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Bocca di Magra non è altro che un piccolo agglomerato urbano, una

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Academic year: 2021

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Introduzione

L’idea di questa tesi ha radici lontane e nasce dal profondo legame che mi ha sempre legato alla mia terra d’origine, la Liguria.

Quest’arco di territorio compresso tra le pendici Appenniniche e il mare è un caleidoscopio di ambienti differenti, dalla costa sabbiosa delle rive di Ponente, si passa ad un Levante roccioso ed impervio solcato da anguste valli in cui spesso le colline si affacciano direttamente sul mare. Rare sono le pianure, spesso incassate tra i rilievi dell’entroterra, troppo piccole per non dover essere costretti a strappare terra coltivabile anche alle pendici collinari. E’ stata dura la vita nei tempi antichi, solo il mare con le sue risorse e le sue possibilità di comunicazione ha permesso un progressivo sviluppo, e Genova è l’esempio di come, attraverso il mare si possa diventare una città ricca e fiorente sin dal Medioevo. Ma la Liguria non è solo Genova, è una miriade di borghi abbarbicati alla roccia, di cittadine costiere ora meta di un turismo di massa, di calette golfi e scorci mozzafiato sul mare cristallino e di città purtroppo deturpate da uno sviluppo sconsiderato, che ne ha alterato la naturale bellezza.

In un patrimonio territoriale impossibile da descrivere in così pochi accenni, esiste un piccolo lembo di terra all’estuario del fiume Magra nella provincia di La Spezia ricadente nel Comune di Ameglia, Bocca di Magra.

Bocca di Magra non è altro che un piccolo agglomerato urbano, una

frazione in una posizione invidiabile perché prospiciente al mare, a due

passi dai principali centri abitati della Provincia e non (Sarzana, Lerici,

Marina di Carrara), ma allo stesso tempo isolato in un contesto naturalistico

meraviglioso. Esso infatti gode della protezione del lussureggiante Monte

Caprione alle sue spalle e si affaccia sull’ultimo tratto del Magra, che proprio

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Questo lavoro si propone dunque di determinare una possibile idea di sviluppo per Bocca di Magra, attraverso la definizione, in ultima analisi, di un complesso edilizio articolato in più destinazioni d’uso del quale porterò a definizione in scala architettonica un centro polifunzionale dell’intero progetto urbanistico.

Nella definizione di questo intervento urbano, ho ritenuto necessario condurre uno studio più approfondito delle caratteristiche morfologiche, naturalistiche e storiche della Liguria intera, inserendo poi, in questo contesto generale, il territorio specifico in cui il progetto avrà luogo evidenziando tutti gli aspetti che possano contribuire a sviluppare il progetto in modo coerente ed armonico con l’ambiente circostante, cercando la massima integrazione degli elementi di novità che necessariamente verranno inseriti nel costruito esistente.

A tale scopo porrò innanzitutto in evidenza la storia del territorio, il suo sviluppo, per poi indagarne gli aspetti morfologici e paesaggistici.

Successivamente cercherò di descrivere la proposta progettuale dal punto

di vista urbanistico, per poi passare alla definizione del progetto

architettonico nelle sue parti fondamentali.

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CAPITOLO 1 -Il contesto territoriale-

1.1 Cenni Storici

I reperti archeologici nel territorio Amegliese

Ameglia, sita su un poggio, domina la Piana di Luni e l’ultimo tratto del fiume Magra; limes tra VII e IX Regione Augustea, addossata al Caprione, promontorio tra Magra e Golfo. Terra di confine, confine geografico e ideale, baluardo nel tempo in cui i Romani cozzarono duramente contro i Liguri.

Non sono sufficienti i ritrovamenti archeologici per documentare la presenza stabile dell’uomo nel Paleolitico, nel Neolitico e nell’ età del Bronzo, bisogna aspettare l’età del ferro (periodo in cui si formarono le culture regionali come entità etnico linguistiche) per avere la certezza della vita in Ameglia. Solo dal V sec. a.C. possiamo parlare di continuità di vita e di costume, testimoniati da una vasta necropoli che cinge la borgata.

I ritrovamenti non sono però solo di carattere sepolcrale; i segni di

romanizzazione si fanno più evidenti con la scoperta di un corposo

materiale laterizio durante gli scavi per la costruzione, nel 1930, dell’Asilo

infantile e della chiesa attigua di Bocca di Magra. Fu rinvenuto infatti un

grande dolium in frammenti oltre ad anforoni e anfore, assieme a un piccone

di ferro e ad un altro oggetto non identificato che lasciò presupporre la

vicinanza di una miniera .

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Figura 1 Pianta tematica

Alcuni anni fa si scorgeva, tutto circondato dalle acque del mare, a meno di 100 mt. dal piè del monte alla foce del Magra, un rudere che gli abitanti del luogo chiamavano “Pilastro” e che gli studiosi definiscono “angolo” o

“angulus”, inglobato ora nel magazzino di uno stabilimento balneare. Sono

due enormi massi sovrapposti, di circa un metro e mezzo di lato, costruiti

ad “implector”. Creduto da molti un avanzo di ponte, definito da Promis

nucleo di un sepolcro, detto rudere potrebbe aver segnato l’andamento di

una strada che da Luni, dirigendosi al Corno, in quel punto valicava il

Magra. Più ovvio è il Mazzini, qualificando la rovina come un avanzo di

qualche opera costruita alla foce del fiume per comodo del porto, o con la

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funzione di indicare con segnali o fanali la bocca più sicura dell’estuario.

Poggi e De Rossi ritengono fosse il pilastro di un molo o di uno di quei fanali

che erano in uso presso i Romani e che fosse in corrispondenza dell’altro sulla torre della Marina di Luni; i due fanali segnalavano l’avamposto della colonia romana. Per R. Formetini invece, “Angulus” sta per “seno di mare”, dichiarando che : “fondamento di tale ipotesi è la coincidenza quasi perfetta di quella struttura con la scogliera costruita a protezione della spiaggia e dell’abitato di Bocca di Magra; per cui è lecito supporre che alla coincidenza di posizione potesse corrispondere anche l’analogia della funzione”.

Figura 2 Il pilastro o “angelo” di Bocca di Magra

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Sulla foce fu ripescata nel 1964 anche l’ancora che si trova al Museo Navale di La Spezia; altri rinvenimenti in Bocca di Magra sono invece recentissimi. Verso la fine dell’ultimo conflitto, quando le truppe tedesche cercavano di contenere l’invasione americana, fra le tante postazioni di artiglieria, sorse anche un bunker a un centinaio di metri dal vetusto

“angulus”; alla fine della guerra intorno ai ruderi della “casa matta” furono rinvenuti resti di epoca inconfondibilmente romano-imperiale di una villa.

Nel ’59, ad opera di Romolo Formentoni, furono messi in luce notevoli strutture murarie e fu recuperata una grande quantità di materiale archeologico, soprattutto ceramico. Si tratta di reperti del II sec. d.C.

rinvenuti ad una distanza di circa 800 mt. in linea d’aria. Nello stesso anno ha avuto luogo una seconda scoperta: un piccolo complesso di pavimenti e strutture murarie, probabilmente di una villa rustica, ipotesi confermata nel 1962 dal ritrovamento nel mare della piccola “baia della Carciofaia” (a 60 mt. dalla riva) di moltissimi frammenti di anfora. Ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi che ci fosse un piccolo scalo in funzione dell’abitazione.

La stessa Ameglia è poi centro di un vasto complesso sepolcrale a forma

di semicerchio che cinge il paese da Nord a Sud-Est, la cui datazione può

essere compresa tra il V sec a.C. e l’età imperiale. In tali sepolcri e ossari

sono stati rinvenuti moltissimi oggetti in oro, acciaio e bronzo probabilmente

anche di origine etrusca.

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Figura 3 Pianta di una parte della necropoli

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Dal villaggio ligure alla conquista Romana

Dai reperti si ha dunque la conferma dell’esistenza, nel distretto di Ameglia, di una civiltà ora più o meno evoluta e di una frequenza di rapporti con altre genti, testimonianza delle alterne vicende di popolazioni che conobbero alti e bassi tra il V sec. a.C. e l’età imperiale.

Dai resti delle necropoli infatti si intuiscono le condizioni di vita di un popolo che, abitando in un territorio di confine, appartenente probabilmente all’ ager lunense, fu spettatore, e forse anche attore, di cruente lotte di conquista fra Romani e Liguri.

Questi nostri antenati, come il resto del popolo Ligure, costretti in un suolo aspro e poco fruttifero, furono dediti, in un primo momento, alla caccia e alla pastorizia, erano di semplici costumi ma spinti alla guerra in modo ferino. Tuttavia, seppur descritti dai Romani come dura gens, non dovettero poi costituire per i vincitori di Annibale un serio pericolo.

Questi popoli erano idolatri e la loro organizzazione politica passò attraverso lunghe ed incerte fasi: da tribù, che condividevano un latifondo sociale, alla divisione di dette tribù, che presero possesso di un agro proprio, fino allo svolgimento della proprietà privata, che è in fondo l’ultimo stadio di ogni civiltà.

Si può, in ultima analisi, pensare che un primo popolamento del Monte

Caprione possa essere stato originato dalle migrazioni di tribù liguri

conseguenti all’invasione dei Galli nella Padania (VI sec.); Per la precisione

i Liguri che si stanziarono tra Punta Mesco e il Caprione erano gli Apuani, i

quali, abituati a vivere in piccoli villaggi non murati, in capanne protette da

rupi, in luoghi aspri e impervi dove era difficile salire e facile difendersi,

trovarono qui un luogo ideale. Si organizzarono in tanti insediamenti sulle

colline, uniti da sentieri e piste di transumanza di origine preistorica, dei

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quali l’insediamento principale fu proprio Ameglia. Essa era ed è posta al culmine di una collina naturalmente inaccessibile, circondata da sicuri luoghi di rifugio, prospiciente una piccola pianura e un incontro fiume-mare che la lambiva. Era dunque il luogo ottimale e il centro di fervidi scambi via mare, ma anche di colture, frutteti e pastorizia. Anche l’attività cantieristica era favorita vista la presenza di fitti boschi di querce sul monte Caprione, utili alla produzione dell’ossatura di primitive imbarcazioni. Non mancavano attività estrattive proprio nei pressi di Bocca di Magra.

E’ quindi probabile che quando i Romani condussero nel 77 a.C. circa 2000 cittadini a fondare la colonia di Luni, avessero trovato sulla sponda destra della grande ansa del fiume Magra, un villaggio ligure ed una serie di abituri sparsi sul monte che costituivano da secoli ormai una società ben amalgamata, con i propri usi e costumi, una propria religione ed una propria economia delle quali i Romani non avrebbero potuto completamente disinteressarsi.

La colonia di Luni doveva costituire, per i Romani, una postazione strategica avanzata, una testa di ponte sufficientemente salda contro i Liguri. Fondamentale per loro era dunque anche il possesso delle due rive del fiume Magra, che diventarono poi il “porto della Luna”, e del loro naturale baluardo, il Monte Caprione. La fondazione di questa colonia fu preceduta, a partire dal 198 a.C., da un susseguirsi di strenue e sanguinose battaglie in cui vi furono vittorie e sconfitte da entrambe le parti, ma soprattutto un elevatissimo numero di vittime e prigionieri deportati nel Sannio. I Romani, anche dopo la fondazione di Luni nel 177 a.C., riuscirono a stabilire definitivamente il loro predominio sulla Val di Magra e sulla Val di Vara solo nel 155 a.C. decretando la definitiva ritirata dei Liguri da queste terre.

Luni, con il territorio circostante, fiorì; assegnata alla tribù Galeria, divenne

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centro artigiano, ebbe un’industria di scultori in marmo e forse anche fonderie e fabbriche di vetro, ma il centro nevralgico della colonia fu proprio l’estuario del fiume, che per la sua conformazione geo-morfologica, allora diversa da quella odierna, costituiva un porto sicuro per le navi e quindi per il commercio. Quest’ultimo fu alimentato anche grazie alla produzione, proprio sul monte Caprione e nelle terre di Ameglia, di legname, vino, formaggi ed anche, sebbene in misura più modesta rispetto alle cave Apuane, di marmo.

Proprio la zona di Bocca di Magra, per la sua bellezza e salubrità, come

evidenziato in precedenza, venne apprezzata dai Romani, tanto da

trascorrervi i momenti di villeggiatura. La villa suburbana scoperta potrebbe

infatti non essere l’unica, infatti si conosce anche l’esistenza di un’antica

strada romana che corre ai piedi del monte. Non è comunque ancora chiaro

se Ameglia appartenesse o meno all’ ager adsignatus e quindi ai coloni

lunensi, ma di sicuro i ritrovamenti testimoniano una popolazione ormai

romanizzata che viveva quantomeno in sinergia con la sponda opposta del

fiume.

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Figura 4 La villa romana di Bocca di Magra

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Il “Porto della Luna”

E’ bene a questo punto spendere ancora due parole per chiarire quali sono, allo stato attuale, le nostre conoscenze su quello che fu il “Porto della Luna”. E’ ormai opinione diffusa che esso coincidesse con l’estuario del fiume Magra, il quale, nei tempi antichi, doveva essere ben più ampio e

profondo di quello odierno; esso doveva coincidere con un cono di deiezione che oggi corrisponderebbe alla linea di livello dei 4 mt., lo confermano sia le cartografie antiche che studi di natura geologica. E’ facile immaginare che un’estensione così importante costituisse per le imbarcazioni del tempo, di sicuro non adatte a condizioni di mare avverse, un approdo favorevolissimo, tanto più che al porto proprio della città di Luni, se ne affiancavano altri, tra cui quello di Ameglia, proprio ai piedi della collina sulla quale sorge, e molti approdi secondari.

Col passare dei secoli però i detriti trasportati dal fiume, contrastati dalla forza del mare che li respingeva, hanno finito per interrare gran parte di quella insenatura, che, soprattutto sulla sponda sinistra dove sorgeva l’antica Luni e le terre occupate oggi da Fiumaretta e Marinella, si trasformò in palude malsana.

Fu questa una delle cause della caduta di Luni.

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Figura 5 La carta dell’ Ortelio(1570), è in evidenza il cono di deiezione

Figura 6 Stampa del VI secolo

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Figura 7 Carta dell’Atlante di Ercole Spina (1598) si evidenzia il progressivo interramento

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La caduta di una colonia e le oscure vicende che seguirono

Luni prosperò soprattutto per il commercio dei marmi fino al V secolo, tanto che in quel periodo fu prescelta come sede episcopale, ma una serie di tragici avvenimenti che si susseguirono nei secoli a venire, ne decretarono la distruzione.

La foce del Magra, da sempre terra di confine e naturale luogo di transito per tutte le invasioni, sin dai tempi di Annibale, dovette sopportare le guerre greco-gotiche, la conquista longobarda del 636 (che legò Luni al centro longobardo di Lucca) e le successive rivalità con Lucca nella seconda metà del 700, che contribuirono alla distruzione di cose e memorie.

Nell’ 849 vi fu l’ invasione dei Saraceni che devastarono Luni e poi ancora una dei Normanni nell’ ‘860, in un periodo in cui il territorio e i suoi approdi erano contesi dai Marchesi di Lucca.

Solamente alla fine dell’ 800 i vescovi lunensi cominciarono ad esercitare la loro influenza ed il loro dominio politico, prendendosi a cuore le sorti dei loro sudditi e difendendoli,. Sorsero così i primi castelli a difesa della popolazione e contro la barbarie normanna e saracena. Ma questi futuri feudatari ecclesiastici dovettero affrontare lotte durissime anche con nemici interni, quali gli Obertenghi, mentre la minaccia saracena fu debellata definitivamente solo dopo l’anno Mille.

La signoria vescovile crebbe comunque prospera, tanto che venne

confermata nei suoi diritti da Ottone I nel 963, che riuscì a ribadire le

immunità godute dai vescovi e ad accrescerle. E’ proprio in questi anni che

si hanno, dai documenti, le prime notizie di un castrum de Amelia, segno

che il piccolo centro era comunque fiorente e fortificato, dotato di una corte,

di servi e di coloni e dei diritti sulla caccia e sulla pesca inerenti al territorio

del vescovado.

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Il destino di Luni però si sta per compiere, per mano delle armi saracene e normanne nel 1019 (per altri 1016) viene ridotta a ben poca cosa, tanto che i vescovi sono costretti a migrare verso sedi più sicure, insieme alle genti superstiti. Dove non colpì la furia barbara, fu la malaria a compiere l’opera distruttrice, quella terra un tempo rigogliosa infatti era purtroppo soggetta anche ai capricci di una foce instabile che la ridusse ad una palude malsana.

In questi frangenti è certo comunque che Ameglia rimase saldamente nelle mani dei vescovi lunensi, se ne ha conferma da numerosi atti e diplomi imperiali dell’epoca.

Ameglia nel Medioevo, il castello e la sede vescovile

Come già accennato si ha menzione di un castrum de Amelia nel 963; per la posizione geografica, con tutti i vantaggi che ne derivavano dal punto di vista commerciale e difensivo e lo svolgersi della vita, documentata dai resti sepolcrali, per tanti secoli, è probabile che non esista soluzione di continuità tra l’antico villaggio etrusco-ligure, il pagus romano ed il castello medioevale dei vescovi lunensi.

Nel Medioevo il castello di Ameglia era la residenza di un feudatario, una

piccola corte indipendente, dove si promulgavano leggi e si amministrava la

giustizia, si imponevano tasse e tributi e si organizzavano anche feste,

cacce e banchetti. Attorno al castello era situato il borgo, un piccolo centro

artigiano dove si esercitavano i vari mestieri per i bisogni della contea. Nelle

campagne abitavano i villani e i servi della gleba. E’ lecito ritenere che la

vita in questo piccolo feudo non fosse così dura come da altre parti, gli

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uomini della Chiesa erano in genere padroni più umani, i latifondi ecclesiastici erano infatti concessi per le coltivazioni con patti quasi

equivalenti a cessioni. Ai piedi della collina vi era inoltre una curtis, cioè un complesso di terre, fondi rustici e casolari che costituivano un’unica azienda, centro di riferimento per prestazioni di censi e tributi costituenti l’honor curiae.

La monotonia della vita di campagna era forse interrotta da un modesto commercio marittimo nei porti di Ameglia e San Maurizio.

Si può inoltre affermare che Ameglia era una delle prime sedi dei Vescovi lunensi dopo la caduta di Luni e rimase sede di lunghe soste anche quando il Vescovado venne trasferito in pianta stabile a Sarzana nel 1204.

Verso la fine del 1200 Ameglia patisce anche un nuovo nemico:

Genova che a più riprese attacca e depreda Ameglia e le coste del Caprione, tanto da indurre i vescovi a fortificare il poggio del Corvo a difesa dello specchio d’acqua sottostante e della città.

Il territorio sotto la giurisdizione del castrum era ben più ampio dell’attuale Comune, andava dall’odierno Canal del Marzo sino al mare, comprendendo in pratica tutto il promontorio formato dal monte Caprione. Alla competenza civile corrispondeva quella ecclesiastica, sul poggio del Corvo era sorto nel 1176 anche il monastero di St. Croce tutt’ora esistente.

Questo poggio che si trova proprio alla foce del fiume, dominando il mare

ed il territorio occupato da quella che oggi è Bocca di Magra, ebbe notevole

importanza strategica, tanto da suscitare le brame dei Pisani e dei Genovesi

e da indurre il vescovo Enrico, come già accennato, a fortificarlo.

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Figura 8 Carta delle località del Distretto di Ameglia

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Il Comune, dal dominio vescovile alla Podesteria Genovese

La giurisdizione e il dominio dei Vescovi in Lunigiana rimase saldo e duraturo fino alla discesa di Arrigo VII, poi furono costretti a fare concessioni e ad ammettere che le popolazioni cominciassero a darsi i primi Statuti e i primi parlamenti popolari; di qui la nascita dei Comuni, naturale laica prosecuzione delle adunanze cittadine nelle vicinanze della Chiesa.

Non si hanno notizie certe di un primo vero Parlamento popolare amegliese prima del 1328, anno in cui morì Castruccio Castracani, che, Visconte di tutte le terre del Vescovado di Luni, aveva fatto di Ameglia una Podesteria coi limitrofi villaggi di Montemarcello e Barbazzano.

Il 17 Aprile del 1328 vi fu un’adunanza in nome di Castruccio per la divisione dei territori fra Ameglia, Barbazzano e Sarzana alla presenza di molti cittadini e dei sindaci dei tre contendenti.

La mezzeria del Magra divenne il nuovo confine orientale e Sarzana con l’aiuto di documenti falsi, che avevano avuto però il riconoscimento imperiale di Ludovico il Bavaro, sottrasse vasti territori al Comune di Ameglia sia a sinistra che a destra del fiume. Questo sopruso legalizzato fu probabilmente l’inizio delle secolari tensioni tra i due Comuni.

In questo torno di tempo il territorio della Lunigiana, con lo scemare del dominio vescovile, era terra di conquista per i Malaspina di Lucca che, come tutti i feudatari, non perdevano occasione di occupare terre e castelli per acquistare privilegi, ma anche Pisa e Genova vi estesero gradualmente la propria influenza.

Furono proprio i Genovesi che nel 1283 conquistarono Ameglia con

l’inganno (riscattata a poi a caro prezzo dal vescovo Enrico da Fucecchio) e

che l’anno dopo, con la vittoria della Meloria, furono in condizione di dettare

definitivamente legge su questi territori. Successivamente furono ancora i

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sarzanesi ribellatisi al vescovado ad occuparla e nel 1300 passò sotto il dominio di Lucca. Siamo nel periodo delle aspre lotte fra Guelfi e Ghibellini;

nel 1312 Ameglia viene strappata ai Guelfi, mentre nel 1313 è la famiglia genovese dei Doria che ottiene il possesso del castrum e il villaggio di Barbazzano.

Da queste poche righe è evidente che vi erano grandi sconvolgimenti in quegli anni, i singoli comuni, non sentendosi più la forza del potere centrale, seguono l’una o l’altra delle fazioni in lotta.

In ogni caso i Doria sono ormai entrati a pieno titolo in possesso di

Ameglia, ne faranno una proprietà personale ed ereditiera e nucleo di

accentramento delle forze ghibelline della zona. Il dominio dei Doria

continua incontrastato sino al 1346, un anno dopo Ameglia viene annessa al

Comune di Genova che non accetta che sia in mano ad un’unica famiglia, e

da questo anno fino al 1410 viene retta da podestà e da castellani nominati

da Genova, fino a ritornare nelle mani dei Doria, quando Corrado Doria, con

l’aiuto dei marchesi del Monferrato, caccia i Francesi che intanto si erano

impadroniti di Genova. Ameglia si unisce nella ribellione contro i Francesi, i

quali detenevano ancora Sarzana ceduta poi ai fiorentini. A questo punto

risulta molto difficoltoso e forse inutile proseguire nella ricostruzione dei

numerosi cambi di potere che interessarono non solo Ameglia ma tutte le

terre di Lunigiana in questi anni. Ci basti sapere che Ameglia rimane

comunque dei Genovesi fino al 1460 quando passa in mano ai Milanesi di

Francesco Sforza, che se la tiene stretta per assicurarsi i rifornimenti di

sale nel porto della medesima e che finì poi con l’impadronirsi anche di

Genova stessa. Vi furono diciotto anni di dominio milanese, in cui Ameglia

conobbe un periodo di prosperità sotto l’amministrazione di castellani che

sfruttarono molto anche i traffici marittimi e i diritti di ancoraggio.

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Frammentarie notizie si hanno dopo il 1478, anno della fine del dominio sforzesco in Genova e del ritorno dei dogi Prospero Adorno e Ludovico de

Campofregoso; si sa che il borgo venne acquistato dal Banco di San Giorgio per assicurarsi i dazi sul sale e furono proprio questi ultimi la causa di scaramucce coi Fiorentini, padroni in Sarzana, che avrebbero voluto gli stessi diritti sulla sponda opposta del Magra. I Genovesi fortificarono ancora meglio il Caprione costruendo nuovi baluardi e migliorando quelli esistenti;

Ameglia in questo periodo era anche un forte produttore di grano, che forniva un po’ tutti i borghi limitrofi. Comunque fino al 1492 i podestà che si susseguirono ebbero a che fare sempre con i tentativi di conquista dei Fiorentini; da quell’ anno in poi Genova cadde sotto Ludovico il Moro che si serviva delle armi dei francesi, i quali poi con l’arrivo di Carlo VIII fecero cadere Sarzana, Sarzanello e Pietrasanta, cosìcchè i Fiorentini non furono più una preoccupazione. I contrasti con Sarzana continuarono comunque, per motivi giurisdizionali, anche dopo che nel 1592 ambedue i borghi furono definitivamente annessi alla Repubblica di Genova.

Lo sviluppo del borgo dopo l’avvento della Repubblica

Dopo l’occupazione degli Sforza nel 1460, seppure i successivi cinquant’

anni non furono privi di apprensioni, i territori della foce del Magra conobbero una maggiore serenità e benessere anche grazie all’assistenza dell’ Officio di San Giorgio e della Repubblica un secolo dopo.

Dopo le turbinose vicende che coinvolsero Ameglia nelle lotte coi Vescovi

Malaspina e Sarzanesi nelle rivalità fra Lucca, Pisa, Genova e Firenze, in

balia di Guelfi e Ghibellini, di soldati di ventura e dopo periodi di rivalità fra

famiglie genovesi, giunse il momento di un effettivo sviluppo del borgo che

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cominciò a dilatarsi e a crescere. Si attenuarono le antiche paure, si tornò a vivere vicino al mare, sul Caprione si costituirono nuovi centri come Montemarcello e Tellaro. Scomparvero i vecchi porti di Ameglia e San Maurizio perché l’antico estuario di Luni si stava ormai definitivamente impaludando. Il traffico marittimo verso la Lunigiana e la Val Padana si spostarono sulla foce del Magra, essa diventò un porto-rifugio con attività molto ridotte a causa degli assalti di flottiglie barbariche; anche l’antico monastero del Corvo venne abbandonato.

E’ comunque tutta la Liguria che dopo il 1528, dopo il passaggio di Andrea Doria al servizio degli Spagnoli, vive il suo momento di maggior splendore.

La fine del ‘500 è, per questi territori, periodo di rilievi, di accatastamento delle terre alluvionali lasciate man mano dalle acque del fiume e quindi di questioni di diritti su questi terreni da parte dei comuni limitrofi. Fu anche tempo di ordine e di legge, della nascita degli Statuti, l’uso dei quali si protrasse fino in epoca napoleonica.

Il declino della Repubblica e il dominio francese

Il XVIII secolo segna l’inizio della caduta della Repubblica, che doveva barcamenarsi fra l’infida e sospettosa protezione della Spagna, l’avversione della Francia e la pericolosa vicinanza sabauda, i cui re avevano addirittura studiato un piano per attaccarla dal mare.

Non meno preoccupanti erano le malcelate ambizioni del Granducato di Toscana, le concorrenze commerciali con Livorno e Marsiglia, nonchè congiure e guerre minori.

In questo clima, che vide la Repubblica farsi sempre più lontana ed

assente nei confronti dei problemi dei suoi cittadini, furono chiaramente i

territori di confine i primi a percepire questo distacco, con essi Ameglia.

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Rimane poco di genovese, tranne i possedimenti terrieri di alcune famiglie;

di questa lontananza e trascuratezza se ne ha eco anche negli scarsi documenti prodotti nei successivi due secoli. Questi carteggi dimostrano che molte delle controversie con Sarzana rimasero insolute e che il peso fiscale si aggravava. Furono introdotte nuove gabelle sul transito dei prodotti alla foce del Magra, tanto che i Sarzanesi minacciarono di dirottare i traffici per altre vie in accordo con il Granduca di Massa e il Marchese di Fosdinovo.

Nonostante ciò il paese progredisce ulteriormente, per due secoli si registra un aumento anagrafico costante; il territorio continua a produrre olio e vino, ottimi sono i pascoli anche oltre il fiume, il quale fornisce molto pescato. La popolazione può cominciare a contare su mulini propri (prima doveva recarsi ad Arcola o ad Avenza) e torchi per la frangitura delle olive.

Nulla ci è però dato di sapere, vista la scarsità di notizie, di quel che accadde nel periodo della Rivoluzione francese, quando Genova instaurò la Repubblica democratica nel rogo delle insegne dogali e del libro d’oro della nobiltà, demolendo le statue dei Doria.

Probabilmente anche ad Ameglia furono cacciati gli ex nobili genovesi, deturpati i loro stemmi e venne piantato l’albero della libertà nella piazza della chiesa. Anche qui dovettero essere cacciati i medici, i religiosi, le congregazioni e i possidenti; furono aboliti i privilegi borghesi, distrutte le cassapanche e le seggiole riservate nei luoghi pubblici; si può presumere ciò in analogia con la storia dei comuni limitrofi.

Alla fine del ‘700 un turbine di avvenimenti coinvolge l’Italia intera, dalla

coalizione contro i francesi alla discesa degli austriaci, al definitivo trionfo di

Napoleone. Riprende quindi l’attività amministrativa nei nostri paesi e, nel

1803, Ameglia, ormai antica podesteria, divenne parte del Cantone di

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Sarzana, divenuto centro politico-amministrativo di tutta la Lunigiana genovese.

Nel 1805 fu abolita la Repubblica genovese e tutti i suoi territori vennero annessi all’Impero di Francia, il territorio fu diviso in tre dipartimenti: di Genova, di Montenotte e degli Appennini; quest’ultimo comprendeva proprio i circondari di Sarzana e di Chiavari.

E’ del 1808 la notizia della presenza anche in Ameglia di un Maire, il sostituto del podestà; si ha l’impressione che il dominio napoleonico avesse anche qui generato un maggior senso dell’ordine, che si evince dal primo e più antico censimento delle strade del 1809, il quale descrive minutamente tutte le vie del Capoluogo delle frazioni, tutte bisognose di essere riparate perché in assai precarie condizioni.

Seguirono anni di relativa calma, ma nel 1814 gli Inglesi sbarcati a Livorno, occuparono Sarzana, La Spezia e Genova, sede quest’ultima di un governo provvisorio che non riconosce gli antichi diritti costituiti da introiti vari, redditi e giurisdizione.

Aumentano bensì i dazi sui prodotti della Val di Magra. L’anno successivo, con la definitiva caduta di Napoleone, vi fu un periodo di estrema carestia (anche il Magra era straripato provocando danni gravissimi), c’era penuria di grano e di ogni genere alimentare, inoltre si temevano ancora gli attacchi dei turchi dal mare.

Quindi una volta cadute le effimere istituzioni dell’età napoleonica, nel

1815, col Congresso di Vienna, la Circoscrizione di Genova, immutata

territorialmente, venne incorporata negli Stati Sardi col nome di ducato di

Genova e nel 1818 venne ulteriormente diviso in tre Intendenze: Genova,

Savona e La Spezia. Ameglia fu Comune del Mandamento di Lerici e

continuò ad esserlo anche nel 1859 quando l’Intendenza divenne

Circondario di Levante in un’Italia ormai quasi completamente unita.

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L’Italia Unita

Dalla figura del Maire si passa a quella del Sindaco; anche per Ameglia l’Ottocento è il secolo di fermenti patriottici, vi era addirittura un parroco affiliato alla Giovine Italia che fu sospettato di nascondere carteggi segreti persino in parrocchia e nel tabernacolo.

Proprio con l’avvento dell’ Italia unita si assiste anche alla nascita di Bocca di Magra come la conosciamo oggi. In quegli anni cominciò a popolarsi, a non essere più il luogo solitario che serbava le memorie di antichi fasti romani, vi scendevano i pescatori da Ameglia e Montemarcello ed era ormai frequentata da velieri inglesi e francesi, oltre che italiani, perché si stava mettendo in opera il cavo telegrafico sottomarino che doveva unire la costa tirrenica alla Corsica.

Fu proprio in quel periodo della seconda metà dell’ Ottocento che l’amegliese Luigi Germi si era installato in una proprietà acquistata dal padre sulla destra del Magra e nella medesima aprì, in una modesta capanna, una piccola trattoria. Questo Germi, che fu anche abile pilota per i velieri che entravano nel fiume nonché pescatore con reti e nasse, fu per così dire quasi il fondatore, il patriarca di Bocca di Magra.

Altre famiglie vennero dai paesi vicini a risiedere in questo piccolo lembo di terra fra la collina, il fiume ed il mare e si può ritenere che alla fine dell’

Ottocento Bocca di Magra fosse un villaggio alquanto popolato che viveva di pesca e di attività agricolo-pastorali. Non meno importante divenne in seguito l’attività a supporto del traffico crescente nel fiume, che si aprì ai navicelli e alle shooners destinati al trasporto dei marmi di Carrara.

La foce del Magra, già dal ‘700, registrava la costante presenza di barche

dedite al piccolo commercio e al trasporto di vari materiali; ma è verso la

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metà dell’ Ottocento che il fiume riprende una delle funzioni dell’antico portus lunae (di quando cioè la sua foce era situata presso l’attuale Senato), ovvero quella di attracco anche per le navi onerarie destinate al trasporto dei marmi lunensi. Infatti l’inizio di questa attività si può far risalire già al 1750 e andò intensificandosi negli anni successivi; la flotta di una ventina di velieri superiori alle 50 tonnellate, in attesa che il mercato la richiedesse o di ritorno dal viaggio, restava all’ancora proprio a Bocca di Magra, dove si procedeva ai rifornimenti, alle riparazioni e a tutti i lavori necessari. Nel 1800 il numero delle navi salì a quaranta, ma un secolo dopo ci fu il vero e proprio boom: sulla foce facevano bella mostra di sé novanta velieri circa, compresi almeno cinquantacinque marmaioli, grossi navicelli preposti esclusivamente al trasporto di marmo.

Per mezzo secolo la popolazione dei territori di Ameglia fornì il personale

per una simile flotta, non solo mozzi e marinai, ma anche comandanti e

capitani di piccolo cabotaggio.

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Figura 9 Navicelli alla fonda a Bocca di Magra

Figura 10 Pescatori in azione a Bocca di Magra

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Dal ‘900 ai nostri giorni

La fine dell’Ottocento fu anche il periodo delle grandi bonifiche delle paludi ai piedi di Ameglia e sulla riva sinistra del fiume, dove a metà del ‘900 sorge il nuovo insediamento di Fiumaretta.

Sempre in questo periodo vennero ad abitare a Bocca di Magra alcune famiglie di San Benedetto del Tronto, le quali, con le loro paranze, uscirono

per la pesca per tanti anni, dando un ulteriore incentivo all’operosità della gente della foce, che sentiva in questa attività ormai una ragione di vita.

Altre imbarcazioni, i cosiddetti “leudi” cominciarono a frequentare la foce, erano barche dedite al trasporto, oltre che di mercanzie generiche, di sabbia che veniva caricata nelle spiagge e commerciata principalmente con la costa Ligure, ma giunse anche in America.

A inizio secolo si registra anche la fortuna di Carlo Andrea Fabbricotti, che aveva acquistato molti terreni su ambedue le sponde della foce e ricostruì parte del vecchio convento di Santa Croce e nel castelletto annesso alla proprietà costituì la propria dimora. Questo industriale, diplomatico e letterato, con la sfarzosità dei suoi ricevimenti, in contrasto con la modesta vita del villaggio sottostante, servì certamente all’avvio del nuovo piccolo centro.

Nei primi cinquant’ anni del secolo fiorì, nonostante le due Guerre,

un’intensa economia fatta di commerci marittimi, agricoltura e pastorizia. Il

monte Caprione era interamente sfruttato e a Bocca di Magra confluivano i

prodotti pronti per la vendita: olio, formaggio, fichi, granoturco, i quali

venivano commerciati anche al dettaglio, come merce di scambio con il

Piano e la vicina Marina di Carrara.

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Nello stesso periodo cominciano gli ammodernamenti di ordine strutturale

delle vie di comunicazione, della pubblica illuminazione, e delle opere

pubbliche in genere; dopo l’avvento del fascismo Ameglia diventa uno dei

trentadue comuni della nuova Provincia di La Spezia.

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Figura 11 Bocca di Magra all’inizio del secolo scorso

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Figura 12 Leudo per il trasporto della sabbia

Per opera del parroco Don Lorenzo Celsi, dopo la prima Guerra Mondiale, vennero eretti in Bocca di Magra un asilo ed una Chiesa, facendo acquistare alla cittadina un proprio definitivo assetto di centro abitato, pronto a divenire parrocchia e con l’ambizione di aprirsi al turismo.

Arrivò purtroppo la seconda Guerra Mondiale, i territori della bassa Val di Magra furono purtroppo il caposaldo occidentale della famigerata Linea Gotica; dopo il ’43 proprio la foce fu il lugubre teatro della logorante guerra di posizione fra i tedeschi in ritirata e le Forze Alleate. Tutte le batterie antiaeree presenti sul Caprione furono potenziate, i caccia bombardieri potevano colpire anche 20-30 volte al giorno.

La guerra lasciò la foce nel più totale stato di distruzione: i guasti dei

bombardamenti, i danni delle rappresaglie tedesche, i campi minati e i

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natanti affondati. L’unico dato positivo fu che dalle macerie di un fortino distrutto spuntarono i resti di una villa romana.

Nel dopoguerra vi fu una lenta ma progressiva ricostruzione, anche una nuova viabilità contribuì a far uscire il comune di Ameglia da una sorta di naturale isolamento, permettendo i collegamenti con la Versilia tramite la costruzione di nuovi ponti sul Magra. Si fecero progressi nell’edilizia scolastica, nel 1960 venne aperta ad Ameglia la prima scuola media, quando ancora in tutta Italia era in fase sperimentale.

Dagli anni ’70 in poi vengono restaurati i centri storici di Ameglia e Montemarcello, in parte trasformati in seconda casa, col contemporaneo sorgere dell’edilizia popolare.

Ai tempi nostri, questa plaga tra la Liguria e la Toscana, in cui l’aumentata

presenza di insediamenti umani ancora non scalfisce l’intatta bellezza di un

territorio, essa concede al visitatore la visione di un fiume esaltato come

luogo di svago ed una collina disponibile al tempo libero.

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Figura 13 La foce alla fine degli anni ‘80

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1.2 Assetto geomorfologico della Liguria

Caratteristiche generali

L’analisi geomorfologica della Liguria evidenzia un’orografia dalle caratteristiche molto aggressive nei rapporti fra terra e mare, fra valli e culminazioni e in tutti i termini di paesaggio. Vengono così ad evidenziarsi:

- l’arco costiero su cui si alternano spiagge poco estese e falesie dirupate;

- lo spartiacque tirreno-padano che, in alcuni tratti, corre a pochissimi chilometri dal mare; da esso si diramano crinali secondari e dorsali articolate che giungono a ridosso del litorale mantenendo anche quote superiori agli 800 mt;

- le elevate altitudini medie e i dislivelli esasperati con profonde incisioni vallive;

- le ridotte piane costiere e le poche piane alluvionali di qualche importanza che a queste si accordano;

- i fondovalle angusti e tortuosi che si aprono in limitate varici pianeggianti subito interrotte da quinte rocciose.

Da questi elementi principali deriva la mutevolezza tipica del paesaggio ligure, un imprevedibile prodotto di vicende geologiche complesse (spesso ancora sconosciute), di dinamiche endogene ed esogene intense e di una antropizzazione che, dapprima subordinata alla condizione fisica del territorio, è divenuta antagonista forzosa di questo ambiente del tutto particolare.

Inoltre si associano a queste caratteristiche principali elementi e forme

secondarie del paesaggio di minore entità spaziale ma non di minore

importanza, fino a casi di peculiarità eccezionale.

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Figura 14 Assetto geomorfologico

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Fascia costiera

E’ una zona di ampiezza variabile rispetto alla linea di costa direttamente influenzata dall’azione del mare; si distinguono:

- coste rocciose: predominanti in tutto il Levante ligure, nel Ponente si alternano a spiagge più estese.

Figura 15 Punta Corvo

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Ponendo il limite a 25 m., altezza al di sopra della quale cessa l’effetto dell’ondazione massima e quindi l’azione di modellamento litorale, possiamo distinguere coste rocciose basse (al di sotto di questo limite) ed alte.

- spiagge: i loro caratteri non necessitano di particolare illustrazione. Va sottolineato che non sempre sono collegate ad un retroterra pianeggiante, ma spesso si addossano direttamente, senza transizione, a rilievi prossimi alla costa e sono prive di una rete idrografica alimentatrice. Sulle spiagge si è maggiormente concentrato l’insediamento umano da cui sono derivate le maggiori modificazioni del litorale. Oltre alle più importanti infrastrutture portuali, l’influenza sull’assetto costiero proviene da opere marittime come pennelli, scogliere ed isole artificiali (Finale Ligure, Albenga, Tigullio, Bocca di Magra, Marinella) e da discariche per il ripascimento degli arenili.

- piane costiere: costituiscono l’elemento di transizione tra i litorali

sabbiosi e i molti rilievi costieri. Hanno uno stretto legame genetico con

l’azione del mare e con l’apporto di materiali solidi dai corsi d’acqua di una

certa importanza. Quasi sempre sfumano gradualmente nelle piane

alluvionali dei fondovalle interni senza limiti morfologici riconoscibili. Fra le

più importanti ci sono, le piane di Albenga, di Vado, di Chiavari e del Magra.

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Figura 16 Spiaggia di Punta Corvo

Figura 17 La piana costiera di Marinella e gli arenili

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Zone di crinale, di versante e di fondovalle

- Ambiti di crinale: per chiunque percorra la Liguria è evidente la fondamentale importanza che riveste la forma e l’andamento dei crinali dei vari ordini nel determinare il carattere del paesaggio in tutte le scale. Il crinale separa l’uno da l’altro i solchi vallivi ma è anche elemento unificante del territorio. Esso ha interesse paesaggistico e storico per lo sviluppo dei percorsi primitivi, delle vie di comunicazione e degli insediamenti connessi.

L’ambito del crinale si estende a cavallo delle dorsali montuose in una fascia di ampiezza variabile delimitata, verso il basso, dagli apici dei solchi torrentizi del primo ordine, dove le acque di ruscellamento cominciano ad organizzarsi secondo canali preferenziali di deflusso, esplicando le azioni erosive più tipiche.

- zone di versante: sono le aree residue comprese fra il crinale, i fondovalle e la fascia costiera. In queste zone si sono sviluppati molti insediamenti di carattere agricolo, con estese modificazioni dei suoli e delle coperture vegetali naturali; fra questi è d’obbligo citare i terrazzamenti dei versanti divenuti elemento paesaggistico dominante in gran parte del territorio antropizzato.

- Fondivalle: sono il negativo degli ambiti di crinale, costituiti da alluvioni e

sedimenti sciolti modellati dall’attività erosivo-deposizionale del corso

d’acqua. Nei tratti non pianeggianti essi rappresentano la connessione

laterale dei versanti.

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Figura 18 Montemarcello, sul crinale del Caprione

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Figura 19 Il fondovalle alla foce del Magra

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Altri elementi del paesaggio geomorfologico

Si tratta di forme, “oggetti” singoli o gruppi di elementi non necessariamente correlati tra loro, di origine naturale o antropica.

Possiamo distinguere:

negli ambiti di crinale:

- lo spartiacque tirreno-padano: elemento fondamentale del rilievo della regione, si snoda lungo dorsali sinuose che superano i 2000 m. di altitudine che, nel Genovesato, si avvicinano sensibilmente al litorale mantenendo quote elevate.

- culminazioni: distinte in più ordini, sono rilievi isolati in contesti morfologici incongruenti.

- valichi: i punti morfologicamente scelti per il tracciato dei percorsi viari di intercomunicazione fra i solchi vallivi.

nelle zone di versante:

- forme a terrazzo: sono terrazzi dalle varie origini geologiche: tettonici, fluviali, di frana, di erosione o semplicemente morfologici; ve ne sono anche alcuni residui di paleosuperfici continentali o di spianamento marino. Le aree corrispondenti sono quasi sempre urbanizzate o comunque antropizzate a scopo agricolo.

- versanti uniformi: sono porzioni sufficientemente ampie di pendii di forma

planare che costituiscono il carattere morfologicamente emergente di un

paesaggio.

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- affioramenti rocciosi: sono sporgenze rocciose determinate non tanto dal tipo di roccia bensì dal processo di modellamento superficiale. Essi non sono realmente prevalenti rispetto alla superficie totale ma sono presenti in gran numero in tutta la regione, dai calcari dolomitici di Capo Noli ai conglomerati di Portofino, alle falesie delle Cinque Terre.

- frane, paleofrane, accumuli detritici naturali: rappresentano un momento fondamentale nella dinamica dei versanti e nella morfogenesi, nella dinamica della vegetazione e quindi nella caratterizzazione del paesaggio.

- piane in quota: sono aree relativamente vaste situate in zone di versante ed anche negli ambiti di crinale in posizioni incongrue rispetto alla morfologia d’insieme, con pendenze medie molto modeste.

Figura 20 Cinque Terre -Terrazzamenti tipici -

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nei fondivalle:

- peculiarità del reticolo idrografico: sono forme erosive (gole, forre, rapide, cascate, meandri incassati ecc.) che fanno risaltare i caratteri di un corso d’acqua.

- valli chiuse e valli pensili: forme rare ma caratteristiche, testimoni o relitti di particolari fenomeni dell’evoluzione dell’idrografia (sbarramenti, erosione rapida, deflussi ipogei, catture ecc.). Tipici esempi si ritrovano nella valle del Bisagno.

- zone umide: le più importanti sono reperibili in quota, in Val d’Aveto e nelle pendici settentrionali del Beigua.

- laghi naturali: in Liguria ce ne sono pochissimi ma di grande pregio naturalistico. Sono connessi a forme relitte glacio-alluvionali come quelli sempre in Val d’Aveto, delle Lame, degli Abeti, delle Agoraie.

nelle zone costiere:

- depositi di panchina: sono le cosiddette “beach rock”, in abbondanza nel Ponente.

- forme a terrazzo: oltre ai terrazzi di versante e di crinale, quelli costieri determinano in più zone la caratteristica principale del paesaggio. Sono complessi di terrazzi situati a varie quote, prevalentemente dovuti a fasi di spianamento marino conseguenti alle oscillazioni glacio-eustatiche del livello delle acque.

Forme carsiche

La Liguria è sede di importanti complessi carsici, collegati a formazioni

calcaree e calcareo-dolomitiche, fra cui quelli del Savonese (grotta degli

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Scogli Neri, grotte di Tirano, grotte di Borgio Verezzi), quelli minori del Genovesato (grotte di Isoverde) e quelli dello Spezzino (“sprugole” di Caresana, S. Benedetto).

Si segnalano anche fenomeni ipogei di particolare rilevanza come:

-valli e depressioni carsiche: aree relativamente estese a circolazione idrica superficiale inesistente o molto limitata per la prevalente infiltrazione nel reticolo sotterraneo attraverso inghiottitoi e perdite, come quelle già citate nello Spezzino.

- sorgenti carsiche

- cavità particolari: sono grotte importanti dal punto di vista idrogeologico e speleologico, come la Grotta degli Scogli Neri.

Forme di origine antropica

Le attività umane hanno come prodotto, con intensità crescente, modificazioni ambientali che quasi sempre incidono anche sul paesaggio.

Basti pensare alle trasformazioni silvicole, ai pascoli, ai terrazzamenti dei pendii, di notevole peso sull’aspetto del territorio. Altre opere ne influenzano anche la forma ed alcuni dei processi geomorfici naturali: opere idrauliche e marittime, grandi infrastrutture, attività estrattive, edilizia.

Le opere più rilevanti si possono distinguere in:

- invasi artificiali: sono i laghi che gravano maggiormente sul paesaggio sia in termini di “massa” sia intervenendo sul regime idraulico. Essi costituiscono uno dei più importanti interventi antropici della Regione;

- discariche e rilevati: di rilevanza particolare quella di Scarpino per i rifiuti urbani a Genova e quelle di Sori e Bogliasco;

- cave e miniere: quelle che hanno maggiore incidenza sono quelle “di

monte” a cielo aperto, le quali sfruttano rocce per inerti e pietrisco

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comportando la lavorazione di grandi volumi e spesso abbondanza di scarti;

- opere idrauliche e marittime: con esse si vogliono controllare o contrastare: la dinamica dei litorali, il moto ondoso, la dinamica fluviale, le esondazioni, i fenomeni erosivi, il trasporto solido dei corsi d’acqua.

Quindi da un lato si hanno sul mare: dighe foranee, moli, scogliere, pennelli, frangiflutti, isole artificiali, insomma quasi tutta la costa ligure è irrimediabilmente artefatta col pesante contributo dell’urbanizzazione.

Dall’ altro lato nei corsi d’acqua troviamo: dighe, arginature, repellenti,

coperture, varie opere a difesa dell’erosione. Tutti i principali corsi d’acqua

portano un gravame più o meno rilevante e non sempre necessario di opere

idrauliche; dal Roja al Magra in Liguria non vi è foce che sia ancora allo

stato naturale.

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1.3 Assetto vegetazionale della Liguria

Caratteristiche Generali

Generalmente ed inconsciamente si è portati a considerare la copertura vegetale di un territorio stabile nel tempo, questa è un’impressione errata.

Esiste una tendenza evolutiva perennemente in atto che procede di pari passo con il variare delle condizioni microambientali, determinando una transizione graduale da una comunità vegetale iniziale a una finale attraverso tutta una serie di stadi evolutivi intermedi.

In Liguria sappiamo che dall’ assenza di vita vegetale si passa ad un popolamento di piccole e frugali piante pioniere (muschi e licheni), quindi ad una vegetazione sparsa erbacea e poi suffruticosa (piante legnose nane), ad un popolamento di arbusti ed infine ad un bosco; quest’ ultimo, stabilizzandosi le condizioni climatiche e pedologiche complessive, finirà per possedere una composizione flogistica uniforme, con il dominio di una o pochissime specie arboree e con un corteggio di forme, prevalentemente erbacce, strettamente correlato a quelle arboree prevalenti.

Una comunità vegetale di questo tipo, evoluta, stabile e in equilibrio con l’ambiente, viene detta climax o vegetazione climatogena ed è destinata a durare finché la situazione ecologica complessiva rimarrà invariata. In pratica un climax è la fitocenosi che, in un determinato ambiente, manifesta il più elevato rendimento nello sfruttare le disponibilità di acqua, elementi nutritivi, luce e spazio, e quindi col tempo prende il sopravvento su ogni altra comunità vegetale.

Le associazioni climax tendono a realizzare coperture uniformi su vaste

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superfici e di conseguenza sono poco numerose: della vegetazione italiana se ne possono contare una quindicina; in Liguria il loro numero è minore. In sintesi possiamo affermare che nella nostra regione le fitocenesi climax sono tutte dominate da piante legnose. Si va dalla tipica macchia mediterranea della fascia costiera albenghese, a boschi di angiosperme di vario tipo (leccete, quercete, faggete) che si susseguono al variare dell’altitudine; sui crinali più elevati, a causa delle condizioni climatiche avverse, al bosco climatico si sostituisce un’ associazione durevole di arbusti (rododendri e mirtilli).

Ragionando in altri termini, possiamo dire che in Italia lo studio della distribuzione altimetrica delle fitocenosi consente di individuare tre piani altitudinali:

- Piano basale o pedemontano (0 m a circa 900 m).

- Piano montano (da 900 m a 2000 m circa).

- Piano cacuminale (oltre i 2000 m).

-

Nell’ambito di ciascun piano si possono distinguere vari raggruppamenti di fitocenosi, che vengono indicati col termine di “orizzonti”: anche la loro individuazione avviene su base altitudinale.

In Liguria il tratto costiero e l’immediato entroterra marittimo-collinare rientrano nel piano basale e ospitano consorzi vegetali tipici dei seguenti orizzonti:

- Orizzonte delle alofite costiere.

- Orizzonte delle sclerofille sempreverdi mediterranee.

- Orizzonte delle latifoglie termofile.

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Figura 21 Vegetazione reale

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Orizzonte delle alofite costiere

Le alofite sono le piante che vivono sui terreni salati, la loro vita è condizionata dall’ elevato tenore di sali minerali, soprattutto cloruro di sodio, presenti nel terreno e nell’ ambiente subaereo, trasportati dai venti marini.

In questo orizzonte rientrano associazioni vegetali appartenenti a tre di versi “ordini”: Cakiletalia (associazioni di piante annuali pioniere sulle spiagge), Ammophiletalia (associazioni vegetali che vivono sulle dune sabbiose, con dominanza di specie erbacee perenni), Crithmo-Staticetalia (popolamenti delle rupi marittime e delle scogliere, anch’essi a base di erbacee perenni).

Figura 22 Alofite perenni

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Orizzonte delle sclerofille sempreverdi mediterranee

In questo orizzonte rientrano i popolamenti arbustivi conosciuti come

“macchia mediterranea” ed i boschi di leccio. Quindi si possono distinguere:

- Formazioni arbustive marittime e collinari formati da arbusti sempreverdi e piante lianose quali l’erica, l’alaterno, la ginestra, il corbezzolo, il lentisco, l’euforbia, il mirto, la ginestra ecc.

- Lembi di “garìga”, termine col quale s’intende un popolamento diradato di suffrutici; sono formazioni tipiche degli ambienti caldi e aridissimi su suolo pietroso, spesso generati purtroppo da frequenti incendi che causano questo tipo di condizione. Tra le specie più presenti abbiamo: il timo, l’euforbia spinosa e la lavanda.

- Aree prative marittime e collinari, che sono il frutto di antichi disboscamenti e di recenti incendi; esse costituiscono modeste zone di pascolo ed hanno un relativo valore estetico.

- Leccete, le quali sono il climax per antonomasia lungo le due Riviere; il loro “dominio” comincia a ridosso della costa e termina ad una altitudine di 500-600 metri.

- Cenosi relitte a quercia da sughero, cioè sparuti gruppi di questa specie (Quercus suber), un tempo agevolata da un clima più caldo e arido dell’attuale.

- Pinete di vario genere, dal pino domestico che si ritrova in gruppi o in

filari sui ripidi crinali digradanti verso il mare, al frugale pino di Aleppo dei

suoli pietroso-rupestri, per finire con il pino marittimo estesissimo nella

regione, soprattutto nella Provincia di La Spezia.

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Figura 23 Corbezzolo, macchia mediterranea

Figura 24 Ginestra

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Figura 25 Lecceta nei pressi di Monte Rosso

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Figura 26 Castagneto

Orizzonte delle latifoglie termofile

In questo orizzonte rientrano i querceti a roverella, molti dei castagneti , molti dei boschi a caducifoglie (frassino, acero, sorbo, pioppo), alcune pinete di rimboschimento a pino nero. Questo orizzonte sfuma

insensibilmente in quello inferiore, non esiste, in Liguria, una quota precisa

in cui avvenga la transizione.

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Oltre alle specie già citate possiamo trovare in concentrazione minore anche faggete, abetaie di abete bianco (ormai rare sui rilievi liguri), pinete a

pino silvestre, rimboschimenti a conifere, lembi di lariceto (nella provincia di Imperia), aree prative montano-subalpine (scopina, brugo, astragalo spinoso, ginepro nano, mirtillo nero), tipiche delle vette elevate dell’

Appennino.

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Figura 27 Abetaia sull’Appennino

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1.4 Il “paesaggio costruito” ligure

Premessa

La morfologia territoriale regionale, modellata in una stretta e tormentata fascia marittima, determina uno dei caratteri più specifici del paesaggio ligure.

Infatti abbiamo un quadro di realtà locali unico in tutta Italia, proprio a causa di queste “durezze” di carattere geografico.

L’immagine paesistica, risultato dell’integrazione di parametri umani con le invarianze del supporto geografico, presenta un complesso sovrapporsi di strati “storici” che, con indici di potenza variabile, hanno concorso alla definizione dell’ assetto attuale.

Le ricerche nella cronologia di formazione del paesaggio ligure sono, per questa loro forte connotazione, fondamentali anche per la pianificazione territoriale.

L’ambiente e i suoi aspetti invarianti

Nello schema orografico regionale, alla conformazione ad arco della linea di costa, corrisponde una curva di monti più o meno parallela definita dalla linea di spartiacque alpino ed appenninico che separa il versante tirrenico da quello padano.

Questo principale asse orografico di spartiacque presenta la minima

distanza dal mare in corrispondenza del Golfo di Genova, nella parte

centrale dell’ arco, e la massima distanza ai suoi estremi, cioè

nell’Imperiose e nello Spezzino, articolandosi in assi vallivi minori disposti in

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generale con orientamento perpendicolare al mare, tra Ventimiglia e Sampierdarena, e invece quasi paralleli al mare da Genova alla foce del Magra.

Questa diversità delle due riviere ha agito nel tempo in maniera determinante nella formazione delle matrici insediative e del popolamento rurale o marittimo, producendo differenze sostanziali, tuttora ben chiare, nella composizione dei corrispondenti paesaggi.

Altro aspetto da considerare è l’incidenza dell’ esposizione dei versanti, delle influenze climatiche indotte da un’orografia così complessa (soleggiamento, temperatura, ventilazione e piovosità) sull’ aspetto non solo vegetazionale, ma soprattutto agrario ed insediativo. E’ infatti evidente, per esempio, la disposizione costante dei centri abitati piccoli e grandi “al sole”, privilegiando gli orientamenti meridionali.

Anche la clinometria interagisce nella scelta del sito, che spesso corrisponde ad un terrazzo morfologico, al deposito di una paleofrana, o alla linea di crinale come sede di minime pendenze nell’innesto di due o più acclivi.

In un territorio quasi esclusivamente montuoso, e sostanzialmente privo di

estese aree pianeggianti, queste regole “antiche” appaiono determinanti e

risultano quindi quali massimi ingredienti costitutivi dello scenario

d’ambiente.

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Figura 28 Paesaggio Costruito

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Cronologia del paesaggio antropico

La storia dell’insediamento in Liguria trova le prime forme organizzate della stabilizzazione relativa alle sedi, da parte delle tribù liguri, che attestano i propri villaggi fortificati intorno ai “castellari” avviando, in concomitanza, un’agricoltura mista, matrice di un popolamento rurale esteso affermatosi nell’Alto medioevo.

Si tratta di nuclei per lo più concentrici all’architettura strategica, localizzati alle testate dei crinali lungo le vie di cresta, in posizione di massima difendibilità e di esteso dominio visivo sul territorio.

In questa fase, le direttrici di fondovalle e le aree pianeggianti presso i litorali appaiono per lo più disabitate, corrispondendo ai suoli meno protetti e meno vivibili in senso lato nell’economia arcaica tribale.

In questa fase organizzativa protostorica per unità tribali o per estensioni omogenee etnico-territoriali, si consolida lo schema principale delle perimetrazioni “politiche” di ambito che venne poi recuperato dai romani nell’organizzazione per spazi e municipi e che, in ambito cristiano, corrispose nell’organizzazione per pievi e diocesi.

La stabilità di questi antichi confini è chiara nell’ opposizione dei liguri alla penetrazione romana dei primi secoli. Lo schema romano coesiste spesso come modello infrastrutturale per le linee di fondovalle e linee di alta costa marittima, con la trama arcaica dei crinali.

Il nuovo assetto infrastrutturale romano è rappresentato dalle grandi vie consolari e dall’estensione dei municipi della cittadinanza romana ai liguri.

Il paesaggio romano ha però scarso peso nella configurazione montana e

collinare; col declino dell’Impero l’insediamento torna sulle trame della

struttura arcaica, disertando le coste e pianure vallive rese insicure dalle

incursioni ricorrenti dal mare.

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Solo il rafforzamento delle prime autonomie comunali e delle superstiti strutture feudali consente la ricostruzione dell’immagine marittima della Liguria, d’ora innanzi guidata e variamente sottomessa alla potenza navale del più forte comune genovese.

Tra il XII e il XV secolo, si assiste infatti al massimo consolidamento della struttura insediativa regionale, matrice fondamentale degli ulteriori sviluppi moderni e contemporanei.

I censimenti condotti dalla Repubblica di Genova nelle due riviere intorno alla metà del XV secolo, testimoniano infatti la presenza di quasi tutti i grandi e medi centri abitati tutt’ora esistenti e riferiscono la definizione di un paesaggio agrario che, almeno nel Levante, risulta coincidente con quello attuale.

Le produzioni di olio, di vino e di frutta appaiono infatti equilibrate in tutto l’arco da Nizza a Sarzana; i paesaggi più “forti” per l’eccedenza di produzione rispetto ai fabbisogni locali appaiono concentrati alle estremità dell’arco costiero dove, non a caso, si procederà nel periodo successivo ad una radicale modificazione dell’immagine per l’estensione delle politiche agrarie di monocoltura.

Le massime enucleazioni insediative dei centri storici regionali si localizzano negli areali della monocultura olivicola a testimonianza di un’organizzazione delle comunità in sistemi urbani sul modello di “Città”

dove l’esigenza della commercializzazione del prodotto agrario incide, modificandole, su tutte le forme di relazione spaziale e comunitaria.

Vengono spezzati infatti i rapporti tradizionali tra abitazione, o nucleo

abitato e circostante ambito agrario destinato all’autoconsumo e si

ripropongono contemporaneamente, all’ interno dell’ insediamento, quelle

stesse qualità di organizzazione socioeconomica e di relazione comunitaria

tipiche dei grandi comuni costieri.

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Rimangono alcune differenze di tessuti leggibili soprattutto tra le strutture insediative compatte di derivazione comunale e quelle ancora legate all’influenza feudale; nel secondo caso il castello o la struttura residenziale fortificata sono per lo più inglobate e protette entro il tessuto del borgo a cui attribuiscono, insieme alla chiesa, le massime connotazioni di scenografia urbana. Appartengono a questa categoria per esempio i centri di: Ameglia, Arcola, Vezzano, Trebbiano, Balestrino, Castelvecchio di Rocca Barbara.

Il borgo di derivazione comunale è, invece, potentemente fortificato all’esterno con mura, torri e castelli, parte di un’organizzazione strategica di interesse collettivo ben evidente (per es. Triora, Taggia, Savona ecc.).

I comuni più forti, come nel caso di Albenga, pianificano il proprio contorno territoriale con un sistema insediativo fortificato di nuova fondazione, a guisa di cornice armata.

In scala maggiore, Genova ha già sperimentato nel XII e XIII secolo questo processo di nuovo impianto di basi decentrate armate come Chiavari e Portovenere, nel quadro della creazione di presidi sicuri ai propri commerci nel Mediterraneo.

Figura 29 Ameglia, il borgo medievale

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L’influenza delle situazioni politiche nella costruzione del paesaggio regionale lascia particolari tracce di sé in entrambe le riviere. Esempi possono essere la penetrazione Sabauda nell’Imperiose, con la valle dell’Impero e la città di Oneglia di modello piemontese, o la presenza spagnola nell’area di Finale.

La forza delle compagini urbane cresce in proporzione alla distanza della capitale marittima della Repubblica, probabilmente anche per la necessità di possedere in proprio quegli strumenti di difesa per terra e per mare che Genova stenta ad assicurare alle estreme periferie del suo dominio.

Nel XVIII e XIX secolo si rafforzano gli insediamenti rurali anche nelle zone medie e alte delle valli dell’entroterra, in concomitanza con l’inizio dello sfruttamento dei boschi di castagni.

Nel 1800 è ormai fin troppo stabilizzata l’immagine, forse fin troppo celebrata, di una Liguria marinara e contadina sintetizzata nell’integrazione verticale dei suoi grandi paesaggi: marittimi (borghi rivieraschi); collinari (centri e nuclei rurali); montani (paesi e villaggi in alta quota).

Intanto, stante la scarsa disponibilità di territorio, comincia una crescita demografica che metterà quasi subito in crisi il sistema citato e già nella seconda metà dell’Ottocento l’emigrazione dalla montagna e dalle campagne è in pieno svolgimento, assecondata dal rinascente fenomeno dell’urbanesimo costiero di media vallata e soprattutto dal radicarsi dei primi nuclei di industrializzazione.

Il XIX secolo, sul fronte industriale, urbano e infrastrutturale, pone ormai le premesse dell’assetto territoriale contemporaneo, cresciuto sulla traccia delle grandi opere pubbliche e private avviate nell’ ottica della riunificazione del regno.

La prima razionalizzazione del sistema viario, che fino alla fine del

Settecento appare formato quasi esclusivamente da itinerari non carrabili, è

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