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BIOMECCANICA: TEORIA (parte 1)

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(1)

BIOMECCANICA: TEORIA (parte 1)

PROVE MECCANICHE Macchine di

prova

Le macchine per le prove meccaniche sono generalmente costituite da una base massiccia, che da stabilità alla macchina, delle colonne strutturali e una traversa. Questi elementi sono sovradimensionati per evitare distorsioni dei risultati dovute alla macchina.

𝜎 = 𝐹

𝐴& 𝜀 =∆𝑙 𝑙&

F applicata dalla cella di carico Dl misurata dal trasduttore

A0 e l0 dal calibro

Le macchine per le prove possono essere ad azionamento meccanico oppure oleopneumatiche e sono diverse in base alla prova che devono svolgere:

- Macchine per trazione o compressione - Macchine biassiali

- Macchine combinate trazione e torsione - Simulatori

´ Il calibro di una macchina misura le aree trasversali e le lunghezze

´ Le macchine si usano generalmente per la caratterizzazione dei tessuti biologici e per testare protesi ed impianti. Prima di essere messi sul mercato i dispositivi biomedicali devono superare prove di resistenza fatica, resistenza statica e test di funzionalità.

Tipi di provini

Le prove si differenziano anche in base al tipo di provino:

- Cilindrico - Piatto

- Cilindrico cavo

´ Tipicamente i provini hanno le estremità più spesse e zigrinate, per permettere alla macchina di agganciarli bene ed impedire lo scivolamento, che comprometterebbe la veridicità dei risultati

Tipi di prove

Esistono diversi tipi di prove meccaniche, che si distinguono in due gruppi, in base al fatto che le forze di inerzia siano o no trascurabili:

a) PROVE STATICHE: - Trazione/compressione

´ Torsione

´ Flessione

b) PROVE DINAMICHE: - Prove cicliche a fatica

´ Prove impulsive

´ Prove viscoelastiche

´ Trazione e compressione fanno variare il volume del provino ma non la forma, perché gli angoli tra le fibre rimangono costanti, mentre la torsione fa variare la forma ma non il volume del provino

(2)

Flessione Prova fatta appoggiando il provino su due rulli e applicando un carico nella mezzeria. La struttura è ipostatica ma è sufficiente perché tutte le forze sono in direzione verticale.

Trazione e

compressione Nelle prove di trazione o compressione il carico viene applicato parallelamente all’asse del provino. In base al comportamento del materiale si distinguono diverse proprietà:

´

Duttile: se il provino attraversa una fase di deformazione plastica irreversibile (punto di snervamento) prima di rompersi; grazie alla fase di deformazione plastica riesce ad assorbire più energia

´

Fragile: si rompe senza deformarsi plasticamente

A seconda dell’energia che i materiali riescono ad assorbire si definiscono altre due pripietà:

´

Resilienza

:

capacità di assorbire energia senza causare danni permanenti, quindi solo durante la fase elastica e non nella deformazione plastica

´ Tenacità: capacità di resistere prima della rottura,

considerando quidni anche la fase plastica (solo per materiali duttili)

𝐸+,,-./01+= 2 𝐸𝜀 𝑑𝜀

45

& =𝐸𝜀67

2 [𝑃𝑎]

´ La tenacità si valuta solo per i materiali duttili, perché nel caso dei materiali fragili coincide con la resilienza

Prove impulsive Il carico viene applicato al provino in modo istantaneo.

Generalmente con queste prove si misura la resilienza di un materiale, quindi solo la fase di deformazione elastica, poiché il carico viene applicato in modo così veloce che il provino non ha tempo di deformarsi plasticamente.

´ Un esempio di prova istantanea è il pendolo di Charpy, costituito da una mazza che accumula diversa energia cinetica a seconda dell’altezza di partenza e la scarica sul provino

(3)

Prove cicliche a

fatica Il provino viene sottoposto a sollecitazioni periodiche inferiori al carico di rottura e si misura dopo quanti cicli il provino si rompe.

Il diagramma di Woehler descrive la probabilità del 50% che il provino si rompa dopo un certo numero N di cicli.

´

La fatica porta alla rottura del provino a causa delle impurità o imperfezioni del materiale, che a lungo andare si ingrandiscono

´ Il diagramma si trova al di sotto dello sforzo a rottura sR e presenta un asintoto orizzontale all’infinito, che rappresenta il numero di cicli che può sopportare prima di rompersi per fatica

Prove

viscoelastiche Un materiale viscoelastico è un materiale il cui comportamento dipende dalla velocità a cui viene applicato il carico. Generalmente all’aumentare della velocità i materiali diventano più rigidi e fragili.

Esistono due tipi di prove viscoelastiche:

1) Rilassamento

Il rilassamento di un materiale è la caduta di tensione a deformazione constante

2) Creep

Deformazione del materiale a carico costante. I materiali viscoelastici non reagisono istantaneamente ma raggiungono la deformazione di regime in un certo tempo.

(4)

Un materiale viscoelastico a regime torna sempre nella condizione di partenza, ma seguendo percorsi diversi, perché la fase di scarico avviene a velocità minore. L’area compresa dalle due curve si chiama area di isteresi e rappresenta l’energia assorbita dal materiale, che diventa energia termica associata a scorrimenti reversibili.

𝜉

>-+?

≥ 𝜉

AB>-+?

( 𝜉 energia specifica )

Prima di fare delle prove sui materiali viscoelastici è necessario un precondizionamento, ovvero bisogna compiere un numero sufficiente di cicli (in genere 7-10 cicli) per far si che le prove risultino sempre uguali, ovvero i cicli di isteresi sottendano sempre le stesse aree. I cicli iniziali invece hanno aree diverse e decrescenti.

𝜉

B

≥ 𝜉

BDE

𝑝𝑒𝑟 𝑛 > 𝑛K

Il precondizionamento è necessario sia prima delle prove di rilassamento sia prima delle prove di creep.

(5)

CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEI TESSUTI BIOLOGICI Comportamento

elastico

Il comportamento elastico di un materiale è un comportamento tale che esiste una legge biunivoca che associa ogni sforzo ad una deformazione. Il comportamento elastico può essere di vario tipo:

§ Elastico lineare: il comportamento segue la legge lineare

𝜎 = 𝐸𝜀

, ovvero c’è Una proporzionalità diretta tra sforzo e deformazione. Si distinguono materiali duttili, che presentano una fase di deformazione plastica non lineare prima di rompersi, e materiali fragili, che si rompono senza deformazione plastica.

§ Elastico non lineare: seguono una legge non lineare ma comunque biunivoca

𝜎 = 𝜎(𝜀)

Elastico lineare Elastico non lineare

´ L’elasticità lineare è generalmente dovuta a variazioni di energia libera, ad esempio variazioni delle distanze degli atomi nel cristallino

´ L’elasticità non lineare è generalmente dovuta a variazioni di entropia irreversibili ed è generalmente associato anche a fenomeni viscoelastici

Comportamento viscoelastico

Il comportamento viscoelastico è tipico di materiali in cui la relazione tra sforzo e deformazione non è strettamente biunivoca, definita una volta per tutte, ma dipende anche dal tempo, ovvero dalla velocità di deformazione del materiale.

I materiali viscoelastici inoltre presentano diversi valori di s in corrispondenza della stessa e a seconda che si provenga da un valore di e superiore o inferiore (carico e scarico sottendono un’area di isteresi).

´ Il comportamento viscoelastico è tipico ad esempio dei polimeri, dovuto alla loro struttura (entaglement) e agli scorrimenti relativi tra le catene polimeriche

´ Tutti i materiali biologici hanno un comportamento viscoelastico, ma per alcuni la parte viscosa è talmente poco influente che possono essere considerati puramente elastici (ad esempio l’elastina). Per valutare le caratteristiche viscoelastiche di un materiale si usano le prove di rilassamento e di creep

´ L’aspetto viscoso comporta scorrimenti interni del materiale, associati ad una produzione di calore

´ Generalmente un materiale viscoelastico ha un modulo elastico crescente all’aumentare della velocità, quindi ad alte velocità è più rigido e fragile

´ Poiché sottendono una certa area di isteresi non nulla devono avere necessariamente un comportamento elastico non lineare

23/10/17

15

Alberto Redaelli

§  il significato di questa area da un punto di vista energe4co è adesso chiaro;

occorre aggiungere che questa area si denomina sovente come area di isteresi; questo termine sta a significare che il comportamento del materiale è dipendente da quanto prima è intervenuto e che in par4colare sono diversi i valori di carico rileva4 per un determinato valore di deformazione a seconda che a questo valore di deformazione si pervenga discendendo da valori di deformazione superiori o salendo da valori di deformazione inferiori Comportamento elastico e viscoelastico

Alberto Redaelli

σ

ε

100 MPa

10%

Comportamento viscoelastico di un legamento

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Reclutamento delle fibre

Il reclutamento è un fenomeno molto importante per le fibre a base di collagene ed elastina (ad esempio il ligamentum nunchae del cavallo). Le fibre, soprattutto quelle di tendini e legamenti, possono avere un comportamento fortemente non lineare, dato dall’unione di due zone quasi lineari: la prima con un basso modulo elastico e la seconda con un modulo elastico molto maggiore.

A partire da fibre con comportamento lineare (collagene ed elastina), si ottiene dunque un comportamento complessivo non lineare. Questo comportamento si può spiegare con il fenomeno del reclutamento, ovvero con la progressiva entrata in azione di filamenti di collagene tesi, che fanno aumentare il modulo elastico e quindi la resistenza della fibra. Il comportamento iniziale invece è caratterizzato dall’utilizzo di elastina e quindi ha un basso modulo elastico.

Il reclutamento si può rappresentare con la seguente legge, dove in corrispondenza dell’allungamento e’ è stata reclutata la porzione dn di fibre:

𝜎 = 𝐸

M>+,10B+

𝜀 + 2 𝐸

4 O->>+PMBM

(𝜀 − 𝜀

R

)𝑑𝑛

&

Considerando la velocità di reclutamento delle fibre 𝑛̇ = 𝑑𝑛/𝑑𝜀′ si può riscrivere la legge in un altro modo e si può descrivere 𝑛̇ con un andamento esponenziale negativo

𝜎 = 𝐸

M>+,10B+

𝜀 + 2 𝐸

4 O->>+PMBM

(𝜀 − 𝜀

R

)𝑛̇𝑑𝜀′

&

𝑛̇ = 𝐴𝜀

R

𝑒

VW4R

Si dimostra però che i due parametri A e B sono dipendenti, in particolare

𝐴 = 𝐵

7, dunque si ottiene la seguente relazione:

𝜎 = 𝐸

M>+,10B+

𝜀 + 2 𝐸

4 O->>+PMBM

(𝜀 − 𝜀

R

)𝐵

7

𝜀

R

𝑒

VW4R

𝑑𝜀′

&

´ Il primo addendo dello sforzo è dato dal contributo dell’elastina, mentre il secondo dal collagene; man mano che n aumenta, quindi vengono reclutate più fibre di collagene, il secondo addendo diventa dominante

´ B è una costante che dipende dalla fibra

´ Al crescere di B la velocità di reclutamento delle fibre si alza e si stringe, ma sottende sempre un’area unitaria, mentre il grafico sforzo-deformazione tende a diventare lineare

(7)

Materiali compositi

I materiali compositi sono materiali in cui si distinguono fasi di materiali diversi. Si possono classificare in materiali con una, due o nessuna direzione preferenziale.

In un materiale composito si distingue una matrice omogenea, in cui sono presenti delle inclusioni di un materiale diverso da quello della matrice.

Il comportamento dei materiali compositi può essere descritto attraverso due modelli, a seconda di come sono disposte le inclusioni rispetto alla forza applicata:

Modello di

Voigt Le inclusioni e la matrice si possono conside-

rare come delle molle in parallelo, perché ciascuna assorbe una parte del carico

⟹ 𝐸 = 𝐸

0

𝑉

0

𝑉 + 𝐸

[

𝑉

[

𝑉 𝐸 = 𝐸

0

𝑉

0

+ 𝐸

[

𝑉

[

´ V* volume specifico, quindi volume dell’inclusione o della matrice diviso per il volume totale

´ Se voglio costruire un materiale molto resistente avendo a disposizione delle inclusioni resistenti (E grande) conviene sfruttare questo modello

Modello di Reuss

Le inclusioni e la matrice si possono conside- rare come delle molle in serie, perché il carico passa prima tutto alla matrice poi tutto all’inclusione

⇒ 𝑉 𝐸 = 𝑉

0

𝐸

0

+ 𝑉

[

𝐸

[

𝐸 = ^ 𝑉

0

𝐸

0

+ 𝑉

[

𝐸

[

_

VE

´ Anche con delle inclusioni molto rigide si ottiene un materiale con E simile a quello della matrice, quindi non conviene usare questo modello se si vuole un materiale resistente

Questi due modelli dimostrano che l’orientamento delle fibre rispetto alla direzione di applicazione del carico è molto importante per le proprietà complessive del materiale.

Il modello di Voigt può essere a lamine o a fibre, distinzione che non esiste per il modello di Reuss; in entrambi i casi si ottengono gli stessi risultati per E.

𝑙&,0+ 𝑙&,[ = 𝑙&

𝐴&,0 = 𝐴&,[= 𝐴&

𝐹0 = 𝐹[ = 𝐹 𝜀0𝑙&,0+ 𝜀[𝑙&,[= 𝜀𝑙&

𝑙&,0= 𝑙&,[= 𝑙&

𝐴&,0+ 𝐴&,[ = 𝐴&

𝐹0+ 𝐹[ = 𝐹 𝜀0 = 𝜀[= 𝜀

(8)

Usura

L’usura dei materiali è un fenomeno di degradazione dei materiali dovuto allo sfregamento relativo tra due superfici scabre (scabrezza).

È un aspetto molto importante nelle applicazioni biomediche perché può causare gravi problemi nell’organismo umano, ad esempio rottura di protesi o infiammazione dovuta alle particelle rilasciate nell’organismo.

L’usura può essere determinata da diversi fattori:

§ Fattori intrinseci: - modulo elastico (resiste alle fratture) - durezza superficiale

- duttilità (appiattisce le scabrezze superficiali) - resistenza a fatica

§ Fattori estrinseci: - agenti corrosivi - agenti lubrificanti - temperatura

§ Fattori di manifattura: - forma dell’oggetto - presenza di cricche

- finitura superficiale (grado di rugosità)

L’usura può essere inoltre di vario tipo:

Abrasione Le imperfezioni dovute alla scabrezza delle superfici si scontrano durante i movimenti relativi e provocano la rottura dei picchi

Adesione Le elevate pressioni e temperature a livello molecolare dovute al contatto tra superfici favoriscono localmente la fusione tra le due superfici, provocandone la rottura quando messe in movimento Fatica Gli urti ripetuti tra i picchi delle superfici, anche se deboli, portano alla

rottura degli stessi

Terzo corpo Una particella estranea si intromette tra le due superfici e provoca usura durante i movimenti; la particella può essere causata dall’usura stessa del materiale (usura causa altra usura)

Forze impulsive

Il modo in cui le forze vengono applicate fa variare le sollecitazioni percepite dal materiale:

Caso quasi statico:

Se le forze vengono applicate in modo quasi statico e aumentano all’aumentare della deformazione si ottiene la definizione di sforzo. In questo caso di parla di deformazione statica

𝜀

,

.

𝜎 = 𝐹 𝐴

Caso impulsivo:

se le forze vengono applicate in modo impulsivo, lo sforzo percepito dal materiale è il doppio di quello del caso statico. In questo caso si ha una deformazione dinamica

𝜀

?

, che sarà il doppio di quella statica.

𝜎 = 2 𝐹

𝐴 𝜀

?

= 2𝜀

,

Questo comportamento è dovuto al fatto che nel caso impulsivo il materiale non riesce ad accumulare subito tutta l’energia fornita, quindi una parte viene trasformata in energia cinetica, che provoca delle oscillazioni continue attorno al valore di sforzo di equilibrio.

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ELEMENTI STRUTTURALI DI BASE

La maggior parte delle sollecitazioni del corpo è a carico di fibre polimeriche (biopolimeri), che sono costituite essenzialmente da proteine che si organizzano a formare catene lineari, fibrille, fibre e infine fasci di fibre.

Le fibre sono generalmente anisotrope, ovvero reagiscono in modo diverso in base alla direzione della sollecitazione; l’anisotropia è legata alla struttura delle fibre

In genere reagiscono meglio a trazione piuttosto che a compressione. Per evitare la compressione le fibre adottano varie strategie (precarico, fasi minerali, legami laterali o diverso orientamento delle fibre).

Gli elementi strutturali che svolgono una funzione fondamentale nel sostegno dei carichi applicati all’organismo sono le proteine (collagene ed elastina), proteoglicani, glicosamminoglicani e la componente minerale (idrossiapatite).

1. COLLAGENE

Il collagene (o tropocollagene) è una proteina strutturale formata da 3 singole catene polipeptidiche avvolte ad a-elica. Le triple eliche stabili hanno poi la capacità di assemblarsi a formare microfibrille, fibrille e poi fibre.

Le catene a sono costituite da glicina, legata ad altri due amminoacidi X e Y, generalmente prolina ed idrossiprolina. La glicina è fondamentale per la struttura ad elica perché essendo l’amminoacido più piccolo del corpo si interpone tra gli altri amminoacidi ciclici e forma gli avvolgimenti dell’elica.

Struttura: GLICINA – X – Y

Le catene a sono di 33 tipi diversi e a seconda delle possibili combinazioni si ottengono 19 diversi tipi di collagene: i diversi tipi hanno proprietà diverse dovute al diverso modo in cui le catene si organizzano. I tipi più importanti di collagene (I, II, III) sono di tipo fibrillare, mentre il collagene di tipo IV è quello della membrana basale.

Collagene fibrillare

Tipo Struttura Lunghezza Funzione

Tipo I [a1(I)2]a2(I) a1(I)3

300 nm Tutti i tessuti connettivi

Tipo II a1(II)3 300 nm Cartilagine

Collagene della membrana basale

Tipo Struttura Lunghezza Funzione

Tipo IV Varia 350 nm Membrana basale

Nella struttura il pedice arabo indica quante catene

a

di quel tipo sono presenti mentre il numero romano tra parentesi indica il tipo di collagene. Le molecole di collagene con tre catene uguali si dicono omotrimere, mentre con catene diverse tra loro eterotrimere. La maggior parte del collagene di tipo I è eterotrimero (95%).

Le catene a sono legate tra loro da legami idrogeno, ma anche legami covalenti e cross-link.

(10)

2. ELASTINA

L’elastina è una fibra elastica con una struttura globulare apparentemente molto disordinata: quando però viene tesa le fibre si orientano tutte nella stessa direzione.

Anche la glicina è composta da catene amminoacidiche, soprattutto da glicina; gli amminoacidi delle catene però non sono disposti in modo regolare (disordine).

L’elastina ha un’elasticità entropica reversibile, perché dopo essere stata tesa ritorna nella condizione iniziale disordinata aumentando l’entropia e senza spendere energia (senza generazione di calore)

L’elastina è la struttura che conferisce elasticità ai tessuti grazie alla sua iniziale configurazione casuale, che permette di essere ripristinata senza spendere energia (ritorno elastico solo grazie alla tendenza a tornare alla configurazione disordinata aumentando l’entropia)

3. GLICOSAMMINOGLICANI (GAGs)

Sono carboidrati costituiti da un numero variabile di unità di disaccaridi.

Si dividono in due categorie:

1) GAGs solfatati: i disaccaridi subiscono una solfatazione e si legano a gruppi SO3- e si possono legare covalentemente ad altre strutture proteiche per formare i proteoglicani.

2) Acido ialuronico: non subiscono alcuna solfatazione e non si legano covalentemente a proteine;

inoltre hanno generalmente catene di disaccaridi molto più lunghe, che costituiscono il corpo centrale degli ialuronani.

4. PROTEOGLICANI

Sono strutture (glicoproteine) formate da una proteina centrale legata covalentemente a numerosi GAGs solfatati, che formano la matrice amorfa nella quale sono contenute le fibre di collagene ed elastina.

I proteoglicani conferiscono viscosità ai tessuti, rallentandone la velocità di deformazione.

A seconda di quante catene di GAGs sono legate alla proteina centrale, i proteoglicani di dividono in:

a) PG a basso peso molecolare: ad esempio decorina e biglicano

b) PG ad alto peso molecolare: servono come riempitivo nella pelle e nelle cartilagini e sono ad esempio gli aggrecani e i versicani

c) PG ad altissimo peso molecolare: ad esempio gli ialuronani, che sono PG particolari

® IALURONANI

Gli ialuronani non sono costituiti da GAGs solfatati, ma da una molecola di acido ialuronico legata ad aggrecani mediante legami non covalenti ma elettrostatici.

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Proprietà meccaniche delle proteine strutturali Collagene

(tipo I)

Il collagene ha un comportamento elastico non lineare, con modulo di Young di 1GPa, sforzo a rottura tra i 50 e i 100 MPa e deformazione a rottura del 10%.

𝐸 =𝜎

𝜀 = 1 𝐺𝑃𝑎 𝜎6 = 50 ÷ 100 𝑀𝑃𝑎

𝜀6 = 10%

´ In fase di allineamento (sforzi piccoli) il modulo di Young è più basso, mentre nella parte destra del grafico è più grande (la seconda parte ha proprietà meccanice elevate rispetto alla prima parte)

´ Il collagene inoltre ha un comportamento viscoelastico, ovvero la risposta elastica dipende dalla velocità di applicazione del carico: più la velocità è elevata, piùil materiale è rigido

Elastina

L’elastina ha un comportamento elastico quasi lineare. Ha un modulo elastico molto minore di quello del collagene (circa 1/1000), ma ha una deformazione a rottura molto maggiore.

𝐸 =𝜎

𝜀 = 1 𝑀𝑃𝑎 𝜎6 = 1 ÷ 2 𝑀𝑃𝑎 𝜀6 = 100% ÷ 200%

(12)

TESSUTO OSSEO

Il tessuto osseo è il tessuto che compone le 206-210 ossa del corpo umano.

Le ossa hanno diverse funzioni, tra le quali:

- Protezione degli organi

- Finzione strutturale e movimento - Funzione ematopoietica

- Deposito di calcio

In base alla forma delle ossa si classificano ossa lunghe (una dimensione prevale sulle altre), ossa brevi (nessuna direzione prevale sulle altre) e ossa piatte (due dimensioni prevalgono sulla terza).

Struttura dell’osso lungo ¬

COMPONENTI ECM (Matrice Extra Cellulare) NELL’OSSO

® Tra le componenti minerali si trova molto calcio, che costituisce anche uno dei componenti principali delle ossa, ovvero l’idrossiapatite ( Ca10(PO4)6(OH)2 ). L’apatite ( Ca10(PO4)6--) si lega anche ad altri gruppi per formare altre sostanze minerali

® Il collagene presente è di tipo I, come in tutti i tessuti connettivi

® I proteoglicani presenti (decorina e biglicano) hanno la funzione di ordinare la struttura della ECM, facendo disporre i cristalli di idrossiapatite in modo parallelo alle fibre di collagene

® Le glicoproteine invece (osteonectina, fosfatasi alcalina, fibronectina, osteoponina, osteocalcina) hanno un ruolo importante nella mineralizzazione e nell’orientare i cristalli dei minerali lungo le fibre

Le percentuali in peso e in volume delle varie componenti sono diverse, perché queste hanno densità molto diverse. Quando si analizzano i modelli di Voigt e Reuss ad esempio si considerano le percentuali in volume, non in peso.

Le varie componenti donano al tessuto osseo diverse proprietà, che combinate tra loro lo rendono un tessuto con straordinarie proprietà meccaniche di resistenza.

(13)

TIPI DI OSSA

Dal punto di vista della composizione chimica, tutte le ossa sono uguali, può però cambiare il modo in cui le varie componenti si assemblano strutturalmente. Dal punto di vista microstrutturale si distinguono quindi due tipi di ossa:

§ Ossa sugnose o trabecolari: presenta delle cavità che lo rendono poroso; si trova soprattutto nelle ossa brevi, piatte e alle estremità (epifisi) delle ossa lunghe.

Un osso si definisce spugnoso se la sua porosità è >30% e dipende da che carichi l’osso deve sopportare. Le proprietà meccaniche delle ossa spongiose dipendono dal quadrato della porosità: all’aumentare della porosità le proprietà meccaniche decrescono.

§ Ossa compatte o corticali: è privo di cavità macroscopicamente evidenti e costituisce la superficie delle ossa piatte, brevi e lunghe e la parte centrale (diafisi) delle ossa lunghe. Un osso si definisce compatto se la sua porosità è <30%

La densità è uguale per entrambi i tipi, perché sono costituiti dagli stessi componenti. La densità apparente però è diversa, perché tiene conto anche del volume occupato dalle cavità porose.

𝜌i= 𝜌 ∙ (1 − 𝑝𝑜𝑟𝑜𝑠𝑖𝑡à%)

In base alla dimensione e alla disposizione del collagene invece, le ossa vengono classificate in altri due gruppi:

§ Ossa fibrose primarie: le ossa primarie sono tipiche dei bambini, in cui il collagene è presente in fibre di diametro di 5-10 micron. Le fibre sono disposte in modo casuale e ingloba continuamente componenti minerali, disponendole in modo via via più ordinato per formare l’osso secondario

§ Ossa lamellari secondarie: l’osso secondario è l’osso maturo degli adulti, in cui le fibrille di collagene sono disposte in modo ordinato a formare delle lamelle ossee, ciascuna con uno spessore di 15-20 micron. Queste lamelle formano a loro volta strutture cilindriche più complesse, dette osteoni, composti da 8-15 lamelle e con un diametro complessivo di 150-400 micron.

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STRUTTURA DELL’OSSO COMPATTO (lamellare)

L’osso compatto è un tipo di osso lamellare secondario ed è costituito da un insieme di strutture cilindriche, dette osteoni o sistemi Haversiani, all’interno dei quali scorrono dei vasi sanguigni, detti canali di Havers; le lamelle che costituiscono gli osteoni si dispongono in modo concentrico attorno al canale.

Ci sono poi dei canali sanguigni disposti trasversalmente agli osteoni, detti canali di Wolkmann.

L’osso è poi rivestito da una membrana, detta periostio, che nutre e vascolarizza l’osso. Il periostio è connesso alla parte esterna dell’osso tramite le fibre di Sharpey, che sono fibre (non fibrille) di collagene poste in modo perpendicolare alle superfici di osso e periostio.

La struttura cilindrica degli osteoni ha però il difetto di lasciare degli spazi vuoti tra un cilindro e l’altro. Questi spazi vengono riempiti da vecchi osteoni (lamelle interstiziali e circonferenziali), che sono cementati a quelli nuovi attraverso uno strato di proteoglicani (linea di cementazione).

Osteoni

Gli osteoni sono costituiti da 8-20 lamelle, fatte di collagene di tipo I e idrossiapatite.

Nell’osteone si alternano lamelle spesse ricche di minerali e lamelle più sottili e povere di minerali ma ricche di collagene; questa struttura conferisce notevoli proprietà di resistenza meccanica perché le fibre sottili sono elastiche grazie al collagene, mentre quelle spesse resistenti grazie ai cristalli minerali.

Il diametro di un osteone è di 150-400 micron, mentre quello del canale di Havers contenuto al suo interno è di circa 50 micron.

Gli osteoni sono delimitati da una linea di cementazione, costituita da proteoglicani, che interrompe i canalicoli.

Tra le lamelle disposte concentricamente si trovano delle lacune, collegate tra loro da molti sottili canalicoli, che si diramano in direzione radiale verso l’esterno e fungono da canali per il trasporto di informazioni e sostanze nutritive. Queste strutture servono come alloggiamento degli osteociti.

STRUTTURA DELL’OSSO SPONGIOSO (lamellare)

L’osso spongioso è un particolare tipo di osso lamellare, costituito anch’esso da lamelle concentriche contenenti lacune, ma senza canale di Havers. Le lamelle sono orientate a formare una travatura reticolare orientata verso una certa direzione, che ottimizza il rapporto tra peso e carico sopportato.

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CELLULE DEL TESSUTO OSSEO

Il tessuto osseo è costituito da diversi tipi di cellule, che svolgono funzioni importanti nella risposta alle sollecitazioni meccaniche (minimizzazione degli sforzi con minimo e volume peso possibile) e nella rigenerazione ossea. Queste cellule si distinguono in 4 varietà:

1. Osteociti

Cellule di origine mesenchimale (tipi di cellule staminali) con forma lenticolare bicovessa e diametro di circa 20 micron. Il corpo degli osteociti si trova nelle lacune tra una lamella e l’altra degli osteoni, hanno poi numerosi prolungamenti, che attraversano i canalicoli e si connettono a tutti gli altri osteociti dell’osteone, permettendo il passaggio di sostanze nutritive e informazioni.

Insieme agli osteoblasti e ai preosteoblasti sono deputati alla ricostruzione ossea e grazie alla rete di interconnessione servono anche ad individuare e segnalare microfratture o difetti che vanno riparati alle altre cellule.

2. Cellule di rivestimento (o preosteoblasti)

Sono cellule di origine mesenchimale con forma cuboidale e dimensione di circa 20 micron. Si trovano nella superficie esterna dell’osso, a contatto con il periostio, e vengono inviate nei punti dove si formano cricche o microfratture, per ricostruire l’osso. I preosteoblasti possono trasformarsi anche in osteoblasti (differenziamento cellulare) e possono secernere fattori di crescita.

3. Osteoblasti

Sono anch’esse cellule di origine mesenchimale, con forma sferoidale della dimensione di circa 20 micron. Hanno funzioni riparative come osteociti e preosteoblasti e quando sono a contatto con le superfici da ricostruire secernono le sostanze che servono per rigenerare l’osso. Queste sostanze vengono sintetizzate e in seguito esocitate dall’osteoblasta sulla superficie e se necessario l’osteoblasta presiede anche alla mineralizzazione della sostanza.

Finita la fase di rigenerazione ossea l’osteoblasta si trasforma in un osteocita, che rimane nell’osso per monitorare e nutrire la parte rigenerata.

4. Osteoclasti

Sono le uniche cellule di origine ematopoietica e non mesenchimale, hanno una dimensione di 100-120 micron e forma sferoidale. Sono le cellule preposte al riassorbimento osseo: vengono trasportati dal sangue nel sito di interesse, si depositano sull’osso e si attivano, iniziando a dissolvere la componente minerale dell’osso e a digerire enzimaticamente quella organica. Riassorbendo il tessuto osseo formano una lacuna (lacuna di Howship), nella quale si depositeranno gli osteoblasti per secernere sostanze e rigenerare il tessuto.

L’attività degli osteoclasti è regolata da fattori ormonali e locali.

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Proprietà meccaniche del tessuto osseo Ossa come

materiali compositi

Il tessuto osseo si può modellizzare come un materiale di Voigt fibroso, con una matrice di collagene e delle inclusioni di idrossiapatite.

𝑉𝑜𝑖𝑔𝑡 𝑓𝑖𝑏𝑟𝑜𝑠𝑜: 𝐸

1-1

= 𝐸

0

𝑉

0

𝑉 + 𝐸

[

𝑉

[

𝑉

Attraverso questo modello si può calcolare la percentuale della sollecitazione sostenuta dalla componente minerale dell’osso, ovvero l’idrossiapatite (44% del volume totale) e dal collagene (40% del volume).

𝐹0?.

𝐹1-1 = 𝐹0?.

𝐹0?.+ 𝐹O->>= 𝐴0?.𝐸0?.

𝐴O->>𝐸O->>+ 𝐴0?.𝐸0?. = 0,987 = 98,7%

´ L’idrossiapatite ha un modulo elastico E=140 GPa, mentre il collagene ha E=2 GPa

´ L’idrossiapatite sostiene il 98% del carico; il collagene non è però inutile, perché serve a rendere più elastico il tessuto e ad assorbire più energia durante gli urti prima della rottura

Materiali elastici lineari isotropi

I materiali con comportamento ideale elastico lineare isotropo sono descritti dalla seguente legge:

𝜀

0w

= 1 + 𝜐

𝐸 𝜎

0w

+ 𝜐

𝐸 (𝜎

EE

+ 𝜎

77

+ 𝜎

yy

)𝛿

0w

Le ossa non possono però essere approssimate sempre a materiali isotropi, poiché la direzione di applicazione del carico incide molto sul comportamento del materiale. si preferisce allora adottare dei modelli trasversalmente isotropi.

´ 𝛿0w è il delta di Dirac e vale 0 se i

¹

j e 1 se i=j

Parametri costitutivi

A seconda che i materiali siano isotropi o anisotropi, il loro comportamento è descritto da un numero diverso di parametri costitutivi tra loro indipendenti.

I parametri che si usano per descrivere il comportamento del materiale non tre, ciascuno dei quali è rappresentato da un tensore tridimensionale, perciò è costituito a sua volta da 9 parametri (alcuni dei quali possono però essere uguali, grazie ad isotropie e simmetrie):

Modulo elastico o

modulo di Young (E) Rappresenta il rapporto tra sforzo e deformazione; si misura in Pascal

𝐸 =𝜎 𝜀 Modulo di Poisson

di comprimibilità (n)

Rappresenta il rapporto tra variazione di diametro e variazione di lunghezza del provino; è un numero puro che vale 0 se il materiale è perfettamente comprimi- bile e 0,5 se è incomprimibile

𝜐 =𝑑𝜙/𝜙&

𝑑𝑙/𝑙&

Modulo elastico

tangenziale (G) è il rapporto tra lo sforzo tangenziale e l’angolo di spostamento rispetto alla condizione di riposo; si misura in Pascal

𝐺 =𝜏 𝛾

(17)

§ Materiali elastici lineari isotropi ® 2 parametri

materiali che rispondono in modo uguale in tutte le direzioni di sollecitazione; il comportamento è univocamente descritto da due parametri, il terzo si può ricavare conoscendo gli altri due

𝐺 = 𝐸

2(1 + 𝜐)

§ Materiali elastici lineari trasversalmente isotropi ® 5 parametri

Materiale con un comportamento diverso in una delle direzioni, mentre nelle altre due direzioni si comporta come un materiale isotropo, assimilabile ad un materiale con una matrice omogenea in cui sono annegate delle fibre aventi una sola direzione preferenziale. I 5 parametri che lo descrivono sono:

𝐸E , 𝐸7 = 𝐸y , 𝐺E , 𝐺7= 𝐺y , 𝜐E= 𝜐7= 𝜐y

§ Materiali elastici lineari ortotropi ® 9 parametri

Materiali assimilabili a una matrice omogenea nella quale sono immersi tre sistemi di fibre, orientate ciascuna in una delle tre direzioni dello spazio. I 9 parametri che ne descrivono il comportamento sono:

𝐸E , 𝐸7 , 𝐸y , 𝐺E , 𝐺7 , 𝐺y , 𝜐E , 𝜐7 , 𝜐y

§ Materiali elastici lineari anisotropi ® 36 parametri

Hanno un comportamento diverso in ogni direzione e nessuno dei parametri che descrive i tensori è uguale, dunque si hanno in totale 36 parametri indipendenti.

Valutazione delle

caratteristiche delle ossa

Esistono diversi metodi per valutare le caratteristiche meccaniche delle ossa, tra le quali:

1. Prove classiche di trazione e compressione

2. Prove acustiche: un’onda acustica viene inviata attraverso l’osso e si calcola la velocità di trasmissione dell’onda; più il materiale è rigido, maggiore è la velocità

3. Prove di nanoindentazione: viene impressa una punta su una piccola superficie di osso e se ne misura la profondità dell’impronta per valutare la rigidezza del materiale

´ Dalle prove acustiche e da quelle di nanoindentazione si ottiene una conferma del fatto che le ossa corticali e trabecolari sono costituite dallo stesso materiale, poiché si ottengono all’incirca gli stessi valori di modulo elastico

´ La prova di trazione e compressione consente di valutare anche la rottura del materiale oltre al modulo elastico, mentre le ultime due prove no perché sono prove non distruttive

Prove

meccaniche di trazione e compressione

Dalle prove meccaniche di trazione e compressione effettuate sui provini di osso (esperimenti di Reilly-Bustein) emerge che le ossa possono essere descritte come un materiale trasversalmente isotropo, nel quale il comportamento in direzione longitudinale e trasversale è diverso.

𝐸

>-BP

= 17 𝐺𝑃𝑎 𝐸

1.+,~

= 11 𝐺𝑃𝑎

´ Altri esperimenti mostrano che l’osso può essere considerato anche ortotropo, ma sono statisticamente meno affidabili dell’esperimento di Railly-Bustein perché condotti su un numero inferiore di provini

´ Sia l’osso corticale sia quello spongioso sono quindi anisotropi, ma per motivi diversi:

l’osso corticale a causa della disposizione degli osteoni, l’osso spongioso a causa dell’orientamento delle trabecole ossee

(18)

Prove

meccaniche a rottura

I comportamenti a rottura in trazione e compressione dell’osso corticale sono diversi per la direzione longitudinale e quella trasversale. Questa volta però i risultati degli esperimenti di Railly-Burstein sono in accordo con altri esperimenti condotti, come quello di Cowin.

´ In entrambe le direzioni in compressione lo sforzo a rottura risulta più alto

´ In direzione longitudinale la deformazione a rottura in compressione è inferiore a quella in trazione (2% e 3%), mentre nella direzione trasversale è maggiore in compressione (2,8% e 0,7%)

´ Non ha senso chiedersi se un materiale resiste meglio in trazione o in compressione, perché bisogna specificare se si parla di resistenza agli sforzi o alle deformazioni; dal punto di vista degli urti invece per vedere dove il materiale resiste meglio bisogna considerare quanta energia assorbe, quindi l’area sottesa dalla curva (energia specifica)

Direzione longitudinale

´ In compressione il comportamento è lineare, mentre in trazione è duttile

´ Passando da trazione a compressione nell’origine la pendenza rimane costate!

´ In direzione longitudinale l’osso resiste meglio agli urti in trazione piuttosto che a compressione, poiché l’area sottesa dal grafico è maggiore (energia specifica assorbita)

O-[€.M,,0-BM =200 ∙ 0,2

2 𝑀𝑃𝑎 = 2 𝑀𝑃𝑎

1.+•0-BM>135 ∙ 0,03

2 𝑀𝑃𝑎 = 2 𝑀𝑃𝑎

In trazione area approssimata a quella di un triangolo, quindi sottostimata

Direzione trasversale

´ In direzione trasversale l’osso resiste meglio gli urti in compressione piuttosto che a trazione, poiché l’area sottesa dal grafico è maggiore (energia specifica assorbita)

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Fattori che influenzano le proprietà

Le proprietà meccaniche del tessuto osseo sono influenzate da diversi fattori:

1. Età del soggetto

Con l’avanzamento dell’età del soggetto le ossa diventano meno elastiche e più fragili

2. Sesso

Le ossa dei soggetti maschili sono generalmente più resistenti 3. Sede anatomica

Mentre le ossa corticali hanno le stesse proprietà ovunque si trovino nel corpo, le ossa spongiose presentano delle diversità in base alla collocazione anatomica.

Questo può essere dovuto alla differente porosità, ma soprattutto dall’orientamento e dalla disposizione delle trabecole ossee, che determinano notevoli differenze anche a parità di porosità. Dove le ossa sono sollecitate in direzioni varie le travature sono disposte casualmente, mentre dove le sollecitazioni sono orientate le travature sono disposte in modo ordinato.

4. Composizione del tessuto

A seconda della percentuale di idrossiapatite e collagene contenuta nelle ossa variano le proprietà: un osso con molta idrossiapatite sarà molto resistente ma fragile, mentre un osso con molto collagene sarà duttile ed elastico.

In generale si ha un comportamento ottimale quando le due componenti sono ben bilanciate: il collagene preserva la rigida struttura di idrossiapatite dalla possibilità di rottura fragile perché permette un’ottimale distribuzione degli sforzi, mentre la parte minerale impedisce all’osso di deformarsi plasticamente quando sottoposta al carico.

5. Direzione del carico

Come evidenziato dagli esperimenti Railly-Burstein, l’osso ha un comportamento elastico lineare trasversalmente isotropo, quindi ha un comportamento diverso nella direzione longitudinale rispetto alle altre due direzioni.

6. Velocità di deformazione

L’osso come gli altri tessuti biologici ha il comportamento tipico di un materiale viscoelastico, dunque le sue proprietà dipendono dalla velocità di deformazione.

All’aumentare della velocità il comporta- mento elastico appare lineare, con una piccola deformazione plastica e sforzo a rottura superiore ai 30 MPa; a basse velocità invece presenta un’ampia zona di deformazione plastica e deformazioni note- volmente maggiori, ma sforzi a rottura molto inferiori.

7. Condizioni di umidità

L’osso secco ha un modulo elastico più elevato e comportamento lineare, mentre quello umido (condizione fisiologica) ha modulo elastico più basso ma una maggiore adattabilità; l’osso umido è in grado di resistere meglio agli urti, poiché riesce ad assorbire più energia di quello secco.

L’umidità della struttura ossea è garantita dai proteoglicani che avvolgono gli osteoni.

(20)

RIMODELLAMENTO OSSEO

Il rimodellamento osseo è il processo attraverso il quale il tessuto osseo si rigenera continuamente, riparando le cricche e le microfratture che si formano.

Questo processo risponde a due leggi fondamentali frutto del processo evolutivo, note come leggi del rimodellamento di Wolff:

1. Legge generale della trasformazione ossea: ad ogni variazione funzionale corrisponde una variazione architetturale del tessuto

2. Legge traiettoriale dell’osso trabecolare: la distribuzione e l’orientazione delle trabecole ossee dell’osso spongioso si alterano dinamicamente al variare della storia di carico esterna e all’equilibrio l’architettura riflette la storia di carico media a cui quel volume è soggetto

Tali leggi possono essere anche espresse attraverso due principi ingegneristici equivalenti (Roux):

1. Principio dell’adattamento funzionale: adattamento di un organo alla sua funzione attraverso l’adattamento conseguito nell’esecuzione della funzione stessa e nel modificare la sua conformazione

2. Principio del progetto minimax: massima resistenza con l’utilizzo della minore quantità possibile di materiale

il meccanismo di rimodellamento avviene grazie a due processi fondamentali: la deposizione dei materiali che servono a costruire nuovo tessuto e il riassorbimento delle parti di tessuto da eliminare. Questi processi devono essere ben bilanciati tra loro, per non causare problemi (ad esempio se il riassorbimento è maggiore della deposizione si va incontro ad atrofia).

Il modo e la frequenza con cui vengono sollecitate le ossa è fondamentale per questo equilibrio, infatti se le ossa non vengono sollecitate si riassorbono e si indeboliscono. Inoltre le ossa si rimodellano e accrescono la quantità di tessuto nei punti dove vengono maggiormente sollecitate, mentre si riassorbono dove subiscono poche sollecitazioni.

I cambiamenti della forma dell’osso sono detti rimodellamenti esterni, mentre i cambiamenti di porosità, della densità o dell’orientamento delle trabecole rimodellamenti interni.

Processo di guarigione di una frattura:

1. Frattura

Dopo la frattura le cellule circostanti diventano più sensibili e più prolifiche nella generazione di precursori per la riparazione dell’osso

2. Formazione del tessuto molle di granulazione

Nello spazio tra i frammenti di frattura si formano vasi, matrice cellulare e un insieme di cellule che formano un tessuto molle, detto tessuto di granulazione; nel frattempo gli osteoclasti iniziano ad erodere il le superfici dell’osso frammentato.

3. Formazione del callo

Il tessuto di granulazione viene sostituito da una matrice cartilaginea ed osteoide ricca di calcio prodotta dagli osteoblasti. Questa matrice mineralizza (calcifica) e nel giro di qualche settimana produce un callo duro sulla superficie della frattura, visibile ai raggi X. In questa fase le trabecole ossee non sono orientate nel modo ottimale per sorreggere i carichi, ma seguono il flusso ematico.

4. Turn over

Il callo di calcio viene sostituito progressivamente da osteoni orientati secondo le direzioni di sollecitazione, ad opera di osteoclasti ed osteoblasti. Il processo dura 1-4 anni.

5. Rimodellamento esterno

In contemporanea al turn over l’osso subisce un rimodellamento esterno, per recuperare la forma originale.

(21)

MECCANISMI DI MECCANOTRASDUZIONE

I meccanismi di meccanotrasduzione sono i processi mediante il quale l’organismo risponde ad uno stimolo meccanico mediante altri tipi di stimoli, prima elettrici e poi biochimici, attivando i processi di risposta cellulare adeguati.

Nel corso degli anni sono stati proposti diversi modelli che spiegano questi meccanismi:

1. Modello piezoelettrico

Modello che affermava che le ossa sono in grado di produrre segnali elettrici se stimolati meccanicamente con una certa intensità. Questo modello è stato abbandonato poiché è stato dimostrato che tale meccanismo non avviene in condizioni di umidità fisiologica.

2. Trasporto di metaboliti

Modello secondo il quale le deformazioni e i momenti flettenti subiti dagli osteoni provocano dei flussi di sostanze e metaboliti; tale flusso è responsabile dell’apporto di sostanze nutritive e della rimozione dei rifiuti metabolici in certe parti dell’osso, promuovendo così il rimodellamento.

Anche questo modello è stato superato per spiegare il rimodellamento nel complesso, anche si ipotizza che l’assenza di trasporto di metaboliti (e quindi di nutrienti) giochi un ruolo nella fase di riassorbimento osseo.

3. Modello meccanostatico (range di deformazioni)

Esiste un range di valori di deformazione all’interno del quale si ha omeostasi, ovvero il processo di assorbimento è in equilibrio con quello di crescita ossea; al di sotto di tale range vi è solo riassorbimento, mentre al di sopra solo crescita, fino ad un certo limite di rottura. Questo modello non spiega l’origine di tali processi, ma solo la meccanica di funzionamento (modello molto ingegneristico).

𝑂𝑚𝑒𝑜𝑠𝑡𝑎𝑠𝑖: 200 𝜇𝑠𝑡𝑟𝑎𝑖𝑛 < 𝜀 < 2500 𝜇𝑠𝑡𝑟𝑎𝑖𝑛 𝑅𝑖𝑎𝑠𝑠𝑜𝑟𝑏𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜: 𝜀 < 200 𝜇𝑠𝑡𝑟𝑎𝑖𝑛

𝐶𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎: 2500 𝜇𝑠𝑡𝑟𝑎𝑖𝑛 < 𝜀 < 5000 𝜇𝑠𝑡𝑟𝑎𝑖𝑛 𝑅𝑜𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎: 𝜀 > 5000 𝜇𝑠𝑡𝑟𝑎𝑖𝑛

µstrain non è un’unità di misura (infatti la deformazione è adimensionale) ma un fattore di scala, che coincide con 10-6. Dunque 200 µstrain corrispondono a 200×10-6, ovvero allo 0,02%

Il limite di questo modello è che non spiega come tali piccolissime deformazioni possano attivare una risposta cellulare, dal momento che le cellule rispondono solo a deformazioni nel range di deformazioni del 1-24% (che coincidono a 10’000-240’000 µstrain).

Per risolvere questo problema serve introdurre un meccanismo che faccia da tramite tra la deformazione ossea e l’attivazione della risposta cellulare.

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4. Effetto elettrocinetico: Stress-Generated Potentials (SGP)

Modello che afferma che la flessione di un osso genera un movimento di ioni, dunque una corrente, che provoca a sua volta una ddp delle cellule del tessuto osseo responsabile dell’attivazione della risposta cellulare.

I dati sperimentali evidenziano che la corrente generata ha un picco iniziale, che si esaurisce in un periodo di 1-2 secondi. Tale decrescita è compatibile solo con l’ipotesi che la corrente scorra in canali dal diametro di 20-60 nm, poiché la resistenza al flusso dipende dalla sezione dei canali.

La corrente non può scorrere nelle porosità tra i cristalli di idrossiapatite (2nm) e nemmeno nei canali di Havers (50µm), perché tali dimensioni non sono compatibili con il rilassamento misurato, ma scorre nei canalicoli, il cui diametro è di 100nm, ma è in parte occupato da proteoglicani (ialuronani legati a versicani) e albumina (7nm), quindi la sezione libera è compatibile con quella ipotizzata di 20-60nm.

Il passaggio della corrente nei canalicoli risolve anche il problema dell’accoppiamento biochimico, poiché in questo modo la corrente passa vicino alle cellule interessate, ovvero gli osteociti presenti nelle lacune, che agiscono da sensori.

5. Sforzi di taglio come effettore

Nuovo modello che a partire dal modello SGP ipotizza che le cellule vengano stimolate non dalla ddp creata dal flusso ionico, ma dallo sforzo di taglio generato da tale flusso sulla membrana cellulare (dunque l’aspetto rilevante è la fluidodinamica e non il fatto che le particelle in movimento siano dotate di carica). Questo modello dunque è compatibile con gli SGP ma ipotizza che essi abbiano solo un effetto marginale o collaterale, ma che il vero motore della meccanotrasduzione siano gli sforzi di taglio.

Si ipotizza che il flusso di particelle sia stazionario con profilo di velocità parabolico. Dette µ viscosità e g il gradiente di velocità lungo il raggio, si definisce sforzo di taglio la seguente quantità:

𝜏 = −𝜇𝑑𝑣Œ

𝑑𝑟 = −𝜇𝛾

Considerando anche la rete di proteoglicani si ottengono sforzi di taglio pari a 1,5-2 Pa, che rientrano nel range di valori che stimolano la risposta biochimica da parte di osteociti e osteoblasti (0,6-6 Pa)

𝑆𝑓𝑜𝑟𝑧𝑖 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖: 1,5𝑃𝑎 < 𝜏 < 2𝑃𝑎 𝑅𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑎 𝑐𝑒𝑙𝑙𝑢𝑙𝑎𝑟𝑒: 0,6𝑃𝑎 < 𝜏 < 6𝑃𝑎

Sforzi di taglio elevati si generano in due condizioni: carichi elevati a basse frequenze (1Hz), ad esempio il cammino, o carichi ridotti ad elevate frequenze (100Hz), ad esempio il mantenimento di una certa postura.

Esperimenti condotti al variare di µ, g e t hanno dimostrato che il fattore che influenza la risposta cellulare è la variazione dello sforzo di taglio t e non delle altre quantità. Tali esperimenti misuravano la reazione cellulare degli osteociti in base alla produzione di ossido nitrico NO.

In questo caso l’accoppiamento biochimico è dato dalla riorganizzazione delle fibre del citoscheletro in stress fibers in risposta allo sforzo di taglio.

(23)

6. Forze di trascinamento e ialuronani

Un ulteriore modello ipotizza che non siano tanto gli sforzi di taglio ad attivare la risposta cellulare, quanto piuttosto le forze di trascinamento associate al flusso. Tali forze infatti sono circa 20 volte maggiori degli sforzi di taglio e deformerebbero la rete di ialuronani presente nei canalicoli, provocando cosi la deformazione del citoscheletro a cui gli ialuronani sono attaccati. Queste deformazioni rientrano nel range dei valori entro i quali si attiva la risposta cellulare.

Questo modello quindi afferma che il vero motore del rimodellamento osseo è la deformazione della rete di ialuronani causata dalle forze di trascinamento. La fortuna di questo modello è che deformazioni ossee fisiologiche, tipicamente di 0,01-0,1%, vengono amplificate secondo il meccanismo descritto e arrivano a valori superiori a 10'000 µstrain, capaci di attivare la risposta cellulare.

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TESSUTO MUSCOLARE

I muscoli sono il motore del movimento, sono circa 600 perché alla maggior parte dei muscoli è associato un antagonista e sono composti da fibre muscolari. I muscoli si dividono in tre categorie:

• Muscolo striato scheletrico (volontario)

• Muscolo striato cardiaco (involontario)

• Muscolo liscio (involontario)

A) MUSCOLO SCHELETRICO

Le fibre muscolari sono composte da filamenti di actina e miosina: la miosina è una delle tre proteine motore del corpo umano e ha come substrato l’actina. Le altre proteine motore sono la chinesina e la dineina, che si trovano sulla tubulina e servono a portare le sostanze dal centro alla periferia del corpo e viceversa.

I filamenti di actina e miosina si dispongono a dare diverse strutture in ordine gerarchico: sarcomeri, miofibrille, fibre e fasci muscolari.

MIOSINA

Esistono 17 tipi diversi di miosina, ma il tipo più presente nelle fibre muscolari è la miosina di tipo II, la cui molecola è lunga circa 160 nm ed è formata da 6 molecole minori a catena:

- 2 catene spesse di avvolgono a formare una superelica che costituisce il corpo centrale (140 nm) - 2 catene sottili chiamate RLC (Regulatory Light Chain) formano le due code, ovvero le diramazioni

della superelica (8 nm)

- 2 catene sottili dette ECL (Essential Light Chain) che formano le teste della miosina (16 nm), composte a loro volta da tre sottostrutture globulari: il collo, il fulcro e il catalytic domain

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La regione più importante della testa della miosina è il catalytic domain, che contiene i siti di legame per l’ATP e per l’actina. Il sito di legame per l’actina si trova nella lower region, mentre quello per l’ATP si trova in profondità nella scissura, ovvero della fessura tra la lower e la upper region.

Quando ATP e actina si legano ai siti di legame nel catalytic domain provocano cambiamento conformazionale della testa della miosina, responsabile del ciclo del passo e quindi della contrazione muscolare.

Le molecole di miosina si uniscono a formare dei filamenti della lunghezza di 1600 nm e diametro di 16 nm, che si combinano poi con i filamenti di actina a formare delle strutture esagonali. I filamenti di miosina hanno un corpo centrale da cui fuoriescono le doppie teste in maniera elicoidale ed estremamente regolare:

ogni 14,3 nm fuoriescono 3 teste equidistanti lungo la sezione, che ruotano ogni volta di 40°, ripetendo quindi la struttura ogni 42,9 nm.

ACTINA

Il monomero dell’actina, la G-Actina, ha una struttura globulare, che si unisce a coppie a forma di manubrio e polimerizza a formare il filamento di actina, ovvero la F-Actina. I monomeri di actina sono ruotati di 30°

l’uno rispetto all’altro e formano un filamento del diametro complessivo di circa 6 nm.

Le zone più dense del filamento sono i siti di legame per la miosina, che si distinguono in siti più grandi e più piccoli: la miosina infatti si attacca prima al sito grande, formando un legame debole, e poi aderisce anche al sito piccolo di un altro monomero, formano un legame forte e sviluppando forza.

Quando la testa è attaccata all’actina con un legame debole forma un angolo di 90°, mentre quando si crea il legame forte si dispone a 45° e sviluppa la spinta.

All’actina sono legate altre due molecole:

• La tropomiosina, che è una proteina filamentosa composta da due a-eliche, che si avvolgono spontaneamente sul filamento di actina e in assenza di calcio nascondono i siti di legame per la miosina

• La troponina (TN), che è una molecola globulare formata da tre domini: uno che ha affinità con l’actina (TNA), uno con il calcio (TNC) e uno con la tropomiosina (TNT)

Quando il calcio arriva nel citoplasma, si lega al dominio TNC della troponina, provocandone una rotazione attorno al dominio TNA, che fa spostare i filamenti di tropomiosina attaccata al dominio TNT e libera i siti di legame della miosina, rendendo così possibile il legame tra le teste di miosina e l’actina (in presenza di ATP).

(26)

CICLO DEL PASSO

Il ciclo del passo, ovvero di adesione della testa di miosina all’actina con conseguente sviluppo di forza, è costituito da 4 passaggi fondamentali:

1. Attacco della testa di miosina

Inizialmente la testa di miosina è staccata dall’actina grazie alla presenza di ATP. Quando l’ATP fosforilizza a dare ADP+P la testa si attacca nuovamente all’actina, formando un angolo di 90°.

2. Generazione del passo

L’ADP e lo ione P vengono rilasciati dalla testa della miosina, che ruota attorno al fulcro generando il passo, fino a formare un angolo di 45° alla fine del passo.

3. Distacco

Un’altra molecola di ATP si lega alla testa di miosina, posizionandosi nella scissura e provocando il cambiamento di configurazione del lower domain (che contiene il sito di legame per l’actina), provocando così il distacco della miosina dall’actina.

4. Corsa di recupero

Dopo il legame con l’ATP e il distacco, la testa recupera un’inclinazione di 90°, che le permette di generare il passo successivo

1. Attacco 2. Passo 3. Distacco 4. Recupero Per la contrazione muscolare sono quindi fondamentali la presenza di calcio, che viene rilasciato solo quando la fibra riceve lo stimolo nervoso, e di ATP, che invece è sempre presente nel citoplasma in condizioni fisiologiche. In assenza di ATP le teste sono saldamente attaccate all’actina e il muscolo si trova in fase di rigor (come ad esempio durante il rigor mortis, quando l’ATP non viene più prodotta mentre il calcio è diffuso nell’organismo).

Metodi sperimentali di misurazione

Per la misurazione del passo e della forza sviluppata da una testa di miosina si possono usare due metodi:

a) Microaghi: un filamento di actina viene vincolato ad un microago, che viene poi avvicinato ad un substrato ricco di miosina. Quando una testa si lega all’actina genera una deformazione dell’ago, dalla quale si possono ricavare i valori di forza e spostamento (conoscendo le caratteristiche meccaniche dell’ago). Si fanno delle ipotesi statistiche sul numero delle teste di miosina che si attaccano e sulla loro orientazione.

b) Trappole ottiche: si usano delle sfere di polistirene rivestite da filamenti di miosina su cui viene focalizzato un raggio laser. Muovendo le trappole ottiche si riesce a catturare un filamento di actina, che viene poi avvicinato ad un substrato ricco di miosina. Quando l’actina si lega alla miosina del substrato, le trappole ottiche s muovono e si può misurare lo spostamento, che coincide con la lunghezza del passo.

® Valori medi misurati (che hanno però notevole dispersione):

𝐹 = 10 𝑝𝑁 𝑝 = 13 𝑛𝑚

Per ottenere le immagini dei filamenti di actina e miosina si usano invece tecniche di microscopia elettronica, come la cryo-TEM, oppure la risonanza magnetica nucleare o la diffrazione a raggi X.

(27)

CINEMATICA DEL PASSO

È possibile ricavare la relazione tra forza generata e passo in ogni istante (il grafico si riferisce alla miosina di tipo II). La forza è massima all’inizio del passo (testa a 90°) e si esaurisce alla fine del passo (testa a 45°).

L’area sottesa al grafico rappresenta l’energia spesa da una testa per compiere il passo, che rappresenta circa il 70% dell’energia che viene fornita dall’ATP.

𝐸

i‘’

= 83 𝑝𝑁𝑛𝑚 , 𝐸

,€M,+

= 58 𝑝𝑁𝑛𝑚

⟹ 𝜂 = 0,7

Per descrivere la cinematica del passo si può introdurre il fattore di utilizzazione r, definito come il rapporto tra il tempo che la miosina spende attaccata all’actina e il tempo totale di un passo.

Considerando il caso in cui le teste lavorano in successione e non in parallelo, per garantire che la continuità del movimento si deve avere un fattore di utilizzazione tale che almeno una testa su n teste presenti sia attaccata all’actina. Il fattor di utilizzazione quindi è un indice del numero di teste usate nel filamento.

𝑟 = 𝜏

-B

𝜏

1-1

→ 𝑟

[0B

= 1

𝑛 = 0,1 ÷ 0,001

In un filamento di miosina ci sono circa 600 teste, ma ogni filamento è diviso in due parti separate da una zona centrale priva di teste, dunque tra ogni filamento di actina e miosina ci sono 300 teste. Di conseguenza per garantire la continuità di movimento si ottiene un fattore di utilizzazione pari a:

𝑟 = 1

300 = 0,003

Il fattore di utilizzazione si può utilizzare anche per calcolare la velocità del passo, il cui valore varia in base allo specifico r utilizzato. Definiamo TATP la velocità con cui viene utilizzata l’ATP durante il movimento, ovvero l’inverso dell’ATPasi, cioè il numero di ATP consumate in un secondo (TATP coincide con il tempo totale del passo).

𝑣

€+,,-

= 𝛿

𝜏

-B

= 𝛿

𝑟 𝑇

i‘’

→ 𝑣

€+,,-

= 10 ÷ 100 𝜇𝑚 𝑠

𝛿 = 12 𝑛𝑚 , 𝑟 = 0,003 , 𝑇i‘’ = 1

20𝑠 → 𝑣€+,,- = 72𝜇𝑚 𝑠

Tra ogni actina e miosina ci sono 300 teste, ma le due teste di una miosina non possono essere mai attive contemporaneamente, di conseguenza si possono avere al più 150 teste attaccate ad un filamento di actina contemporaneamente. Si può allora calcolare la forza generata da un filamento come la forza di una singola testa moltiplicata per il numero di teste attive; la forza massima si ha quando ci sono 150 teste attive, mentre quella minima quando c’è una sola testa attiva:

𝐹

[0B

= 10𝑝𝑁 𝐹

[+Œ

= 10𝑝𝑁 ∙ 150 = 1500𝑝𝑁 = 1,5𝑛𝑁

Le forze che si generano sul filamento sono rivolte in versi opposti e nel complesso si equilibrano, ma l’importante è l’azione risultante sui filamenti di actina, che scorrono verso il centro del sarcomero e ne provocano una contrazione.

(28)

STRUTTURA DELLA FIBRA MUSCOLARE

I filamenti di miosina, della lunghezza di circa 1600 nm, si uniscono in strutture tridimensionali esagonali, intervallate da filamenti di actina, che danno origine all’aspetto striato del muscolo.

Actina e miosina si uniscono a formare i sarcomeri, che a loro volta si uniscono in miofibrille e poi fibre, con un diametro di circa 80 µm. La fibra muscolare è rivestita da una membrana detta sarcolemma, all’interno della quale è presente un reticolo sarcoplasmatico (che ricopre le singole miofibrille) e delle strutture tubolari che formano le tiradi (cisterna + tubulo T + cisterna). I tubuli T sono delle invaginazioni del sarcolemma che penetrano all’interno della fibra.

Il sarcomero

I sarcomeri sono strutture tridimensionali formate da filamenti di actina e miosina interpenetrati e disposti in modo esagonale. Longitudinalmente si distinguono diverse zone:

- Linea M centrale, caratterizzata da soli filamenti di miosina

- Dischi Z, che uniscono i vari filamenti di actina e costituiscono il confine tra un sarcomero e il successivo

- Banda A, delimitata dai filamenti di miosina, che non si contraggono mai (lunghezza costante 1,5µm) - Banda I, formata dalle zone tra una miosina e l’altra; è la zona che si accorcia durante la contrazione,

a seconda di quanto le actine penetrano all’interno della banda A

- Banda H, formata dalla sezione in cui è presente solo miosina e non actina, che si accorcia durante la contrazione

I H I

A

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