• Non ci sono risultati.

LA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO TRA PRINCIPI ETICI E DI DIRITTO*

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO TRA PRINCIPI ETICI E DI DIRITTO*"

Copied!
11
0
0

Testo completo

(1)

LA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO TRA PRINCIPI ETICI E DI DIRITTO

*

Avv. Domenico Parrotta**

È ormai innegabile che il consumatore delle prestazioni sanitarie latu sensu ponga sempre maggiore attenzione alla diligenza e alla perizia con cui il professionista medico svolge l’attività richiesta, a prescindere dalla struttura (pubblica o privata) e dalle modalità concrete con cui la stessa viene effettuata.

A tale maggiore attenzione ha fatto seguito l’aumento dei processi finalizzati, in sede civile ovvero penale, all’accertamento della responsabilità del medico.

Al riguardo è stato correttamente rilevato che “rispetto ad altre figure professionali affini, la posizione del medico presenta intuitivamente risvolti di particolare delicatezza, dal momento che la sua attività incide in modo diretto ed immediato, non già su entità astratte o su interessi a contenuto puramente patrimoniale, bensì sul corpo umano, ponendo a repentaglio beni che occupano un posto di primo piano nella scala gerarchica dei valori tutelati dall’ordinamento. Ciò ha fatto sì che il tema della responsabilità del medico sia stato non solo particolarmente avvertito a livello sociale e affidato alla riflessione dottrinaria, ma anche ripetutamente affrontato dalla giurisprudenza” (A.

Palmieri, Relazione medico-paziente tra consenso globale e responsabilità del professionista, Foro it., 1997, I, 772).

A tale maggiore “sensibilità sociale” è sicuramente corrisposta una maggiore

“sensibilità giudiziaria”, come facilmente si evince da una qualsiasi indagine effettuata sui repertori di giurisprudenza.

Come precisato dal Primo Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone “in diritto, la figura del professionista assomiglia sempre più a quella dell’imprenditore. È mutata la relazione medico-paziente e quello che una volta era un rapporto d’elite oggi è diventato un rapporto di massa, con tutti gli effetti del caso,

*Questo breve intervento è dedicato a Carlo Scialoja

**Avvocato, Roma

(2)

2

compresa l’esplosione vulcanica del contenzioso che ha conseguenze non sempre governabili” (Sole 24Ore, 22 settembre 2004, pag. 30).

Il fenomeno, quindi, oltre ad avere una sua precisa connotazione privatistica sta assumendo importanza sempre più pubblicistica e non solo in Italia.

Basti pensare, al riguardo, alle disposizioni francesi istitutive delle Camere di conciliazione stragiudiziali ovvero alle intenzioni manifestate dal Presidente Bush in sede di campagna elettorale nel senso di varare leggi che contrastino il fenomeno delle frivolous lawsuits in materia, imponendo un tetto massimo di 250mila dollari di risarcimento, ovvero - per rimanere in Italia - alla lievitazione dei premi assicurativi, quale matematica conseguenza della maggiore responsabilità medica accertata giudizialmente.

Chi parla ha sempre ritenuto la professione medica una delle più nobili; professione che, in quanto tale, dovrebbe, per un moto etico individuale, rimanere indenne ai danni e ai pericoli derivanti dalla corsa alla massificazione dei rapporti: il medico, a prescindere da qualsiasi giuramento e da qualsivoglia interpretazione giurisprudenziale delle norme da cui si possa far derivare una sua responsabilità giuridica, è l’uomo cui per fiducia e/o preparazione professionale viene affidata la cura del bene primario salute.

Ma se tale auspicio è ovviamente rivolto alla buona volontà del singolo, certo può essere invece utile verificare la evoluzione dei parametri sulla base dei quali accertare la responsabilità del medico.

Ovviamente, che si tratti di accertamento in sede penale ovvero in sede civile, con quanto ne deriva in ordine alle differenti regole processuali, certo è che di tale responsabilità deve essere data la prova nel corso del giudizio.

E così, in sede penale, dovrà essere data la dimostrazione che l’attività del professionista integri una fattispecie rilevante di reato, con i suoi elementi costitutivi.

Mentre, nel processo civile, facendo diretta applicazione del principio di cui all’art. 2697 cod.civ., il consumatore della prestazione medica che pretenderà di essere risarcito dei danni cagionati dall’attività commissiva o omissiva del medico, dovrà provare i fatti che costituiscono il fondamento della propria pretesa; dal canto suo, il professionista che eccepisca l’inefficacia di tali fatti o che il diritto azionato dal paziente si è modificato o estinto dovrà dimostrare il fondamento di tale eccezione.

Volendo, poi, considerare che tra il consumatore della prestazione sanitaria ed il medico si è perfezionato un contratto, il ricordato principio dovrà essere coordinato con

(3)

quello specifico in materia di inadempimento delle obbligazioni, ad avviso del quale (facendo diretta applicazione al caso che ci riguarda dell’art. 1218 cod. civ.) il medico che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, nonché con quelli che disciplinano i rapporti tra l’azione di adempimento, di risoluzione e di risarcimento del danno (art. 1453 cod. civ.).

La vasta produzione letteraria in argomento1 e la notorietà degli argomenti presupposti e rilevanti (quali, ad esempio, la distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato oppure la tesi della responsabilità da contatto), consentono di entrare subito in medias res ed in particolare di esaminare i risvolti pratici dei principi ricordati con particolare riferimento alla prova dell’inadempimento e a quella del nesso causale.

La prova dell’inadempimento.

Da un punto di vista strettamente processuale, infatti, si è dubitato, nell’ambito civilistico, sulle modalità concrete in base alle quali l’onere della prova debba essere distribuito.

La giurisprudenza e la dottrina hanno dibattuto per oltre un ventennio su quali fatti devono essere provati dal creditore e quali dal debitore nello specifico caso in cui

1 Letteratura alla quale non può non rimandarsi; in generale sull’onere della prova, v.: TARUFFO M., Onere della prova, in Digesto civ., Utet, Torino, 1995, vol. XIII; PROTO PISANI A., Appunti sulle prove civili, Foro it., 1994, V, 80; BIANCA C.M., Diritto civile. La responsabilità, Milano, 1994; VERDE G., Prova (dir. Proc. Civ.) voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano; per spunti specifici in tema di onere probatorio e nesso di causalità nella materia di cui ci si occupa, v.: BILANCETTI M., La responsabilità penale e civile del medico, V ed., Cedam, Padova, 2003; CIATTI A., Responsabilità medica e decisione sul fatto incerto, Cedam, Padova, 2002;

FINESCHI V. e ZANA M., La responsabilità professionale medica: l’evoluzione giurisprudenziale in ambito civile tra errore sanitario e tutela del paziente, in Riv. it. medicina legale, 2002, 49; INTRONA F., Un paradosso: con il progresso della medicina aumentano i processi contro i medici, in Riv. it. medicina legale, 2001, 879; DI LUCA N. M. e FRATI P., Il nesso causale nella responsabilità professionale medica, Zacchia, 2002, 171; PECCENINI F., La responsabilità civile del medico (con particolare riguardo alla chirurgia estetica ed alla figura del primario), in Sanità pubbl., 2002, 231; PIGLIONICA V., Della responsabilità professionale del medico: i profili penali, in Ragiusan, 2000, fasc. 195, 196; BARNI M. e MONCIOTTI F., La colpa medica nella giurisprudenza di fine secolo, in Resp. civ., 2001, 254; STANZIONE P., La responsabilità medica: profili sistematici, in Ragiusan, 2000, fasc. 193, 206; FIORI A., BOTTONE E. e D’ALESSANDRO E., Quarant’anni di giurisprudenza della cassazione nella responsabilità medica, Giuffrè, Milano, 2000; ALPA G., La responsabilità medica, in Riv. it. medicina legale, 1999, 15; CARBONE V., La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto, in Danno e resp., 1999, 294; DI CIOMMO F., «Uno, nessuno, centomila»: troppe ipotesi ricostruttive (e poche certezze) intorno alla responsabilità del medico ospedaliero, in Danno e resp., 1999, 1247; ROSSETTI M., La responsabilità del medico: lo stato della giurisprudenza, in Quaderni del Centro Studi Piero Calamandrei, Taranto, 1999.

(4)

4

quest’ultimo si sia reso inadempiente in toto, ovvero parzialmente, delle obbligazioni nascenti dal contratto.

La questione ha ovvi risvolti nella materia de qua: quali specifici fatti devono essere allegati e dimostrati dal consumatore di prestazioni sanitarie che, a fronte dell’inadempimento o, più frequentemente, dell’inesatto adempimento del professionista, richieda l’adempimento esatto ovvero il solo risarcimento del danno?

Gli opposti schieramenti sostenevano, da un lato, che il regime probatorio fosse diverso a seconda che il creditore della prestazione avesse richiesto l’adempimento ovvero la risoluzione e, dall’altro, che detto regime fosse da ricondurre ad unità ogniqualvolta si azionassero i rimedi alternativi offerti dall’art. 1453 cod. civ.

In particolare in base ad un primo orientamento, ai fini della ripartizione di detto onere, si doveva avere riguardo all’oggetto specifico della domanda, cosicché:

a) mentre nel caso in cui si fosse richiesta l’esecuzione del contratto e l’adempimento delle relative obbligazioni, sarebbe stato sufficiente provare il titolo che costituiva la fonte del diritto vantato e, cioè, l’esistenza del contratto, b) nell’ipotesi in cui si fosse domandata la risoluzione del contratto per

inadempimento dell’obbligazione, l’attore avrebbe dovuto dimostrare, oltre alla esistenza del contratto, anche il fatto che legittima la risoluzione, ossia l’inadempimento e le circostanze inerenti, spettando al convenuto l’onere probatorio di essere immune da colpa, solo ove l’attore avesse provato il predetto fatto costitutivo dell’inadempimento2.

Il contrapposto indirizzo, invece, nel ribadire che il meccanismo di ripartizione dell’onere della prova in materia di responsabilità contrattuale è da considerasi identico, sia che si agisca per l’adempimento sia che si domandi il risarcimento del danno da inadempimento (anche in via autonoma), evidenziava che il creditore era tenuto a provare solamente i fatti costitutivi della pretesa, cioè l’esistenza della fonte negoziale o legale del

2 Per le ultime espressioni di tale orientamento, maggioritario sino alla pronuncia delle sezioni unite di cui infra, v.: Cass. 9 gennaio 1997 n. 124, in Foro it., Rep. 1997, voce Prova civile in genere, n. 5; Cass. 24 settembre 1996 n. 8435, id., Rep. 1996, voce Lavoro, n. 801; Cass. 19 luglio 1995 n. 7863, id., Rep. 1995, voce Prova civile in genere, n. 12; Cass. 4 maggio 1994 n. 4285, id., Rep. 1994, voce Contratto in genere, n.

484.

(5)

credito e, se previsto, il termine di scadenza, ma non l’inadempimento: doveva essere onere del debitore eccepire e dimostrare il fatto estintivo dell’adempimento3.

Intuitivi i risvolti pratici dei due orientamenti anche in ordine ai giudizi diretti a far valere presunte responsabilità del medico, laddove indubbiamente meno gravoso risulta il dover dimostrare l’esistenza legale o negoziale del credito, allegando un possibile inadempimento totale o parziale delle obbligazioni da quello derivanti in capo al medico.

Il contrasto è stato composto dalla Sezioni unite della cassazione4, le quali hanno condiviso le principali argomentazioni dell’orientamento minoritario da individuare:

1) nell’ossequio al principio della presunzione di persistenza del diritto, operante in tutti i casi in cui presupposto dell’azione sia l’inadempimento ed in virtù del quale, una volta provata dal creditore l’esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine, grava sul debitore l’onere di dimostrare l’esistenza del fatto estintivo, costituito dall’adempimento;

2) nel rispetto di una interpretazione ragionevole delle norme codicistiche più volte ricordate: la domanda di adempimento, quella di risoluzione e quella, anche autonoma, di risarcimento del danno si collegano tutte al medesimo presupposto, costituito dall’inadempimento;

3) nell’ossequio a palesi esigenze di natura pratica.

Tale ultimo punto merita di essere adeguatamente esaminato per l’importanza processuale che la sua corretta applicazione può comportare nei giudizi finalizzati all’accertamento dell’inadempimento del medico.

Si pensi, ad esempio, alla difficoltà in cui incorre il consumatore di una prestazione sanitaria allorché lo stesso voglia provare che il danno ricevuto dal medico è derivato non da un fatto positivo posto in essere dallo stesso (l’aver lasciato un tampone all’interno della ferita), ma da una condotta omissiva a lui imputabile (quale la mancata informazione sulla necessità di svolgere ulteriori accertamenti clinici).

Si è osservato5, al riguardo, che la denunciata difficoltà di fornire la prova di non aver ricevuto la prestazione e cioè di fornire la prova di un fatto negativo, sarebbe superabile

3 Per tutte v. Cass. 15 ottobre 1999 n. 11629, Foro it., 2000, I, 1917, Pres. ed est. Carbone, con nota di E.

SCODITTI, Danni conseguenza e rapporto di causalità; nello stesso senso, Cass. 27 marzo 1998 n. 3232, id., Rep. 1998, voce Contratto in genere, n. 515; Cass. 7 febbraio 1996 n. 973, id., 1996, I, 1265.

(6)

6

tendo presente che la regola secondo la quale negativa non sunt probanda deve intendersi nel senso che, non potendo essere provato ciò che non è, la prova dei fatti negativi può essere data mediante la prova dei fatti positivi contrari.

La formula ellittica presta il fianco a molteplici critiche.

Qui preme rilevarne la particolare impraticabilità concreta: ed infatti, procedendo nell’esempio su articolato, nel corso del giudizio l’attore, non essendo ammissibili capitoli di prova testimoniale o per interpello formulati sul fatto negativo (“è vero che il medico Tizio non ha mai prescritto a Caio un esame emocromocitometrico necessario per verificare la funzionalità epatica”), potrebbe non avere alcun fatto positivo contrario da dimostrare, in quanto uno dei presupposti dell’azione risarcitoria esperita sta nell’imputare al medico proprio un fatto negativo consistente nella mancata informazione e prescrizione.

D’altro canto non avrebbe alcun senso provare, ex post, che il paziente, deceduto, ad esempio per cancro-cirrosi al fegato, aveva effettivamente bisogno di un esame ematochimico.

Sul punto le Sezioni unite sono univoche nel ritenere maggiormente agevole la prova dell’adempimento, ove avvenuto, da parte del debitore e, cioè, da parte del professionista- medico.

Da rilevare, infine, che, per la ricordata pronuncia, il “regime probatorio unico” si deve ritenere applicabile anche alle ipotesi in cui la parte fa valere in giudizio un inesatto adempimento della obbligazione.

Chiara, quindi, la riflessione che il Giudice di legittimità, nella sua massima composizione, induce a fare e che necessariamente dovrà cambiare l’atteggiarsi concreto dei rapporti tra il medico ed il paziente: il debitore-medico ha la possibilità di

“documentare” il proprio adempimento (anche con riferimento alle modalità pratiche con cui lo stesso viene in essere) e di tale possibilità è bene che ne tenga conto nel corso nel rapporto fisiologico del contratto, essendo possibile che il creditore-paziente possa, subentrata una fase patologica del rapporto medesimo, chiederne contezza.

Fuori di metafora e per la delicatezza della materia della quale ci si occupa (che, come ricordato, involge questioni particolarmente delicate, inerenti al bene primario della

4 La sentenza 30 ottobre 2001 n. 13533, Pres. Vela, Est. Preden, si legge per esteso anche in Foro it., 2002, 769, con nota di LAGHEZZA P., Inadempimenti ed onere della prova: le sezioni unite e la difficile arte del rammendo.

(7)

salute), potrebbe convenire, prendendo atto del ricordato orientamento, di adeguare lo svolgimento della attività medica ad una maggiore certezza.

Istanza che non vuole costringere a “sovrainvestire in cautele formali [che]

potrebbe[ro] comportare l’ulteriore effetto di penalizzare il paziente (da un punto di vista strettamente pratico), ben oltre il portato dell’inevitabile asimmetria informativa”6, ma esortare ad adeguare gli strumenti già esistenti alle nuove esigenze addotte dall’evoluzione del comune sentire nella materia de qua.

Di tale certezza, infatti, beneficerebbero nel medio-lungo periodo non solo il professionista medico ed il consumatore della prestazione sanitaria ma, altresì, l’intero consesso sociale (ad esempio, in termini di un minore costo dei premi assicurativi).

Per quanto attiene agli strumenti, ci si riferisce alla cartella clinica e ai documenti di prescrizione che potrebbero essere riportati alla loro centralità funzionale.

In ordine alla prima, a cui si riconosce natura di atto pubblico7, si è affermato che la valutazione dell’esattezza della prestazione medica concerne anche la regolare tenuta della cartella clinica e che, ove dalla sua imperfetta compilazione, costituente inadempimento di un’obbligazione strumentale, derivi l’impossibilità di trarre utili elementi di valutazione in ordine all’accertamento della causa dell’evento, le conseguenze non possono in via di principio ripercuotersi in danno del creditore della prestazione sanitaria8.

È quindi evidente che le modalità della compilazione della cartella clinica ben potranno consentire un accertamento più preciso del quadro fattuale di ipotetiche liti.

Per quanto attiene ai certificati e alle prescrizioni poco servirebbe a rendere gli stessi dei veri e propri atti recettizi (sarebbe sufficiente predisporli su moduli copiativi e far firmare per ricevuta la copia) anche inerenti alla informazione sanitaria, sicuramente in grado di scoraggiare delle liti fondate su presunte carenze informative e diagnostiche.

5 V. la giurisprudenza ricordata alla nota sub 2.

6 Timore paventato da PARDOLESI P., nella nota a Cass. 23 maggio 2001, Foro it., I, 2504.

7 Tale natura non cambia se la stessa è realizzata in una casa di cura convenzionata e non solo in una struttura pubblica ospedaliera: v., sul punto, Cass., sez. un., 27 marzo 1992, Delogu, id., 1993, II, 386.

8 In tal senso Cass. 13 settembre 2000 n. 12103, Foro it., Rep. 2000, voce Professioni intellettuali, n. 175, che, in particolare ha statuito che la possibilità, pur rigorosamente prospettata sotto il profilo scientifico, che la morte della persona ricoverata presso una struttura sanitaria possa essere intervenuta per altre ipotetiche cause patologiche, diverse da quelle diagnosticate ed inadeguatamente trattate, che non sia stato tuttavia possibile accertare neppure dopo il decesso in ragione della difettosa tenuta della cartella clinica o della mancanza di adeguati riscontri diagnostici, non vale ad escludere la sussistenza di nesso eziologico tra la colposa condotta del medico in relazione alla potologia accertata e la morte, ove risulti provata l’idoneità di

(8)

8

La prova del nesso di causalità.

Che si tratti di accertamento della responsabilità civile (contrattuale o extracontrattuale) ovvero penale del medico deve necessariamente emergere – nel relativo procedimento – la prova del nesso causale; in altre parole, che la condotta (commissiva o omissiva) del medico possa essere ritenuta causa dell’evento dannoso.

La giurisprudenza, al riguardo, ha avuto modo di precisare che il principio di causalità materiale, così come regolato dal vigente codice penale, trova applicazione anche nel campo civile, poiché comune ad entrambe le discipline è l’esistenza di un nesso eziologico tra l’azione o l’omissione e l’evento9.

Come noto, il codice civile, a differenza di quello penale, non dà nessuna definizione di causalità.

Per la scienza giuridica penalistica è causa rilevante la condotta umana, attiva o omissiva, che si pone come condizione necessaria (conditio sine qua non) nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato; condotta senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe verificato.

Ma a parte ogni definizione – per la quale si può agevolmente rinviare alla ricordata letteratura – l’accertamento del nesso di causalità, nel settore che ci occupa, ha animato il dibattito giurisprudenziale e dottrinario per le difficoltà di ordine pratico che sconta.

Ed infatti, detto accertamento è diretto a verificare, con un giudizio ex post, se l’attività medica del professionista sia, ed in che misura, idonea a cagionare il danno: laddove è evidente che detto giudizio rimarrà ab initio condizionato dalle certezze cui è giunta la scienza medica.

La spiegazione causale dell’evento verificatosi nella sua unicità ed irripetibilità potrà essere dettata – come insegna la migliore giurisprudenza – dall’esperienza tratta da attendibili risultati di generalizzazione del senso comune, oppure facendo ricorso al modello generale della sussunzione del singolo evento nell’ambito di leggi scientifiche esplicative del fenomeno.

tale condotta a provocarla. Il principio è fatto proprio anche da Cass. 21 luglio 2003 n. 11316, id., 2003, I, 2970.

9 Da ultimo, ex plurimis, v. Cass. 22 ottobre 2003 n. 15789, Foro it., Rep. 2003, voce Responsabilità civile, n.

74.

(9)

Così operando, un antecedente potrà essere considerato come condizione necessaria solo ove possa essere ricompresso nell’ambito di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, producano eventi del tipo di quelli verificatisi in concreto.

L’accertamento del nesso di causalità viene, generalmente, effettuato sulla base del giudizio controfattuale, articolato sul condizionale congiuntivo “se … allora …” e costruito secondo la c.d. doppia formula, articolata nella duplice condizione:

- la condotta umana è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fati realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato;

- la condotta non è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente mediante l’analogo procedimento, l’evento si sarebbe comunque verificato.

Ovviamente, l’attività diretta a verificare il nesso causale si atteggerà in maniera diversa a seconda che si svolga su una condotta commissiva ovvero omissiva.

Nel primo caso il punto di partenza dell’accertamento sarà costituito da un comportamento concreto del medico: per continuare l’esempio di cui supra, il professionista che, nell’eseguire un’appendicectomia, lascia all’interno della ferita un tampone; negligenza che cagiona l’infettarsi della ferita ed il decesso del paziente per asetticemia.

Nel secondo caso il punto di partenza è una omissione: il medico non compie una prestazione che si assume che se fosse stata realizzata avrebbe evitato la produzione dell’evento dannoso: il professionista non esegue l’appendicectomia, il cui conseguente aggravamento in peritonite, provoca il decesso del paziente.

Come si può rilevare già dai semplici esempi formulati, il nodo gordiano del giudizio controfattuale passa attraverso la individuazione del grado di probabilità, oltre il quale potrà sostenersi – giuridicamente – che l’evento dannoso è frutto della condotta del medico.

La questione è stata affrontata con riferimento prevalente alla condotta omissiva del medico, ma ciò non toglie che i principi stabiliti in materia (in particolare in tema di reato colposo omissivo improprio) possano assistere l’operatore del diritto in tutti i casi in cui sorga la predetta necessità.

(10)

10

Ad un primo indirizzo “tradizionale e maggioritario”10, che ritiene sufficienti ‘serie ed apprezzabili probabilità di successo’ (anche se limitate e con ridotti coefficienti di probabilità, indicati, in alcune decisioni, in percentuali inferiori al 50%) dell’intervento medico per ritenere responsabile il professionista che l’abbia omesso, se ne è andato contrapponendo un’altro, che in maniera più rigorosa11, richiede la prova che il comportamento alternativo dell’agente avrebbe impedito l’evento lesivo con un elevato grado di probabilità ‘prossimo alla certezza’, con una percentuale di casi ‘quasi prossima a cento’.

Anche tale contrasto è stato ricomposto dalle Sezioni unite della cassazione12 che ha abbandonato definitivamente l’orientamento maggioritario, rilevando che, con la tralaticia formula della ‘serie ed apprezzabili probabilità di successo’ dell’ipotetico intervento salvifico del medico si finisce per esprimere coefficienti di probabilità indeterminati, mutevoli, manipolabili dall’interprete, talora attestati su standard esigui: così sovrapponendosi aspetti deontologici e di colpa professionale per violazione del principio di precauzione a scelte politico-legislative dettate in funzione degli scopi della repressione penale ed al problema, strutturalmente distinto, degli elementi della fattispecie criminosa tipica.

Ed invero non può non concordarsi sul fatto che, allorché si verta in materia di condotte omissive colpose, connotate da gravi errori di diagnosi e terapia produttive di per sé dell’evento lesivo, lo stesso sarà comunque imputabile al medico per fatto proprio.

E allora responsabilità solo a fronte di un giudizio controfattuale assistito da un grado di probabilità pari a cento?

Chi parla è convinto che nella materia de qua non possano essere formulati principi che non trovino adeguato riscontro nei fatti sottoposti al vaglio dei giudici e, quindi, se è vero che non può estendersi a dismisura la responsabilità del medico (se non violandosi i principi cardine del sistema penale della legalità e tassatività della fattispecie e della garanzia di responsabilità per fatto proprio, come anche quello – nell’ambito civilistico –

10 Per tutte Cass. 11 novembre 1994, Presta, Foro it., Rep. 1995, voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 43; Cass. 30 aprile 1993, De Giovanni, id., Rep. 1994, voce cit., n. 50.

11 Cass. 25 settembre 2001, Covili, id., 2002, II, 289; Cass. 28 settembre 2000, Baldrocchi, id., II, 420.

12 Cass., sez. un., 10 luglio 2002, Franzese, che si legge, oltre che Guida al diritto, 2002, fasc. 38, 62, con nota di MACCIONI, anche in Foro it., 2002, II, 601, che pubblica, unitamente alla nota di DI GIOVINE O., La Causalità omissiva in campo medico chirurgico al vaglio delle sezioni unite, anche le note di udienza del Procuratore generale.

(11)

della imputabilità) è anche vero che non si deve rendere impossibile la prova del nesso causale.

Di tale esigenza sembrano essersi fatto carico le ricordate sezioni unite, laddove precisano che:

a) poiché il giudice non può conoscere tutte le fasi intermedie attraverso le quali la causa produce il suo effetto, l’ipotesi ricostruttiva formulata in partenza sul nesso di condizionamento tra condotta umana e singolo evento potrà essere riconosciuta fondata solo con una quantità di precisazioni e purchè sia ragionevolmente da escludere l’intervento di un diverso ed alternativo decorso causale;

b) ove si ripudiasse la natura preminentemente induttiva dell’accertamento in giudizio e si pretendesse comunque una spiegazione causale di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, secondo criteri di certezza assoluta, si finirebbe col frustrare gli scopi preventivo-repressivi del diritto e del processo penale in settori nevralgici per la tutela di beni primari.

Con il termine “alta o elevata credibilità razionale” dell’accertamento, il massimo Consesso non intende – per espressa precisazione – fare riferimento al parametro nomologico utilizzato per la copertura della spiegazione, indicante una relazione meramente quantitativa entro generi ed eventi ripetibili e inerente, come tale, alla struttura interna del rapporto di causalità, bensì ai profili inferenziali della verifica probatoria di quel nesso rispetto all’evidenza disponibile e alle circostanze del caso concreto.

Un monito, quindi: non è consentito dedurre automaticamente – e proporzionalmente – dal coefficiente di probabilità statistica espresso dalla legge la conferma dell’ipotesi sull’esistenza del rapporto di causalità.

Riferimenti

Documenti correlati

Lo studio condotto da Mario Tedeschi sull’Enciclopedia giuridica italiana diretta dal Mancini risulta ammirabile quoad methodum proprio per l’analisi del diritto canonico

2. Con un unico articolato motivo di appello l'Inps censura la sentenza per avere ritenuto che sulla base dei documenti prodotti e del verbale di accertamento posto a fondamento del

Visti e condivisi i requisiti di cooperazione e partecipazione che la normativa europea pone alla base delle relazioni in ma- teria di gestione della sicurezza e salute nei luoghi

633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili; pertanto il giudice di merito è tenuto ad effettuare una

Sotto la comune etichetta “responsabilità medica” (definito in dottrina come un vero e proprio “sottosistema” della responsabilità civile) si ricomprendono

La fedele fotografia scattata nell’ambito della professione forense da una voce dottrinale attenta ai reali orientamenti della giurisprudenza, secondo la quale «gli unici

La giurisprudenza civile della Corte di cassazione ha, a sua volta, seguito un percorso ermeneutico (forse non sempre omogeneo) funzionale alla ricostruzione dei caratteri

Nello stessa direzione una ulteriore sentenza della Suprema Corte, condivisa la motivazione ora citata, conclude che “anche il legame parentale fra nonno e nipote consenta di