluzione immediata, ma, in coerenza con il profilo strutturale più complesso del beneficio, implica l’onere per la parte interessata di formulare apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell’atto introduttivo e l’impegno “a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente”.

È chiaro che in riferimento a dette fattispecie normative concernenti la fruibilità non già di un esenzione tributaria, ma di un beneficio processuale, si giustifica, per ragioni di meritevolezza da un lato e di contrasto di abusi dall’altro, una maggiore restrizione delle condizioni reddituali non limitate alla posizione dell’istante, ma estese anche al suo nucleo familiare.

Diversamente l’art.9 comma 1 bis ha ad oggetto il contributo unificato, avente natura tributaria, per il cui versamento è previsto il solo limite di esenzione rappresentato da un reddito inferiore al triplo di quello del richiamato art.76 comma 1 D.P.R. n.115/2002. Nel far ciò il Legislatore ha dimostrato una certa consapevolezza e specificità, in quanto, avuto riguardo alla natura dei giudizi assistenziali, previdenziali e di lavoro promossi per lo più da soggetti socialmente ed economicamente deboli (tanto che prima del D.L. 98/2011 le stesse cause erano del tutto esenti dal contributo unificato), non avrebbe avuto senso e ragion d’essere stabilire il limite di esenzione del contributo nel triplo del reddito fissato al comma 1° dell’art.76 del D.P.R. n.115/2002, per poi tendere al suo agevole superamento sommando al reddito del ricorrente anche quello dei componenti del suo nucleo familiare.

Inoltre, posto che l’art.9 comma 1 bis si atteggia a norma tributaria di favore avente natura derogatoria ed eccezionale, non sarebbe suscettibile ed ammissibile di un’interpretazione riduttiva di segno opposto a quel regime di favore, altrimenti inficiato.

Si palesa, pertanto, la forzatura interpretativa della Circolare ministeriale, priva di fondamento, specie nella parte in cui, a giustificazione del rinvio per intero all’art.76 D.P.R. n.115/2002, si afferma che esso “indica i parametri di riferimento per la composizione del reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito personale”, formulazione tra l’altro imprecisa.

Appare, quindi, corroborata anche sul piano logico-sistematico la chiarezza testuale del comma 1 bis dell’art.9 del D.P.R. n.115/2002, che esclude ogni necessità interpretativa e non può ammettere che una circolare, quale atto interno alla P.A., possa disporre un’interpretazione pseudo-autentica ed estensiva contra legem, rammentandosi tra l’altro il principio affermato proprio dalla giurisprudenza tributaria di legittimità secondo cui “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi” (Cass. civ., sez. V 09.03.2012, n.3757; Cass. civ., sez.

V 14.02.2002, n. 2133).

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