• Non ci sono risultati.

Introduzione Con la sua architettura imponente, che domina la piana circostante dalla posizione arroccata sopra un

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Introduzione Con la sua architettura imponente, che domina la piana circostante dalla posizione arroccata sopra un"

Copied!
20
0
0

Testo completo

(1)

Introduzione

Con la sua architettura imponente, che domina la piana circostante dalla posizione arroccata sopra un jebel isolato e di per sé relativamente piccolo, Salut costituisce oggi sicuramente una delle evidenze archeologiche più spettacolari del sudest arabico.

Salut si trova nel cuore dell’Oman settentrionale, a sud della massiccia catena montuosa dell’Al-Hajar che attraversa con andamento sinuoso la regione da sudest a nord-nordovest, andando a formare nella sua estremità settentrionale la penisola di Musandam. Questa penisola, che si protende verso le coste dell’Iran a chiudere il Golfo Persico, rappresenta una punto di importanza strategica fondamentale fin dagli albori dei traffici per via marittima, posto a controllare il passaggio verso le regioni più lontane di tutti i prodotti delle aree affacciate sul Golfo e viceversa. Significativamente, la regione amministrativa (minṭaqah) nel cui territorio si trova il sito, si chiama al-Dākhiliyah, traducibile più o meno come “il centro”, a rispecchiarne la collocazione al cuore della penisola omanita.

Il sito archeologico sorge su una collina alta circa venticinque metri, ai margini della piana fluviale formata dallo wādī (wadi) Sayfham in prossimità del punto in cui questi va a confluire nel più grande wadi Bahla, all’ingresso della città di Bisyah. Il principale centro nelle vicinanze è Bahla, ad una trentina di chilometri verso nord, nella cui circoscrizione (o provincia: wilāya) si trova incluso il sito. Un paio di chilometri in linea d’aria verso est, ma già lungo il corso dello wadi Bahla, sorge il piccolo villaggio di Ad-Dhabi.

(2)

Fino a pochi anni fa, immaginare che la collina di Salut, sulla quale si potevano scorgere solo alcuni tratti murari per il resto completamente sepolti dai materiali derivanti dal loro stesso disfacimento, potesse in realtà ospitare un sito di tale complessità, sarebbe probabilmente stato niente più che un esercizio di wishful thinking. A partire dal 2004 però, data della prima ricognizione sul terreno, l’Università di Pisa, per tramite dei membri dell’Italian Mission to Oman (IMTO) diretti dalla Prof.ssa A. Avanzini, ha iniziato a svelare il vero potenziale archeologico di Salut, con una serie di campagne di scavo che, su base prima annuale e poi, dal 2007, costantemente semestrale, hanno oramai interessato quasi la totalità del sito. Per molti degli ultimi anni le indagini sono inoltre state condotte contestualmente al consolidamento, restauro e ricostruzione delle strutture scavate. L’efficacia e la portata di questi interventi non solo a livello scientifico, ma anche della percezione da parte della comunità locale, è testimoniata dal fatto che le autorità non hanno esitato a definire il sito, nelle indicazioni stradali per raggiungerlo – a dire il vero con una connotazione che tende a riallacciarsi a testimonianze molto più recenti, e che non è pienamente basata sui dati di scavo – “archaeological castle of Salut”.

Le attività dell’IMTO non sono inoltre rimaste circoscritte al sito di Salut vero e proprio, ma si sono sviluppate a comprendere sia lo scavo di altri siti nell’area sia una ripresa della ricognizione della stessa, secondo i modi e le finalità che saranno precisati più avanti. Da ciò è scaturita una ricostruzione delle dinamiche insediative che abbraccia il periodo dall’Età del Bronzo alla Tarda Età del Ferro, seppure con aspetti meno chiari di altri e nella necessità di ulteriori approfondimenti ed indagini mirate.

Le potenzialità per una simile ricostruzione emerse negli ultimi anni rappresentano la ragion d’essere di questo lavoro, unitamente alla possibilità avuta di prendere parte a diverse campagne di scavo e ricognizione a partire dal 2008 e con ulteriori missioni già in programma. L’autore ha partecipato direttamente dal 2008 ad oggi alle campagne di scavo sul sito di Salut come responsabile di determinati settori di scavo, mentre dal 2010 è stato responsabile dello scavo di un vicino sito risalente nella sua prima fase all’Età del Bronzo, denominato ST1. Nel presente lavoro i dati relativi a Salut verranno citati in maniera solamente marginale, in quanto collocati ad uno degli estremi del periodo sul quale si intende focalizzarsi; saranno invece discusse alcune evidenze scoperte sulla stessa collina di Salut ma risalenti all’Età del Bronzo, oltre alle informazioni ricavate da ST1. Verranno

Fig. 2 – Il bacino di drenaggio dello wadi Bahla e del suo affluente wadi Sayfham, in prossimità della cui congiunzione si trova Salut (da Orchard & Orchard 2006: pl. 3).

(3)

inoltre considerati i risultati dell’indagine di una serie di tombe situate nelle vicinanze di Salut scavate dall’IMTO, data la coerenza cronologica e le importanti implicazioni che i risultati di questa indagine comportano proprio riguardo al tema delle dinamiche insediative.

(4)

Ringraziamenti

Sebbene il caso abbia certamente giocato un ruolo fondamentale nella modellazione del percorso che mi ha portato a lavorare in Oman, c’è una persona senza la quale niente di tutto quello che sta alle spalle di questa tesi si sarebbe potuto concretizzare. E’ per questo che il primo sentito ringraziamento va alla Professoressa Alessandra Avanzini che, dopo una prima estemporanea partecipazione allo scavo di Sumhuram, mi ha proposto di continuare a collaborare con la Missione dell’Università di Pisa in Oman, fino ad accordarmi la fiducia della direzione sul campo dello scavo alla torre dell’Età del Bronzo che oggi noi chiamiamo ST1.

Tutte le persone che hanno preso parte alle varie campagne di scavo meritano ugualmente un ringraziamento. Per primo vorrei citare Carl Phillips, che è stato e continua ad essere un prezioso maestro per quel che riguarda l’archeologia non solo della penisola omanita.

Compagne nella vita sullo scavo, Chiara Condoluci ed Alexia Pavan devono essere ringraziate per la collaborazione e tutto il fondamentale lavoro che svolgono all’interno della Missione, sia in Oman che a Pisa.

Rimanendo a Pisa, vorrei ringraziare, assieme a tutte le ragazze che lavorano nel “nostro” ufficio, Irene Rossi, sempre pronta e disponibile a fornire aiuto sulle questioni burocratiche benché sommersa dal proprio lavoro.

Infine, vorrei ricordare tutti gli studenti che hanno partecipato alle campagne di scavo in Oman, dando un prezioso contributo ad un lavoro che è quasi sempre condotto a ritmo serrato. In particolare, Marzia Sasso è stata di grande aiuto nella realizzazione dei disegni della ceramica.

(5)

CAPITOLO 1.

S

ALUT NELL

AMBITO DELL

ARCHEOLOGIA SUDARABICA

1.1.STORIA DELLE INDAGINI ARCHEOLOGICHE NELLA PIANA DI SALUT

L’archeologia del Golfo Persico è un campo disciplinare ancora decisamente giovane, specialmente a confronto con l’interesse per le altre regioni del Vicino Oriente o per l’Egitto: la sua nascita si può infatti datare al 1954, quando una prima spedizione di archeologi danese si trovò invitata a lavorare a Qal’at al Bahrein, nella piccola isola al centro del Golfo1.

In Oman, a parte la piuttosto casuale attività della missione dell’American Foundation for the Study of Man in Dhofar negli anni ’50, le prime ricerche sistematiche iniziarono solo nel 1971, ancora attraverso l’impegno di archeologi danesi, sotto la direzione di Karen Frifelt2. Il Sultanato, sull’onda della nuova apertura politica derivata dalla successione al trono avvenuta l’anno prima, dava in quell’occasione il via all’ingresso di archeologi stranieri, comunque in ritardo di alcuni anni anche rispetto ai vicini Emirati Arabi: qui, nel 1959 erano iniziate le indagini sull’isola di Umm an-Nar che avrebbero fortemente segnato l’archeologia della regione portando alla luce una architettura ed una cultura materiale che fecero di questa località l’eponimo di un intero periodo cronologico3.

La piana di Salut entra quasi subito nella geografia archeologica dell’Oman. La prima segnalazione risale infatti al report della Harvard Archaeological Survey, che nel 1973 esplorò in maniera intensiva la parte centrale dell’Oman settentrionale, una zona a cavallo tra le regioni della Dakhiliyah e della Sharqiyah, individuando una ventina di siti databili al III millennio oltre ad alcuni di epoca più recente, occupati durante il I millennio4; attenzione venne posta anche ai resti di epoca islamica5.

Venne così localizzato nella piana nord di Salut un sito di Età del Bronzo identificato con la sigla BB-16, consistente in una massiccia costruzione realizzata in grandi blocchi di pietra sbozzati che al tempo non mostrava alcun elemento al suo interno6 e che oggi si può riconoscere come una delle tipiche torri che costituiscono il monumento più caratteristico della Prima Età del Bronzo locale. Sul sito non fu recuperata ceramica di superficie e perciò la datazione fu stabilita per associazione con strutture vicine, di morfologia simile, dalle quali invece provenivano collezioni più corpose7.

Poco a sud di BB-16, fu recensita con il nome di BB-15 quella che oggi è la collina sulla quale sorge il sito di Salut8. L’abbondante ceramica di superficie era invece in questo caso già sufficiente ad indicare due principali periodi di occupazione, nettamente

1 Bibby 1969. 2 1975. 3

Thorvildsen 1962; Bibby 1969; Frifelt 1991, 1995.

4 Humpries 1974; Hastings et al. 1975. 5 Whitcomb 1975

6 Humpries 1974: 50. 7

BB-19 e BB-21 (ibid.: 50).

(6)

distinti tra loro: uno nel I millennio a.C.9 ed uno in pieno periodo islamico, nel XIII-XIV secolo10.

A breve distanza di tempo dalla ricognizione effettuata dai membri della missione di Harvard, un altro progetto inglese diretto da Beatrice de Cardi (British Archaeological Expedition), interessò la stessa area, ampliandola al contempo verso Ovest11. Il sito di Salut fu così censito una seconda volta, in questo caso con l’etichetta di “Site 38”, mentre come “Site 39” venne registrata una massiccia struttura circolare con un annesso rettangolare addossato da sud12. Site 39 appare sicuramente simile a BB-16, ma la corrispondenza non è accertabile senza riferimenti più precisi rispetto a quelli pubblicati nel report della Harvard Survey: nelle vicinanze si trova infatti una seconda torre dalla struttura analoga.

Per avere un’identificazione distinta di queste due torri, unitamente ad una terza poco più a sud-ovest, bisogna attendere il lungo lavoro di ricognizione condotto nel corso di svariati anni, a partire dal 1980, dal team della University of Birmingham Archaeological Expedition to the Sultanate of Oman, ora rinominato Hajar Project13. Nelle pubblicazioni relative a questo progetto, il cui numero è in realtà esiguo se correlato al lungo periodo di lavoro, il focus è sempre stato mantenuto sull’Età del Bronzo, mentre niente più che rapidi cenni hanno interessato le evidenze di altro periodo. Pertanto, il sito di Salut non viene mai discusso, mentre si trova per la prima volta la menzione di tre torri dell’Età del Bronzo chiaramente distinte tutte situate nella piana di Salut e identificate come Building 3, 4 e 514. Tra queste, il Building 3 corrisponde al Site 39 della British Archaeological Expedition e potrebbe quindi anche coincidere con BB-16; volendo invece distinguere quest’ultimo, esso potrebbe allora identificarsi col Building 4. Il Building 5 non risulta precedentemente individuato. Se da un lato la cosa sembra strana, visti i grandi blocchi utilizzati per la costruzione di questa torre, dall’altro va detto che solo il corso superiore affiorava dai sedimenti che hanno coperto il reso della struttura e, cosa probabilmente ancor più determinante, questa torre si trova in una zona che, al tempo delle prima due ricognizioni, era probabilmente occupata da una vegetazione molto più fitta di quella attuale, come sembra intuibile da una foto pubblicata all’interno del lavoro di Whitcomb sulla ceramica islamica dall’Oman15.

La missione dell’Università di Birmingham è stata anche quella che ha avviato i primi lavori di scavo archeologico nella piana, concentrati sulle torri dell’Età del Bronzo, mentre alcune tombe sono state indagate in zone non lontane ma esterne all’area che è qui di specifico interesse. Gli scavi hanno interessato in maniera più estesa i Building 3 e 4, mentre sul sito del Building 5 era stata aperta solo una trincea di dimensioni molto

9 ibid. 10

ibid.; Whitcomb 1975: 127.

11 de Cardi et al. 1976: fig. I. 12 ibid.: 164

13 Orchard & Orchard 2002. 14

Orchard & Orchard 2007: pl. 6.

(7)

ridotte a ridosso del muro della torre, verso sud. Niente di questi scavi è stato pubblicato.

La partenza di un progetto di scavo estensivo e con tempistiche rapide nella zona si deve però alla Italian Mission to Oman che, nel 2004, ricevette l’invito da parte dell’Office of H.E. the Adviser to H.M. the Sultan for Cultural Affairs per cominciare le indagini sulla collina di Salut. Dopo una campagna di ricognizione in quello stesso anno, gli scavi iniziarono nel 2005 per continuare fino ad oggi su base prima annuale e poi, dal 2007, semestrale.

Fino al 2010, i lavori dell’IMTO hanno riguardato unicamente il sito di Salut. In seguito, la progettazione di un parco archeologico di rilevante estensione, che vada a comprendere la collina di Salut, la porzione di piana ad essa più vicina e le colline che fronteggiano il sito ad Est, ha spinto la missione ad estendere il suo campo di indagine a tutta l’area, sia a livello di ricognizione sia a livello di nuovi interventi di scavo.

Per quanto riguarda la piana, l’area destinata a divenire parte del parco arriva, stando alla fase progettuale attuale, a racchiudere il Building 5. Per questo motivo, dopo un rilievo preliminare dello stato di fatto, il sito è stato oggetto di campagne di scavo contemporanee a quelle condotte a Salut, con un carattere che si è andato via via delineando come sempre più estensivo sulla base delle richieste dell’Office e delle considerazioni riguardanti l’interesse scientifico, le opportunità per la presentazione al pubblico e le possibilità di conservazione delle strutture antiche che si andavano man mano delineando.

Come per Salut, i lavori su questo sito, che è stato denominato ST1, sono ancora in corso e prevedono ulteriori campagne sul campo.

Diversa è la situazione per quanto riguarda il Jebel Salut, nome con il quale è conosciuta oggi agli abitanti locali la collina che sorge di fronte al sito omonimo. Questo rilievo, come la grande maggioranza di quelli omaniti, è occupato da numerose tombe la cui costruzione si data generalmente all’Età del Bronzo: lo scavo ed il restauro di alcune di queste è stato realizzato in modo da ottenere dati complementari a quelli provenienti dai contesti insediativi indagati a Salut e ad ST1, fornendo al contempo ai visitatori una resa visuale di come doveva apparire in origine la struttura delle tombe. La ripresa di un progetto di minore entità incentrato su una ricognizione della zona è derivata da due istanze concomitanti. La prima era la necessità di delineare in maniera più precisa le persistenze archeologiche che andrebbero a trovarsi incluse nel perimetro del parco in progetto, in modo da valutarne l’integrazione nello stesso e le eventuali necessità di conservazione e valorizzazione. La seconda deriva dall’individuazione fortuita di un sito di Età del Ferro di un certo rilievo edificato su di una piccola altura distante circa due chilometri in linea d’aria da Salut, ma inclusa nel bacino del wadi Bahla, nota come Jebel al-Agma16. Questa localizzazione, conseguenza di una richiesta di controllo archeologico durante i lavori di ripristino di un falaj situato nei pressi del villaggio di Ad-Dhabi, ha reso evidente come nella zona ci potessero essere siti, anche

(8)

cospicui, non conosciuti in letteratura ma di grande importanza nell’ambito di una contestualizzazione di Salut all’interno del tessuto insediativo coevo.

1.2. LA PERIODIZZAZIONE CRONOLOGICA PER L’ARABIA SUDORIENTALE DALL’ETÀ

DEL BRONZO ALL’ETÀ DEL FERRO

Nonostante la sua preminenza dunque, il sito di Salut non rappresenta l’unico fulcro di interesse archeologico dell’area, tantomeno il più antico. Le testimonianze disseminate nell’area coprono infatti un periodo molto ampio, esteso almeno dalla prima metà del III millennio fino ad epoca moderna. Queste evidenze si possono inquadrare nella scansione cronologica stabilita per il sudest arabico in generale, la cui terminologia, si vedrà, presenta una commistione tra derivazioni da siti eponimi e tradizionale sistema delle tre età.

Tutte le colline circostanti al sito si presentano punteggiate da tombe la cui sagoma costituisce la traccia archeologica geograficamente e numericamente più diffusa su tutto il territorio omanita, dove se ne contano decine di migliaia. La datazione di queste tombe, seppur non tutte ovviamente coeve ed in molti casi riutilizzate lungo un ampio arco cronologico, si fa risalire alla fine del IV – inizi del III millennio a.C., ovvero agli inizi della locale Età del Bronzo.

Fig. 4 – un caratteristico allineamento di tombe lungo la cresta di una delle colline prossime a Salut. Questo tipo di monumenti viene genericamente indicato come tombe “Hafit”. (foto C. Condoluci).

Questo periodo viene correntemente indicato come periodo Hafit, grossomodo delimitabile tra 3100 e 2700 a.C. Il termine deriva dalla località, il Jabal Hafit per l’appunto, nella quale vennero scavate le prime tombe di questa tipologia ed il cui tratto peculiare stava nel presentare in alcuni casi, tra i materiali di corredo, del vasellame

(9)
(10)

Fig. 5(pagina precedente) – (A) Pianta ed alzato della tomba 17 sul Jebel Hafit, tipica della tombe poi denominate sulla base del medesimo toponimo (da Frifelt 1970: fig. 8); (B) localizzazione del Jebel Hafit, in prossimità del confine tra Oman ed E.A.U. (modificata da Frifelt 1975: 58); (C) Uno dei vasi Jemdet Nasr che hanno portato alla datazione dell’orizzonte Hafit alla fine del IV millennio (da Frifelt 1970: fig. 17).

chiaramente attribuile all’orizonte Jemdet Nasr, dalla cui presenza deriva peraltro la collocazione cronologica17.

La struttura di queste tombe, erette sopra terra, comprende solitamente uno o più muri concentrici, nella maggior parte dei casi due, che delimitano una camera sepolcrale spesso pavimentata con larghe lastre di pietra e chiusa alla sommità da una falsa volta. Le tombe di tipo Hafit (o cairn tombs) vengono talvolta distinte dalle cosiddette beehive

tombs, i cui elementi strutturali sono i medesimi ma che presentano una fattura

nettamente più regolare, dando un aspetto finale più simile a quello di torrette con un profilo esterno tronco-conico. La cronologia di queste tombe è però corrispondente a quelle delle tombe Hafit, tanto che spesso nell’indicare sepolture non scavate si utilizzano entrambi i termini come alternativi (Hafit / beehive tomb)18. La differenza morfologica sembra difatti poter dipendere in misura principale dalla disponibilità di materia prima: in presenza di affioramenti rocciosi la cui frattura naturale origina blocchi squadrati risulta facile ottenere strutture regolari pur utilizzando la stessa tecnica di costruzione che, nella disponibilità di pietre irregolari, porta a realizzazioni che da lontano rassomigliano a tumuli, ed ancora di più una volta che iniziano a collassare anche solo parzialmente. Va detto però che al momento manca un censimento dettagliato di questi monumenti che sia specificamente correlato al contesto litologico, dal quale provare a derivare la plausibilità di questa considerazione.

Tombe di questa tipologia sono visibili su tutte le colline circostanti Salut ed i resti di due di esse sono stati oltretutto rinvenuti al di sotto delle fasi principali del sito stesso, pertinenti all’Età del Ferro. Lo scavo di queste due tombe e di alcune situate sulla collina che fronteggia a nordest il sito sarà preso in esame più avanti nel presente lavoro.

Verso la metà del III millennio si registra un cambiamento nella morfologia delle sepolture, con un passaggio dalle tombe Hafit / beehive a delle tombe mediamente più ampie, sempre a pianta circolare ed erette sopra terra, caratterizzate però dalla presenza di partizioni interne e da una maggiore regolarità nella realizzazione, che spesso prevede un rivestimento esterno in blocchi calcarei bianchi, perfettamente squadrati e politi. Questa transizione nell’architettura funeraria corrisponde all’affermarsi di un orizzonte di cultura materiale che si diffonde su tutta la penisola omanita e che ha preso il nome del primo e più importante sito la cui indagine ha portato alla sua distinzione: l’isola di Umm an-Nar nell’Emirato di Abu Dhabi19. Di conseguenza, lo stesso termine viene usato per indicare questo tipo di tombe, che si differenzia dalle precedenti anche per la tendenza ad essere collocata in aree pianeggianti e non più sulle alture, anche se

17 cfr. Frifelt 1975. 18

Si veda tra gli altri Bortolini 2013: 354.

(11)

questa notazione non costituisce una regola assoluta. La tipologia delle tombe conosciute ed attribuite al periodo Umm an-Nar non è però limitata al tipo descritto, essendo state scavate anche strutture interrate di varia morfologia20.

Nella piana immediatamente attorno a Salut non sono al momento state individuate tombe di tipo Umm an-Nar; poco più a sudest però, tra il villaggio di ad Dhabi e Bysia, è nota una larga sepoltura a pianta circolare con partizioni interne, interrata ma chiaramente associabile a tale periodo in base alla tecnica muraria, purtroppo rimasta finora inedita a parte brevi cenni21 (una foto è presente in Cleuziou & Tosi 2007: fig. 126, mentre niente è stato pubblicato da parte della University of Birmingham Archaeological Expedition to the Sultanate of Oman che pure condusse lo scavo della tomba, al momento indicandone solamente la posizione su di una mappa inedita e depositata presso il Ministry of Heritage and Culture). Altri leggerissimi dossi circolari rilevabili nelle vicinanze puntano alla possibile presenza di sepolture simili. Da Salut provengono invece alcuni blocchi calcarei squadrati, rinvenuti riutilizzati nelle murature di Età del Ferro od erratici, che comunque rivelano la presenza nell’area di tombe Umm an-Nar comprensive del tipico rivestimento in blocchi detti anche “sugar lumps” per la chiara analogia nell’aspetto.

Tabella 1: Schema cronologico per l’Arabia sudorientale come generalmente accettato (a sinistra) e come proposto dall’IMTO per l’area di Salut e possibilmente per l’Oman centrale

20 Ad esempio la tomba N ad Hili: al-Tikriti & Méry 2000.

21 Una foto è presente in Cleuziou & Tosi 2007: fig. 126, mentre niente è stato pubblicato da parte della

University of Birmingham Archaeological Expedition to the Sultanate of Oman che pure condusse lo scavo della tomba. Attualmente la sua posizione è semplicemente indicata su di una mappa inedita e depositata presso il Ministry of Heritage and Culture.

(12)

Fig. 6 – (A,B) Planimetrie di tombe tipiche del periodo Umm Nar da Bat (A) e dall’isola di Umm an-Nar (B) (da Frifelt 1975: figgs 24 e 25); (C) una veduta della tomba Umm an-an-Nar sotterranea scoperta vicino a Salut (da Cleuziou & Tosi 2007: fig. 126).

La datazione comunemente accettata per il periodo Umm an-Nar copre il periodo 2700/2600 – 2000 a.C. La produzione più caratteristica lungo tutto il periodo è quella ceramica, di qualità mediamente elevata e con influenze rintracciabili nella zona del sudest iranico. A partire dagli ultimi tre secoli del III millennio l’altra classe di manufatti di produzione locale che assumerà grande rilevanza anche nel contesto degli scambi a lunga distanza è invece quella dei vasi in pietra (stone vessels), in precedenza

(13)

presenti come importazione sempre dall’area iranica e centro-asiatica. La discussione di queste classi materiali è lasciata alla sezione riguardante lo scavo del sito di ST1, dove entrambe sono presenti ed indirizzano la datazione del suo primo periodo di frequentazione.

Dopo secoli di relativo conservatorismo nei caratteri generali delle forme, dei decori e degli impasti ceramici, attorno all’inizio del II millennio a.C. si assiste, nuovamente su tutta la penisola, ad un cambiamento piuttosto radicale, esplicitato in particolar modo proprio nella produzione ceramica.

Il nuovo periodo, corrispondente alla Media Età del Bronzo, è più comunemente indicato con il termine di periodo Wadi Suq, ancora una volta derivato dal primo sito in cui la tipologia ceramica associata fu distinta, durante gli scavi di alcune tombe diretti da Karen Frifelt22.

Anche l’architettura funeraria, per tornare all’ambito già considerato per i periodi Hafit ed Umm an-Nar, testimonia la transizione con la scomparsa delle tombe tipiche del periodo precedente. Parlare di un tipo Wadi Suq è però impossibile: il periodo si caratterizza piuttosto per la grande variabilità dei tipi di sepoltura23. Tra queste non è stato peraltro possibile finora stabilire una seriazione interna, anche per il diffuso problema del riutilizzo continuato delle strutture che porta al ritrovamento di corredi incompleti e mischiati tra loro. Si diffonde però ora maggiormente l’uso di sepolture interrate, benché all’interno di strutture erette sopra terra, come ad esempio nella necropoli recentemente indagata ad Adam dalla Mission Archeologique Francaise24. Bisogna sottolineare comunque come molte tombe esternamente indistinguibili da esemplari di III millennio si rivelino di datazione seriore solo a seguito di scavo stratigrafico, e solo nella fortunata eventualità di ritrovare materiali superstiti. E’ questo il caso delle tombe scavate dall’IMTO sul sito di Jabal Salut 2.

L’attenzione alle caratteristiche delle sepolture è ancor più importante per questa fase del II millennio in virtù della estrema scarsità di contesti insediativi conosciuti, tanto che una ipotesi per anni molto accreditata vedeva in questo periodo un ritorno a stili di vita in misura preponderantemente nomade25. Prima dello scavo delle tombe citate, nella piana di Salut si riscontrava la stessa lacuna, senza che alcuna evidenza databile a questo orizzonte fosse venuta alla luce a Salut o ad ST1. Rimane comunque, anche dopo i rinvenimenti recenti, l’enigmatico iato tra documentazione funeraria ed assenza di insediamenti associati, sul quale si tornerà in seguito.

La transizione al periodo successivo, indicato univocamente come Tarda Età del Bronzo, è decisamente meno netta rispetto a quelle descritte finora. Cronologicamente essa viene collocata attorno al 1600 a.C., ed il periodo si protrae all’incirca fin verso il 1300 a.C. L’ipotesi di individuare un ulteriore periodo intermedio tra il Wadi Suq e la Tarda Età del Bronzo è stata inoltre recentemente rigettata26.

22 1975.

23 Tra gli altri, Righetti 2012. 24 Righetti n.d.

25

Cleuziou 1981

(14)

A partire dalla definizione di questa fase si registra una divergenza tra quanto proposto inizialmente per la penisola omanita in generale, e quanto invece riscontrato mediante le indagini condotte nell’area di Salut e nell’Oman centrale in generale.

Materiali attribuibili alla Tarda Età del Bronzo non sono infatti finora stati ritrovati dall’IMTO; al contempo, la datazione iniziale per la costruzione del sito di Salut – pienamente attribuibile alla successiva Età del Ferro in tutti gli aspetti della sua cultura materiale – si può far risalire ad un momento anteriore al 1300 a.C., molto probabilmente almeno al 1400 a.C., con una continuità insediativa che si estende per vari secoli, fino alla seconda metà del I millennio a.C.

Questi estremi cronologici collocano il sito all’interno di quella che è l’Età del Ferro locale, più precisamente la “Early Iron Age”, per come è stata ridefinita proprio dagli archeologi dell’IMTO27, a comprendere i periodi Iron Age I ed Iron Age II della periodizzazione precedentemente in uso, formalizzata a metà degli anni ‘90 da Peter Magee28. In entrambe le periodizzazioni, il successivo momento di passaggio è collocato verso il VI sec. a.C., quando inizia la “Late Iron Age”, o Iron Age III.

Le più recenti indagini indicano che per Salut e l’area circostante tale fase non deve più essere considerata residuale ed in affievolimento come pareva durante i primi scavi, bensì testimonia massicce ristrutturazioni ed ampliamenti del sito ed una frequentazione che prosegue anche in alcuni siti minori dislocati nelle vicinanze29.

Senza bisogno di rigettare la suddivisione in tre fasi per l’Età del Ferro, pare piuttosto sempre più chiaro come ci si trovi di fronte ad una differente evoluzione tra le due aree, l’orizzonte Iron Age I dovendosi restringere a rappresentare una realtà regionale piuttosto che un periodo cronologico univoco e diffuso su tutta la penisola, come peraltro già suggerito da Carl Phillips30 nella discussione dei risultati degli scavi nello wadi al-Qawr e successivamente ribadito da Jurgen Schreiber31 sulla base di un’estesa ricognizione in alcune oasi dell’Oman centrale.

1.3.UNA STORIA SCRITTA DAGLI ALTRI: LE FONTI

La crescente disponibilità di dati archeologici affidabili, provenienti da scavi e ricerche condotte secondo un corretto metodo scientifico, continua a confrontarsi con la più totale assenza di fonti scritte interne alla penisola omanita, di qualsiasi natura.

L’antica società di questa regione rimase infatti per tutta l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro una società illetterata nonostante fosse circondata, ed in intenso contatto con esse, da varie zone dove la scrittura aveva invece trovato le sue prime espressioni, quali la Mesopotamia in primo luogo, ma anche la Valle dell’Indo e l’area elamita nel sudovest iraniano.

27 Phillips 2010. 28 1996.

29 Degli Esposti & Phillips 2012; Condoluci, Degli Esposti & Phillips in preparazione. 30

1998.

(15)

Questo mancato sviluppo di una scrittura appare peraltro contradditorio se messo in relazione con quella complessità sociale che doveva essere stata raggiunta già nell’Età del Bronzo, a giudicare dalla natura delle strutture rinvenute, come si avrà modo di discutere più avanti. In particolar modo, i monumenti tipici dell’Età del Bronzo in tutta la regione, ovvero le imponenti torri, sembrano forzatamente implicare una complessità quantomeno amministrativa, con una necessità di regolamentare l’utilizzo della forza lavoro secondo finalità comunitarie, per lasciare verosimilmente all’iniziativa privata la costruzione delle comuni abitazioni, che forse non a caso sono molto più raramente conservate. D’altra parte, alcuni rari rinvenimenti di sigilli, sia importati che di realizzazione locale, sembrano invece indicare che una qualche forma di riconoscibilità amministrativa fosse comunque impiegata, sempre ammettendo che essi fossero utilizzati coerentemente con la loro funzione primaria e non solamente conservati come begli oggetti esotici.

Il coinvolgimento delle aree affacciate sul Golfo Persico nella rete commerciale messa in piedi dalle popolazioni della Mesopotamia meridionale rimonta almeno alla fine del VI – inizi del V millennio, come testimoniato da tutta una serie di siti costieri nei quali è stata ritrovata in molti casi anche la caratteristica ceramica dipinta di stile Ubaid32. E’ però verso la fine del millennio successivo che la prosecuzione ed il probabile intensificarsi di questi rapporti porta alcuni toponimi riferibili ad aree del Golfo ad entrare nella documentazione scritta mesopotamica.

Le prime attestazioni di un termine riferibile ad una regione del Golfo Persico si ritrovano nei testi pittografici del Tardo Uruk e del Periodo Jemdet Nasr e nei poco più tardi testi cuneiformi da Ur e pre-sargonici. In tutti questi casi si trova menzionato un solo termine, quel “Dilmun” che ricorrerà fino ad epoca Seleucide e che si ritiene potersi riferire, per quest’epoca antica, alla parte orientale dell’Arabia Saudita33. Questa attribuzione si basa sui dati archeologici da tale regione, che mostrano affinità con la cultura materiale del protodinastico mesopotamico. In seguito, il toponimo passerà ad indicare invece l’attuale isola di Bahrein, probabilmente comprendendo anche la stessa terraferma. Tra l’altro, proprio la corrispondenza tra “Tylos”, il nome usato per l’isola nelle fonti greche e romane, e l’Accadico “Tilmun” negli annali di Sargon, portò alla identificazione di Dilmun con l’isola del Golfo Persico già nel 188034. Che questa corrispondenza non si possa però retrodatare al IV millennio pare confermato anche dalla contemporanea assenza sull’isola stessa di evidenze di contatti con la Mesopotamia meridionale.

Tra le prime occorrenze del segno per Dilmun si può ricordare la menzione di un “esattore di Dilmun” nella recensione di una lista di professioni di periodo Uruk IV; al successivo Uruk III rimontano invece altre undici attestazioni, tra le quale è interessante ricordarne tre relative a tessuti ed una che registra l’erogazione di un prodotto caseario ad un ufficiale il cui titolo contiene il nome Dilmun35.

32 cfr. Carter 2006. 33 Potts 1990: 86. 34

Oppert 1880, citato in Potts 1990: 85, nota 105.

(16)

Nel periodo protodinastico, il termine si trova come parte di nomi propri o di professione ed in liste lessicali, con la curiosa testimonianza di difficile interpretazione che ad Ebla, verso la metà del III millennio, era in uso un’unità ponderale chiamata “siclo di Dilmun”. Più interessante è però il suo utilizzo in connessione a certi prodotti, quali il pane di birra, la palma da dattero, il rame e lo stagno.

Nello stesso periodo, le iscrizioni reali di Ur-Nanshe, iniziatore della I dinastia di Ur, vantano il trasporto di legno da costruzione da terre lontane a bordo di navi dilmunite. In questi testi la differenziazione tra il vettore dilmunita e il prodotto, che viene da altre terre più lontane, è espressa chiaramente.

Quest’ultima notazione permette di connotare meglio anche i riferimenti agli altri prodotti “di Dilmun”, in particolare quando si nota che miniere di rame o di stagno non sono presenti nel territorio dilmunita. Si deve pertanto ipotizzare che anche per questi altri beni i commercianti di Dilmun fungessero da intermediari tra le aree di origine e la Mesopotamia, finendo per essere associati a tali prodotti nei testi mesopotamici36. Di particolare interesse qui è sottolineare che una delle aree più ricche in giacimenti di rame della regione è proprio la penisola omanita con il massiccio dell’al-Hajar. Peraltro, la possibilità che rame di origine omanita fosse utilizzato per produrre oggetti nella Mesopotamia meridionale è stata confermata, benché con alcuni margini di dibattito essendoci altre fonti possibili, anche dalle analisi archeometriche37. A confermare i contatti, da quanto detto quindi probabilmente mediati, tra la penisola omanita e la Mesopotamia, stanno del resto quei vasi Jemdet Nasr già citati, rinvenuti nelle sepolture di fine IV – inizi III millennio, che rappresentano la cifra distintiva del cosiddetto periodo Hafit.

Nella seconda metà del III millennio le fonti mesopotamiche iniziano a rivolgere la propria attenzione a due nuovi interlocutori nei traffici a lunga distanza, due terre con facile accesso al mare dalle quali arrivano diversi prodotti. Si tratta di Magan, ricordato per il rame e la diorite ma anche per il legname pregiato, e di Meluhha, che fornisce pietre preziose e semipreziose (lapislazzuli, corniola, calcite), avorio, ed ancora metalli38.

E’ nell’epoca del potente Regno di Akkad, tra il 2350 ed il 2200 a.C. circa, che Magan assume una decisa rilevanza nei testi cuneiformi, in particolare con la famosa iscrizione dell’iniziatore della dinastia, Sargon di Akkad, nella quale egli celebra le sue conquiste e si vanta di avere conquistato il “Mare Inferiore” (probabilmente il Golfo Persico ed il Golfo d’Oman) e di ricevere nei porti della sua capitale Agade/Akkad le navi da Dilmun, Magan e Meluhha39.

Il secondo successore di Sargon, Manishtushu, lascia una testimonianza nella quale il livello dello scontro con le popolazioni di queste terre lontane sembra acuirsi ulteriormente, probabilmente in risposta a dei tentativi di liberarsi del giogo accadico:

36 Lo stesso si può dire riguardo all’avorio, menzionato in un testo più tardo (Oppenheim 1954: 7). 37 Tra gli altri, Berthoud 1979 e Hauptmann et al. 1988 che esprime le prime critiche.

38

Oppenheim 1954: 13; Sollberger 1973: 249; Glassner 1989: 187-189.

(17)

nella sua cosiddetta “Iscrizione Standard” egli infatti afferma di essersi fatto costruire una flotta per attraversare il Mare Inferiore e muovere battaglia contro una coalizione di trentadue città. Il sovrano aggiunge poi che nella terra dei nemici fu in grado di raggiungere le montagne per caverne la “pietra nera” (diorite?) che avrebbe poi trasportato via mare fino ad Agade, utilizzandola per far scolpire una propria statua da dedicare ad Enlil40.

Col figlio di Manishtushu, Naram-Sin, le testimonianze relative alla terra di Magan si fanno più abbondanti, anche se diverse sono pervenute a noi grazie a testi più tardi che ricordano le imprese del re accadico. Il resoconto più completo ci è dato comunque dall’iscrizione originale sulla Statua A di Naram-Sin proveniente da Susa, nella quale, oltre ad enumerare varie sue imprese, si dice che il sovrano ha “sottomesso Magan, e catturato Manitan, ‘signore’ di Magan”, oltre ad avere, come il padre, fatto cavare diorite dalle montagne per poi farne una propria statua una volta tornato ad Agade. Un “Mannu, re di Magan” è poi citato in una lista di condottieri ribelli in un testo Antico Babilonese che riporta dell’ insurrection générale contro Naram-Sin, mentre un testo Neo-Assiro, poi anche in copia Neo-Babilonese, ricorda il sovrano accadico “marciare contro la terra di Magan”, catturarne il re e sottometterlo41. La marcia di Naram-Sin contro Magan e la cattura del suo re Mannudannu sono infine ricordatate in epoca tardo Babilonese nella Cronaca dei primi Re42.

Nonostante queste ripetute citazioni di una clima di forte conflittualità tra il regno di Akkad e la terra di Magan, non mancano testimonianze epigrafiche di contatti di altra natura. Tra questi, è significativo incontrare più volte la menzione di rame in associazione con Magan: due testi economici da Tello ad esempio citano rame portato a palazzo proveniente da Magan, e rame di Magan prelevato da una determinata casa; un testo da Adab invece cita, caso unico, un oggetto finito in bronzo venuto sempre da quella lontana terra43. Nello stesso periodo, il termine compare anche come componente di nomi comuni.

Il nome di Magan continua ad essere presente nelle iscrizioni celebrative anche successivamente al declino della dinastia accadica. Gudea di Lagash (2144-2124 a.C.), analogamente ai sovrani precedenti, si vanta in due iscrizioni di aver soggiogato Magan, oltre a Dilmun e Meluhha. Da Magan, inoltre, gli giungono legname e diorite44.

La cacciata dei Gutei e l’instaurazione del nuovo potere della III dinastia di Ur, col suo fondatore Ur-Nammu (2112-2095 a.C.), non interrompe i contatti tra la Mesopotamia meridionale e la terra di Magan, che anzi si ritrova citata per tutta la durata della dinastia.

Lo stesso Ur-Nammu afferma di aver “ristabilito il commercio con Magan”; il fiorire di questi traffici trova poi conferma in vari testi commerciali anche sotto i suoi successori. Se Shulgi (2094-2047 a.C.) riceve oro dal re di Magan, dunque ripropone la formula del 40 ibid. 41 ibid.: 136-137. 42 Glassner 1989:184-185. 43 Potts 1990: 137. 44 ibid.: 142.

(18)

tributo da parte di notabili verosimilmente sottomessi e sembra peraltro organizzare una spedizione militare contro la stessa Magan, al più tardo regno di Ibbi-Sin (2028-2004 a.C.) risalgono alcuni testi che riguardano le attività di un commerciante di nome Lu-Enlilla. Questi, attivo per conto del tempio di Nanna, viene dotato di lana, piante o prodotti vegetali, pesce, vestiti, olio di sesamo e pelli da scambiare con il rame di Magan; da qui egli però riporterà anche avorio, pietre semi-preziose ed ocra, oltre ad offrire al tempio cipolle ed una non specificabile spezia di Magan45. Il terminale per l’acquisizione di pietre preziose era però, nel periodo pre-sargonico, Dilmun, ed è interessante notare che nei testi dello stesso periodo una certa qualità di cipolla è chiamata “cipolla-dilmun”46. Questo sembra indicare che il ruolo svolto da Dilmun è ora appannaggio diretto di Magan. La situazione si capovolgerà ancora al tempo della successiva Dinastia di Larsa, quando il commerciante Ea-nāsir scambierà più o meno gli stessi prodotti nuovamente con Dilmun47.

Con il periodo Neo-Babilonese infatti, Magan scompare dai testi mesopotamici assieme a Meluhha, lasciando spazio a Dilmun, rimanendo solo come parte di nomi composti di alcuni prodotti (sedie, legno, canne ma anche capre) per i quali però non c’è evidenza di una diretta provenienza da Magan stessa48.

Dopo la scomparsa di Magan, Dilmun torna a rivestire un ruolo di primo piano nell’importazione di rame in Mesopotamia per i due secoli iniziali del II millennio, periodo dopo il quale viene di nuovo eclissata nei testi economici49. L’ultimo documento di cui siamo a conoscenza sull’importazione di rame da Dilmun (quindi di nuovo come intermediario per il rame di Magan), si data intorno alla seconda metà del diciottesimo secolo, quando come provenienza vengono citate essa assieme a Cipro50.

Il lento declino di Dilmun sembra potersi collegare ad una serie di eventi bellici che interessarono la Mesopotamia, portando rapidi cambiamenti nei rapporti commerciali con l’Est. Ur, ad esempio, il principale porto di ingresso del rame proveniente dal Golfo, viene prima relegata ad un ruolo secondario in favore di Larsa da parte di Rim-Sin I (1822-1763 a.C.), all’inizio del XVIII secolo, per poi essere distrutta da Rim-Rim-Sin II nella seconda metà dello stesso secolo, a seguito di una rivolta nella piana, che successivamente si spopola gradualmente.

Per quanto riguarda Magan, si pensa che i mutamenti negli equilibri politici ed economici tra le regioni del Golfo che portarono alla sua esclusione quantomeno dalle fonti mesopotamiche, si siano verificati dopo la caduta della dinastia di Ur, durante la quale si trovano infatti le ultime menzioni dirette. La dinamica di questi cambiamenti rimane indefinita, anche se si può ipotizzare un legame con la ricerca della supremazia sulla gestione delle risorse.

Di certo dalla prima metà del secondo millennio la Mesopotamia si rivolge ad altri 45 Potts 1990: 143-145. 46 Oppenheim 1954: 13. 47 ibid. 48 Potts 1990: 149. 49 Oppenheim 1954: 13-17. 50 Millard 1973.

(19)

mercati per i beni di pregio prima provenienti dal Golfo. In p a rt i co l ar e il rame, principale esportazione della terra di Magan, è ora importato dall’Anatolia e da Cipro, il cui raggiungimento è reso più facile dalle grandi conquiste di Hammurabi lungo tutto il medio Eufrate,via d’accesso alle miniere di rame della Turchia centro-orientale51.

Dopo questa data, il toponimo Magan rimarrà sconosciuto alle fonti a noi pervenute per circa un millennio, quando di ritroverà in testi neo-assiri. In questo periodo, dunque ormai in piena Età del Ferro, al di là dei limiti del presente lavoro, esso però sarà usato per indicare però un’area geografica differente, ovvero l’Egitto, mentre la penisola omanita sarà identificata con un nuovo termine, che le rimarrà associato fino ad epoca Achemenide: Qadȇ52.

51 Crawford 1996. 52

Per l’evoluzione della toponomastica riferita alla penisola omanita a partire dall’Età neo-assira si veda Potts 1985.

(20)

Figura

Fig. 1 – Veduta generale del sito da nordest, a fine 2012.
Fig. 2 – Il bacino di drenaggio dello wadi Bahla  e del suo affluente wadi Sayfham, in prossimità  della  cui  congiunzione  si  trova  Salut  (da  Orchard & Orchard 2006: pl
Fig. 3 - La posizione di Salut nel Sultanato dell’Oman.
Fig.  4  –  un  caratteristico  allineamento  di  tombe  lungo  la  cresta  di  una  delle  colline  prossime  a  Salut
+2

Riferimenti

Documenti correlati

Effetto di convergenza nell’utilizzo dominante dello strumento penale anche se…...  Controllo amministrativo sui servizi di

a) Si calcoli il campo elettrico E ad una distanza d da S, piccola rispetto alle dimensioni lineari della superficie. Determinare il valore di q. c) Supponiamo ora di

La valvola deve essere montata secondo la direzione del flusso, come indicato sul corpo valvola, tranne nel caso di una valvola deviatrice, la quale può essere montata

Dopo il crollo di ieri dettagliatamente profetizzato e dopo il lavoro della Commissione con le evidenze emerse, mi aspetterei delle dimissioni sia in Sistema Ambiente che nel

limiti di tolleranza Dott.ssa Gabriella Arena Capua 1880 srl - Reggio Calabria Presentazione  “Guida  fitoiatrica  per l’agrumicoltore”- ARSSA- 2 a edizione Dott.ssa

Lotto 2 servizio di organizzazione viaggio di istruzione d un giorno in Italia comprensivo di noleggio pulman o acquisto biglietti ferroviari, ingressi

Concludendo si può dire che ci sono stati degli effetti, sia positivi che negativi collegati alla costruzione ed alla messa in attività della tramvia, e generalmente sono

La migrazione dei fiumi meandriformi pu`o essere vista come il prodotto com- binato dei processi di erosione e di deposito in corrispondenza rispettive- mante della sponda esterna e