• Non ci sono risultati.

RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE E CONTENZIOSO MEDICO-LEGALE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE E CONTENZIOSO MEDICO-LEGALE"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE E CONTENZIOSO MEDICO-LEGALE

Avv. Ornella Mafrici

L’argomento trattato ha una portata temporale vastissima se consideriamo che la responsabilità professionale ed il contenzioso medico-legale hanno una storia molto antica e vanno inquadrati nell’ambivalente rapporto tra medicina e società.

Già nel giuramento di Ippocrate, risalente al V° secolo a. C., si rinviene l’esigenza di un’autoregolamentazione medica; nel Codice di Hammurabi, che è del 1728-1686 a. C., all’art. 218 si leggono le prime conseguenze per colpa medica: se un medico opera un uomo per una grave ferita con una lancetta di bronzo e causa la morte dell’uomo o se egli apre un ascesso nell’occhio di un uomo e distrugge l’occhio, egli avrà le dita amputate - questa pena riguardava il caso che il danneggiato fosse un cittadino perché se era uno schiavo era sufficiente rimpiazzarlo con un altro schiavo; ritroviamo tracce di responsabilità professionale in Platone, in Plinio, nella lex Cornelia e nel Digesto ove compare la colpa per imperizia: “medico imputari eventus mortalitatis non debet sed quod per imperitiam commisit, imputari ei debet”.

Il contenzioso medico-legale ha subito una trasformazione nel corso dei secoli determinata da quel rapporto tra medico e paziente di gratitudine-risentimento, rapporto che è sempre stato conflittuale, seppure, in passato, parecchio attenuato.

La società, un tempo, accettava con maggiore serenità l’ineluttabilità della malattia e della morte tranne nei casi in cui la negligenza del medico era in evidente contrasto con la modestia della malattia.

Al giorno d’oggi, ora per i progressi scientifici, diagnostici, terapeutici e farmacologici, ora per la diffusione delle notizie a mezzo dei mass media, sono poche le malattie che possono farsi rientrare nelle delusioni accettate dai pazienti e … dai parenti, tra queste possiamo fare rientrare solo quelle neurologiche, psichiatriche e reumatiche.

Dal medico, insomma, l’aspettativa è solo di successo, tanto che l’obbligazione del medico, considerata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, una obbligazione di mezzi, cioè di diligenza o di

(2)

comportamento (Cass. Pen. 4023/1981, Cass. Civ. 1386/1970), appare essere considerata un’obbligazione di risultati.

Il mutato atteggiamento nei confronti della classe medica ha comportato che la litigiosità è in impressionante aumento in tutto il mondo.

Nell’ultimo decennio, le azioni civili e penali nei confronti dei medici hanno registrato un progressivo aumento anche in Europa, in particolare in Belgio, Francia, Spagna e Lussemburgo.

Nel Regno Unito, tra il 1995 ed il 2000, vi è stata una triplicazione dei casi ed i risarcimenti più elevati hanno riguardato casi di encefalopatia neonatale.

Negli Stati Uniti la litigiosità è altissima sia per l’elevato costo della sanità e dei premi assicurativi, che incentivano alla rivalsa, sia per l’esistenza di studi professionali che incentivano il contenzioso per gli onorari fondati sul patto di quota-lite: è noto il caso di qualche anno fa, in California, di un coma apallico liquidato 14 milioni di dollari di cui 5, 3 milioni pari a otto miliardi di vecchie lire, per spese legali.

L’aumento del contenzioso ha avuto effetti inquietanti: per esempio negli USA, la conseguenza è stata non solo l’abbandono delle specialità a rischio, come l’ostetricia e l’anestesiologia, aventi premi assicurativi elevatissimi ma anche la diffusione a tappeto del fenomeno della medicina difensiva.

La medicina difensiva ha assunto in America degli aspetti allarmanti al punto che il Congress of the United States ha chiesto all’OTA (Office technology Assessment) uno studio specifico sul fenomeno.

In esito a tale studio, già nel 1994, l’OTA ha dato la seguente definizione della medicina difensiva:

”La medicina difensiva si verifica quando i medici prescrivono test, trattamenti o visite o evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio, primariamente (ma non necessariamente in modo esclusivo), allo scopo di ridurre la propria esposizione al rischio di accuse di malasanità. Quando i medici eseguono extra-test o trattamenti primariamente per ridurre le accuse di malasanità essi praticano la medicina difensiva positiva. Quando evitano determinati pazienti o interventi, essi praticano la medicina difensiva negativa”.

Nella traduzione per noi più corretta, il termine malasanità va sostituito con quello di malpractice mentre i termini medicina positiva e negativa con medicina attiva e omissiva.

(3)

La medicina difensiva, dunque, è caratterizzata da scelte diagnostiche e terapeutiche spesso inutili ma dirette a prevenire e/o evitare denunzie giudiziarie.

Esaminiamo ora la situazione Italiana.

In Italia, analizzando anche la giurisprudenza degli ultimi due secoli, è emerso un atteggiamento favorevole nei confronti della classe medica: il primo segnale sfavorevole si ha con una sentenza del 21.01.1885 del Tribunale di Roma, ove si legge che la inviolabilità dei medici non è illimitata di fronte al codice civile e l’anno successivo, siamo al 1886, con una decisione della Corte di Cassazione, ove si fa riferimento all’ignoranza quale causa non scusabile nell’esercizio della professione”.

Ma veniamo ad un più recente passato: il 1990 è l’anno della svolta; in quegli anni il Crespi (1992) coniava il noto brocardo “in dubio contra medicum”.

Il 1990 è l’anno che coincide non solo con un radicale mutamento di giurisprudenza ma anche con un radicale mutamento dell’opinione pubblica nei confronti della classe medica, dovuta all’incessante sfiducia nella sanità in genere.

La stessa istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, oggi trasformato in ASL, seppure ispirata da una logica solidaristica, non era adeguata alla capacità economica del Paese; per di più la politicizzazione del Servizio stesso ha portato a notori casi di malasanità, sia in termini di sprechi di risorse sia in termini di selezione di personale medico e paramedico spesso non qualificato.

Alla malasanità vanno aggiunti altri fenomeni che hanno sostanzialmente spostato “il baricentro dell’attenzione dal medico al paziente”.

Si pensi ad esempio alle Direttive Comunitarie (CEE 20. 12. 1990 sulla responsabilità presunta del medico e della struttura con conseguente tutela risarcitoria), alla Convenzione Europea di Strasburgo del 1996 (ratificata in Italia con legge 28.03.2001 n. 145) che, all’art. 24, prevede “il risarcimento di un danno ingiusto conseguente ad un trattamento sanitario”, prescindendo dal lecito, dall’illecito, dalla colpa soggettiva, oggettiva o presunta; alla legge 30.07.1998 n. 281 che include tra i destinatari dei diritti dei consumatori i malati, quali utenti del Servizio Sanitario che hanno diritto a standard di qualità ed efficienza.

La stessa Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 589 del 22.01.1999, ha creato nuove forme di tutela per l’utente del Servizio Sanitario, fondate sul “contatto sociale”: l’assenza di contratto tra paziente e medico dipendente, trattandosi di un servizio di pubblica necessità, seppure esclude un

(4)

obbligo di prestazione “non è in grado di neutralizzare la professionalità…che si traduce in obblighi di comportamento per chi su tale professionalità ha fatto affidamento entrando in contatto con lui”.

Il vertiginoso aumento del contenzioso è desumibile anche dalle denunzie di sinistro che già nel 1998, mi risulta fossero circa 12.000 l’anno mentre i processi contro i medici, sia civili che penali, oltre 12.000 l’anno.

Su una raccolta annua di premi per 175 milioni di euro i risarcimenti pagati, tra il 1999 ed il 2000 sono ammontati a 413 milioni di euro.

Uno studio statistico del Prof. Vimercati dell’Università di Bari, reso noto al XV Congresso delle Giornate Mediterranee Internazionali, tenutosi a Palermo nel periodo maggio-giugno 2002, ha individuato nei processi contro i medici le branche chirurgiche e mediche, più frequentemente coinvolte in casi di malpractice.

Lo studio ha preso in esame il decennio 1991-2000.

Su 725 casi di cui 362 donne e 363 uomini sono stati individuati 306 casi (42%) di malpractice con morte del paziente, 308 casi (42%) di condotta medica corretta e 111 casi (16%) di condotta erronea ma senza danno o non valutabile in tal senso.

Le Strutture interessate sono state: 633 (91%) strutture sanitarie pubbliche e 84 (9%) strutture private.

Le diverse branche medico-chirurgiche sono state coinvolte secondo le seguenti percentuali:

Ortopedia 111=15%-Ostetricia e Ginecologia 110=15%- Chirurgia Generale 87=12%-Oculistica 24=3%-Odontostomatologia 17=2, 5% -Chirurgia plastica 16=2%-Urologia 13= 1, 8%- Cardiochirurgia 8=1%-Neurologia 7=1%.

Tali dati hanno subito una leggera modifica tra il 2001 ed il 2002 : da una statistica effettuata dal Tribunale dei diritti del malato, su un campione nazionale più ampio (e resa nota dal Dott. Aldo Marzano, in rappresentanza dell’ANIA nel corso della conferenza stampa tenutasi a Montecitorio il 10.10.2003 per la presentazione del convegno “Il malessere in Sala Parto”, svoltosi a Catania il 14.10.2003), l’ortopedia è passata in testa con un 17, 9% sull’ostetricia e ginecologia (12, 6%) e compare l’oncologia con un 13, 4%.

Ma come sorge il contenzioso medico-legale?

Il contenzioso medico-legale, oltre il caso limite del decesso del paziente, sorge quando un soggetto si ritiene leso nel bene primario della salute.

(5)

Poiché il danno alla salute viene ormai identificato con il danno biologico, avente rilievo costituzionale, si parla oggi di “danno biologico sanitario” qual’è quello che deriva dalla condotta negligente, imprudente o imperita del sanitario.

Si addebitano cioè a responsabilità del sanitario gli eventi avversi in campo medico e cioè gli eventi mancati o indesiderati.

La responsabilità del sanitario può essere di diverse specie:

· responsabilità civile (1218 e 2043 cod. civ.) -contrattuale

-extracontrattuale

· responsabilità penale

· responsabilità amministrativa

Mentre la norma penale dovrebbe tutelare l’interesse generale e superiore della comunità, la norma civile tutela un diritto soggettivo ed ha fine risarcitorio.

Di fatto, tuttavia, possiamo sostenere che il ricorso all’Autorità penale costituisce solo un arma di pressione per ottenere un fine che è sempre e comunque risarcitorio.

Non entrerò nel merito della responsabilità penale già magistralmente trattata, in particolare sotto il profilo del nesso causale, dal Dott. Iadecola e mi intratterrò invece su alcuni aspetti della responsabilità civile e amministrativa e del contenzioso medico-legale in generale.

La responsabilità civile consiste, come appena detto, nella imputazione della lesione della salute, o, nei casi più gravi, della imputazione del decesso ad un medico ovvero ad una struttura sanitaria.

La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale è di tipo risarcitorio: il presupposto è l’esistenza di un danno risarcibile.

Le norme fondamentali della responsabilità sono quelle di cui agli artt. 1218 e 2043 cod. civ.

Il paradigma della responsabilità civile è analogo a quello della responsabilità penale e consiste in una condotta umana, nel rapporto causale tra la condotta e l’evento, in un evento di danno.

La responsabilità contrattuale (contractus) può derivare:

- da un contratto d’opera intellettuale (2229 e 2232 cod. civ.);

(6)

- da un contratto di lavoro subordinato, di natura pubblicistica se il datore di lavoro è un ente pubblico o di natura privata (2094 cod. civ.) se il datore di lavoro è un imprenditore privato;

- da un incarico conferito dalla P. A. per un pubblico interesse (medico condotto, guardia medica);

- da un contratto a favore del terzo come nel caso del parente che affida alle cure il congiunto incapace di intendere e di volere;

- può avere origine non contrattuale, come nel caso di una situazione d’urgenza ove la prestazione prescinde da un vincolo contrattuale.

La responsabilità extracontrattuale, invece, non presuppone alcun rapporto preesistente ma deriva da un atto illecito, posto in essere in violazione del ge-nerale principio del neminem laedere.

Tutti gli elementi della responsabilità extracontrattuale devono essere provati da chi agisce in giudizio ma è prevista, in alcune ipotesi, l’inversione dell’onere della prova, come ad esempio:

1) nel caso di rottura di un ago, di uno strumento o apparecchio; per danni da apparecchiature radiologiche, odontotecniche, da farmaci, sostanze chimiche. In tali ipotesi trova applicazione l’art.

2051 cod. civ. in base al quale la responsabilità per le cose in custodia si presume tranne la prova del fortuito;

2) nel caso di danni da somministrazione di gamma-globuline infette, ai sensi dell’art. 2050 cod.

civ., è il convenuto che deve dare la prova di avere adottato tutte le misure per evitare il danno.

A questo punto si pone il problema della qualificazione giuridica della responsabilità del medico (in particolare quando il medico è un dipendente ospedaliero) e dell’Ente Sanitario o della casa di cura privata: responsabilità contrattuale o aquiliana?

La dottrina e la giurisprudenza sul punto hanno espresso pareri discordi.

In ipotesi di colpa medica, la casa di cura privata può essere chiamata a rispondere della responsabilità del medico a titolo di responsabilità indiretta (art. 2049 cod. civ.), ove vi sia un vincolo di subordinazione tra il medico e la casa di cura e a titolo di responsabilità diretta (art. 1218 cod. civ.), quando la casa di cura ha assunto direttamente nei confronti del danneggiato, con patto contrattuale, l’esecuzione dell’intervento (Cass. 2678/98).

Nel caso in cui il datore di lavoro è un ente pubblico, secondo un recente orientamento, la responsabilità dell’ente è sempre diretta per il principio di immedesimazione organica che l’ente ha con i suoi dipendenti.

(7)

L’ente risponderà come se il fatto fosse posto in essere dall’ente stesso che, essendo impersonale, opera e agisce attraverso i suoi organi.

In tale ipotesi la responsabilità dell’ente pubblico concorre con quella dei suoi dipendenti anche in virtù dell’art. 28 Cost., ma è sempre di natura contrattuale e si applicano le norme che regolano la responsabilità della prestazione in esecuzione di un contratto d’opera professionale (Cass. 4152/95, 5939/93, 977/91).

Secondo un altro orientamento, prevedendo le leggi civili, richiamate dall’art. 28 Cost. , una responsabilità contrattuale e/d una extracontrattuale, ne consegue che lo stesso fatto-attività professionale del medico può comportare a carico di un soggetto, ente gestore del servizio nazionale, una responsabilità contrattuale per effetto dell’immedesimazione organica e, a carico di un altro soggetto, medico-autore del fatto, un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale.

Ne consegue che l’Ente sarebbe esposto alla prescrizione decennale mentre il sanitario a quella quinquennale.

Infine, un più recente orientamento dottrinale, espresso dalla giurisprudenza con la richiamata sentenza n. 589/99, si è attestato sulla prima delle soluzioni e cioè che responsabilità del medico dipendente e dell’ospedale sarebbe sem-pre di natura contrattuale perché entrambe hanno radice nella esecuzione non diligente o errata della prestazione sanitaria.

Secondo la S. C. , la qualifica non discende dalla fonte del l’obbligazione ma dal contenuto del rapporto.

Essendo la responsabilità del medico e della struttura di natura contrattuale, il paziente può agire, indifferentemente, nei confronti dell’una o dell’altra.

Generalmente, in sede civile, viene convenuta in giudizio solo la struttura per non coinvolgere il sanitario; in altri casi vengono convenuti in giudizio medici e strutture affinché sia maggiore il numero di compagnie di assicurazione chiamate in garanzia che potranno ripartirsi l’onere economico in caso di soccombenza.

In sede penale, non di rado e lo dico anche per esperienza diretta, vengono coinvolti nell’indagine o rinviati a giudizio tutti coloro che in qualche modo si sono occupati del paziente.

Non è raro che in sede penale vengano formulate ipotesi di reato anche a carico di personale sanitario e parasanitario che ha avuto un ruolo marginale o insignificante.

(8)

Ritenere di natura contrattuale la responsabilità dell’ente e del medico ha notevoli effetti sul grado della colpa e sull’onere probatorio oltre a consentire, in virtù della prescrizione decennale, di adire l’Autorità Giudiziaria dopo anni e anni dal fatto.

Mi è capitato, in più di una occasione, di sentirmi dire dai medici che non ricordavano né il caso né il paziente, neppure come persona fisica.

In ordine al grado della colpa, trova diretta applicazione l’art. 1176 cod. civ. ma, trattandosi di campo medico, la diligenza dovrà essere non solo quella del buon padre di famiglia ma quella specifica del debitore qualificato (art. 1176, sec. comma cod. civ.), che comporta il rispetto delle regole e dell’arte medica.

Riportata la responsabilità in ambito contrattuale ne discende la diretta applicazione dell’art. 2236 cod. civ. , a mente del quale qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore d’opera risponde solo nel caso di dolo o colpa grave.

Ricordiamo tuttavia che la ratio dell’art. 2236 richiamato è stata, per così dire, snaturata da quella che era la volontà del Legislatore, espressa dal Guardasigilli ed oggi la limitazione di responsabilità alla colpa grave è riferita soltanto alle ipotesi di imperizia, nella soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, con esclusione della imprudenza e della negligenza: in tali casi il medico risponde anche per colpa lieve.

Quando si fa riferimento all’art. 2236 cod. civ. sorge ancora il problema di dare contorni precisi alla

“speciale difficoltà” che è facilmente configurabile nel caso in cui si tratti di un caso non adeguatamente studiato o trattato o su cui vi siano contrastanti opinioni scientifiche ma che non è sempre pacificamente configurabile quando la malattia ha una sintomatologia equivoca, che comporta la possibilità di errori diagnostici e terapeutici o nel caso in cui la sintomatologia è univoca ma vi sono incertezze nella eziologia, con conseguenze sulla terapia da praticare.

Altra differenza è sotto il profilo dell’onere probatorio perché nel caso di responsabilità contrattuale incombe sul medico provare che la prestazione importava problemi tecnici di speciale difficoltà, che l’insuccesso non è dipeso da un suo difetto di diligenza, che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione dovuta a causa a lui non imputabile (1218 cod. civ.).

Secondo una tesi espressa dal Bilancetti, trattandosi di obbligazione di mezzi e non di risultato, l’onere di provare l’inadempimento incomberebbe sempre sull’attore anche in virtù del principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ.

(9)

La responsabilità amministrativa, infine, è di ordine sanzionatorio, erariale o disciplinare.

Nell’ambito della stessa possiamo inquadrare il rapporto tra il medico dipendente e l’amministrazione che è basato su un rapporto di impiego.

Il personale sanitario dipendente beneficia di un doppio privilegio:

-il privilegio degli ex ospedalieri (art. 28, 2°comma dpr 20.12.1979 n. 761) in base al quale l’Amministrazione ha diritto alla rivalsa solo in ipotesi di dolo o colpa grave;

-il privilegio statale ex art. 28, 1°comma dell’art. 28 cit. , in base al quale è esclusa la possibilità di un’azione diretta da parte del danneggiato, in ipotesi di colpa lieve.

Il danneggiato potrà agire contro l’USL ma quest’ultima potrà dedurre la ridotta responsabilità ex art. 2236 cod. civ. .

Quando l’autore del danno biologico sanitario è un pubblico dipendente l’ente può agire in rivalsa per danno erariale (Corte dei Conti) per il danno risarcito, con il limite del privilegio su indicato.

Il problema “economico” viene oggi superato attraverso la stipula di polizze di responsabilità civile, sia, da parte degli enti sanitari, che ormai hanno adeguato i massimali, sia, da parte dei medici stessi.

Gli Enti nei contratti assicurativi rinunziano alla rivalsa nei confronti del sanitario anche in ipotesi di dolo o colpa grave.

Gli assicuratori, in ipotesi di più polizze che garantiscono lo stesso rischio, ripartiscono il rischio stesso sulla base delle indennità previste nei singoli contratti.

Intorno al contenzioso medico-legale ruotano diversi soggetti (i pazienti, i parenti, i medici, i difensori, i giudici) ma, a mio avviso, la vera protagonista è la perizia medico-legale che, secondo una ormai nota definizione, costituisce il “nodo” fondamentale della responsabilità medica, essendo un mezzo insostituibile per l’accertamento della colpa medica.

Ricordiamo a noi stessi che la colpa medica è una colpa c.d. “speciale”: l’attività sanitaria, pur essendo un’attività autorizzata, è un’attività rischiosa perché rischiosa è di per se la malattia.

Il medico si trova a dovere prestare la sua opera su un soggetto malato e la malattia spesso presenta dei rischi che non sempre sono prevedibili e che possono dipendere non solo dalla diversa capacità di reazione del soggetto alla malattia stessa ed alla terapia ma anche dalla capacità della struttura sanitaria dove la malattia viene, per così dire, aggredita.

(10)

Poiché non esistono criteri oggettivi o parametri per la valutazione della colpa ne deriva che spesso, nei giudizi di responsabilità professionale, la colpa medica viene identificata con la colpa lieve, con labili confini rispetto all’errore giustificabile ed al fortuito (A. Fiori).

Non di rado il magistrato, sia in sede civile che in sede penale, deve raggiungere il suo libero convincimento sulla scorta di risultanze che non sempre presentano i caratteri della gravità, della certezza e della concordanza.

La sentenza della S. C. n. 30328/2002, ha enunciato importanti principi di diritto che consentiranno, ove seguiti, di assumere decisioni che anche nel campo della colpa medica possano andare oltre il ragionevole dubbio.

La decisione richiamata, infatti, mettendo fine ad un ventennale contrasto giurisprudenziale, ha sancito che la sussistenza del nesso causale tra l’azione (rectius: la condotta) e l’evento (morte del paziente) non può essere affermata sulla base di coefficienti di probabilità statistica ma deve essere accertata sulla base di un giudizio di alta probabilità logica.

La Sentenza richiamata detta dei criteri per l’accertamento del nesso causale che prima di essere vagliati dal magistrato devono essere conosciuti ed utilizzati dal perito.

La particolarità della perizia, resa nei giudizi di responsabilità medica, risiede nel fatto che il perito non si limita ad eseguire accertamenti di natura tecnica ma deve esprimere una valutazione sulla condotta e, dunque, sulla colpa del medico.

Il perito, infatti, non fornisce al giudicante solo i dati di prova generica e cioè i dati relativi alle cause della morte (autopsia) e alle cause e conseguenze di una lesione ritenuta di possibile origine iatrogena ma procede all’esame dei dati documentali e li confronta con i dati di sua diretta rilevazione, al fine di pervenire ad una ricostruzione eziopatogenetica dei fatti e per valutare la condotta.

Pur se la perizia non rientra tra i mezzi di prova nel caso della ctu avente ad oggetto responsabilità professionale i dati che il perito deve valutare costitui-scono un mezzo per l’accertamento della verità oggettiva.

Trattandosi di materia altamente specialistica, il giudice, pur dovendo procedere al vaglio di tutte le prove raccolte, non può assurgere a peritus peritorum ma deve necessariamente fondare il suo convincimento, in maniera preponderante, sulla perizia medico-legale (si legge ma sembra eccessivo che queste perizie “fanno sentenze”) a cui, generalmente, è rimesso, con espresso quesito, il giudizio sulla colpa: è fondamentale, pertanto, osserva sempre il Fiori in una recente

(11)

pubblicazione, che il libero convincimento del giudice non si basi sul libero convincimento del perito.

Ne deriva la necessità che la scelta del perito-consulente cada su soggetti esperti, dotati di quella criteriologia medico-legale che implica la conoscenza della specificità dei problemi inerenti la colpa penale e civile.

La perizia medico-legale richiede una vasta competenza e cioè la conoscenza delle basi culturali medico-chirurgiche, delle indicazioni diagnostiche e terapeutiche, delle tecniche aggiornate di diagnosi, delle terapie, delle frequenti complicanze, degli errori scusabili e di quelli inescusabili, degli aspetti giuridici penali e civili che non possono essere conosciuti solo approssimativamente, presupponendo chiare conoscenze anche dottrinali e giurisprudenziali.

La necessità di un’alta specializzazione nel campo della responsabilità medica e soprattutto la necessità di una ricerca scientifica interdisciplinare è ormai un’esigenza largamente avvertita nel nostro Paese.

Ben sappiamo che in Italia, a differenza degli USA e degli altri paesi europei, non esiste una normativa ad hoc sulla responsabilità medica dove il risarcimento del danno è strettamente connesso all’accertamento della responsabilità.

Le leggi speciali sono state, fino ad oggi, poche e di settore, quali quelle per i trapianti di organi, per i trattamenti sanitari obbligatori, per le trasfusioni, per la sperimentazione di farmaci.

L’opportunità di una riforma nel campo della responsabilità medica è ampiamente sentita anche in Italia: si pensi che il primo progetto di legge Vassalli risale al 1973, il successivo (Vassalli- Pagliaro) al 1988.

Il recente (2001) Disegno di Legge n. 108 sul Nuovo Ordinamento Sanitario, presentato dal Senatore Tomassini, che affronta proprio il tema della responsabilità medica con la previsione dell’assicurazione obbligatoria per le strutture sanitarie, il ricorso all’arbitrato in ipotesi di malpractice e la costituzione di un Albo di periti qualificati nel campo della responsabilità medica, anche se dovrà fare i conti con il risk management delle Imprese di Assicurazione, si pone in riga con le riforme attuate in Europa in tale campo.

Il nostro pensiero corre direttamente alla recentissima legge francese, la n. 303 del 04.03.2002, che ha sancito l’obbligo della polizza assicurativa per tutti i sanitari, l’obbligo del consenso informato preventivo e l’obbligo di informazione successiva all’atto medico; la costituzione di organi

(12)

Anche la riforma attuata in Italia con L. 273/2002 e succ., che ha stabilito la necessità di introdurre il valore punto per le macroinvalidità, seppure concepita con riferimento al settore RCA, costituisce, a mio avviso, un segnale importante della volontà di dare un assetto normativo alla materia del risarcimento del danno in generale.

La sentenza della Corte di Cassazione n.30328/2002 potrebbe costituire la nuova svolta nell’ambito della responsabilità professionale medica.

Da segnalare la recentissima decisione della S. C. (IV Sez. penale) n. 1354 con la quale è stato affermato che l’accertamento del nesso causale, in ipotesi di condotte omissive, deve essere preceduto dall’accertamento della causa della morte.

Potrebbe sembrare una decisione scontata ed invece non lo è se pensiamo che i giudici di merito avevano proceduto all’accertamento del nesso causale dopo avere accertato (?) la causa della morte con un giudizio di mera probabilità.

Conclusioni.

Molto è stato detto e si potrebbe dire de iure condendo.

Mi permetto tuttavia di concludere, quale operatore di diritto, con delle soluzioni di immediata realizzazione, da me già indicate al Congresso dell’Anmco, tenutosi a Firenze a maggio-giugno 2003 e cioè:

-fare cadere la scelta del perito solo su esperti di settore;

-nei casi più difficili, procedere alla nomina di un collegio composto da un medico-legale e da uno o più specialisti della branca interessata;

-commisurare i premi all’effettivo rischio della prestazione valutabile con la creazione di una banca dati nazionale;

-istituire Commissioni di studio permanenti interdisciplinari per un definitivo assetto della materia.

La partecipazione interdisciplinare, di operatori di diritto, di medici e specialisti, di medici-legali e di esperti assicurativi a questa convention, vuole essere un segnale, e perché no, un contributo per il raggiungimento di un obiettivo comune.

(13)

Voglio congedarmi con una frase del cardiologo Bernard Lown che mi è tornata alla memoria leggendo il titolo di questo convegno:

“Il medico appartiene a due culture: quella dominante è la scienza, l’altra è l’arte di curare che è indispensabile al pieno successo della scienza.

In futuro il dominio della scienza andrà oltre la malattia e la cura ma non sostituirà mai l’arte”.

Riferimenti

Documenti correlati

Così al monitoraggio dei rischi e degli eventi avversi nelle strutture sanitarie, seguirà la raccolta e la fruizione dei dati a livello regionale e nazionale che consentirà

Entro questo ambito, il problema della colpa e della conseguente obbligazione al risarcimento del danno da parte dello specialista medico-legale (ovvero di chi esercita attività

* Ordinario Medicina Legale, Università Padova.. logica, dobbiamo distinguere l'errore dallo sbaglio. L'errore è, per gli studiosi di logica, insito nella relatività della

Entro questo ambito il problema della colpa e della conseguente obbligazione al risarcimento del danno da parte dello specialista medico legale (ovvero di chi esercita attività

Nel richiamare la differenza fra una situazione di urgenza (che richiede priorità programmabile) e quella di emergenza (che invece richiede una immediata

Anzi, a ben vedere, l’odontoiatria è forse una delle branche specialistiche più esposte: vuoi perché il paziente ha alte aspettative anche di tipo estetico,

Quest’ottica interpretativa riconduce alla responsabilità professionale anche il contenzioso che origina da equivoci, ermetismo espositivo o mera disattenzione

In tale contesto si pone la questione della responsabilità che si configura qualora più persone, a titolo diverso, rendano una prestazione che, nella sua globalità, è rivolta