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3. Crisi e scarso approccio strategico della gestione del
personale
È bene in un primo momento soffermare l’analisi sugli aspetti di governance122, in quanto il buon funzionamento del governo economico di un’organizzazione, tramite la creazione di un buon sistema di controlli e contrappesi (check and balances) è il cardine per prevenire il manifestarsi di crisi aziendali dovute a comportamenti scorretti di determinati soggetti, inoltre è proprio nelle attività di governo passate che si viene a istaurare il seme per la crisi futura, tramite la carenza di capacità imprenditoriali e manageriali,nonché di risorse umane adatte ad affrontare le nuove sfide competitive. La definizione di crisi qui presa in considerazione123 è in realtà quella che Bertini dà del successo: «un fenomeno interfunzionale ad azione progressiva, e con capacità di crescita direttamente
122 La Corporate Governance può essere definita come un articolato complesso di regole, relazioni ruoli e
funzioni che legano i soci, le strutture di vertice e gli altri attori aziendali, concorrendo a determinare i caratteri di struttura e di funzionamento delle aziende. Essa è il risultato di norme e tradizioni, di comportamenti e consuetudini, generati nei singoli sistemi industriali, nell’ambito delle tradizioni giuridiche e culturali sviluppate nei diversi paesi e che hanno giustificato, sinora, il mantenimento di alcune sostanziali diversità nei modelli di governo e controllo aziendale di fatto adottati. La Corporate Governance può avere una concezione ristretta o allargata. La prima è frutto dell’evoluzione del sistema capitalistico anglosassone definito: “Market oriented o outsider system”, dove si pone un focus sulle modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione (Board of Directors), in quanto principale struttura di Corporate Governance e l’interesse maggiormente considerato è quello degli azionisti (shareholder), categoria di portatori di interessi che ha il diritto di controllo sull’impresa, in quanto proprietari dei diritti residuali sulla redditività. Nella concezione allargata invece si cerca di porre rimedio alla minore attenzione posta dalla concezione ristretta verso le altre categorie di stakeholder, considerando anche gli interessi di questi ultimi. Le imprese devono in primis infatti soddisfare le attese di tutti quei soggetti che apportano un contributo utile allo svolgimento dell’attività economica, ma anche le attese di coloro che sono influenzati (esternalità) o possono influenzare la continuità aziendale. Riprendendo il modello di Coda della Formula Imprenditoriale, l’azienda deve offrire ai diversi interlocutori una proposta progettuale. Il sistema azienda, per operare, richiede corrispettivi monetari, contributi e consensi e offre prospettive e compensi. CODA V.,
La valutazione della formula imprenditoriale, in “Sviluppo e Organizzazione”, n.82, 1984. L’altra
principale differenza nella concezione allargata di Corporate Governance è il considerare, oltre alle strutture e ai meccanismi di governo interni all’impresa, come l’assemblea dei soci, il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale, ove previsto, anche le influenze decisionali date da: il comportamento di istituti esterni, il funzionamento dei mercati in cui l’impresa opera, i valori e le consuetudini che caratterizzano l’ambiente di riferimento, la normativa relativa ai diritti e ai doveri delle diverse categorie di soggetti che ruotano intorno all’impresa.ZATTONI A., Assetti proprietari e corporate governance, Egea, Milano, 2006.
123 La motivazione per cui riteniamo opportuno accettare la definizione di crisi come andamento inverso
del successo è perché sposiamo in pieno l’approccio che ha Garzella nell’affrontare le crisi aziendali, cioè con approccio strategico, quindi proattivo; importante è conoscere il fenomeno, ma non per soffermarci esclusivamente sulle cause, le quali spesso vengono confuse con le manifestazioni della crisi, bensì per riuscire a cambiare verso al fenomeno, grazie a quelle che l’autore definisce potenzialità inespresse. Per un approfondimento sulla definizione delle strategie di risanamento nella loro globalità, si rimanda a: GARZELLA S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle “potenzialità inespresse”. Una “visione
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proporzionato al grado di sistematicità della combinazione produttiva»124, ma con andamento negativo. Questa direzione negativa può indubbiamente essere attivata nel sistema aziendale delle idee, cardine della figura umana all’interno dell’azienda; difatti Guatri scrive: «La decadenza si può manifestare anche nella mancanza di creatività, di innovazioni ardite, di disposizione al rischio, nonché di debolezza degli apparati dedicati alla formazione del personale»125. È nella governance126 delle aziende pubbliche che si può ritrovare lo scarso approccio strategico in generale, il quale sta alla base del fatto che molte di queste aziende si trovano spesso a non sprofondare, grazie alle loro partecipazioni pubbliche, ma difficilmente sono governate in modo ottimale. La governance qui è frutto del fatto che «la nomina dei vertici delle aziende pubbliche è, direttamente o indirettamente, demandata al governo protempore e quindi ai partiti politici che fanno parte della coalizione governativa»127. Questo comporta che la formulazione degli obiettivi da parte del vertice, in realtà è da ricondursi al sistema dei vincoli a cui queste aziende sono sottoposte: vincoli che sono sia legali che politici. Volendo spendere alcune parole sul paradigma strategia-proprietà-governance128, il quale caratterizza le aziende che qui più ci preme analizzare, possiamo osservare che spesso queste organizzazioni sono contraddistinte da una dimensione medio-grande, principalmente per poter riuscire a sfruttare delle economie di scala e di raggio di azione; si pensi all’esempio delle aziende “multiutility”. Come già evidenziato dalle parole del Bertini, queste imprese operano in un regime vincolistico molto elevato, soprattutto se si pensa alle scelte che esse possono fare da un punto di vista di prezzi, qualità dell’offerta, scelte sugli investimenti ecc… Questi vincoli derivano sia dallo stretto legame normativo, sia da scelte squisitamente politiche, che impongono spesso delle limitazioni al già stretto margine decisionale del soggetto economico di queste aziende. La proprietà è di fatto pubblica, nonostante la graduale spinta alla privatizzazione e liberalizzazione avvenuta a partire dagli anni Novanta nel nostro paese. Le aziende pubbliche sono pertanto caratterizzate da una forma di privatizzazione formale, in quanto utilizzano strutture
124BERTINI U.Scritti di Politica aziendale: quarta edizione riveduta ed ampliata, op. cit, pp.95-96 125GUATRI L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano1995 p
126 Si rimanda a BARONI D., Enti locali e aziende di servizi pubblici. Assetti e processi di governance,
Giuffrè, Milano, 2004 per una disamina completa sull’argomento e anche sulle problematiche del governo dei gruppi pubblici.
127 BERTINI U.Scritti di Politica aziendale: quarta edizione riveduta ed ampliata, op. cit, p. 32
128Lo studio del legame che vi è tra queste tre variabili, strettamente interconnesse tra loro, è utile per
delineare al meglio il governo economico di ogni azienda oggetto di studio. Per approfondimenti sul tema e per individuare gli archetipi di aziende che si possono ritrovare negli studi di strategia e politica aziendale si rimanda a: ZATTONI A., Assetti proprietari e corporate governance, op.cit
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societarie di diritto privato (come le società per azioni) e sono sempre più aperte alla partecipazione privata, ma sostanzialmente il controllo rimane in mano ad Enti Statali, come Province, Regioni e Comuni. Le caratteristiche della proprietà e di conseguenza le scelte strategiche, portano all’evidenza problematiche di governance legate, come già ribadito, ad una stretta regolamentazione, che porta ad una bassa discrezionalità e al manifestarsi di opportunismo manageriale. La struttura altamente burocratizzata del contesto comporta un distinguo rilevante sugli obiettivi da conseguire, rispetto a quelli che veramente, per raggiungere risultati gestionali positivi, dovrebbero essere perseguiti. Sul tema, quando Bertini parla del governo delle imprese pubbliche, utilizza parole molto “catastrofiche”: «la sinergia è minima, anzi spesso c’è asinergia (assenteismo, disaffezione, scarso attaccamento al lavoro); l’organizzazione è burocratizzata al massimo; la politicizzazione si manifesta in tutte le sue forme più deteriori (lottizzazione delle cariche, strumentalizzazione a fini partitici o personali); la capacità innovativa è ridotta a zero, anche a causa della mancanza di un accordo tra la gestione interna e quella esterna […] per queste aziende parrebbe quindi preclusa ogni prospettiva di crescita»129. La conclusione a cui giunge Bertini ci induce a pensare che, quindi, non avendo margini di crescita, se non per finanziamenti pubblici a cascata, che “drogano” le gestioni aziendali, la strada per il successo parrebbe preclusa; ciò comporterebbe, data la natura dinamica del fenomeno aziendale, che se la via virtuosa è preclusa, oltre al “galleggiare” intorno al pareggio di esercizio, vi è da intraprendere solo la via del declino. Dal punto di vista dei soggetti posti al governo di tali istituzioni questa eventualità dovrebbe essere limitata però dall’attivazione, all’interno del controllo di gestione, di un organo che faccia capo al controllo dei rischi, che sia esso presieduto dai sindaci, oppure da amministratori preposti.
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3.1 Il fattore uomo nel sistema dei rischi aziendali
Se è vero che la gestione strategica della risorsa uomo porta alla creazione di valore, quindi al successo, possiamo anche affermare il contrario, in quanto il decadimento di ogni risorsa, compresa quella umana, rientra a pieno titolo nel sistema dei rischi che l’azienda deve considerare nel corso della sua vita. Su questo tema Giannini scrive: «In tale prospettiva, a fianco di una programmazione della produzione, si potrà parlare di una corretta programmazione del personale, diretta ad assicurare adeguati contenuti alle forme moderne di professionalità. Capire, valutare, pianificare e, quindi, adattare, promuovere, formare il personale sono tutti elementi che l’azienda moderna deve allora far propri per poter essere in grado di fronteggiare il fenomeno dell’obsolescenza della professionalità che rischia di diventare sensibilmente più grave di quella degli impianti»130. Bertini invece delinea il rischio aziendale su tre punti ben chiari, i quali sono: la certezza che alcuni eventi che influenzano il sistema aziendale non abbiano esito certo; l’evenienza che questi esiti possano arrecare un danno di vario genere al sistema; ed infine, ovviamente, l’impossibilità per il soggetto economico di valutare, con un grado corretto di approssimazione, gli andamenti futuri dell’azienda131. Banale, ma allo stesso molto efficace, risulta essere l’aforisma: “meglio prevenire che curare”, in quanto la gestione dei rischi aziendali, se ben implementata con l’insieme dell’operatività della stessa, ha come compito principale quello di ridurre al minimo l’evenienza che si manifestino eventi, i quali possono arrecare danni che inficerebbero negativamente sulla continuità della gestione. Riprendendo la definizione di crisi da noi accettata, possiamo asserire che il manifestarsi di uno o più di questi eventi dannosi possono, se non preventivamente affrontati o magari respinti tramite una naturale costituzione resiliente del sistema aziendale, attivare un qualche particolare fenomeno negativo. Questi fenomeni si manifestano, inizialmente, dove l’evento dannoso avviene, ma, data la sistematicità dell’azienda, essi diverranno presto a carattere interfunzionale. L’interfunzionalità di un sistema complesso provocherà degli effetti progressivi sulla totalità dell’azienda, aggravando sempre di più la situazione proprio proporzionalmente al grado di sistematicità della combinazione produttiva. La scarsa gestione dei rischi, di
130 GIANNINI M., Le risorse umane come fattore strategico ed organizzativo, op. cit, p. 39 131 BERTINI U. Introduzione allo studio dei rischi nell’economia aziendale, Giuffrè, Milano, 1987
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qualsiasi natura essi siano, può attivare il meccanismo del declino e della crisi132. Secondo Guatri i due fenomeni sono uno la continuazione dell’altro e il primo: «può essere, così, collegato ad una performance negativa in termini di ΔW133, cioè alla “distruzione” di valore; e misurato nella sua intensità dalla entità di tale distruzione in un definito arco temporale (annuale ma anche pluriennale). Deriva da ciò l’idea di declino come distruzione di valore del capitale economico: un’impresa è in declino quando perde valore nel tempo»134. Oltre al fenomeno della diminuzione dei flussi attesi del reddito o della cassa (se il capitale economico è calcolato tramite i flussi finanziari), il capitale economico diminuisce di valore se il tasso di capitalizzazione si accresce, rispecchiando il grado di rischiosità che l’impresa assume nel suo esistere. Infatti «in quanto fenomeno vivente, anche in senso economico, l’azienda rischia in quanto esiste»135. Guatri definisce la crisi come: «la fase conclamata, ed esternamente apparente, del declino»136, quindi i due fenomeni così definiti possono tranquillamente rientrare nell’accezione di crisi accettata da noi semplicemente come andamento inverso del successo. In crisi l’azienda non riesce in tutto, o in parte, a remunerare in modo adeguato le risorse ed i fattori utilizzati, non riesce cioè a raggiungere l’equilibrio economico. Questa situazione è ricondotta al rischio economico generale137; questo tipo di rischiosità è intrinseco nella vita di pressoché ogni azienda, difatti ogni sistema nel corso della propria vita138 può raggiungere una fase terminale, la quale è appunto una fase eventuale dove la crisi si manifesta. Compito del controllo dei rischi è pertanto evitare che la sistematicità degli eventi rischiosi, ma anche della stessa azienda, non funga da zavorra alla combinazione produttiva. Il rischio d’impresa viene espresso, in un linguaggio più consono all’economia aziendale, come variabilità ed incertezza che la combinazione quali-quantitativa di un patrimonio aziendale, quindi della struttura operativa e finanziaria,
132 Interessante è la ricerca fatta da Cavasin e Vavassori sulle politiche relative alle risorse umane attuate
da parte di un campione di aziende nell’affrontare l’inasprirsi della crisi del 2008. CAVASIN S.,VAVASSORI
M., Le politiche delle risorse umane tra crisi e ripresa, in “Sviluppo e Organizzazione” 05-06-07 2011
133 Con ΔW si intende la variazione di capitale economico in un certo periodo. Per sintesi qui esplichiamo
soltanto la formula del metodo reddituale puro: W= R/i dove R rappresenta il reddito annuo normalizzato atteso ed i è il tasso di capitalizzazione, che può assumere varie configurazioni in base alla natura “levered” od “unlevered” della stima in corso di attuazione.
134 GUATRI L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, op.cit. p. 107
135BERTINI U. Introduzione allo studio dei rischi nell’economia aziendale, op.cit. p.109 136 GUATRI L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, op.cit. p. 110
137 Per approfondimenti sul rischio economico generale si rimanda a: BERTINI U. Introduzione allo studio
dei rischi nell’economia aziendale, op.cit.
138 Tipicamente la “vita” istituzionale delle aziende viene suddivisa in più fasi, famosa è la distinzione che
dà Giannessi: fase pre-aziendale, fase istituzionale, fase dinamico-probabilistica e fase terminale. GIANNESSI E., Appunti di economia aziendale, Pacini, Pisa, 1979, p.99
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riesce a generare in un certo lasso di tempo in termini di risultati economici. In sintesi possiamo affermare che la formula imprenditoriale dell’oggi rispecchia perfettamente il grado di rischiosità complessivo che ha l’azienda sotto analisi. Il rischio, frutto anche della stessa sistematicità aziendale, «può essere studiato in considerazione dei diversi interlocutori che gravitano nell’orbita aziendale e della diversa natura che connota le attività aziendali»139. Per salvaguardare la continuità aziendale si pone l’esigenza di attivare dei procedimenti logici e degli strumenti metodologici per poter fronteggiare i rischi. Per gestire al meglio i rischi si deve suddividere la stessa gestione in tre fasi, tipicamente distinte in: individuazione, valutazione e trattamento. La domanda che ci poniamo adesso è quindi quella di capire come si può attuare un processo atto alla gestione del rischio, relativamente al fattore umano. In primis si pone l’attenzione su quali possono essere i rischi, come possono valutati e ponderati, infine si deve scegliere la metodologia, spesso in termini programmatici, squisitamente strategici e gestionali, con la quale trattare questi rischi, cioè ridurne al minimo la probabilità. Il capitale umano, come ogni tipo di capitale, soffre del fenomeno dell’obsolescenza. Il principale rischio è appunto da ricondursi al fatto che il passare del tempo provoca anche, all’insieme delle conoscenze e competenze delle persone, delle forme, che possono persino essere gravi, di obsolescenza; purtroppo questo rischio è difficilmente quantificabile, rimettendo il problema su aspetti prettamente qualitativi. Inoltre c’è da ribadire che la possibilità di fronteggiare le situazioni rischiose non è facilmente attuabile se la crisi aziendale è già in corso, dato che, per raggiungere livelli idonei di qualificazione del capitale umano, occorre sia tempo, sia denaro. Questi ultimi sono proprio i fattori chiave da considerare mentre si affronta una crisi. Ancora una volta quindi si ribadisce come, anche per fronteggiare al meglio situazioni che portano all’attivazione di crisi, la scarsa professionalità dei lavoratori presenti in azienda, a fronte dell’incessante mutare del contesto ambientale, deve essere combattuta tramite l’attivazione di adeguati supporti informativi, al pari di altri tipi di rischio, così da poter continuamente monitorare il grado di competenze acquisite dall’organizzazione rispetto a quelle richieste o che saranno richieste per permettere la continuità aziendale. Per darci un’idea della concezione che vi è sul rischio, che sia economico generale oppure specifico di vario genere, si riporta qui
139Garzella specifica ulteriormente, creando una originale classificazione del sistema dei rischi aziendali,
frutto della sintesi ed unione delle due caratteristiche accennate: la natura delle attività e i diversi interlocutori. Per approfondimenti GARZELLA S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle
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la disamina fatta sull’assunzione dei rischi da Ruffini: «L’inserimento in un sistema sovraordinato ed il quadro delle regole generali ha in effetti determinato in prevalenza una configurazione di azienda pubblica “protetta”, scarsamente responsabilizzata sul piano economico e nelle condizioni di scaricare il rischio su altri livelli del settore pubblico140. […] Ciò implica che gli effetti negativi dell’azione dei singoli enti non necessariamente si riflettono direttamente sui soggetti costituenti l’assetto istituzionale degli stessi, ma possono e normalmente hanno ricadute negative più generali. […] È chiaro che in tale situazione l’unica concezione di rischio che si afferma è quello legato alle responsabilità formali in merito alla correttezza amministrativa degli atti e delle procedure.»141 Questa condizione comporta che spesso l’assunzione del rischio ricada sulla collettività, a seguire ci potrebbero essere conseguenze di tipo politico sul soggetto economico dell’azienda in questione.
140 Su questo tema il caso A.Am.P.S è emblematico, in quanto, a seguito delle scelte del proprietario di
maggioranza (ovvero il Comune di Livorno), l’azienda si dovrebbe ritrovare ad affrontare uno strumento di giustizia tipicamente privato come il concordato preventivo in continuità, assumendosi maggiori rischi aziendali, invece di trasferirli più direttamente sulla collettività. La particolare situazione che lega il concordato ad un’azienda pubblica in Italia raramente si riscontra, in quanto il primo articolo della legge fallimentare esclude dalle procedure concorsuali gli enti pubblici. Però, di fatto, molte delle aziende da questi controllate sono private e svolgono attività commerciale, creando quindi diatriba in giurisprudenza.