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Da un punto di vista clinico l’importanza delle nucleotidasi è data dal loro coinvolgimento nel metabolismo degli analoghi dei nucleosidi utilizzati in terapie antivirali o anticancro.

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1.1 Le nucleotidasi

La 5’ nucleotidasi citosolica II (cN-II, EC 3.1.3.5) è un enzima ubiquitario appartenente alla famiglia di proteine enzimatiche coinvolte nel metabolismo dei nucleotidi, ciascuna caratterizzata da una particolare collocazione cellulare, specificità di substrato e regolazione.

Le nucleotidasi possono catabolizzare i nucleosidi monofosfato dando come prodotto (nello schema di reazione classico) il nucleoside corrispondente con liberazione di fosfato inorganico. Le nucleotidasi contribuiscono al mantenimento dei pool intracellulari di nucleotidi e nucleosidi grazie al coinvolgimento in cicli di substrato cui partecipano anche nucleoside chinasi che agiscono fosforilando i nucleosidi a spese di ATP (figura 1): la fine regolazione delle due attività enzimatiche opposte in risposta alle diverse condizioni cellulari permette di adattare perfettamente i livelli di sintesi e degradazione dei nucleotidi secondo le particolari esigenze metaboliche della cellula o del tessuto (Hunsucker et al., 2005).

Nell’uomo sono state isolate e caratterizzate 7 nucleotidasi (tabella 1), ciascuna delle quali presenta un caratteristico pattern di espressione e diverse specificità di substrato: la presenza delle varie forme, che differiscono anche per i meccanismi di regolazione dell’attività enzimatica, permette un controllo tessuto-specifico dei pool nucleotidici, che vengono perciò mantenuti a livelli ottimali per il metabolismo dei diversi tipi cellulari dell’organismo. Delle 7 nucleotidasi scoperte fino ad oggi nell’uomo, una è legata alla superficie esterna della membrana plasmatica, una è localizzata nella matrice mitocondriale mentre 5 sono citosoliche (Hunsucker et al., 2005).

Da un punto di vista clinico l’importanza delle nucleotidasi è data dal loro coinvolgimento nel metabolismo degli analoghi dei nucleosidi utilizzati in terapie antivirali o anticancro.

Questa classe di composti, una volta entrata all’interno della cellula, deve essere fosforilata da parte di enzimi cellulari, in modo da poter essere convertita nella forma attiva trifosfato

Figura 1 Rappresentazione schematica di un ciclo di substrato nel quale sono coinvolti un deossiribonucleotide (dNMP) e un deossiribonucleoside (dNR; Gazziola et al., 2001)

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che andrà a bloccare la replicazione del virus o della cellula cancerosa interferendo nei casi più comuni con il meccanismo di duplicazione del DNA. A questo proposito le nucleotidasi, svolgendo un’azione catabolica sugli analoghi attivati, sono coinvolte nei meccanismi di resistenza a questi farmaci, e il rapporto tra attività chinasica (attivazione del farmaco) e nucleotidasica (disattivazione del farmaco) sarà quindi un fattore determinante per stabilire l’efficacia della terapia (Hunsucker et al., 2005).

Alcuni enzimi della classe delle nucleotidasi sono però in grado di catalizzare anche una reazione di fosfotransferasi nella quale il gruppo fosfato viene trasferito da un nucleotide donatore a un nucleoside accettore: nel caso in cui quest’ultimo sia un analogo di un nucleoside, la nucleotidasi si rivela essere l’enzima attivatore del profarmaco (in alcuni casi le nucleotidasi con attività fosfotransferasica sono gli unici enzimi cellulari in grado di attivare un determinato analogo). Da un punto di vista farmacologico, quindi, la ricerca sulle nucleotidasi dovrà essere rivolta allo studio di molecole capaci di inibire le nucleotidasi, o di nuovi analoghi le cui forme attivate non siano substrato delle nucleotidasi (per contrastare la resistenza ai farmaci data dall’attività nucleotidasica), e sarà inoltre necessario saggiare nuovi analoghi per valutarne il grado di attivazione da parte delle nucleotidasi dotate di attività fosfotransferasica (Bianchi et al., 2003).

5’ nucleotidasi Struttura Distribuzione

tissutale Substrati

Ecto-5’-nucleotidasi

(eN) Dimero Ubiquitaria Deossi- e ribonucleotidi purinici e pirimidinici

5’-nucleotidasi

citosolica IA (cN-IA) Tetramero

Tessuto muscolare, miocardio, cervello,

rene, pancreas

AMP, dTMP, dCMP, dGMP, dAMP, dIMP

5’-nucleotidasi

citosolica IB (cN-IB) ?

Ubiquitaria (alti livelli espressione nei

testicoli)

AMP

5’-nucleotidasi

citosolica II (cN-II) Tetramero Ubiquitaria

Attività nucleotidasica: IMP, dIMP, GMP, dGMP, XMP

Attività PHT: Ino, dIno 5’-nucleotidasi

citosolica III (cN-III) Monomero

Ubiquitaria (alti livelli espressione negli

eritrociti)

Attività nucleotidasica: CMP, UMP, dUMP, dCMP, dTMP Attività PHT: Uridina, citidina,

deossicitidina 5’(3’)

deossiribonucleotidasi citosolica (cdN)

Dimero Ubiquitaria

Maggiore attività: 3’-dUMP, 3’- dTMP, 3’-UMP,2’-UMP; minore

attività: 5’-dIMP, 5’-dUMP, 5’- dCMP, 5’-dTMP, 5’-dAMP 5’(3’)

deossiribonucleotidasi mitocondriale (mdN)

Dimero Ubiquitaria 5’-dUMP; 5’-,3’-dTMP; 5’-,3’-,2’- UMP

Tabella 1 Le 5’-nucleotidasi umane (modificato da Hunsucker et al., 2005)

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1.1.1 La ecto-5’-nucleotidasi (eN)

Il gene della ecto-5’-nucleotidasi è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 6 (Boyle et al.,1989). La sequenza umana è lunga 1725 paia di basi e codifica per una proteina di 574 amminoacidi (Misumi et al.,1990), con un’omologia di sequenza che oscilla tra 86% e 89% se confrontata con altre ecto-5’-nucleotidasi di mammifero; i residui catalitici sono inoltre altamente conservati nelle eN di tutte le specie (Knofel & Strater, 1999).

La proteina attiva è un dimero composto da subunità di 71 kDa legate alla membrana cellulare tramite un’ancora di glicosil fosfatidilinositolo (GPI). Durante il processo di traduzione la proteina subisce diverse modifiche, tra cui il taglio del peptide segnale N- terminale, il taglio di 25 amminoacidi C-terminali, l’aggiunta dell’ancora di glicosil fosfatidilinositolo e diverse N-glicosilazioni con catene di glicano diverse a seconda della specie e del tessuto nel quale la proteina è espressa (Misumi et al.,1990). La maggior parte dei tessuti esprime la proteina, che risulta però localizzata solo in alcuni tipi cellulari all’interno di ciascun tessuto: la specificità di espressione dipende dalla presenza, nella regione del promotore, di una complessa serie di siti di legame per diversi fattori di trascrizione (Spychala et al., 1999a). Diversi autori hanno dimostrato che l’espressione di eN aumenta in condizioni ischemiche o di ipossia (Ledoux et al., 2003): in questo modo l’aumento di produzione di adenosina causato dall’attività di eN permette di mediare le risposte tissutali specifiche anti-ischemiche (l’adenosina è una molecola segnale capace di indurre, ad esempio, vasodilatazione).

La ecto-5’-nucleotidasi ha una larga specificità di substrato verso i ribo- e deossiribonucleosidi monofosfato, anche se presenta un’alta affinità per l’AMP (K

m

3-19 µM). Analizzando il rapporto V

max

/K

m

per diversi substrati, l’AMP risulta essere il substrato migliore, e i ribonucleotidi si rivelano essere substrati migliori rispetto ai deossiribonucleotidi (Naito & Lowenstein, 1981). I cationi divalenti non sono necessari per la catalisi, anche se è stato dimostrato che Mg

2+

e Mn

2+

aumentano l’attività enzimatica (Meflah et al., 1984). Il pH ottimale per l’attività enzimatica dipende dalla fonte da cui l’enzima viene purificato, e varia tra 6,8 e 8 per l’enzima purificato dal rene di ratto (Le Hir et al., 1989) e tra 8 e 9 nell’enzima isolato dal muscolo scheletrico di porcellino d’India (Camici et al., 1985). La ecto-5’-nucleotidasi risulta essere inibita da α,β-metilen adenosina 5’-difosfato (AMPCP), ADP, ATP e concanavalina A (Naito & Lowenstein, 1981; Camici et al., 1985; Le Hir et al., 1989).

La eN ha diverse funzioni fisiologiche (figura 2), tra cui la generazione localizzata di

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adenosina per l’attivazione dei recettori adenosinici, il recupero di nucleotidi extracellulari, la mediazione dell’adesione cellula-cellula e ha probabilmente anche un ruolo di co- recettore nell’attivazione delle cellule T (queste ultime due funzioni non dipendono dall’attività enzimatica della proteina; Eltzschig et al., 2003; Nemoto et al., 2004).

I nucleosidi adenilici monofosfato che vengono rilasciati dalle cellule nello spazio extracellulare possono subire catabolismo da parte della eN oppure divenire substrato di percorsi biosintetici mediati da adenilato chinasi e nucleoside difosfato chinasi: il bilancio di questi due pathways contribuisce a regolare le vie di segnalazione mediate dai recettori per l’ATP (prodotto da enzimi chinasi) e per l’adenosina (prodotta dalla ecto-5’- nucleotidasi), e l’espressione della eN può quindi rappresentare un meccanismo di controllo indiretto di tali pathways (Yegutkin et al., 2002). L’adenosina prodotta dalla eN può inoltre attivare recettori collegati a proteine G che rispondono a condizioni ischemiche nel cuore stimolando la vasodilatazione (Newby, 1984).

L’attività nucleotidasica della ecto-5’-nucleotidasi svolge inoltre un ruolo cruciale nel recupero dei nucleotidi, in quanto i nucleotidi presenti nello spazio extracellulare devono essere defosforilati a nucleosidi per poter essere riassorbiti dalle cellule tramite trasportatori specifici (Fleit et al., 1975).

La eN svolge un ruolo importante anche come molecola di adesione e (probabilmente) agisce anche come corecettore per l’attivazione delle cellule T; nelle cellule linfocitarie inoltre la eN è coinvolta nella mediazione dell’adesione alle cellule endoteliali dei vasi durante il processo di migrazione dei linfociti verso il sito di infiammazione (Airas et al., 1995). Alti livelli di espressione della ecto-5’-nucleotidasi sono stati inoltre rilevati in diversi tipi di cellule cancerose: questo ha portato a formulare l’ipotesi che l’espressione di eN, e potenzialmente la generazione extracellulare di adenosina, possano essere fattori importanti nella progressione del cancro (Spychala et al., 2004).

Figura 2 La eN defosforila i nucleotidi extracellulari permettendone il recupero da parte della cellula; l’adenosina extracellulare prodotta da eN può anche andare ad attivare i recettori adenosinici che trasducono il segnale tramite cAMP e fosfolipasi C (Hunsucker et al., 2005)

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1.1.2 Le 5’-nucleotidasi citosoliche IA e IB (cN-IA e cN-IB)

La 5’-nucleotidasi citosolica IA è una proteina citosolica espressa principalmente nel tessuto muscolare (scheletrico e cardiaco), nel cervello, nel pancreas, nel rene, nei testicoli e nell’utero (Hunsucker et al., 2001). Il gene della cN-IA è localizzato sul cromosoma 1p34.3-p33 e la regione codificante comprende 6 esoni. Studi immunocitochimici su cuore di piccione hanno messo in evidenza l’associazione della cN-IA con fibre muscolari di tipo striato (Sala-Newby et al., 1999). La forma attiva della proteina è un tetrametro composto da subunità di peso molecolare 40-43 kDa (proteine purificate da diversi organismi hanno subunità di peso molecolare leggermente differente; Hunsucker et al., 2001). Enzimi cN-IA estratti da diversi vertebrati mostrano sequenze N- e C-terminali divergenti, mentre l’identità è pari al 90-99% tra gli amminoacidi 46 e 351 della sequenza umana e le porzioni corrispondenti (regioni contenenti i residui catalitici) di enzimi di altri vertebrati; la stessa regione risulta essere invece meno conservata quando si confrontano enzimi estratti da altri vertebrati o da batteri.

La cN-IA può agire su svariati nucleotidi e deossiribonucleotidi, ma i substrati più efficienti sono AMP e deossiribonucleotidi pirimidinici (figura 3;

Hunsucker et al., 2001). La cN-IA umana purificata dal muscolo cardiaco ha una K

m

per l’AMP pari a 1,46 mM, mentre l’enzima umano ricombinante presenta una K

m

per l’AMP di 1,9 mM (Hunsucker et al., 2001). Al contrario di altre nucleotidasi citosoliche, la cN-IA non catalizza la reazione fosfotransferasica (Garvey et al., 1998). La regolazione dell’attività enzimatica è stata ampiamente indagata, e sono risultati attivatori l’ADP e, in misura minore, il GTP (Hunsucker et al., 2001), ma svolgono effetto attivatore anche altri dNDPs (dADP, dTDP, dCDP, dGDP).

Come altre nucleotidasi citosoliche, l’attività della cN-IA è Mg

2+

-dipendente, con un picco di attivazione a concentrazioni di Mg

2+

comprese tra 3,5 e 10 mM (i valori cambiano in base alla fonte da cui l’enzima viene purificato); l’attività cala invece quando la concentrazione di Mg

2+

supera il valore 10 mM. Mn

2+

e Co

2+

attivano l’enzima in modo

Figura 3 L’azione della cN-IA sui deossiribonucleotidi e i cicli di substrato con deossicitidina chinasi (dCK) e timidina chinasi 1 (TK1;

modificato da Hunsucker et al., 2005)

(7)

inferiore rispetto al Mg

2+

(Darwish et al., 1993). Il pH ottimale per l’attività enzimatica è pari a 7, o valori leggermente più acidi.

Dideossinucleotidi quali ddT, ddU e ddC risultano forti inibitori della cN-IA, e basandosi su queste evidenze è stato sviluppato un inibitore (5-etinil-dideossiuridina, 5-EddU) altamente specifico per questo enzima (Garvey et al., 1998), con una selettività fino a mille volte superiore per la cN-IA rispetto a cN-II ed eN.

Il principale ruolo fisiologico della cN-IA è la produzione di adenosina in condizioni ischemiche o anossiche. La 5’-nucleotidasi citosolica IA forma un ciclo di substrato con l’adenosina chinasi: in condizioni normali l’equilibrio del ciclo è spostato verso la produzione di AMP, mentre in condizioni ischemiche viene aumentata la produzione di adenosina (Peart et al., 2001). L’aumento di produzione di adenosina è causato sia dall’inibizione dell’attività dell’adenosina chinasi che dall’aumento dell’attività della cN- IA, causata a sua volta dall’aumento della concentrazione del substrato (AMP) e dell’attivatore (ADP).

I bassi valori di K

m

osservati per i deossiribonucleosidi pirimidinici monofosfato suggeriscono inoltre che la cN-IA possa svolgere un ruolo importante anche nella regolazione dei pool di nucleotidi pirimidinici intracellulari nei tessuti nella quale è espressa.

La 5’-nucleotidasi citosolica IB è un enzima strettamente correlato alla cN-IA. La sequenza della cN-IB è stata localizzata sul cromosoma 2p24.3. Analogamente alla cN-IA, anche la cN-IB idrolizza AMP, e la sua attività è inoltre incrementata da ADP (Sala- Newby et al., 2001). Studi di RT-PCR hanno dimostrato che la cN-IB ha espressione ubiquitaria, con livelli di mRNA più alti nel testicolo e più bassi nel cervello e nel muscolo scheletrico.

I cDNA della cN-IB umani e murini presentano diversi probabili siti di inizio della traduzione, e non è ancora noto quale, o quali, siano quelli effettivamente utilizzati in vivo.

Studi successivi dovranno inoltre dimostrare se la forma attiva della cN-IB sia un

tetramero (analogamente alla cN-IA), o se sia invece un monomero o un dimero come per

altre nucleotidasi citosoliche. Sala-Newby e Newby (2001) hanno osservato come la cN-IB

umana appaia identica ad una proteina autoimmune correlata con l’infertilità (hAIRP), fatta

eccezione per il cambio di tre singoli amminoacidi: questi potrebbero essere dei semplici

polimorfismi, ma potrebbero anche rappresentare le mutazioni che inibiscono la cN-

IB/hAIRP portando all’infertilità o ai disordini autoimmuni correlati.

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1.1.3 La 5’-nucleotidasi citosolica III

Il gene della 5’-nucleotidasi citosolica di tipo III è localizzato sul cromosoma 7p14.3 e contiene 11 esoni; sono stati individuati anche due pseudogeni della cN-III, uno dei quali è costituito dall’intera sequenza codificante senza introni (localizzato sul cromosoma 4), mentre l’altro è una sequenza più breve corrispondente all’esone 1 del gene della cN-III (localizzato sul cromosoma 7; Marinaki et al., 2001). Il trascritto primario del gene della cN-III può subire un processo di splicing alternativo che porta alla formazione di tre diversi mRNA maturi: il trascritto più lungo contiene tutti gli esoni della sequenza (compreso l’esone R recentemente identificato e localizzato tra l’esone 2 e l’esone 3) ed è stato isolato solo nei reticolociti; il processo di traduzione inizia da un sito contenuto nell’esone 3, e porta alla formazione di una proteina della lunghezza di 285 amminoacidi.

Nel trascritto maturo più corto vengono eliminati sia l’esone 2 che l’esone R: la traduzione della proteina inizia in questo caso dall’esone 1 e produce una proteina enzimaticamente attiva della lunghezza di 286 amminoacidi. La terza modalità di splicing produce un mRNA maturo in cui è escisso solo l’esone R: il sito di inizio della traduzione si trova nell’esone 2, e il processo di traduzione porta alla formazione di una proteina lunga 297 amminoacidi (contiene 11 amminoacidi aggiuntivi in posizione N-terminale rispetto alla proteina di 286 amminoacidi; Marinaki et al., 2001). Quest’ultimo tipo di enzima non è stato clonato né purificato, quindi non è chiaro se la presenza degli 11 amminoacidi N- terminali influenzi la specificità di substrato o l’attività enzimatica. Solo l’enzima della lunghezza di 286 amminoacidi è stato clonato e studiato in modo approfondito, e le sue caratteristiche rispecchiano quelle della cN-III purificata dai tessuti. La cN-III è l’unica nucleotidasi conosciuta la cui forma attiva è monomerica (Marinaki et al., 2001).

La ricerca nei database delle expressed sequence tag (EST) ha rivelato l’espressione della cN-III in molti tessuti umani, tra i quali cellule linfoidi, milza, cuore, fegato, testicoli, colon, utero, polmone, pancreas, rene e cervello, anche se l’enzima è stato studiato principalmente negli eritrociti (Marinaki et al., 2001).

La cN-III idrolizza esclusivamente nucleosidi pirimidinici monofosfato, e non ha attività su substrati purinici. I valori di K

m

per i diversi substrati variano da micromolare a millimolare; l’analisi del rapporto V

max

/K

m

rivela che il CMP è il substrato migliore, seguito dall’UMP (Amici et al., 2002). La cN-III presenta anche attività fosfotransferasica:

questa reazione utilizza come donatori di fosfato tutti i nucleotidi pirimidinici che sono

substrato della reazione nucleotidasica, mentre i migliori accettori di fosfato risultano

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essere uridina e citidina. Non è chiaro quale sia il ruolo della reazione fosfotransferasica in vivo.

Analogamente ad altre nucleotidasi citosoliche, anche la cN-III è dipendente dal Mg

2+

; il pH ottimale della reazione è 7,5. L’enzima è inibito da nucleosidi e fosfato, mentre non è influenzato da ADP, ATP e 2,3-BPG (Amici et al., 2002).

L’attività di idrolisi dei nucleotidi pirimidinici esercitata dalla cN-III è particolarmente importante durante il processo di maturazione degli eritrociti: in questa fase si assiste infatti ad una up-regulation della cN-III volta all’ottimizzazione del catabolismo dei ribonucleotidi uridinici e citidinici prodotti durante il processo di degradazione dell’RNA (figura 4).

Gli eritrociti maturi perdono la capacità di sintesi dei nucleotidi: è particolarmente importante quindi che il pool di nucleotidi adenilici (utilizzati come fonti di energia o come molecole segnale) non venga eliminato durante la fase di maturazione. La specificità di substrato della cN-III verso i nucleotidi pirimidinici permette quindi il catabolismo selettivo dei nucleotidi derivanti dalla degradazione dell’mRNA senza intaccare i nucleotidi purinici importanti per la sopravvivenza dell’eritrocita maturo.

Pazienti omozigoti per mutazioni del gene della cN-III sviluppano anemia emolitica, una condizione caratterizzata da emolisi e dal massiccio accumulo di citidina e uridina fosfato all’interno degli eritrociti: l’accumulo di nucleotidi è particolarmente dannoso in quanto interferisce con la glicolisi negli eritrociti (Paglia et al., 1975). Le mutazioni che interessano il gene della cN-III associate con lo sviluppo di anemia emolitica possono

Figura 4 La cN-III catabolizza le pirimidine durante il processo di degradazione dell’RNA negli eritrociti in fase di maturazione. L’enzima è responsabile anche del catabolismo dei deossiribonucleotidi pirimidinici. (dCK, deossicitidina chinasi; UCK, uridina/citidina chinasi; TK1, timidina chinasi 1; CDA, citidina deaminasi; CMPDA, CMP deaminasi; dCMPDA, dCMP deaminasi; TS, timidilato sintasi;

Hunsucker et al., 2005)

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essere di diversa natura: mutazioni frameshift (inserzioni o delezioni), mutazioni che interessano le sequenze coinvolte nel meccanismo di splicing degli introni (causano splicing aberrante), mutazioni che inseriscono codoni di stop all’interno della sequenza codificante e svariate mutazioni non senso che possono causare una grave riduzione o addirittura eliminare l’attività dell’enzima.

1.1.4 La 5’(3’)-deossiribonucleotidasi citosolica (cdN)

La 5’(3’)-deossiribonucleotidasi citosolica è una proteina dimerica composta da subunità del peso di 23,4 kDa, espressa ubiquitariamente nei tessuti umani; livelli maggiori di espressione sono stati rilevati nel pancreas, nel muscolo scheletrico e nel cuore. Il gene della cdN è localizzato sul cromosoma 17q25.321-23 ed è composto da 5 esoni e 4 introni.

La cdN umana è attiva con tutti i 5’-deossiribonucleosidi monofosfato fatta eccezione per il dCMP; l’attività specifica è invece bassa con i 5’-ribonucleosidi monofosfato UMP, IMP e GMP, ed è quasi nulla con 5’-AMP e 5’-CMP (Rampazzo et al., 2000a). Analizzando l’efficienza dell’enzima utilizzando il rapporto V

max

/K

m

risulta che i substrati migliori per la cdN umana sono 3’-dUMP, 3’-dTMP, 3’-UMP e 2’-UMP. L’attività della cdN è dipendente dal Mg

2+

, e il pH ottimale è neutro o leggermente acido.

L’attività enzimatica è regolata da nucleosidi e nucleotidi: dIno, dUrd e fosfato inorganico inibiscono l’attività enzimatica, mentre i dNTPs a basse concentrazioni e l’ATP non influenzano l’attività. L’attività verso i 3’-nucleotidi è incrementata in presenza di dGMP, dTMP, dUMP, dIMP, dIno e dGuo; l’aumento dell’attività in presenza di dNMPs suggerisce che i nucleotidi effettori si leghino in un sito regolatorio della proteina distinto dal sito attivo nel quale si lega il substrato (Fritzson, 1977).

La cdN purificata dagli eritrociti umani presenta attività fosfotransferasica (gli accettori di fosfato sono in questo caso dUrd o dThd); tale attività non è però stata rilevata nell’enzima ricombinante murino o nella cdN purificata dalla placenta umana (Rampazzo et al., 2000a).

La cdN forma cicli di substrato con nucleoside chinasi cellulari in modo tale da controllare

i livelli di deossinucleotidi all’interno della cellula (figura 5): la cdN protegge in

particolare le cellule dall’espansione dei pool di nucleotidi pirimidinici. Un’altra

importante funzione fisiologica della cdN è il suo ruolo nel catabolismo di nucleotidi

atipici fosforilati in posizione 2’ e 3’: l’attività della cdN permette quindi di recuperare i

nucleosidi derivanti, ad esempio, dall’attività delle nucleasi attive in cellule morenti che

possono produrre nucleosidi 3’- o 5’-monofosfato (Fritzson, 1977).

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1.1.5 La 5’(3’)-deossiribonucleotidasi mitocondriale (mdN)

Il gene della mdN, localizzato sul cromosoma 17p11.2, è composto da 5 esoni e 4 introni, ed ha la stessa struttura del gene della cdN. Fatta eccezione per la sequenza codificante il segnale di localizzazione per la matrice mitocondriale, l’omologia tra le sequenze codificanti la cdN e la mdN è pari al 52%: questo dato, e l’alta somiglianza condivisa anche dalla struttura dei due geni, suggerisce che le due sequenze possano essere derivate da un evento di duplicazione genica (Rampazzo et al., 2000b). Una ulteriore conferma della probabile correlazione tra le due proteine è data anche dall’analoga struttura quaternaria: entrambi gli enzimi sono infatti attivi in forma dimerica (la mdN è un dimero composto da subunità del peso di 23 kDa).

Nell’uomo i maggiori livelli di espressione dell’mRNA della mdN sono stati rilevati nel cuore, nel cervello e nel muscolo scheletrico, con livelli sensibilmente più bassi nel pancreas e nel rene (Rampazzo et al., 2000b).

Gli studi cristallografici della mdN in complesso con inibitori e analoghi di substrato sono stati determinanti per identificare gli amminoacidi necessari per il legame del substrato e la catalisi e per definire i motivi catalitici comuni a tutte le nucleotidasi intracellulari (Rinaldo-Matthis et al., 2002).

La mdN umana ricombinante idrolizza preferibilmente 5’-dUMP, 5’- e 3’-dTMP e 5’-, 3’-

Figura 5 La 5’(3’)-deossiribonucleotidasi citosolica (cdN) e la 5’(3’)- deossiribonucleotidasi mitocondriale (mdN) idrolizzano preferibilmente deossiribonucleosidi monofosfato contenenti la base uracile o timina.

(TK1, timidina chinasi 1; TK2, timidina chinasi 2; TS, timidilato sintasi;

TP, timidina fosforilasi; DNC, deossinucleotide carrier; Hunsucker et al., 2005)

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e 2’-UMP; l’attività enzimatica è invece estremamente bassa con nucleosidi purinici monofosfato e nulla con il CMP. Analogamente alla cdN e alle altre nucleotidasi citosoliche, anche per la mdN l’attività è Mg

2+

-dipendente. Il pH ottimale della reazione catalizzata dalla mdN varia tra 5,0 e 5,5; l’attività enzimatica non è influenzata dall’ATP (Rampazzo et al., 2000b).

La specificità di substrato della mdN suggerisce che questo enzima protegga il mitocondrio

dall’eccessiva espansione del pool del dTTP, che può avere effetti mutagenici per la

replicazione mitocondriale: squilibri nei livelli di dTTP all’interno del mitocondrio hanno

infatti effetti devastanti per il funzionamento dell’organello, causando delezioni o perdita

del DNA mitocondriale con conseguenti gravi sintomi muscolari e neurologici. La

regolazione del livello di dTTP all’interno del mitocondrio viene quindi effettuata grazie

all’instaurarsi di un ciclo di substrato tra la mdN (catabolismo dTMP) e la timidina chinasi

2 (TK2, anabolismo dTMP): la regolazione delle due attività enzimatiche opposte permette

di regolare la fosforilazione della timidina all’interno del mitocondrio (figura 5).

(13)

1.2 La 5’-nucleotidasi citosolica II (cN-II)

1.2.1 Distribuzione tissutale

La 5’-nucleotidasi citosolica II (cN-II, EC 3.1.3.5) è un enzima solubile presente nel citoplasma della maggior parte delle cellule di mammifero. L’enzima attivo è presente in diversi organi e tessuti a differenti concentrazioni: in particolare un’alta attività enzimatica è stata rilevata nei tessuti che presentano un rapido turnover degli acidi nucleici o elevati livelli di sintesi di DNA, quali testicoli, fegato, milza e cellule linfoblastoidi (Galmarini et al., 2003a). Una conferma della maggiore espressione della cN-II in cellule con attiva sintesi di DNA è data dall’osservazione degli elevati livelli di attività specifica dell’enzima in cellule tumorali rispetto alle cellule sane (Tozzi et al., 1991). Altri tessuti, ad esempio muscolo scheletrico ed eritrociti, presentano alti livelli di mRNA della cN-II (alti livelli di espressione), ma bassi livelli di attività enzimatica. Analisi tramite Northern blot di mRNA umano utilizzando come sonda la porzione 5’ terminale del cDNA bovino codificante la cN-II evidenziano la presenza di una singola banda di lunghezza 3,6 kb in tutti i tessuti:

questo conferma l’ubiquitarietà di espressione della cN-II (Allegrini et al., 1997).

Il gene della cN-II è localizzato sul cromosoma 10q24.32 (Galmarini et al., 2003a) e

codifica per una proteina di 561 amminoacidi (Oka et al., 1994). La struttura primaria della

proteina è molto conservata: l’enzima umano presenta infatti un’omologia di sequenza

superiore al 98% se confrontata con 5’-nucleotidasi citosoliche di tipo II di altri

mammiferi, mentre tale omologia cala se si effettua il confronto con gli enzimi di

Drosophila (omologia 66%) e Caenorhabditis elegans (omologia 51%). Il tasso di

mutazione degli amminoacidi della cN-II tra le proteine umana e bovina o tra le proteine

umana e di pollo è comparabile con il tasso osservato per le proteine molto conservate (ad

esempio istoni, actina e tubulina): questo alto livello di omologia, oltre alla vasta

distribuzione in diversi organismi e tessuti, suggerisce che la cN-II svolga un ruolo centrale

all’interno della cellula (Allegrini et al., 1997). La cN-II umana e la cN-II bovina in

particolare presentano un altissimo grado di omologia, pari al 94% per la sequenza

nucleotidica e al 99,5% per la sequenza amminoacidica: rispetto alla cN-II umana infatti la

proteina bovina presenta solo due mutazioni amminoacidiche conservative (treonina

anziché serina in posizione 2 e valina anziché isoleucina in posizione 335) e un residuo di

acido glutammico in meno nella regione C-terminale (Allegrini et al., 1997). Per questi

motivi la sequenza della cN-II bovina è stata utilizzata come modello per lo studio

(14)

dell’enzima 5’-nucleotidasi citosolica II: la sequenza è stata clonata all’interno di un plasmide che, replicato ed espresso all’interno di particolari ceppi batterici, permette di ottenere grandi quantità della proteina purificata e disponibile per i successivi studi cinetici e strutturali.

1.2.2 Caratteristiche strutturali

L’enzima purificato da diverse fonti è stato sottoposto ad analisi cromatografiche ed elettroforetiche per studiarne la struttura: la massa molecolare apparente dell’enzima, stimata con esperimenti di gel filtrazione, varia tra i 165 kDa dell’enzima di Artemia e i 265 kDa dell’enzima purificato dal polmone di maiale in presenza di inibitori delle proteasi. La massa molecolare della singola subunità, dedotta da analisi elettroforetiche, varia invece tra 51 e 62 kDa: questi dati suggeriscono che la cN-II abbia una struttura omotetramerica (Allegrini et al., 1997).

La purificazione della 5’-nucleotidasi citosolica II da timo di vitello ha portato alla scoperta e all’isolamento di due forme dell’enzima con diverso comportamento elettroforetico e cromatografico. La procedura di purificazione descritta da Pesi et al.

(1998) permette la separazione di due diverse specie proteiche entrambe capaci di reagire con anticorpi diretti contro la cN-II: le due specie sono state denominate forma A e forma B, e presentano una massa molecolare pari a 59 kDa e 54 kDa, rispettivamente. Allegrini et al. (2004) hanno inoltre dimostrato che le due specie proteiche isolate sono presenti nei tessuti in vivo, e non derivano da eventi proteolitici accidentali durante le procedure di purificazione. Le due isoforme di enzima presentano, oltre a un diverso peso molecolare, anche un diverso comportamento cromatografico: quando una miscela delle due forme viene infatti caricata su una colonna impaccata con ADP-agarosio (cromatografia di affinità), la forma A non interagisce con la fase stazionaria, mentre la forma B ne viene trattenuta e può essere eluita solo aggiungendo ADP nel tampone di eluizione (Pesi et al., 1998). La forma A e la forma B della cN-II rispondono inoltre diversamente agli effettori che regolano l’attività enzimatica (vedi paragrafo 1.2.4): la 5’-nucleotidasi citosolica è infatti un enzima molto complesso, la cui attività è regolata dalla presenza di ATP, ADP, 2,3-BPG, polifosfati adenilici (ad esempio Ap

4

A) e fosfato inorganico (quest’ultimo risulta essere l’unico effettore con funzioni inibitorie).

Da un punto di vista strutturale e funzionale la 5’-nucleotidasi citosolica II può essere

classificata all’interno della superfamiglia delle proteine HAD (L-2-Haloacid

(15)

Dehalogenase): il meccanismo di reazione comune dei membri di questa superfamiglia prevede infatti la formazione di un intermedio enzima-fosfato e il successivo trasferimento del gruppo fosfato esterificato all’enzima ad un accettore nucleofilo. La composizione analoga del sito di legame del fosfato negli enzimi della superfamiglia HAD di cui si conosce la struttura indicano che questi enzimi hanno un meccanismo catalitico simile per l’idrolisi di legami fosfomonoesterici, suggerendo così per queste proteine un’evoluzione divergente da un progenitore comune (Walldén et al., 2007). La formazione del complesso enzima-fosfato nella cN-II è stata dimostrata incubando la proteina enzimatica con IMP marcato con

32

P e inattivando successivamente l’enzima aggiungendo SDS: in seguito all’elettroforesi della proteina così trattata, l’esame autoradiografico ha permesso di rilevare la presenza di radioattività nella banda corrispondente alla cN-II (Baiocchi et al., 1996). La scoperta della formazione del complesso enzima-fosfato ha permesso di comprendere la natura bifunzionale dell’enzima: la cN-II possiede infatti, oltre all’attività nucleotidasica, anche attività fosfotransferasica. La reazione fosfotransferasica catalizzata dalla cN-II è diretta conseguenza del meccanismo della reazione nucleotidasica (figura 6):

il complesso enzima-fosfato che si forma durante il processo di conversione del nucleotide substrato in nucleoside prodotto può cedere il gruppo fosfato ad una molecola di acqua

(attività nucleotidasica) o ad un nucleoside accettore (attività fosfotransferasica).

L’osservazione di allineamenti multipli delle sequenze delle 6 nucleotidasi citosoliche con le sequenze di altri membri della superfamiglia HAD ha permesso di individuare i motivi comuni e i residui conservati coinvolti nel meccanismo catalitico; l’importanza di tali residui è stata in seguito confermata tramite esperimenti di mutagenesi sito-specifica (figura 7).

Figura 6 Meccanismo di reazione della 5’-nucleotidasi citosolica II. (d)N1MP, (deossi) nucleoside 5’-monofosfato 1; (d)N1, (deossi) nucleoside 1; (d)N2, (deossi) nucleoside 2; (d)N2MP, (deossi) nucleoside 5’-monofosfato 2

(16)

I motivi comuni ai membri della superfamiglia HAD individuati tramite il multi- allineamento delle sequenze sono tre:

Motivo I: DXDX(T/V)

I due residui di acido aspartico presenti in questo motivo svolgono un ruolo fondamentale per la catalisi enzimatica: l’aspartato 52 (figura 8) compie l’attacco nucleofilo sul gruppo fosfato del nucleotide substrato ed è quindi direttamente coinvolto nella formazione dell’intermedio enzima-fosfato; l’aspartato 54 stabilizza l’intermedio di reazione e dona un protone al nucleoside prodotto uscente dal sito catalitico, oltre a contribuire alla coordinazione dello ione Mg

2+

richiesto per la catalisi; la treonina 56 forma un legame a idrogeno necessario per posizionare il nucleofilo all’interno del sito attivo.

Motivo II: T/S inserito in una regione idrofobica

La treonina 249 permette il corretto orientamento del substrato all’interno del sito attivo tramite la formazione di un legame a idrogeno con il gruppo fosfato del nucleotide; lo stesso residuo contribuisce inoltre a stabilizzare l’intermedio covalente enzima-fosfato.

Motivo III: K(X)

x

D(X)

0-4

D

Nella cN-II la lisina 292 contribuisce alla stabilizzazione dell’intermedio di reazione carico negativamente, mentre l’aspartato 351 e l’aspartato 356 sono coinvolti nel coordinamento dello ione Mg

2+

(Allegrini et al., 2004).

(17)

Figura 7 Allineamento multiplo di 5’-nucleotidasi di mammifero e di membri della superfamiglia P-type ATPase-L-2-haloacid dehalogenase (ATPase-HAD) In figura sono riportati solo tre motivi comuni a tutte le sequenze. I numeri indicano la distanza dall’estremo N-terminale di ciascuna proteina e la lunghezza dei gap tra le sequenze allineate. I blocchi superiore, intermedio e inferiore comprendono membri delle 5’-nucleotidasi di mammifero, membri della superfamiglia HAD e ATPasi di tipo P, rispettivamente. L’ombreggiatura blu indica i residui conservati richiesti per l’attività catalitica; l’ombreggiatura rossa indica gli amminoiacidi conservati presenti alternativamente nel motivo I; l’ombreggiatura gialla indica residui non carichi (regioni idrofobiche). Gli elementi di struttura secondaria sono indicati come -eliche, foglietti  o regioni loop (l). Bb, Bos bovis; Ec, Escherichia coli; Eh, Enterococcus hirae; Hs, Homo sapiens; Mg, Mycoplasma genitalium; Psp, Pseudomonas sp.; Sa, Staphylococcus aureus; Sc, Saccharomyces cerevisiae; Sp, Schizosaccharomyces pombe. Modificato da Allegrini et al., 2004

(18)

I residui amminoacidici presenti nei tre motivi conservati sono stati sottoposti a mutagenesi sito-specifica in modo da dedurre la loro funzione nella catalisi enzimatica: Allegrini et al.

(2004) hanno quindi osservato che la mutazione dei due residui di acido aspartico contenuti nel motivo I (e facenti parte del sito attivo dell’enzima, figura 8) abolisce completamente l’attività enzimatica e la formazione dell’intermedio enzima-fosfato, suggerendo quindi un ruolo centrale dei due amminoacidi nella catalisi. La mutazione dei residui contenuti negli altri motivi conservati ha in genere influenzato fortemente l’attività enzimatica e i parametri cinetici dell’enzima: è stato comunque osservato che mutazioni conservative hanno generalmente un effetto inferiore sui parametri cinetici, mentre mutazioni non conservative hanno spesso conseguenze molto gravi influenzando sia la velocità della reazione (V

max

) sia l’affinità per i substrati (K

m

).

Recentemente Walldén et al. (2007) sono riusciti ad ottenere cristalli della 5’-nucleotidasi citosolica sui quali hanno condotto studi di cristallografia ai raggi X per comprendere la struttura tridimensionale dell’enzima. I cristalli sono stati ottenuti da una proteina mancante dei 25 residui amminoacidici C-terminali, in quanto la proteina completa è scarsamente solubile e non permette di raggiungere gli alti valori di concentrazione necessari per la cristallizzazione. La cN-II è stata cristallizzata in presenza di

BeF3

(mima il complesso intermedio fosfoenzimatico), adenosina (mima il legame degli effettori nei siti regolatori) e MgSO

4

(il Mg

2+

è un catione necessario per l’attività enzimatica, mentre lo ione

SO42

mima il legame dei gruppi fosfato del substrato e dei diversi effettori).

Figura 8 Rappresentazione schematica del sito attivo della cN-II (Allegrini et al., 2004)

(19)

Gli studi cristallografici rivelano che la proteina è un tetrametro, in accordo con quanto osservato in precedenti esperimenti di gel filtrazione (figura 9).

La singola subunità della cN-II è costituita da un dominio /

contenente un foglietto  antiparallelo composto da otto filamenti circondato da otto - eliche; questa struttura è simile al

“core domain” /-Rossmann- like osservato nella mdN, nella cN-III e in altre proteine appartenenti alla superfamiglia HAD (figura 10). Il core domain contiene il sito di legame per il gruppo fosfato del nucleotide substrato; rispetto a quello della mdN e della cN-III, il core domain della cN-II contiene cinque -eliche addizionali e alcune strutture loop coinvolte nell’interazione tra subunità o nel legame degli effettori. La cN-II ha anche un dominio più piccolo (cap domain) contenente un fascio di quattro -eliche, simile al cap domain che nella mdN e nella cN-III lega la base del nucleotide substrato; nella 5’- nucleotidasi citosolica il cap domain è più

esteso, e contiene anche due foglietti  antiparalleli addizionali composti rispettivamente da tre e quattro filamenti , una -elica aggiuntiva e due strutture loop coinvolte nel legame degli effettori o nell’interazione tra subunità. L’enzima tetramerico è costituito da due dimeri identici che interagiscono tramite i 28 residui presenti all’interfaccia B; le due subunità che compongono il dimero sono invece collegate tramite i 53 residui presenti all’interfaccia A.

Il sito attivo della cN-II è localizzato tra il

core domain ed il cap domain, analogamente a quanto osservato per la mdN e la cN-III; il

Figura 9 Struttura tetramerica della cN-II. Sono mostrati il sito attivo, i siti effettori 1 e 2 e le interfacce A e B di interazione tra le subunità. Ioni solfato: rosso e giallo; magnesio: arancio;

adenosina: rosa. Atomi polari: azoto, blu; ossigeno, rosso.

(Walldén et al., 2007)

Figura 10 Struttura generale di una subunità della cN-II con legati ioni solfato (rosso e giallo), Mg2+

(verde) e adenosina (arancio); il cap-domain è in giallo e arancio e il core-domain è in blu e azzurro. (Modificato da Walldén et al., 2007)

(20)

core domain contiene i tre motivi conservati in tutti i membri della superfamiglia HAD che cosituiscono il sito di legame per il gruppo fosfato del substrato e contengono i residui catalitici.

L’analisi dei cristalli ottenuti in presenza di adenosina rivela la presenza di due putativi siti effettori, cioè porzioni della proteina nella quale si osserva il legame di basi adeniliche che potrebbero mimare il legame dei nucleotidi effettori (ATP e ADP, vedi il paragrafo 1.2.4).

Nel sito effettore 1 (figura 11) una molecola di adenosina si lega in un modo molto ordinato: forma legami a idrogeno con la glutammina 453, l’asparagina 154 e diverse molecole di acqua, mentre la porzione idrofobica interagisce con la fenilalanina 354 e l’isoleucina 152; l’arginina 456 e l’arginina 144 interagiscono con uno ione solfato localizzato vicino al gruppo 5’-idrossilico dell’adenosina, suggerendo che questo possa essere il sito di legame del gruppo fosfato del nucleotide effettore. Il sito effettore 1 è localizzato nei pressi dell’interfaccia A che mantiene unite le due subunità che compongono un dimero: i residui arginina 144, arginina 456, lisina 362 e tirosina 457 delle due subunità formano quindi una grande tasca di legame in cui potrebbero inserirsi i gruppi fosfato dei nucleotidi adenilici effettori che si legano presso l’interfaccia A. A questo proposito Spychala et al. (1999b) hanno proposto che l’ATP e il fosfato inorganico possano regolare l’attività enzimatica modulando il grado di associazione tra le molecole: questo tipo di regolazione, se confermato, potrebbe coinvolgere i residui del sito effettore 1 posti all’interfaccia A tra le due subunità che compongono il dimero, anche se sono ancora necessari esperimenti per confermare questa ipotesi. Un meccanismo di regolazione simile, modulato tramite l’associazione/dissociazione di subunità proteiche, è già stato osservato per gli enzimi PRib-PP sintetasi, glutammina fosforibosilpirofosfato amidotransferasi e creatina chinasi.

Nel sito effettore 2 (figura 12) è stato osservato il legame di una seconda molecola di adenosina in modo molto meno ordinato rispetto a quanto riscontrato nel sito effettore 1:

nel secondo sito effettore infatti il motivo ribosidico appare molto disordinato, mentre la densità elettronica indica chiaramente il legame della base adenilica legata tramite ponti a

Figura 11 Immagine dell’adenosina legata nel sito effettore 1, con l’adenosina e i residui amminoacidici colorati in azzurro. Le molecole di acqua sono in rosso. Atomi polari: azoto, blu; ossigeno, rosso; zolfo, giallo. (Modificato da Walldén et al., 2007)

(21)

idrogeno con l’ istidina 428, la metionina 432, la metionina 436 e due molecole di acqua; l’anello purinico è invece inserito in una tasca formata dalla fenilalanina 127 e dall’istidina 428. I residui circostanti arginina 129, arginina 131, arginina 134, arginina 446 e lisina 140, che nella molecola cristallizzata coordinano due ioni solfato, potrebbero essere coinvolti nella coordinazione dei gruppi fosfato dei nucleotidi effettori adenilici legati in questo sito.

Un’altra caratteristica peculiare della 5’- nucleotidasi citosolica è la presenza di una regione fortemente acida (composta da una serie di residui di acido aspartico e glutammico) in posizione C- terminale. Gli studi cristallografici hanno evidenziato tre regioni cariche positivamente che potrebbero interagire con la “coda” acida, per la quale Spychala et al. (1999b) avrebbero proposto una funzione regolatoria esercitata modulando il grado di associazione tra le subunità che compongono il tetrametro della cN-II. La regione candidata per l’interazione con i residui acidi C-terminali è quella composta dai residui K(25)KYRR (figura 13), che potrebbero interagire con la porzione C-

terminale della subunità adiacente: è stato però dimostrato che la delezione di questa regione carica positivamente N-terminale non modifica le proprietà catalitiche e strutturali dell’enzima (Spychala et al., 1999b). Le altre due regioni cariche positivamente sono invece probabilmente coinvolte nel legame dei gruppi fosfato degli effettori legati nei siti effettori 1 e 2: la regione K(359)SKKRQ si trova infatti nei pressi del sito effettore 1, mentre la regione Q(420)RRIKK è, nella struttura tridimensionale dell’enzima, adiacente al sito effettore 2 (Walldén et al., 2007).

Le due forme della cN-II riscontrate durante la

Figura 12 Immagine dell’adenosina legata nel sito effettore 2; si osserva che il motivo ribosidico è disordinato e la densità elettronica non può confermare la sua collocazione. Le molecole di acqua sono in rosso. Atomi polari: azoto, blu; ossigeno, rosso; zolfo, giallo. (Modificato da Walldén et al., 2007)

Figura 13 Due subunità della cN-II tetramerica con le tre regioni cariche positivamente K(25)KYRR, K(359)SKKRQ e Q(420)RRIKK mostrate in color arancio. Adenosina, rosa;

solfato, rosso e giallo; Mg2+, arancio; atomi di azoto, blu; atomi di ossigeno, rosso. Il residuo C-terminale della struttura (residuo 488) è indicato con C. (Modificato da Walldén et al., 2007)

(22)

purificazione dell’enzima da timo di vitello differiscono quindi per la presenza (forma A, 59 kDa) o assenza (forma B, 54 kDa) della regione C-terminale. E’ stato identificato a questo proposito un sito di taglio proteolitico sensibile all’azione della trombina in corrispondenza del residuo arginina 526: una proteasi cellulare non ancora identificata potrebbe effettuare un taglio proteolitico generando le due forme osservate. Questo potrebbe essere un ulteriore meccanismo di regolazione dell’attività enzimatica, visto che, come già anticipato, le due forme A e B rispondono in modo diverso agli effettori che modulano l’attività enzimatica (per una trattazione più dettagliata degli aspetti regolatori si rimanda al capitolo relativo alla regolazione). Le due forme originate in vitro dal taglio proteolitico operato dalla trombina mostrano inoltre una diversa risposta alle condizioni redox: la proteina completa contiene infatti in posizione 547 un residuo di cisteina che, in assenza di agenti riducenti, forma un ponte disolfuro con la cisteina 175. La proteina contenente il ponte disolfuro presenta una ridotta attività enzimatica, che aumenta in seguito all’aggiunta nel mezzo di reazione di agenti riducenti. La modulazione dell’attività enzimatica conseguente a modificazioni strutturali dovute a cambiamenti nelle condizioni redox intracellulari è un chiaro esempio di regolazione redox intrasterica, già osservata in alcune proteine chinasi (Bretonnet et al., 2005). La proteina tagliata in corrispondenza dell’arginina 526, non avendo il residuo di cisteina 547, non è invece sensibile a modificazioni delle condizioni redox dell’ambiente di reazione: il taglio proteolitico che origina le due diverse forme potrebbe quindi essere un evento regolatorio in quanto produce due isoforme di enzima che hanno una diversa risposta sia alle molecole effettrici, sia allo stato ossidativo presente all’interno della cellula (Allegrini et al., 2004).

1.2.3 Meccanismo di azione

La 5’-nucleotidasi citosolica II catalizza la defosforilazione dei nucleotidi substrato con

formazione di un complesso enzima-fosfato che potrà in seguito cedere il gruppo fosfato

ad una molecola d’acqua (attività nucleotidasica) o ad un nucleoside accettore (attività

fosfotransferasica). La cN-II è attiva su tutti i nucleotidi 6-idrossipurinici: risultano quindi

buoni substrati IMP (K

m

0,1 mM), GMP (K

m

1,6 mM) e i loro derivati

deossiribonucleotidici (dIMP e dGMP), oltre alla xantosina 5’-monofosfato (Ipata et al.,

2006). La reazione fosfotransferasica catalizzata dalla cN-II, che può utilizzare come

substrato anche analoghi dei nucleosidi utilizzati in terapie antivirali o antitumorali,

(23)

richiede che il nucleoside accettore abbia un anello purinico e un gruppo elettronegativo nella posizione 6: nucleosidi o molecole analoghe con queste caratteristiche potranno essere fosforilati dall’enzima in presenza di un nucleotide donatore di fosfato, rappresentato dai nucleotidi che sono normalmente substrato della reazione nucleotidasica.

I migliori accettori di fosfato per la reazione fosfotransferasica risultano essere l’inosina e la deossiinosina, con valori di K

m

pari a 1 mM, ma risulta un buon substrato della reazione fosfotransferasica anche la guanosina (Banditelli et al., 1996). L’attività della cN-II, analogamente a quanto descritto per altre nucleotidasi citosoliche, dipende dallo ione Mg

2+

: per l’enzima wild type, la K

50

, cioè la concentrazione necessaria per ottenere una velocità di reazione dimezzata rispetto alla velocità massima (V

max

), è pari a 2 mM (Pesi et al., 1994).

Il pH ottimale della reazione fosfoidrolasica è risultato differente dal pH ottimale per la reazione fosfotransferasica: in presenza di un accettore di fosfato (inosina), la reazione nucleotidasica (misurata come velocità di liberazione di fosfato nel mezzo) ha un pH ottimale di circa 6,5, mentre la reazione fosfotransferasica (misurata come velocità di sintesi di IMP in presenza di dGMP come donatore di fosfato) ha un pH ottimale di circa 7 (Banditelli et al., 1996). E’ stato inoltre dimostrato che la velocità della reazione nucleotidasica aumenta se nel mezzo di reazione è presente un nucleoside accettore di fosfato: questo suggerisce che il passaggio di dissociazione del complesso enzima-fosfato è il passaggio limitante della reazione, e che il nucleoside è un accettore di fosfato cineticamente favorito rispetto all’acqua.

Il meccanismo di azione della cN-II prevede la formazione di un intermedio aspartil- fosfato che coinvolge direttamente il residuo aspartato 52 che agisce come nucleofilo (figura 14). All’interno del sito attivo il gruppo fosfato e il residuo catalitico aspartato 52 vengono giustapposti grazie ai legami che si formano tra lo ione Mg

2+

, il gruppo fosfato del substrato, la lisina 292 e l’aspartato 52 stesso; l’aspartato 52 compie a questo punto un attacco nucleofilo sul gruppo fosfato del nucleotide substrato, con formazione di un interemedio pentavalente stabilizzato dall’interazione con lo ione Mg

2+

e la lisina 292.

L’aspartato 54 svolge un ruolo bifunzionale durante la catalisi: al momento della

formazione dell’intermedio enzima-fosfato pentavalente, infatti, si comporta come un

acido cedendo un protone al nucleoside uscente, mentre in seguito all’ingresso

dell’accettore di fosfato (una molecola di acqua nel caso della reazione nucleotidasica, un

nucleoside accettore nel caso della reazione fosfotransferasica) si comporta come una base,

(24)

convertendo così il substrato accettore in un nucleofilo attivo che va ad attaccare il gruppo aspartil-fosfato.

Dopo la formazione di un nuovo intermedio pentavalente avviene il distacco del gruppo fosfato dall’enzima, con conseguente liberazione del prodotto (fosfato inorganico o nucleotide).

54 54

54 54

54 54

292

292 292

292 292

292 356

356 356

356 356

356

52

52 52

52 52

52

351

351 351

351 351

351

Figura 14 Meccanismo catalitico delle nucleotidasi citosoliche. La coordinazione da parte dello ione Mg2+ del gruppo fosfato del substrato rende quest’ultimo ben posizionato per l’attacco nucleofilo da parte dell’aspartato 52, con conseguente formazione di un intermedio enzima-fosfato. L’aspartato 54 svolge un ruolo bifunzionale nella reazione, comportandosi come un acido generale per la protonazione del gruppo uscente e come una base generale per l’attivazione della molecola di acqua (o del nucleoside accettore, nel caso della reazione fosfotransferasica) che compierà l’attacco nucleofilo sull’intermedio enzima-fosfato. (I numeri sono relativi alla sequenza della cN-II; modificato da Rinaldo-Matthis et al., 2002)

(25)

1.2.4 Regolazione dell’attività enzimatica

L’attività enzimatica della cN-II è finemente regolata da diversi effettori: in generale, la reazione è stimolata da ATP, ADP, 2,3-BPG, decavanadato e dinucleotidi polifosfato, in particolare Ap

4

A, mentre il fosfato inorganico (P

i

) ha un effetto inibitorio (Galmarini et al., 2003a). In assenza degli effettori precedentemente citati, è stato osservato che concentrazioni saline di NaCl o KCl superiori a 300 mM svolgono un effetto attivatore.

Il decavanadato, una forma oligomerica di ortovanadato, è risultato essere un potente attivatore della 5’-nucleotidasi citosolica; per l’enzima purificato dal rene di ratto, basandosi sull’osservazione che gli effetti stimolatori del decavanadato e del 2,3-BPG non sono additivi, Le Hir (1991) propose che i due composti interagissero con lo stesso sito di legame. Il decavanadato è un attivatore molto potente della cN-II: la K

50

(concentrazione dell’attivatore necessaria per ottenere un valore pari alla metà della velocità massima) è infatti pari a 42 nM. La funzione di attivatore del decavanadato è incrementata dalla contemporanea presenza, nel mezzo di reazione, di ADP: l’aggiunta di ADP 4 mM provoca infatti un abbassamento della K

50

del decavanadato fino a 4,3 nM (dati relativi all’attività fosfotransferasica; Pesi et al., 1996).

Un’altra classe di composti capaci di svolgere un grande effetto attivatore sulla cN-II sono i polifosfati e i dinucleotidi polifosfato, in particolare Ap

4

A. Marques et al. (1998) hanno saggiato diversi dinucleotidi polifosfato per valutarne l’effetto attivatore sulla cN-II: è risultato che la diadenosina 5’-5’ tetrafosfato (Ap

4

A) ha un valore di K

50

pari a 83 M, mentre i polinucleotidi diadenosinici Ap

5

A e Ap

6

A hanno valori di K

50

pari a 77 M e 57

M, rispettivamente; il dinucleotide Ap

4

A, alla concentrazione di 0,1 mM, è in grado di

attivare l’enzima 8,3 volte. Confrontando con l’effetto prodotto da Ap

4

A, si osserva che la

sostituzione di un motivo adenilico con un altro nucleoside purinico (Ap

4

G, Ap

4

X, Ap

4

I)

provoca solo un lieve calo nell’entità di attivazione, mentre la sostituzione di una base

adenilica con una base pirimidinica (Ap

4

U, Ap

4

C) o con dideossi-adenosina (Ap

4

ddA)

abolisce completamente l’attivazione: risulta quindi di estrema importanza per l’effetto

attivatore dei dinucleotidi polifosfato sulla cN-II la dimensione dell’anello nucleotidico e

la presenza del gruppo 3’-idrossile del motivo ribosilico. Un effetto simile a quello

esercitato dai polinucleotidi polifosfato è dato anche da catene singole di polifosfati (senza

i nucleotidi terminali): risultano attivatori della cN-II quindi i polifosfati P

18

, P

19

e P

20

. In

seguito alla risoluzione della struttura tridimensionale della 5’-nucleotidasi citosolica II

grazie a studi di cristallografia ai raggi X, è stato individuato un sito regolatore (sito

(26)

effettore 1) all’interno del quale è stato possibile modellare la molecola di Ap

4

A (figura 15). Il sito effettore 1 si trova in corrispondenza dell’interfaccia A che mantiene unite le due subunità componenti il dimero della cN-II (è stato proposto che la struttura tetramerica comunemente osservata per la cN-II possa in realtà essere il risultato dell’aggregazione di due dimeri; vedi il paragrafo 1.2.2): secondo questo modello un motivo adenilico della molecola di Ap

4

A si troverebbe nel sito effettore 1 di una subunità, mentre l’altra base adenilica sarebbe legata nel sito effettore 1 della subunità adiacente. In questo modo la molecola di Ap

4

A potrebbe contribuire a mantenere unite le due subunità facendo da “ponte” con la catena di polifosfato:

l’Ap

4

A potrebbe quindi attivare l’enzima promuovendo l’aggregazione tra le sue subunità, secondo un meccanismo già proposto da Spychala et al. (1999b) per l’ATP.

1.2.4.1 Regolazione da parte di ATP e fosfato inorganico (P

i

)

L’enzima purificato da timo di vitello è inibito da concentrazioni fisiologiche di fosfato: in presenza di fosfato 5 mM e ATP 4,5 mM si osserva un’inibizione del 15% rispetto all’attività totale, mentre in presenza della stessa concentrazione di fosfato e di ADP 4,5 mM l’inibizione è pari al 60% dell’attività totale: si conclude quindi che l’enzima si trovi sotto il controllo dell’ATP (attivatore) e del P

i

(inibitore). L’ATP ha effetto solo sulla V

max

dell’enzima, che è aumentata di 8 volte per la reazione nucleotidasica e di 15 volte per la reazione fosfotransferasica. La presenza di fosfato influenza invece principalmente la K

m

per i substrati, aumentando di 24 volte la K

m

per l’IMP e di 4 volte la K

m

per l’inosina; la V

max

della reazione fosfotransferasica non è influenzata dalla presenza di fosfato, mentre per la reazione nucleotidasica si osserva un aumento di 2 o 3 volte della V

max

in presenza di fosfato (Pesi et al., 1994). La contemporanea presenza di ATP e P

i

nel mezzo di reazione provoca un aumento dei valori di V

max

rispetto a quanto osservato in presenza del solo fosfato; la K

m

per l’inosina resta in queste condizioni paragonabile a quella misurata in

Figura 15 L’effettore Ap4A (arancio) sovrapposto al modello della cN-II in complesso con adenosina (sito effettore 1). Sono mostrate due diverse subunità (blu e marrone). I motivi adenilici dell’Ap4A si adattano perfettamente nei siti di legame dell’adenosina, come indicato dall’eccellente sovrapposizione con le molecole di adenosina determinate sperimentalmente.

(Modificato da Walldén et al., 2007)

(27)

presenza di ATP, mentre la K

m

per l’IMP sale fino a valori millimolari. Analizzando questi dati è possibile concludere che in assenza di effettori la cN-II svolge principalmente un’attività idrolasica, mentre in presenza di ATP 4,5 mM e fosfato 5 mM (condizioni che si avvicinano a quelle fisiologiche) l’efficienza catalitica indica che l’attività fosfotransferasica è favorita rispetto alla nucleotidasica. E’ possibile concludere quindi che in vivo, a concentrazioni fisiologiche di ATP e fosfato (valori di carica energetica intorno a 0,9 e concentrazioni di fosfato millimolari), la 5’-nucleotidasi citosolica catalizza principalmente la reazione fosfotransferasica, e la fosforilazione del nucleoside dipende solamente dalla disponibilità di un nucleoside accettore idoneo (Pesi et al., 1994).

L’attività fosfotransferasica dell’enzima risulta inoltre incrementata anche dalla presenza del 2,3-BPG.

1.2.4.2 Caratteristiche regolatore delle isoforme A e B

Le due isoforme A e B a diverso peso molecolare (forma A: 59 kDa; forma B: 54 kDa) descritte nel paragrafo 1.2.2 relativo alle caratteristiche strutturali della 5’-nucleotidasi citosolica II presentano, oltre ad un diverso comportamento elettroforetico, anche differenti caratteristiche regolatorie. Entrambi gli enzimi, infatti, sono attivati da ATP, ADP e 2,3- BPG e inibiti dal fosfato inorganico, ma nella forma B si osserva un effetto sinergico tra ADP e 2,3-BPG.

Gli effetti di ADP, ATP e 2,3-BPG sulla forma B sono additivi, indicando che questa isoforma dell’enzima possiede tre siti distinti e specifici per ciascun effettore. È stato osservato che l’ADP modifica l’affinità dell’enzima per l’attivatore 2,3-BPG e vice versa:

l’evidenza dell’effetto sinergico tra i due composti suggerisce l’esistenza di due siti regolatori distinti nei quali però il legame di un effettore ad un sito è in grado di modificare l’affinità del secondo sito di legame per il secondo effettore. L’attivazione esercitata dall’ATP non mostra invece effetto sinergico con nessuno degli altri effettori: si conclude da questa osservazione che l’ATP si lega in un sito di legame distinto la cui affinità non è modulabile dal legame di altri effettori alla proteina (Pesi et al., 1996).

Nella forma A invece è stato osservato effetto additivo solo tra ADP e 2,3-BPG e tra ATP

e 2,3-BPG, mentre gli effetti di ADP e ATP non sono risultati additivi: si deduce quindi

che l’isoforma A possegga un sito di legame specifico per il 2,3-BPG e un solo sito

condiviso da ATP e ADP. Nella forma A i valori di K

50

per l’ADP e l’ATP sono pari a 2,2

e 0,8 mM, rispettivamente, mentre il valore di K

50

per il 2,3-BPG è 0,29 mM (la forma A

(28)

possiede un sito di legame per il 2,3-BPG ad alta affinità). Poiché le concentrazioni intracellulari di ADP sono generalmente inferiori al valore di K

50

per questo attivatore, possiamo affermare che la forma A, in condizioni fisiologiche, sia attivata solo da ATP e 2,3-BPG (in realtà, fatta eccezione per le cellule eritrocitarie, la concentrazione fisiologica di 2,3-BPG intracellulare è solitamente inferiore ai valori della K

50

per il 2,3-BPG: si può concludere, quindi, che in vivo l’isoforma A della cN-II è attivata solamente dall’ATP).

Nella forma B, invece, a concentrazioni fisiologiche di 2,3-BPG può esplicarsi anche il ruolo attivatore dell’ADP, a causa dell’effetto sinergico che si osserva tra i siti di legame per l’ADP e il 2,3-BPG (Pesi et al., 1998). I valori di K

50

per l’ADP, per l’ATP e per il 2,3- BPG per l’isoforma B risultano essere pari a 3,8 mM, 2 mM e 1,1 mM, rispettivamente.

L’effetto sinergico descritto presente tra ADP e 2,3-BPG è dimostrato dal calo dei valori di K

50

dei due composti se presenti contemporaneamente nel mezzo di reazione: in presenza di ADP 4 mM infatti la K

50

del 2,3-BPG cala a 0,25 mM, mentre in presenza di 2,3-BPG 0,2 mM la K

50

dell’ADP risulta essere 0,7 mM (Pesi et al., 1996).

La presenza di ADP 4 mM è in grado di attivare circa 15 volte l’isoforma A, mentre l’entità di attivazione della forma B risulta essere di circa 3 volte nelle stesse condizioni (Pesi et al., 1998); la presenza di 2,3-BPG 2 mM attiva invece circa 10 volte la forma A, mentre per la forma B l’entità di attivazione è circa 3, analogamente a quanto osservato per l’ADP (dati relativi all’attività fosfotransferasica; Pesi et al., 1996).

1.2.5 Funzioni fisiologiche della cN-II

La replicazione e riparazione del DNA richiede un apporto dei quattro deossiribonucleotidi trifosfato continuo e bilanciato. La concentrazione di precursori presenti in ogni momento nella cellula è solitamente molto bassa, sufficiente solo per sostenere la sintesi di nuovo DNA per pochi minuti: i nucleotidi devono essere perciò continuamente riforniti durante la fase S. Squilibri nelle dimensioni dei pool dei nucleotidi sono solitamente genotossici e nei casi più gravi possono indurre morte cellulare: per questo motivo all’interno delle cellule l’anabolismo e il catabolismo dei nucleotidi sono finemente regolati grazie alla modulazione dei diversi enzimi coinvolti nei processi di sintesi e degradazione dei nucleotidi.

Un punto di controllo importante è rappresentato dall’interazione dinamica tra enzimi

chinasi (catalizzano il recupero dei nucleosidi) e nucleotidasi (catalizzano il catabolismo

dei nucleotidi): i due gruppi di enzimi formano cicli di substrato catalizzando due reazioni

opposte e irreversibili il cui risultato netto è l’idrolisi di ATP con formazione di ADP e P

i

.

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