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Dr. Adolfo Martinez Alvarez Baron

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Academic year: 2022

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LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL MEDICO

GINECOLOGO-OSTETRICO PER MANCATA DIAGNOSI DI MALFORMAZIONI DEL NASCITURO;

TENDENZE GIURISPRUDENZIALI Dr. Adolfo Martinez Alvarez Baron*

Introduzione

L'obiettivo di questo intervento è quello di presentare un tipo di fattispecie relativa all'attività professionale del medico ginecologo-ostetrico nel campo della diagnosi prenatale da cui risulterebbe un obbligo di risarcimento che oserei situare nei limiti più estremi dell'evoluzione della responsabilità civile della professione. La fattispecie che desidero esaminare costituisce inoltre un chiaro esempio di come l'aggravamento della responsabilità civile del professionista medico sia collegata con il progresso della scienza medica e con lo sviluppo socio-economico della comunità umana.

Vorrei fare una breve analisi comparativa delle tendenze giurisprudenziali sulla base di una selezione di pronunce giudiziarie recenti in quattro paesi dell'Unione Europea (Germania, Spagna, Italia e Francia) e dell'abbondante casistica proveniente dagli Stati Uniti.

2 Fattispecie dell'illecito

Definiamo prima la fattispecie tipo, oggetto di esame. Si tratta di casi in cui la condotta che si rimprovera al medico consiste nella mancata diagnosi di malformazioni genetiche del nascituro non suscettibili ad oggi di terapia prenatale. In questa ipotesi, la conseguente mancata informazione della gestante preclude soltanto l'esercizio del diritto della stessa ad optare per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i limiti previsti dalla legge. Il supposto così enunciato genericamente presuppone certe condizioni per potersi verificare.

In primo luogo, l'ordinamento giuridico dovrebbe riconoscere il diritto soggettivo della gestante di optare per un'interruzione volontaria della gravidanza nell'ipotesi di gravi malformazioni fetali, sulla base di una regolamentazione secondo termini, indicazioni o ad una combinazione delle due metodologie. Com'è noto, questa facoltà viene riconosciuta in Italia dalla legge 194/78 del 22 Maggio sulla base di una regolamentazione secondo

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indicazioni legate a termini.

In secondo luogo, occorrerebbe l'esistenza di tecniche di diagnosi prenatale che permettano di determinare con un alto grado di sicurezza l'handicap del nascituro in tempo utile per optare per l'intervento abortivo. Un chiaro esempio sarebbe la possibilità di diagnosticare l'alterazione cromosomica origine della sindrome di Down mediante l'analisi del liquido amniotico, tecnica conosciuta come amniocentesi.

Infine, l'impossibilità di una terapia prenatale delle malformazioni che possa ridurre le menomazioni del neonato. Ad oggi infatti le possibilità di intervento sulle malformazioni genetiche tramite terapie intrauterine che la scienza medica offre, sono ridotte. In questo particolare settore, la capacità diagnostica non corrisponde ad una equivalente capacità terapeutica.

Formulata in modo così generico, occorrerebbe una riflessione più approfondita sui diversi elementi che configurano la responsabilità civile del medico nella fattispecie.

2.1 inadempimento dell'obbligazione del medico

Per quanto riguarda il tipo di condotta professionale qualificabile come inadempimento delle obbligazioni dei ginecologo-ostetrico verso la paziente gestante, due sono gli aspetti che vorrei analizzare.

Come prima ipotesi, risulta ovvio che la mancata diligenza nell'effettuazione degli accertamenti diagnostica che, adeguatamente eseguiti, avrebbero rilevato la malformazione del nascituro, costituisce un inadempimento dell'obbligazione del ginecologo-ostretrico derivante dal contratto di opera professionale. Ad esempio, il caso in cui l'indagine ecografica routinaria, effettuata dal medico nel corso del secondo trimestre della gravidanza, non includa la misurazione di tutti gli arti, non rilevando così la presenza di gravi malformazioni osseo-articolari in uno degli arti non misurati (Sentenza del Tribunale di Roma del 13 Dicembre 1994). Oppure il caso dell'analisi di anticorpi dell'infezione rubeolica che, effettuata in modo scorretto durante la gravidanza, non evidenzi il rischio di contagio intrauterino nel nascituro (Sentenze della Cour de Cassation francese del 26 di Marzo del 1996). In questi casi la violazione del dovere d'informazione da parte del medico è il risultato di una non corretta esecuzione dell'attività diagnostica in rapporto agli standards comunemente ammessi nella scienza medica.

In altri casi l'inadempimento si presenta sotto forma di condotta omissiva di per sé

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considerabile come inadempimento immediato del dovere di informazione. Caso paradigmatico è quello del ginecologo che di fronte ad una gestante di 39 anni (Sentenza del Budesgerichthof tedesco del 21 di Novembre 1983) non la ammonisce adeguatamente sul rischio di una anormalità cromosomica del nascituro e non la informa circa la possibilità di praticare un'analisi del liquido amniotico che permetterebbe la diagnosi di un'anomalia cromosomica determinante sindrome di Down. Questa seconda tipologia di inadempimento, definito come una violazione immediata del dovere d'informazione, è quella che offre il maggior potenziale di sviluppo. La questione fondamentale è quella di stabilire il contenuto e soprattutto i limiti del dovere di informazione del medico rispetto alla diagnosi prenatale di eventuali malformazioni genetiche. Ovviamente la valutazione di questo punto è intimamente collegata con il progresso della scienza medica in questo campo. Lo sviluppo di nuove tecniche di diagnosi prenatale ha determinato un'estensione del dovere d'informazione dovuta alla gestante ed una conseguente interpretazione sempre più ampia dello stesso da parte dei tribunali. Questo dovere d'informazione dovrebbe essere eseguibile dal ginecologo-ostetrico indipendentemente dalle convinzioni etiche o religiose dello stesso; in caso contrario la paziente dovrebbe essere affidata ad un altro professionista, come ha ritenuto l'alto tribunale tedesco nella pronuncia precedentemente menzionata.

Per quanto riguarda l'onere della prova, sembra invece rimanere una costante nella giurisprudenza analizzata, anche negli Stati Uniti, il fatto che spetti alla paziente provare la violazione del dovere d'informazione considerato come l'inadempimento colpevole dell'obbligazione.

2.2 Nesso eziologico

Particolarmente interessante nella fattispecie in esame è la questione del nesso eziologico tra l'inadempimento del medico ed il danno che si verifica con la nascita di una persona portatrice di un handicap. Nella nostra ipotesi partiamo dalla premessa che l'handicap di origine genetico non diagnosticato dal medico non è suscettibile di terapia prenatale.

Il primo subtipo di inadempimento, consistente nella non corretta effettuazione degli accertamenti prenatali, che avrebbero potuto evidenziare l'handicap del nascituro, non esiste di solito un rapporto di causalità tra l'errore medico e la genesi delle malformazioni.

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Questo è ancora meno presente nel caso in cui l'inadempimento si verifichi sotto forma di condotta omissiva per mancata informazione sulle possibilità o sulla necessità di effettuare accertamenti diagnostici.

Data l'impossibilità di una terapia prenatale, sembrerebbe anche forzato affermare l'esistenza di un nesso eziologico tra la condotta del ginecologo-ostetrico e l'handicap del neonato. La situazione si presenterebbe in modo diverso considerando lo sviluppo delle tecniche di terapia intrauterine, oggi sconosciute. In questo contesto la mancata diagnosi precluderebbe un eventuale intervento terapeutico in grado di ridurre le conseguenze dell'anomalia fetale.

In ogni caso, nella fattispecie inizialmente definita, sarebbe possibile affermare l'esistenza di un nesso eziologico tra la mancata diagnosi e l'impossibilità per la gestante di optare per un'interruzione volontaria della gravidanza. In altre parole, l'errore medico precluderebbe l'esercizio di un eventuale diritto soggettivo della paziente di optare per un intervento abortivo entro i limiti previsti dalla legge.

A questo punto due aspetti sono di solito oggetto di dibattito nella casistica giudiziaria.

In primo luogo, la possibilità di una diagnosi attendibile, per determinate malformazioni, nella fase iniziale della gravidanza non è possibile. L'inadempimento soltanto potrebbe essere rimproverato al medico nella fase più avanzata in cui la malformazione è accertabile. Nei casi in cui la legge limita alla fase iniziale della gravidanza il diritto di autodeterminazione della gestante rispetto ad un intervento abortivo per motivi eugenetici, verrebbe meno ogni nesso causale tra l'inadempimento e lesione del diritto all'interruzione della gravidanza. Invece, nei casi in cui la norma, che legittima un'eventuale interruzione della gestazione, stabilisce limiti temporali più ampi, sulla premessa d'indicazione terapeutica; cioè, quando l'anormalità del nascituro determini un grave pericolo per la salute fisica o psichica della gestante, si potrebbe ipotizzare un'eventuale diagnosi di malformazione prima della scadenza del termine legale.

Un'altra questione che di solito viene dibattuta davanti ai tribunali è quella di accertare la presunta volontà della madre, o di entrambi genitori, di optare per un intervento abortivo nella ipotesi, non verificata, di essere stati informati dell'handicap del nascituro in tempo utile. Questo come tanti altri è un problema di onere della prova: la giurisprudenza nei paesi più sviluppati sembra propensa ad attenuarlo a favore del paziente-attore,

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oppure, caso della Germania, ad invertirlo, esigendo che sia il medico-convenuto a provare che la paziente, essendo a conoscenza dell'handicap del nascituro in tempo utile, non avrebbe optato per l'intervento abortivo.

2.3 Danno ingiusto e suo risarcimento

Strettamente legato al problema del nesso eziologico è quello di definire quale sia il danno illecito ed il corrispondente risarcimento nella fattispecie del tipo in esame.

La dottrina e giurisprudenza negli Stati Uniti distinguono due categorie di pretesa risarcitoria, in base alla titolarità del diritto di risarcimento preteso. L'azione risarcitoria in proprio dei genitori per la mancata diagnosi che li abbia privati della possibilità di interrompere la gravidanza, è nota come "wrongful birth claim", mentre l'azione risarcitoria del neonato esercitata dai genitori in virtù della patria potestà viene denominata "wrongful life claim". Quest'ultima si basa sull'allegazione, che la condotta negligente del medico avrebbe permesso la nascita di un soggetto portatore di handicap.

Per quanto riguarda la pretesa risarcitoria dei genitori, la giurisprudenza dei paesi in cui la legge permette un intervento abortivo, sembra propensa ad ammettere l'esistenza di un danno ingiusto cagionato ai genitori, come conseguenza della mancata informazione sull'anormalità fetale. Il danno ingiusto si configura di solito come la lesione del diritto di autodeterminazione dei genitori rispetto ad una interruzione volontaria della gravidanza.

Partendo dalla premessa che i genitori avrebbero optato per un intervento abortivo, il danno patrimoniale risultante dai maggiori oneri che gli stessi dovranno sostenere per il mantenimento del figlio handicappato dovrebbe essere risarcito dal medico. La giurisprudenza tedesca risulta particolarmente onerosa su questo punto ed estende l'ambito del danno patrimoniale da risarcire al totale delle spese per la crescita del neonato. Sarebbe anche da risarcire l'eventuale lucro cessante della madre che, a causa della maggiore cura necessaria al bambino, si vede impossibilitata a svolgere una attività lavorativa. In alcuni casi i tribunali hanno anche fissato il risarcimento per il danno immateriale subito dai genitori in conseguenza all'inaspettato esito della nascita. Questo danno si configura come una specie di shock parentale. Tuttavia, questa voce del danno viene riconosciuta in modo più restrittivo, specie nei paesi in cui la giurisprudenza richieda una lesione corporale come presupposto della risarcibilità del danno morale, cosa che non si verifica in questi casi. In Italia, alcuni tribunali di merito hanno invece concesso

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risarcimenti (Sentenza del Tribunale di Bergamo del 16 Novembre 1996) a titolo di danno biologico patito dai genitori sotto il profilo di danno alla vita di relazione.

L'elemento più inquietante in questo scenario è senz'altro la pretesa di risarcimento in proprio del neonato. Qual è il danno ingiusto cagionato al neonato risultante dalla mancata diagnosi della malformazione? La maggior parte delle pronunce hanno rilevato l'assenza di collegamento eziologico tra l'operato del medico e l'handicap del neonato, nei casi in cui l'inadempimento del dovere di informazione si sia verificato a posteriori dall'inizio della gravidanza e l'anormalità congenita non diagnosticata non sia suscettibile di terapia prenatale. A limite, si potrebbe affermare che esista un nesso causale tra l'errore medico e la nascita. A questo punto, i tribunali si sono domandati se la nascita e quindi la vita può essere considerata come danno ingiusto (Sentenza del Tribunale di Milano del 15 Dicembre 1994). Una risposta affermativa presupporrebbe un riconoscimento dall'ordinamento giuridico di un diritto alla non-nascita, di cui sarebbe titolare il nascituro.

La condotta negligente del medico avrebbe lesionato questo ipotizzato diritto del nascituro al non-nascere. Affermare che il nascituro avrebbe il diritto di nascere sano sarebbe insostenibile, dato che l'unica alternativa alla nascita con delle malformazioni sarebbe soltanto quella di non nascere. Seguendo questo tipo di argomentazione, la maggioranza dei tribunali fino ad ora hanno respinto pretese di risarcimento in proprio del neonato.

Solamente un numero ridotto di tribunali negli Stati Uniti hanno concesso risarcimenti a favore dello stesso. Nella maggioranza di questi casi il risarcimento consiste nelle spese addizionali di crescita ed educazione del minore, nei casi in cui in seguito ad una adozione né i genitori biologici né quelli adottivi abbiano visto riconosciuta la loro pretesa di risarcimento.

3 Conclusioni

In conclusione, non sembrerebbe sbagliato affermare che la frequenza delle richieste di risarcimento per mancata diagnosi di anormalità genetiche del nascituro sia in crescita. Il progresso della scienza medica nel campo della diagnosi prenatale risulterebbe un fattore determinante di un aggravamento progressivo del dovere di informazione da parte del ginecologo-ostetrico nei confronti dei futuri genitori. Inoltre, la tendenza unanime nella giurisprudenza esaminata ad interpretare questo dovere in modo estensivo, è accompagnata da una propensione ad estendere l'ambito di protezione delle norme che

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regolano la responsabilità civile, aggravando la responsabilità del professionista medico con effetti indesiderati. Al di là di considerazioni di tipo etico o religioso, lo svolgimento dell'attività del professionista verrebbe gravata di un onere sproporzionato.

Infatti in Nord America, alcuni stati hanno già emesso leggi che escludono la responsabilità civile del prestatore medico per mancata diagnosi delle malformazioni del nascituro. In questi casi risulta ovvio che il legislatore abbia ritenuto necessario proteggere in questo modo l'attività professionale del ginecologo-ostetrico nel campo della diagnosi prenatale, il cui esercizio stava diventando insostenibile per l'incremento delle richieste di risarcimento. In vista delle tendenze osservate nella giurisprudenza, non sarebbe esagerato sostenere che in Europa rischiamo di dover fronteggiare una situazione simile.

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