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IPOTESI DI CONTENZIOSO PIÙ FREQUENTI

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TAGETE n. 2 giugno 2004 Anno X

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RISCHIO PROFESSIONALE IN OSTETRICIA E GINECOLOGIA

Prof. Pasquale Mastrantonio

Il contenzioso medico-legale ricollegabile ad atti medici negli ultimi venti anni è cresciuto in maniera esponenziale. Considerando tale contenzioso nelle varie discipline si rileva facilmente che lo stesso nella pratica ostetrico-ginecologica costituisce una parte importantissima sia per numero di casi sia per entità del risarcimento richiesto. Tutto questo come vedremo ha incoraggiato il ricorso, sempre più frequente, da parte di molti ginecologi ad alcune pratiche e ad alcuni comportamenti ispirati più alla cosiddetta medicina difensiva che alla medicina esercitata per la tutela della salute della paziente.

E’ vero infatti che in genere gli imperativi etici della professione medica, la qualità delle prestazioni mediche, il rispetto della deontologia sono concetti che non si contraddicono, ma, al contrario, si integrano tra di loro e, contribuiscono alla fine, se correttamente applicati, alla tutela medico-legale del ginecologo. Questa regola tuttavia contempla alcune eccezioni. Infatti in alcuni casi (torneremo in seguito su questo punto riportando alcuni esempi) la tutela medico-legale non si identifica con una buona pratica medica. Se dovessimo rendere graficamente tale concetto potremmo rappresentarlo attraverso quattro cerchi non perfettamente sovrapposti (ma con ampie aree di sovrapposizione) ognuno dei quali rappresenta etica, deontologia, qualità della prestazione, tutela medico-legale. La pratica della medicina difensiva si inscrive nella zona del cerchio della tutela professionale non sovrapposta agli altri cerchi per cui la medicina difensiva a volte contraddice principi etici, non è deontologicamente corretta, non può essere considerata come una buona pratica medica.

A tutto questo ha portato l’esigenza, via via sempre più avvertita, da parte dei ginecologi (e in generale dei medici) di tutelarsi il più possibile dai rischi di contenzioso per atti connessi all’esercizio della professione, che, come in precedenza affermato, sono cresciuti in modo esponenziale negli ultimi anni per vari ordini di motivi.

La ginecologia è al primo posto per numero di contenziosi.

Direttore Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche, Fisiopatologia della Riproduzione Umana e Neonatologia, Università degli Studi di Messina

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2 Le motivazioni di tale primato risiedono nelle peculiarità e nelle caratteristiche della ginecologia così come si è andata evolvendo negli ultimi venti anni. La ginecologia infatti presenta per certi versi le caratteristiche di una branca ultraspecialistica e per altri versi caratteristiche tipiche di una medicina rivolta a tutte le donne, siano esse sane o malate (prevenzione oncologica, parto, menopausa, contraccezione etc) con risvolti di notevole ricaduta sociale.

Sicuramente l’enfatizzazione dei progressi della medicina (e più specificatamente dell’ostetricia e della ginecologia) finisce col creare delle aspettative nell’utenza che non sempre riusciamo a soddisfare. Riteniamo che di un tale andamento delle cose siamo responsabili noi ginecologi ma anche i mass-media che spesso danno enorme risalto a notizie concernenti progressi in campo medico la cui portata è distorta (nel senso di una sopravvalutazione) o, peggio, sono prive di fondamento scientifico valido. Tali notizie vengono recepite dall’utenza in modo ulteriormente distorto (cioè enfatizzato per un comprensibile ed inconscio bisogno di sicurezza dell’utenza stessa) in modo tale che le aspettative connesse ad un determinato atto medico od evento sono alla fine ben lontane rispetto alle possibilità (diagnostiche e terapeutiche) offerte dalla medicina.

Un secondo, importante fattore etiologico del contenzioso è individuabile nella sempre minore accettazione del figlio malato da parte della famiglia e ciò a dispetto della evoluzione della società che si sforza sempre di più ad accettare i portatori di handicap, attraverso una migliore assistenza, norme finalizzate alla integrazione dei portatori di handicap, sussidi pensionistici etc.

Indubbiamente anche i rilevanti risarcimenti riconosciuti in taluni procedimenti per responsabilità professionale hanno contribuito alla dilatazione dei contenziosi.

La crisi della professione medica ed il modo come è visto attualmente nella società costituisce un altro fattore che concorre all’aumento del contenzioso.

Fino a non molto tempo addietro la professione medica veniva vista come una missione ed il medico come un benefattore. Attualmente il comune sentire, nonostante il fondamentale scopo anche attualmente sia quello di fare del bene, vede il medico in modo diverso. In Italia una grande responsabilità di tutto ciò è da attribuire ai casi pressoché quotidiani di malasanità riportati dai giornali, ai casi di corruzione che si registrano nelle ASL o presso gli uffici dei responsabili della sanità pubblica.

Nel processo etiopatogenetico che porta alla richiesta di risarcimento un posto importante occupa una inadeguata “comunicazione” del medico (e\o della struttura sanitaria) nei confronti della paziente. Tale fase, che come vedremo, costituisce la premessa necessaria per l’acquisizione di un

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3 valido consenso prestato all’atto medico, viene spesso sottovalutata da parte del medico. La comunicazione che, giova ricordarlo, non avviene solo con le parole, ma anche con la mimica, la gestualità, il tono della voce, con un discorso privo di elementi che anche lontanamente possano essere recepiti come contradditori, riveste un ruolo chiave nel rapporto medico-paziente che deve essere volto a creare in modo ottimale l’”empatia” con la paziente che costituisce la premessa indispensabile per instaurare un valido rapporto di fiducia e quindi quella che è stata definita

“alleanza terapeutica” con la paziente.

Ma nella comunicazione il medico riteniamo non debba nascondere i rischi connessi a determinate pratiche mediche ma deve rappresentarli in modo aderente alla realtà, con buonsenso, con serenità e con misura cercando di farsi capire il più possibile dalla paziente adattando il proprio linguaggio e magari servendosi anche di appropriati esempi o paragoni. La Cassazione ha precisato (Sent. 364 del 15.01.97) che il medico deve informare esaurientemente (in modo non generico, ma specifico in relazione alla tipologia del trattamento) sulla portata dell’intervento, sulle inevitabili difficoltà, sugli effetti conseguibili e sugli eventuali rischi prevedibili, nonché sui rischi specifici rispetto a determinate scelte alternative, così da concedere alla paziente la possibilità di scegliere tra diversi tipi di intervento. Nella stessa Sentenza viene quindi affermato che l’informazione deve essere limitata ai soli rischi comunemente prevedibili, con l’esclusione di quelli rari, occasionali o “al limite del fortuito”.

Una precisazione viene anche dal Comitato Italiano di Bioetica secondo cui le informazioni

“dovranno essere veritiere e complete, ma limitate a quegli elementi che cultura e condizione psicologica della paziente sono in grado di recepire ed accettare, evitando esasperate precisazioni di dati (percentuali esatte…., di complicanze, di mortalità, insuccessi funzionali) che interessano gli aspetti scientifici del trattamento”.

All’eziopatogenesi del contenzioso contribuisce anche la eterogeneità dei livelli di assistenza forniti dal Sistema Sanitario Nazionale. Infatti ad esempio è evidente che un Ospedale zonale in cui avvengono cento parti ogni anno non può disporre dello stesso o paragonabile standard qualitativo rispetto ad un Ospedale dove avvengono mille parti ogni anno. Infatti i piccoli punti nascita vengono generalmente penalizzati dalla scarsità di personale, dalla minore esperienza degli operatori, dall’insufficienza o a volte dall’assenza dei servizi collaterali che gravitano intorno al punto nascita (patologia neonatale, servizio emotrasfusionale, servizio di anestesia e rianimazione, laboratorio di analisi etc.). L’auspicio che gli amministratori della sanità pubblica

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4 (ridefinizione dei Piani sanitari), le Società scientifiche (emanazione di linee-guida) e le enormi possibilità di comunicazione di cui oggi si dispone grazie alla tecnologia, riescano nei prossimi anni a sollevare gli standard qualitativi più scadenti.

IPOTESI DI CONTENZIOSO PIÙ FREQUENTI

Le ipotesi di contenzioso possibili nella pratica ostetrico-ginecologica sono veramente innumerevoli.

Riteniamo che una disamina analitica delle stesse, seppure breve, esuli dagli scopi della presente relazione, per cui ci limiteremo a riportare nella tabelle I le evenienze più frequenti che possono comportare un contenzioso medico-legale.

TAB I. Ipotesi più frequenti di contenzioso nella pratica ostetrico-ginecologica.

A) SALA PARTO

DISTOCIA DI SPALLA

SOFFERENZA PERINATALE

MORTE ENDOUTERINA DEL FETO

ROTTURA DI UTERO B) DIAGNOSTICA ECOGRAFICA

MANCATA DIAGNOSI DI MALFORMAZIONE FETALE

PROCEDURE ECOGUIDATE

DIAGNOSI PRENATALE

C) VIZI DEL CONSENSO (SIA FORMALI CHE SOSTANZIALI)

MINORI

TESTIMONI DI GEOVA

INTERVENTI INVALIDANTI

RISCHI DI SOVRATRATTAMENTO DI ALCUNE PATOLOGIE

INFORMATIVA SU TECNICHE NUOVE

D) OMISSIONE ESAMI DI PREVENZIONE ONCOLOGICA

COLLO UTERO

MAMMELLA

E) CONDOTTE CHIRURGICHE IMPRUDENTI

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5 Dalla analisi di tali situazioni si evince che per eliminare alla base molti possibili contenziosi sono sufficienti semplici accorgimenti come ad esempio la prescrizione di un Pap-test in tutte le donne in età fertile o di una mammografia dopo i 40 anni; acquisire un valido consenso prima di effettuare un intervento chirurgico; annotare sulla cartella clinica le manovre effettuate per estrarre il feto in caso di distocia di spalla con esiti invalidanti a carico del feto; non eseguire l’esame morfologico fetale se non si dispone di una buona esperienza e di un ottima apparecchiatura ecografica; informare adeguatamente la paziente sui rischi che comportano le tecniche chirurgiche adottate; non eseguire interventi chirurgici impegnativi se non si dispone di quanto serve (professionalità mediche e paramediche, risorse materiali e tecnologiche adeguate, servizi collaterali etc); praticare un accurato monitoraggio del feto.

Inoltre un comportamento ispirato alla diligenza, il rispetto di linee-guida e protocolli di comportamento, una accurata compilazione della cartella clinica ed una continua verifica e revisione del tipo di lavoro del singolo medico, della equipe, e del funzionamento della Unità Operativa permette una notevole compressione dei rischi di responsabilità professionale.

Tornando a quanto affermato in apertura, la pratica della medicina difensiva volta non tanto alla tutela della salute della donna quanto alla tutela medico-legale del ginecologo che in alcuni casi orienta le proprie scelte cliniche sulla base dei minori rischi di responsabilità professionale e non sull’interesse della paziente, si è andata via via affermando proprio a causa dell’aumento del contenzioso che nell’ambito ostetrico-ginecologico detiene il primato.

La pratica della medicina difensiva presenta ricadute negative in quanto può comportare: danni nel rapporto medico-paziente, danni per la paziente, danni per il feto, danni per il SSN (in termini di maggiore spesa).

Il seguente elenco, senza voler essere esaustivo, riporta alcune tendenze comportamentali da parte dei medici ispirate alla cosiddetta “medicina difensiva”:

1. anticipazione dei parti;

2. eccessiva medicalizzazione della gravidanza e del parto con richieste di esami a volte inutili;

3. eccessivo ricorso al taglio cesareo;

4. amniocentesi e villocentesi ingiustificate;

5. eccessiva burocratizzazione del rapporto medico-paziente;

6. ricorso eccessivo ad esami invasivi.

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CONCLUSIONI

La sentenza n° 30328 del 2002, riconoscendo le specifiche peculiarità dei singoli casi clinici e ripudiando il criterio statistico-probabilistico, sicuramente introduce importanti elementi di novità nell’affermazione del nesso di causa tra la condotta omissiva e l’evento che potrebbero avere importatati ricadute nel senso di porre un argine al dilagare della medicina cosiddetta difensiva. In altri termini per poter affermare il nesso causale non è sufficiente che la condotta omissiva sia astrattamente (in quanto generalmente e statisticamente) idonea a produrre l’evento ma è necessario che tale condotta abbia, con probabilità logica, prodotto in quel determinato caso l’evento dannoso.

E’ evidente che la Corte prende atto di tutte le variabili capaci di interferire su un determinato processo morboso condizionandone in modo anche decisivo l’andamento (guarigione-postumi invalidanti-decesso).

Ad esempio, per riportare le possibili conseguenze di tale nuova metodologia medico legale a una evenienza frequente ed importante nel contenzioso medico-legale nei confronti del ginecologo, l’omissione di un taglio cesareo che porti alla nascita di un neonato con handicap neurologici, anche in caso di tracciato cardiotocografico indicativo di sofferenza fetale, necessita, perché sia affermato il nesso di causa, della dimostrazione che in quel determinato caso l’esecuzione di un taglio cesareo avrebbe evitato l’instaurarsi del danno.

Fino all’emanazione di tale sentenza si era affermato il principio secondo cui per giungere all’affermazione della responsabilità penale del sanitario fosse richiesta la prova che un comportamento alternativo dello stesso avrebbe impedito l’evento con un elevato grado di probabilità “prossimo alla certezza” e cioè in una percentuale di casi “quasi prossima a cento”. Non sarebbe stato più sufficiente come per il passato la dimostrazione per la dimostrazione impeditiva dell’evento, e di “serie ed apprezzabili probabilità di successo”, anche con ridotti coefficienti di probabilità.

In merito la Corte non condivide l’indirizzo interpretativo secondo il quale, alla luce delle aumentate difficoltà probatorie nel settore della responsabilità medica e alle aspettative di protezione rafforzata dei beni primari della vita e della salute il giudice non sarebbe tenuto a pervenire ad un accertamento rigoroso della causalità e dovesse riconoscersi sufficiente ai fini probatori l’esistenza di “serie ed apprezzabili probabilità di successo dell’ipotetico comportamento doveroso del medico”.

Ciò perché con tale definizione si finisce con esprimere coefficienti di probabilità indeterminati, mutevoli, manipolabili dall’interprete. La Corte inoltre, afferma un altro principio in base al quale

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7 l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale debbano necessariamente comportare la consequenziale assoluzione del medico.

Sarà pertanto possibile giungere alla affermazione della responsabilità penale del medico per reato omissivo non tanto quando sussista una legge statistica che consenta di ritenere che la sua condotta omissiva, con una probabilità vicina alla certezza, sia stata causa di un determinato evento, ma quando il giudice alla luce di tutte le risultanze probatorie dichiari che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”.

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