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dell'idoneità, di mobilizzazione delle HSC e di monitoraggio delle staminali nel sangue periferico e successiva raccolta delle stesse.

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Riassunto

Lo studio di questa tesi è stato condotto al fine dell'analisi dell'efficienza di staminoaferesi in una casistica di pazienti affetti da Linfoma e Mieloma Multiplo in attesa di trapianto autologo per ridurre la tossicità del trattamento chemioterapico, afferenti al Centro raccolta cellule staminali dell'Ospedale SantaChiara di Pisa nel biennio 2013-2014.

In particolare la popolazione analizzata ha compreso 63 pazienti affetti 21 da Linfoma e 42 da Mieloma, con un totale di 114 raccolte di staminoaferesi, secondo le tre fasi di valutazione

dell'idoneità, di mobilizzazione delle HSC e di monitoraggio delle staminali nel sangue periferico e successiva raccolta delle stesse.

Innanzitutto sono stati raccolti i parametri biometrici come l'età, il peso, l'altezza, il sesso e la volemia : l'età media è risultata di 56,32 anni (mediana 59anni e DS 10,82 ); il peso medio è risultato di 74,6 Kg (mediana 91,5 Kg , DS 13,38);l 'altezza media è risultata essere di 170 cm (mediana 173cm , DS 8,67); il rapporto maschi:femmine è risultato essere di 38 maschi e 25 femmine; la volemia media è risultata essere di 4727 ml (mediana 5743ml, DS 812).

Successivamente sono stati esaminati parametri relativi all'intero percorso di staminoaferesi quali il tipo di regime di mobilizzazione e il numero di sedute aferetiche.

Su 114 sedute di staminoaferesi 41 strategie di mobilizzazione non erano note, in 33 i pazienti erano stati sottoposti a terapia mobilizzante col solo G-CSF, in 11 avevano effettuato solo cicli con chemioterapia ad alte dosi , in 18 era stata somministrata chemioterapia ad alte dosi e stimolazione con GCSF, 3 sedute sono state condotte dopo somministrazione del solo plerixafor e 2 con la terapia combinata di G-CSF e plerixafor e 2 con la terapia combinata plerixafor -chemioterapia ad alte dosi e infine 4 con la combinazione delle tre strategie di mobilizzazione.

Per quel che riguarda le sedute aferetiche possiamo dire che 28 donatori hanno raccolto il target di

cellule staminali con una sola seduta aferetica e 23 donatori hanno raggiunto il target in 2 sedute

aferetiche; 3 sedute aferetiche sono state richieste da 10 donatori e 4 sedute sono state richieste per

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2 pazienti. Il valore medio del volume totale processato è stato di 10990,9 ml (mediana 11935,5 ml ; DS 9058,05).

Le nostre osservazioni hanno preso in considerazione parametri che contribuiscono alla definizione della purezza e qualità della sacca di staminoaferesi come, innanzitutto , il coefficiente d'efficienza (CE) mediano 48,8

( 2,65- 845,3)

nonchè la quantità di cellule mononucleate MNC totali presenti nella sacca, la quantità di mononucleati e le loro percentuali, la quantità dei polimorfonucleari percentuali , la percentuale di deplezione piastrinica e il CE piastrinico, l 'ematocrito e il totale dei globuli rossi.

Quindi ci siamo chiesti se all'interno del gruppo di pazienti nel nostro studio vi fosse una qualche correlazione tra efficienza di raccolta espressa dal CE% e la valutazione della conta delle diverse componenti cellulari nel prodotto aferetico e il volume di sangue totale processato (TPV) durante l'aferesi.

Per tale valutazione statistica abbiamo utilizzato il coefficiente di Spearman r (valori non parametrici , distribuzione non normale) calcolati a partire dal CE e dai dati dell'emocromo pre -aferesi e abbiamo usato l'analisi del tipo regressione lineare, per i soli WBC pre-aferesi e TPV, per indagare la possibile forma di correlazione .

Abbiamo riscontrato una correlazione negativa significativa tra CE e la conta pre-aferetica di WBC ( Spearman r -0,2965 c.i 95%) e la conta piastrinica pre -aferetica (Spearman r -0,2312

c.i 95%) ; TPV influenzava negativamente e significativamente il CE (Spearman r -0,2481 c.i 95%)

; i risultati ottenuti con la regressione lineare non sono risultati significativi (R square WBC pre- af/CE 0,007682 ; R square TPV/CE 0,004406).

Questi dati sono compatibili con le osservazioni riportate nella letteratura a nostra disposizione in cui si sottolinea in particolare come la conta pre-aferetica dei leucociti e il volume di sangue totale processato influenzino con correlazione negativa il coefficiente di raccolta CE.

Tuttavia la residua variabilità del coefficiente d'efficienza riscontrata puo' essere spiegata

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considerando l' esistenza di altre variabili, altri fattori che siano piu' determinanti per l'efficienza di raccolta e sia il meccanismo di reclutamento delle CD34+ nel sangue così come l'esperienza dell'operatore potrebbero essere fattori chiave migliorabili a tal proposito.

Nella seconda parte del nostro studio abbiamo invece spostato l'attenzione sull'analisi dell'efficienza di raccolta delle staminali sulla base della patologia e soprattutto sul diverso regime di mobilizzazione con o senza plerixafor, farmaco di recente introduzione .

Nella seconda parte dello studio, che è stata condotta solo considerando quei 40 pazienti per cui era noto il regime di mobilizzazione pre-aferetica, abbiamo esaminato come la nota capacità predittiva della conta di staminali pre-aferetica (HCP) sulla raccolta delle staminali nella sacca si modifichi in base alle diversa patologia e soprattutto in base all’introduzione del regime di mobilizzazione con plerixafor.

Innanzitutto, considerando la totalita' dei pazienti , i nostri risultati hanno confermato l'abilità della valutazione (HCP) nel predire la raccolta delle staminali ( coefficiente Spearman r per tutti i pazienti del nostro studio è stato significativamente di 0,5610 (95% confidence interval 0,3741 to 0,7042)).

Non abbiamo evidenziato alcuna grossa differenza nel coefficiente di correlazione in base alla diagnosi: nei pazienti affetti da Mieloma il coefficiente Spearman è stato 0,5777 c.i 95% ( R square 0,3900 ); mentre nei pazienticon Linfoma il coefficiente è stato di 0,6485 c.i. 95% ( R square 0,5304), indipendentemente dalla tipologia di trattamento di mobilizzazione.

I dati e la casistica a nostra disposizione non sono risultati sufficienti per indicare che la conta

HCP correli in modo significativo ugualmente nei pazienti che hanno ricevuto il plerixafor e in

quelli che hanno ricevuto altri regimi di mobilizzazione, diversamente da come indicato in

letteratura : i coefficienti di Sperman per la correazione HCP -staminali della sacca sono risultati in

tutti e tre i casi di trattamento con plerixafor non significativi (per il Linfoma Spearman r 0,7000

c.i 95% ; per il Mieloma Spearman r 0,7714 c.i 95% ; per tutti i pazienti Spearman r 0,1818 c.i

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95%).

Sarà necessario, quindi, svolgere questo tipo d'indagine raccogliendo un piu' ampio numero di casi

di mobilizzazione con plerixafor, allo scopo di ottenere maggiori risultati confrontabili con la

letteratura.

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capitolo I: scopo della tesi

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Lo studio di questa tesi è stato condotto al fine di analizzare l'efficienza di staminoaferesi in una casistica di pazienti affetti da Linfoma e Mieloma Multiplo in attesa di trapianto autologo per ridurre la tossicità del trattamento chemioterapico, afferenti al centro raccolta cellule staminali dell'Ospedale SantaChiara di Pisa nel biennio 2013-2014.

Il lavoro è stato suddiviso in due parti .

Nella prima abbiamo analizzato la totalità dei 63 pazienti , 21 affetti da Linfoma e 42 affetti da Mieloma , con un totale di 114 raccolte di staminoaferesi, per valutare l'esistenza di parametri quali la conta pre- aferetica dei leucociti (WBC) o il volume di sangue totale processato nell'aferesi(TPV) capaci di influenzare l'efficienza di raccolta delle staminali.

Nella seconda parte dello studio il gruppo di pazienti analizzato ha compreso solo i 40 soggetti di cui conoscevamo il regime di mobilizzazione.

Abbiamo spostato l'attenzione sull'analisi dell'efficienza di raccolta delle staminali sulla base della patologia e soprattutto sul diverso regime di mobilizzazione con o senza plerixafor, farmaco di recente introduzione .

In particolare, abbiamo esaminato come la nota capacità predittiva della conta di staminali pre- aferetica (HCP) sulla raccolta delle staminali CD34+ si modifichi in base alle diversa patologia e soprattutto in base all’introduzione del regime di mobilizzazione con plerixafor.

I nosri risultati sono stati confrontati con la letteratura in materia allo scopo di trarre spunti di

miglioramento per l'intera gestione dell'attività di staminoaferesi presso il Centro raccolta cellule

staminali dell'Ospedale SantaChiara di Pisa .

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capitolo II: introduzione

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2.1 GENERALITA'

2..1.1 Biologia della cellula staminale

Si inizia a parlare di cellule staminali alla fine del 1800 per descrivere la capacità auto-rigenerativa di alcuni tessuti.[1]

Per definire una cellula come staminale sono utilizzati quattro criteri:

⋅ indifferenziamento terminale

⋅ capacità di molteplici e sequenziali divisioni cellulari di auto-mantenimento, a bassa frequenza, volto a sostenere una popolazione cellulare

⋅ divisione asimmetrica in cui le due cellule figlie derivate da una singola cellula staminale possono rimanere allo stato di staminale o differenziarsi in almeno un diverso tipo cellulare rispetto a quello della madre; questa asimmetricità è spiegabile dalla locazione delle figlie in microambienti differenti che ne specificano l'identità: alcune saranno caratterizzate da un alto indice proliferativo, altre da proprietà migratorie

(v.fig 2.1.1.1)

(fig.2.1.1.1 divisione asimmetrica della cellula staminale)

⋅ capacità delle cellule di ripopolare il tessuto di origine se trapiantate in un sito ricevente

danneggiato o anche in assenza di danni (piu' dibattuto).

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Le cellule staminali si distinguono in:

- cellule totipotenti: sono delle cellule altamente indifferenziate che hanno la capacità di orientarsi verso la formazione di qualunque organo o tessuto;

- cellule pluripotenti: hanno la possibilità di differenziarsi in molti ma non in tutti gli organi o

tessuti ;

- cellule multipotenti: derivano dalle cellule pluripotenti e hanno una capacità differenziativa sempre ampia , ma in un numero di organi più ristretto rispetto alle cellule dalle quali derivano ;

– cellule unipotenti : sono cellule che possono dar luogo soltanto ad un tipo cellulare.

(v.fig.2.1.1.2)

fig.2.1.1.2

Le staminali vivono in nicchie, cioè microambienti composti da cellule di supporto e segnali

associati che controllano il rinnovamento e la proliferazione delle cellule staminali e le proteggono

da stimoli di differenziamento, stimoli apoptotici e altri che ne potrebbero alterare la riserva

(12)

.

(v.fig.2.1.1.3a,b,c)

a b

c

(fig.2.1.1.3 a,b,c esempi di nicchie)

Sono state individuate e descritte cellule con caratteristiche di staminalità in tessuti embrionali, fetali ed adulti.

Le cellule staminali embrionali ESC ( dall’inglese: embryonic stem cells) sono presenti nella massa cellulare interna (o embrioblasto) della blastocisti, poco prima dell’impianto nella mucosa uterina;

sono pluripotenti e se coltivate in opportune condizioni per lunghi periodi possono generare molte cellule figlie “totipotenti”dando origine a tutti i tessuti differenziati come neuroni o cardiomiociti o epatociti per riparare tessuti vitali danneggiati da malattie degenerative.

Possono essere geneticamente modificate in vitro mediante sostituzione di un gene sano con uno

mutato e impiantate in embrioni chimerici che possono consentire lo studio di malattie .

(v.fig2. 1.1.4)

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fig.2.1.1.4 ESC

Le c ellule staminali fetali o Fetal Stem Cells (FSCs) che sono derivate da aborti, sono cellule anch'esse pluripotenti.

Le cellule staminali adulte o Adult Stem Cells (ASC) sono presenti in molti e forse in tutti gli organi anche se il loro numero si riduce probabilmente con l’età.

Sono pluripotenti: le cellule non specializzate rimangono indifferenziate sino a che varie stimolazioni le inducono a differenziarsi in più di 200 tipi diversi di cellule specializzate.

Tra le cellule staminali adulte, già da lungo tempo, sono state identificate le cellule staminali emopoietiche (HSC) da cui si originano tutte le cellule emopoietiche, di cui parleremo piu' diffusamente in questa tesi e le cellule staminali mesenchimali(MSC).

(v.fig 2.1.1.5)

(v.fig 2.1.1.5)

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2.1.2 Cellule Staminali Mesenchimali (MSC)

Più di recente sono state scoperte cellule staminali del tronco mesenchimale (1/10000-100000 cellule nucleate umane ) , conosciute anche come colony forming fibroblastic cells, stromal fibroblasts ,marrow stromal stem cells,mesenchymal progenitor cells.

Da esse originano cellule staminali nel sistema nervoso centrale e periferico (NSC) da cui differenziano neuroni, astrociti ed oligodendrociti, cellule staminali nel muscolo da cui derivano i miosatelliti del muscolo scheletrico, cellule staminali nella cartilagine che si differenziano in condroblasti pericondrali, cellule staminali nell'osso capaci di originare osteoblasti e cellule staminali nel tessuto adiposo che si differenziano in adipociti; ci sono poi quelle nel fegato da cui originano le cellule ovali, quelle nello strato basale dellʼepidermide, le cellule staminali della cornea , della polpa dentaria e del'intestino; persino a livello cardiaco troviamo un certo grado di staminalità capace di sostenere il ricambio di cardiociti e forse anche di cellule muscolari lisce ed endoteliali. (v.fig.2.1.2..1 a,b cellule staminali emopoietiche e cellule staminali mesenchimali)

Le cellule staminali mesenchimali (MSCs) sono precursori non ematopoietici inizialmente isolati dal midollo osseo come elementi aderenti, altamente proliferanti, dotati di potenziale di self-renewal a lungo termine e di differenziazione multilineare in diversi tessuti di origine mesenchimali .[2,3]

Tali proprietà , la facilità di isolarle e coltivarle ed il loro elevato potenziale di espansione ex vivo ne fanno una interessante risorsa utilizzabile in una vasta gamma di applicazioni cliniche nel contesto della terapia cellulare e genica ed in medicina rigenerativa .[4]

Le MSCs derivano dal mesoderma, il foglietto embrionale intermedio da cui originano i tessuti

connettivi di tutto l’organismo, che si differenzia intorno al terzo mese di gestazione. Il mesenchima

differisce notevolmente dagli altri foglietti embrionali, costituiti quasi esclusivamente di cellule, in

quanto è composto da un’abbondante matrice extracellulare in cui sono immerse le cellule

mesenchimali. Il tessuto mesenchimale si ritrova in tutti gli organi, per garantire supporto strutturale

e per regolare il traffico di cellule attraverso i tessuti. Le MSCs, derivano principalmente dal

(15)

mesoderma, ma possono originare anche da alcune porzioni degli altri due foglietti embrionali:

l’ectoderma della cresta neurale e l’endoderma della placca precordale . [5]

Le MSCs possono essere isolate ed espanse in vitro senza apparente modificazione del fenotipo e/o perdita di funzione.

La caratterizzazione fenotipica delle MSCs rimane ancora un campo di approfondimento: le MSCs sono prive di markers distintivi unici, così vengono individuate attraverso l’analisi di un complesso immunofenotipo, che comprende la mancanza di antigeni tipici delle cellule staminali emopoietiche, come il CD45, il CD34 ed il CD14, e l’espressione di una serie di molecole di superficie, come il CD90, chiamato anche Thy-1, il CD105 o endoglina ed il CD73 o SH3-SH4.

Le MSCs, anche dopo espansione in vitro, mantengono l’espressione di antigeni di superficie come il CD105, CD90, CD73 e CD44.

Nel 2006 il Mesenchymal and Tissue Stem Cell Committee dell’ISCT (International Society of Cellular Therapy) ha proposto alcuni criteri di identificazione delle MSCs allo scopo di uniformare gli standards .[6]

I criteri sono i seguenti:

• capacità di aderenza alla plastica

• specifica espressione antigenica di superficie

• potenziale di differenziazione multi potente

In primo luogo una MSC deve mostrare proprietà di aderenza alla plastica in condizioni normali di

coltura. Secondo ≥95% della popolazione MSC deve esprimere il CD105, il CD73 e il CD90

all’analisi citofluorimetrica. Inoltre queste cellule non devono esprimere (positività ≤2%) il CD45,

il CD34, il CD14 o il CD11b, il CD79a o il CD19 e HLA di classe II. Infine queste cellule devono

essere capaci di differenziare in osteoblasti, adipociti e condroblasti in vitro in condizioni di

differenziazione standard.

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(fig.2.1.2..1 a,b cellule staminali emopoietiche e cellule staminali mesenchimali)

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2..1.3 Le cellule staminali ematopoietiche

Le cellule staminali ematopoietiche

(HSC)

sono cellule dotate di un ampio potenziale proliferativo (pluripotenti) e della capacità di differenziare in tutte le linee emopoietiche della serie mieloide e linfoide, eritroidei, mastociti, monociti e macrofagi tissutali, ma anche, con le loro più spinte specializzazioni in cellule di Langerhans, osteoclasti, cellule dendritiche, cellule di Kupfer, garantendone un prezioso ricambio funzionale.[7,8,9]

Sono cellule rotondeggianti simili ai normali linfociti, residenti, prima della nascita, nel sacco vitellino, nel fegato e nella milza e, dopo la nascita, nel midollo osseo delle ossa lunghe e piatte (femore ,tibia ,sterno e coste).

Rappresentano lo 0,005- 0,01% delle cellule midollari e sono dotate della capacità di automantenersi (self -renewal), capacità di differenziare in linee multiple, plasticità (transdifferenziamento in alti tessuti per riprogrammazioe genica ), clonogenicità, ricostituzione midollare dopo trapianto.

La prima definizione è da attribuire a Lajtha e McCoulloch negli anni 70 mentre negli anni successivi, e tutt'ora in corso, lo sviluppo di differenti metodiche per lo studio in vivo ed in vitro dell’emopoiesi, l’identificazione e la caratterizzazione dei fattori di regolazione dell’emopoiesi, nuove tecniche per l’espansione e l’arricchimento in vitro delle cellule ematopoietiche hanno notevolmente ampliato le nostre conoscenze soprattutto sulla proprietà di automantenimento e sulla ripopolazione costante e quotidiana dell'intero microambiente midollare a lungo termine.

L’emopoiesi umana è dunque sostenuta da un pool di cellule multipotenti capaci sia di automantenersi , sia di differenziare in progenitori commissionati verso le varie linee emopoietiche.

L’ automantenimento delle cellule staminali ematopoietiche ne impedisce l'esaurimento nel tempo

ed è basato sulla loro capacità di dividersi, dando origine a due cellule figlie: l’una rimpiazza la

cellula madre, l’altra va incontro a differenziazione e maturazione.

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La differenziazione indica la restrizione progressiva delle molteplici potenzialità del genoma posseduto da una cellula che porta alla comparsa di caratteristiche specifiche.

Il commissionamento è l' assegnazione di un programma dal quale la cellula non può più tornare indietro, che eseguirà durante il processo di maturazione, nel corso del quale acquisirà tutte le sue specifiche caratteristiche morfologiche e funzionali previste dal programma che le è stato assegnato.

La differenziazione nella linea mieloide e linfoide deve essere un percorso estremamente efficiente, dal momento che ogni giorno devono essere prodotte fino a 10^11-10^12 cellule ematopoietiche, ma anche plastico e regolato in funzione dei cambiamenti di stato dell'organismo: ad esempio in condizioni di infezione le HSC dovranno differenziarsi in granulociti e linfociti, mentre in caso di sanguinamento la differenziazione sarà verso eritrociti e piastrine.

L'emopoiesi è regolata dalle caratteristiche del microambiente midollare in cui si sviluppano le cellule staminali e influenzata anche dalla produzione di citochine ematopoietiche (

es.fattori di crescita emopoietici

) da parte di organi lontani in risposta a vari stimoli (

come le infezioni o la riduzione dell'ossigeno

) che si legano a specifici recettori delle HSC e ne accelerano la maturazione e la differenziazione, cooperando con fattori trascrizionali cellulari per attivare o reprimere l’espressione di geni responsabili della scelta di linea, del diverso fenotipo maturo, della progressione nel ciclo cellulare.

Questa complessa rete di interconnessioni porta una cellula staminale indifferenziata e totipotente a diventare una cellula matura altamente specializzata e incapace di proliferare.[9,10,11]

La polpolazione delle HSC si organizza in "nicchie", cioè in specifiche zone anatomiche del midollo osseo che regolano le modalità con cui le cellule staminali partecipano alla genesi del tessuto ematopoietico, al suo mantenimento e alla sua riparazione.

La nicchia che difende la cellula staminale dall'eccessivo consumo e protegge da una sua proliferazione incontrollata, costituisce un'unità base essenziale che bilancia la risposta delle staminali in funzione delle necessità dell'organismo ed ha una composizione complessa.

Infatti oltre alle cellule ematopoietiche e alle cellule parzialmente differenziate che originano dalle

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HSC, sono presenti nella nicchia le cellule dell'impalcatura del midollo, le cellule stromali di sostegno, gli osteoclasti dell'osso, le cellule endoteliali dei vasi sanguigni e una fitta rete di molecole proteiche che consentono l'adesione intercellulare e fra le cellule e l'impalcatura del midollo.

(v.fig2.1.3.1)

Fig.2.1.3.1 la nicchia delle HSC

La cellula staminale ematopoietica pluripotente è in grado quindi di dare origine a tutte le cellule mature mieloidi e linfoidi e del microambiente midollare .

Dalla sua proliferazione e differenziazione originano cellule staminali multipotenti commissionate per la linfopoiesi T e B oppure per la mielopoiesi (CFU-GEMM), dalle quali per ulteriore restrizione differenziativa derivano i progenitori commissionati per lo sviluppo di una linea cellulare (eritropoesi BFU-E e CFU-E; mielopoiesi, CFU-GEMM, CFU-GM, CFU-G, CFUM , CFU-Eo , CFU-Bas ; megacariocitopoiesi, BFU-MK, CFU-MK. ) identificabili solo mediante l’espressione di particolari antigeni di superficie e/o alla capacità di dare origine “in vitro” a colonie cellulari appartenenti ad una o più linee differenziative.

Dai progenitori commissionati prendono origine i precursori morfologicamente riconoscibili (al

microscopio), dai quali attraverso ulteriori tappe differenziative origineranno le cellule mature,

pronte per essere immesse in circolo.

(fig2.1.2.2a,b-3)

[12,13]

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fig 2.1.3.2a,b a

b

fig 2.1.3.3

(21)

2.1.4 Fonti di cellule staminali ematopoietiche

Le fonti più accessibili di cellule staminali adulte e le più sfruttate dalla ricerca, sono il midollo osseo, il sangue periferico e il cordone ombelicale e per le mesenchimali anche il tessuto adiposo.

Midollo osseo

Le cellule mature del sangue sono destinate a vivere da poche ore a molte settimane, prima di essere sequestrate e distrutte. In un giorno, pertanto, miliardi di cellule devono essere prodotte per rimpiazzare quelle distrutte e questa necessità di un rifornimento continuo di cellule deriva dal fatto che le cellule ematiche hanno una durata di vita limitata e devono essere continuamente sostituite durante l’arco della vita.

Giornalmente vengono prodotti nel midollo 1 x 10^9 leucociti/kg , 3– 4 x 10^9 globuli rossi/kg , 1–

2 x 10^9 piastrine/kg.

Il midollo osseo rappresenta circa il 5% del peso corporeo totale ed è distribuito prevalentemente nelle ossa piatte e lunghe in età pediatrica e giovanile, mentre in età più avanzata, si dispone a livello delle coste, vertebre, sterno e bacino.

Durante la vita intrauterina, l’emopoiesi avviene, invece, dapprima (primi 2 mesi di gestazione) nel sacco vitellino e quindi nel fegato e nella milza e a partire dal 7–8° mese di gestazione, si afferma progressivamente nel midollo osseo.

Recenti studi hanno evidenziato che la cellula staminale : - si trova ad una frequenza di 1:10^4 cellule midollari;

- è capace di autorigenerarsi grazie ad un processo di “autorinnovamento”;

- è metabolicamente quiescente e raramente entra in ciclo cellulare;

- contribuisce ad espandere il pool dei “progenitori multipotenti”, capaci di sviluppare tutte le linee ematopoietiche, fino a perdere, ad un certo punto, la loro capacità differenziativa in senso linfoide e diventare “i progenitori commissionati mieloeritroidi”.

Affinchè si abbia una buona emopoiesi è necessario un microambiente ematopoietico adatto.

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Importanti sono quindi i rapporti che si stabiliscono nel midollo tra le cellule staminali e osteoclasti, adipociti, cellule stromali, sistema vascolare e matrice extracellulare la cui funzione non è solo quella di ancorare i precursori ematopoietici con la giusta interazione integrina–integrina (VLA–4 e VCAM–1) ma anche quella di compartimentalizzare i fattori solubili, come il GM–CSF, IL–3, T cell growth factor, orientando spazialmente i precursori ematopoietici in isolotti eritrocitari e

granulocitari.

La combinazione della capacità differenziativa e proliferativa delle cellule staminali è finalizzata allo sviluppo di una progenie di altri precursori ematopoietici con potenzialità differenziative e maturative più ristrette rispetto alle cellule staminali: le cellule “committed” per lo sviluppo di una sola linea cellulare.

Lo stato generativo del sistema cellulare mielopoietico è inversamente proporzionale al grado di potenzialità dove le cellule staminali sono, in condizioni normali, quasi tutte in G0, mentre il 50%

delle CFU– GM sintetizzano DNA.

In altre parole, ogni sistema è mantenuto dalla cellula a staminalità e potenzialità più ristretta, mentre le cellule multipotenti costituiscono una riserva per situazioni di emergenza.

Il maggior ostacolo alla identificazione della presunta cellula staminale ematopoietica è stato per lungo tempo la mancanza di mezzi idonei per separare tale popolazione cellulare dalle cellule più mature ma ultimamente, progressi straordinari sono stati compiuti mediante l’uso della citometria a flusso e di altre metodiche di separazione cellulare, associate all’utilizzo di anticorpi monoclonali in grado di evidenziare la presenza o la mancanza di particolari antigeni nella superficie di tali cellule.

In particolare, l’antigene CD34 è il marcatore di una popolazione cellulare morfologicamente ed immunologicamente eterogenea, il cui elemento unificante è rappresentato, in vitro, dalla capacità di generare aggregati clonali e, in vivo, dalla capacità di ricostruire la mielo– linfopoiesi nel ricevente sottoposto a terapia mielo–linfoablativa.

L’antigene CD34 identifica tutte le cellule ematopoietiche staminali e progenitrici del midollo

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osseo, mentre risulta assente nei precursori midollari morfologicamente identificabili e nelle cellule circolanti del sangue periferico.

Per tale motivo il CD34 è considerato un marcatore specifico di stadio maturativo (immaturità) ma non di linea differenziativa.

Questo marcatore è espresso dallo 1–3% delle cellule del midollo, dallo 0,01–0,1% delle cellule del sangue periferico e dallo 0,1–0,4% delle cellule di cordone .

L’espressione di alcuni marcatori delle cellule staminali ematopoietiche cambia durante l’ontogenesi e la loro variabile associazione ci permette di identificare una popolazione cellulare in una diversa fase differenziativa.

Tra questi assumono importanza, oltre il CD34, il CD38, HLA–DR e, ultimamente, il KDR.

Dopo la nascita, le cellule staminali sono localizzate nella cavità delle ossa lunghe e piatte, in particolare nelle ossa iliache del bacino e dello sterno; da questa sede possono, in anestesia generale, tramite aspirazioni multiple.

Sangue periferico

Le cellule staminali emopoietiche del sangue periferico sono state utilizzate solo dalla dsponibilità di studi sulla loro mobilizzazione e raccolta, sia nell’autotrapianto che nel trapianto allogenico e solo negli anni Ottanta si è potuto dimostrare la validità dell’attecchimento midollare da parte delle staminali periferiche.

Questo tipo di cellule consente tempi di attecchimento e ricostituzione midollare inferiori rispetto all’uso delle cellule staminali emopoietiche midollari, diminuendo il periodo di esposizione alle infezioni.

Nel sangue periferico le cellule CD34+ sono estremamente rare ma, in seguito a chemioterapia

mielosoppressiva, possono essere indotte a circolare, con meccanismo che conduce a questo rilascio

che è il risultato di una modificazione nel microambiente midollare a livello dell’adesione tra il

progenitore e lo stroma midollare stesso.

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Lo stimolo mobilizzante esercitato dal chemioterapico può essere potenziato con l’introduzione del fattore di crescita G–CSF.

Il numero di cellule staminali aumenta nel sangue periferico fino a 100–1000 volte dopo trattamenti ad alte dosi con farmaci citostatici e/o fattori di crescita quali il G– CSF o il GM–CSF.

La scelta sul tipo di prelievo si è progressivamente spostata a favore della mobilizzazione e raccolta mediante leucoaferesi, procedura meno invasiva.

Infuse per via endovenosa, mediante accesso venoso periferico o catetere venoso centrale, le cellule staminali oltrepassano il parenchima polmonare per migrare nello spazio extravascolare ed ancorarsi nel microambiente delle cavità midollari, che vengono così ripopolate da nuovo tessuto emopoietico.

Questo è un processo attivo, coordinato, multifase, che prende il nome di homing, rapido ed essenziale nel trapianto ed ha un ruolo fisiologico nell’omeostasi del tessuto emopoietico consentendo al ricevente, trattato con dosi mieloablative di chemioterapia e radioterapia, di sopravvivere .

Questa tecnica ha consentito lo sviluppo del trapianto di cellule staminali periferiche che rappresenta ad oggi il tipo di trapianto più f requentemente praticato nei paesi europei e americani.

I presupposti per la diffusione di tale procedura sono stati i quelli descritti di seguito:

- comparsa di una ricostituzione emopoietica completa e permanente con chimerismo completo del donatore;

- possibilità di aumentare ulteriormente il numero di cellule staminali circolanti per mezzo di citochine in modo da garantire l’attecchimento;

- buona tollerabilità da parte del donatore del G–CSF impiegato per la mobilizzazione delle cellule staminali;

- vantaggi per il donatore al quale viene evitata l’anestesia, l’ospedalizzazione, l’autotrasfusione, il

dolore nella sede del prelievo;

(25)

- una più rapida risalita dei neutrofili e delle piastrine;

- il maggior numero di linfociti T e di cellule NK presenti nell’inoculo con possibile incremento dell’effetto graft versus leucemia (GvL).

Nonostante il numero di linfociti T e cellule NK sia superiore nei concentrati cellulari da sangue periferico rispetto al midollo osseo, numerosi studi non hanno messo in evidenza un aumento nell’incidenza della GvHD acuta rispetto al trapianto midollare, al contrario di quanto avviene nella GvHD cronica, la quale presenta una maggiore incidenza nel trapianto da cellule staminali periferiche rispetto ai pazienti sottoposti a trapianto con cellule provenienti dal midollo osseo.

Sangue cordonale

Alla fine degli anni 80 è stata proposta come sorgente di cellule staminali emopoietiche il sangue cordonale.

Le potenzialità come sorgente alternativa risultano essere la permanenza e disponibilità nelle banche per lunghi periodi e l’immaturità dei linfociti introdotti durante il trapianto con le cellule staminali, con ridotto rischio di sviluppare GvHD.

Il primo successo con questa metodica fu descritto a Parigi in un paziente affetto da anemia di Fanconi e successivamente questa metodica si è estesa ad altre patologie.

Il numero di trapianti da cellule staminali cordonali, attualmente, è minore rispetto alle altre fonti, ma il trend è in continuo crescendo, privilegiando la popolazione pediatrica.

Le cellule da cordone ombelicale offrono alcuni vantaggi teorici rispetto alle cellule da sangue midollare e periferico, in ragione della loro immaturità immunologica e dell’elevato potenziale di ripopolamento midollare e immunologico.

Principale limitazione invece è la quantità ridotta di cellule staminali presenti in un’unità di cordone.

L’utilizzo di unità di cellule staminali da sangue placentare ha i seguenti vantaggi:

- consente una disparità HLA tra donatore e ricevente fino a 2 mismatches (4–5/6) a livello dei loci

(26)

HLA–A, HLA–B e HLA–DRB1, senza riscontrare un aumento dell’incidenza di GvHD. Questa maggiore immunotolleranza è dovuta alla presenza nel sangue placentare di un basso numero di linfociti T, prevalentemente naive con fenotipo Th0, incapaci di innescare una risposta immunologica importante quando attivati dagli antigeni del ricevente;

- permette la riduzione dei tempi di ricerca e l’immediata disponibilità, perché le unità vengono sistematicamente tipizzate per HLA–A, HLA–B e HLA–DRB1 conservate in biobanche;

- assenza di rischio per il donatore e minor rischio di trasmissione di infezioni latenti (CMV e EBV).

Anche se le cellule staminali da cordone ombelicale hanno potenziale rigenerativo e capacità di ripopolare il compartimento emopoietico superiore rispetto a quelle del sangue midollare o periferico, esiste comunque il fattore limitante importante per la scelta di un’unità di cordone ombelicale: la scarsa cellularità dacchè il numero totale delle cellule nucleate e delle CD34+

presenti in una unità di sangue cordonale è 10 volte inferiore a rispetto a quello che si riscontra nelle unità provenienti da altre fonti.

Diversi studi hanno permesso di stabilire, oltre alla presenza di correlazione positiva tra dose cellulare, grado di attecchimento e rapidità del recupero ematologico, che il numero minimo di cellule nucleate da infondere deve essere superiore a 2.0 x 10^7/kg di peso corporeo del ricevente, dose che spesso non si riesce a raggiungere nel paziente adulto. Proprio per questo motivo l’incidenza di “graft failure” varia tra il 10 ed il 25%.

Diverse strategie sono state sperimentate per superare il limite dato dalla minore quantità di cellule

nucleate del cordone ombelicale, come l’infusione di due unità, la riduzione dell’intensità del

condizionamento o l’espansione delle cellule cordonali in vitro.

(27)

2 .2 CELLULE CD34+

2.2.1 Definizione e morfologia e funzione dell'Ag CD34

L'antigene CD34 è una glicoproteina integrale transmembrana monomerica di tipo 1 di peso molecolare compreso tra 105 e 120 kDa espressa dalle cellule staminali e dai progenitori ematopoietici .[14]

Appartiene alla famiglia delle proteine CD34 insieme alla podocalixina (PODXL o trombomucina o gp135) e all'endoglicano (o PODXL 2), subfamiglia delle sialomucine e caratterizzate tutte da una glicosilazione polimorfa a livello del dominio extracellulare.

Infatti, nel contesto della sua struttura di 373 aminoacidi, a livello del dominio extracellulare si ritrovano un dominio extracellulare ricco in serina, treonina e prolina intensamente 0-glicosilato e sialilato, siti pesantemente glicosilati con un massimo di 9 complessi tipo N-glicani, un dominio globulare legante cisteina e una porzione juxtamembrana.

Nella struttura dell'antigene sono compresi anche una singola elica transmembrana e una coda citoplasmatica fortemente conservata che contiene siti di fosforilazione e un motivo c-terminale che lega PSD-95-Dlg-ZO 1(PDZ).

Rispetto agli altri due membri della famiglia, l'antgene CD34 si differenzia per quattro aspetti strutturali, nonostante la simile struttura a domini :il dominio mucinico è il piu' corto dei tre ; così come per la podocalixina i residui di cisteina nella regione globulare sono numerosi rispetto al singolo dell'endoglicano che ne consente l'omodimerizzazione ; il motivo C-terminale legante il PDZ risulta fortemente alterato nel CD34 (DTEL) rispetto a quello delle altre due proteine (DTHL) ; così come la podocalixina, il CD34 non contiene la regione N-terminale non glicosilata , ricca in ripetizioni di ac.glutamico che è propria dell'endoglicano.

(v. fig2.2.1.1)

(28)

fig.2.2.1.1 struttura delle proteine della famiglia CD34

Il gene per l’antigene CD34 è situato sul cromosoma 1q32, in stretta vicinanza con altri geni che codificano per fattori di crescita o molecole funzionali e di adesione ( quali CD1, CD45, TGF2, laminina)

anche se la sua sequenza aminoacidica non presenta omologie identificate con nessuna proteina conosciuta.

Rispetto alla sua famiglia di appartenenza, è noto che i tre geni Cd34, Podxl e Podxl 2 hanno un forte legame evolutivo e che ciascuna proteina viene codificata a partire da sei esoni .

(v.fig2.2.1.2) fig2.2.1.2 organizzazione genomica

All'interno della famiglia anche le sequenze introniche sono simili e almeno per il Cd34 e il Podxl

(29)

uno splicing alternativo del settimo introne dà luogo a un trascritto piu' lungo con un codone di stop prematuro che codifica per una protina difettiva della coda citoplasmatica .

(v.fig2.2.1.3)

v.fig2.2. 1.3 splicin alternativo

Nelle cellule progenitrici ematopoietiche il CD34 interagisce con CRKL o proteina adattatrice simile al crk. Questo ligando contiene un dominio di omologia con Src 2 (SH2) legante la fosfotirodina e due domini di omologia con Src 3 (SH3)legante sequenze ricche in prolina e lega proteine che non posseggono attività chinasica intrinseca nella cascata intrinseca di segnalazione ,impedendone indirettamente la trasmissione del segnale .

Nonostante non si conosca con esattezza l'esatto sito di legame per il CRKL , si sa che il legame è strettamente dipendente da una sequenza fortemente conservata sita nella portìzione intracellulare juxtamembranale della proteina.

Per quanto concerne la distribuzione tissutale il CD34 è distribuito sui precursori ematopoietici precoci multipotenti ,sulle mast cells,sugli eosinofili , sulle cellule cellule muscolari satelliti, sulle cellule staminali del follicolo capillare ,sulle cellule endoteliali , i neuroni e i fibrociti.

Questo marcatore identifica soprattutto una popolazione morfologicamente ed immunologicamente eterogenea e con la progressiva maturazione cellulare si assiste al suo il down regulation espressivo(CFU-G, CFU-M, CFU-E, CFU-Meg ne esprimono bassi livelli).

Negli ultimi 35 anni la proteina di superficie CD34 è stata usata come marker d'identificazione e

isolamento per le cellule staminali ematopoietiche (HSC) e i progenitori ematopoietici da sangue

periferico e midollo.

(30)

In aggiunta è stato usato per identificare altre tipologie di cellule staminali tessutio-specifiche come quelle satelliti muscolari o le epidermiche.

Nonostante gli sia conferito questo status di marker, pero', la funzione dell'antigene CD34 è ancora sconosciuta per tre motivi principali:

- è soggetto a diverse mutazioni post-trascrizionali tessuto specifiche che alterano la sua funzione - gli esperimenti condotti sulla funzionalità del CD34 sono stati confusi dal sovrapporsi espressivo e funzionale delle altre due fproteine della stessa famiglia

-mancano test validi in vitro e in vivo per lo studio funzionale dell'antigene . Nonostante queste mancanze alcune ipotesi sono state fatte.

-Ruolo nell'aumento della proliferazione e blocco del differenziamento delle cellule staminali o dei precursori ematopoietici: questo è ipotizzato dalla espressione dell'antigene sulla superficie dei progenitori multipotenti ematopoietinici e dalla progressiva down-regulation sulle cellule progressivamente piu' mature; inoltre studi su topi knockout per il CD34 hanno dimostrato minori cellule progenitrìci ematopoietiche in tessuti adulti ed embrionali e le cellule da questi derivate hanno difetti proliferativi rispetto ai wild type.

Inoltre sappiamo che le cellule CD34 + sono, in una percentuale compresa tra il 10-30 %, clonogeniche, cioè capaci di proliferare generando cloni figlie in risposta a fattori di crescita (come IL-3,GM-CSFe G-CSF) suggerendo che l'antigene sia coinvolto anche nella proliferazione cellulare ancora oggetto di studio.

-Ruolo nella promozione dell'adesione linfocitaria alle cellule endoteliali: è la piu' documentata delle funzioni.

Quando i linfociti naive vengono reclutati all'interno degli organi linfoidi secondari subiscono un

processo multi-step. Innanzitutto legano con bassa affinità l'L-selectina (rolling) verso le venule ad

endotelio alto (HEV); a questo fanno seguito una fase di arresto integrino-mediato e una migrazione

transendoteliale; quando le HEV esprimono il CD34 esso ne risulta glicosilato così da consentire

(31)

l'interazione con le L-selectine e fornire il ligando per l'adesione cellulare. Nonostante l'ampia espressione di CD34 a livello vascolare, solo rare HEV (<1%di tutto l'endotelio vascolare ) glicosilano l'antigene in maniera sufficiente da garantire il legame con le L-selectine.

Tale funzione promuovente l'adesione linfocitaria è attribuibile alla forma lunga del CD34.

-Ruolo nell'inibizione dell'adesione cellulare : altri studi hanno dimostrato che la forma corta della proteina CD34 agisce bloccando l'adesione cellulare; questo riflette probabilmente sottili differenze nella localizzazione delle diverse isoforme del CD34: la forma lunga mantiene la capacità di essere eliminata dalla superficie adesiva delle cellule attraverso l'interazione con i ligandi intracellularimentre l'isoforma che mancadel domnio citoplasmatico è eliminata meno efficacemente e puo' comunqueagire come un potente inibitore dell'adesione celllulare

-Ruolo nella regolazione del traffico delle cellule ematopoietiche: anche se non si conosce bene il meccanismo preciso, è noto che il CD34 è richiesto per la migrazione delle cellule staminali ematopoietiche tra le cellule endoteliali e all'interno delle nicchie delle cellule staminali ematopoietiche del midollo. In analogia a ciò che accade per le HSC l'antigene facililta il traffico delle mast cells e degli eosinofili nei tessuti periferici.

Studi sugli effetti del silenziamento dei geni che codificano per il CD34 hanno messo in evidenza possibili interferenze di questa proteina con la differenziazione nell'ambiente midollare.

In particolare l'antigene sembra promuovere, dai progenituri piu' immaturi sino a quelli piu' maturi, lo sviluppo del lineage eritroide a scapito di quello granulocitico e megacariocitica.

Il riconoscimento di CD34 mediante tecniche di separazione cellulare con immunofluorescenza ha reso possibile l'identificazione, l'isolamento e la classificazione di cellule staminali e di cellule appartenenti a differenti linee linfo-emopoietiche.

La molecola CD34 ha una localizzazione ultrastrutturale sorprendente sulle cellule endoteliali ove è

concentrata principalmente sulla superficie rivolta verso il lume vascolare, in perticolare su

estroflessioni della membrana, molte delle quali si interdigitano con quelle delle cellule endoteliali

(32)

adiacenti .

Come visto in precedenza, poiché questa regione è di cruciale importanza per l’adesione leucocitaria e il passaggio transendoteliale, è stato ipotizzato che la molecola CD34 possa essere antagonista o inibitrice della funzione adesiva dell’endotelio vascolare.

Per quanto riguarda le cellule neoplastiche, la molecola CD34 è espressa da una ampia percentuale di leucemie acute ; l’intensità di fluorescenza dell’espressione del CD34 è variabile e più elevata nelle leucemie acute linfoblastiche (LAL) che in quelle mieloidi (LAM): in questi ultimi pazienti, l’antigene CD34 è stato trovato nel 40-60% dei blasti leucemici e nella maggioranza dei casi associato con leucemie secondarie, citotipi M0, M1,M4, anomalie citogenetiche coinvolgenti i cromosomi 5 o 7, espressione della glicoproteina p170 e cattiva prognosi .

Così l’antigene CD34 può essere considerato il principale fattore predittivo negativo nei pazienti con LAM, in stretta correlazione con l’intensità di espressione.

Nelle LAL il CD34 è espresso mediamente nel 70% dei pazienti, in particolare in quelli con fenotipo B: in questi casi, a differenza delle LAM, la rilevanza clinica dell’espressione del CD34 è controversa; tuttavia, la sua espressione nelle LAL-B è associata ad iperdiploidia e prognosi favorevole.

Infine, l’espressione di CD34 e HLA-DR può essere molto utile per discriminare tra un esiguo

numero di progenitori emopoietici primitivi normali e la loro controparte neoplastica in pazienti con

leucemia mieloide cronica: è stato dimostrato che i normali progenitori cellulari sono CD34+ ed

HLA-DR-, mentre le cellule neoplastiche che presentano il riarrangiamento bcr-abl ed il cromosoma

Philadelphia esprimono gli antigeni HLA-DR.

(33)

2.2.2 La cellula CD34+

Per quanto riguarda le cellule staminali ematopoietiche la denominazione di cellula CD34 + è imprecisa dacchè sono stati identificati anche altri antigeni che distinguono diverse sottopopolazioni di cellule staminali emopoietiche umane:

CD38::è una glicoproteina ,maker d'attivazione cellulare ;catalizza la sintesi e idrolisi di ADP, espressa dai leucociti e dai precursori ematopoietici orientati e progenitori ematopoietiici

CD133:appartiene alle proteine transmembrana 5MT di 120 kDa (gp promina 1) espressa dalle staminali piu' precoci fino ai progenitori orientati e dai progenitori endoteliali

CD117: conosciuto come protooncogene kit, appartiene alla superfamiglia delle Ig ,è espresso dai progenitori ematopoietici multipotenti e da quelli orientati

CD45RA:è conosciuta anche come proteina tirosino fosfatasi ,è recettore per il CSF ,faattore sitmolante le staminali,ha un rulo nella crescitamdifferenziazione delle stamianali.

figura 2.2.2.2

Nel complesso delle cellule CD34+ identifichiamo tre compartimenti che seguono:.

(v. figura 2.2.2.2)

Compartimento delle staminali preopriamente dette

HSC primitive multipotenti e self renewal (long term HSC ) sono capaci di automantenimento e

ripopolamento al lungo termine del midollo CD34 -,CD117++,CD133+,CD45RA-,CD38-

(34)

HSC primitive multipotenti e self renewal ridotto (short term HSC ) non sono capaci di automantenimento e ma sono in grado di ripopolare il midollo CD34+,CD117+

+,CD133+,CD45RA-,CD38-

MPP progenitoi multipotenti che hanno perso il potenziale self-renewal ma mantengono quello differenziativo CD34+,CD117+,CD133+,CD45RA-,CD38-

Compartimento dei progenitori orientati o commissionati (multipotent progenitor):

CMP (progenitori mieloidi comuni) ,cioè i progenitori della linea eritroide e megacariocitaria e mieloide CD34+,CD117+,CD133+,CD45RA-,CD38+

MLP (progenitori linfoidi comuni) cioè i progenitori della linea linfoide e monocito-macrofagica CD34+,CD117+,CD133+,CD45RA-,CD38+

Compartimento dei precursori clonogenici (oligolinage progenitors) quelli da cui prende origine una sola linea differenziativa CD34+,CD117+,CD133-,CD45RA+,CD38+

MEP precursore di megacariociti-eritoidi CD45RA- GMP precursore di granulociti

MDP precursore di monocito macrofagi,cellule dendritiche B/Nk precursore di linfociti B e NK

La cellula CD34+, osservata al microscopio previa colorazione con May-Grumwald-Giemsa, si dimostra come elemento di medie dimensioni, dotata di ampio nucleo e di una rima citoplasmatica intensamente basofila, occasionalmente provvista di granulazioni citoplasmatiche e talora con uno o più nucleoli.

(v.fig2.2.2.1)

Questo è vero solo per il compartimento dei precursori i cui membri cellulari vengono identificati

sulla base di criteri morfologici nei loro vari stadi di maturazione; per le HSC propriamente dette e

per il compartiento dei progenitori orientati , invece, l'identificazone non avviene in base a tali

(35)

caratteristiche.

(fig2.2.2.1)

Nel loro complesso, questi caratteri riflettono l’eterogeneo stato proliferativo e di sintesi proteica di questa popolazione staminale.[15,16,17]

Le popolazioni delle cellule CD34+ normali verosimilmente contiene progenitori clonogenici di tutte le linee linfo-emopoietiche,.

In virtu' di questo sulla cellula CD34+ concomitano sia marcatori linea non specifici, sia marcatori linea specifici come riportato in tabella.

(tab 1)

Marcatori linea non specifici

Thy1, HLA- DR,

CD45RA, CD38, CD71 Marcatori linea

-specifici

Mieloide CD33 CD13

Linfoide B TdT, CD10 CD19

linfoide T TdT CD10 CD7 CD5 CD2

megacariocitaria CD61

CD41 CD42b

Tab.1

Sulla base dell'espressione di Thy1, CD38, HLA-DR, CD45RA, CD71 l'eterogenea popolazione

CD34+ puo' essere suddivisa in due distinte sottopopolazioni caratterizzate rispettivamente da una

alta espressione dell'antigene CD34, ovvero le cellule staminali o progenitori emopoieticamente

(36)

primitivi e bassa/assente espressione dell'antigene CD34 ovvero i progenitori orientati, rispettivamente .

In aggiunta ai marcatori immunologici di cluster di differenziazione, le cellule CD34+ esprimono recettori per numerosi fattori di crescita, come lo stem cell factor, interleuchina 3, GM-CSF, G-CSF che ne definiscono la clonog eicità.[17,18,19]

Nell'eterogeneità delle cellule CD34+ , oltre alla cellula staminale ancestrale sono dunque comprese le seguenti:

-le cellule esprimenti l’enzima dessossinucleotidiltransferasi terminale (TdT), enzima intranucleare espresso nelle cellule linfoidi precoci ,che vanno incontro al riarrangiamento dei geni per le immunoglobuline o per il T-cell receptor. , in coespressione con CD34, CD19 e CD10

(precursori B)

e CD7, CD5, CD2

(precursori T o NK)

-le cellule esprimenti CD71, recettore per la transferrina,specifico dei precursori eritroidi

(sino alla BFU-E )

;le cellule esprimenti recettori per IL-3,GM_CSF ed EPO

(sono CFU-E che ripondono alle corrispondenti citochine)

;le cellule esprimenti CD45

(BFU-E)

sia l'isoforma CD45RO

(cioè CFU-E)

e CD45RA

(progenitori commissionati)

- le cellule coesprimenti CD34, HLA-DR, CD117 , recettore per lo stem cell factor,CD45RA, CD33 e CD13

( precursori mieloidi CFU-GM, CFU-G, CFUM,CFU-MK)

,le cellule CD15 +

( sulle CFU-G)

; mentre il recettore per le MCFS ,il CD115 è specificamente espresso dalle

CFU-M

-le

CFU-MK

che esprimono le glicoproteine piastriniche identificate dagli anticorpi monoclonali CD61, CD42 e CD41 [20,21,22]

-cellule dendritiche e di Langherans dopo stimolazione con GM-CSF e tumor necrosis factor-α

Il micrombiente degli orgni ematopoietici è importantissimo nella regolazione e nel sostegno della

differenziazione e dell'autorinnovamento delle cellule staminali ematopoietiche .In particolare le

interazioni tra le cellule stromali e le cellule staminali affini sono crciali per il mantenimento e la

guida delle cellule staminali, consentendone ell'adesione eterotipica e omotipica e le interzioni con

(37)

la matrice extracellulare.[23,24,25,26,27,28,29]

Le cellule CD34 + esprimono infatti molte molecole di adesione della famiglia delle integrine

(VLA-4) ,selectine (L-selectina ) ,addressine (CD44) e Immunoglobuline (PECAM-1 e CD31) i cui

ligandi si trovano sulle cellule stromali e sulla matrice extracellulare.

(38)
(39)

capitolo III : il trapianto autologo di HSC da sangue periferico e

le patologie in cui è impiegato

(40)

3.1GENERALITA' E IMPIEGO DEL TRAPIANTO AUTOLOGO DI CELLULE STAMINALI DA SANGUE PERIFERICO

Il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (HSC) consiste in una una reinfusione delle cellule CD34+ del paziente stesso, che è quindi al contempo donatore e ricevente, raccolte e congelate , preceduta dalla somministrazione di chemioterapia (e/o radioterapia) ad intensità sovra- massimale, denominata di “condizionamento”.

Il razionale su cui si basa tale procedura è legato alla spiccata chemio sensibilità di molte neoplasie ematologiche, che hanno la capacità di rispondere e quindi andare incontro ad eradicazione, dopo somministrazione di dosaggi elevati di chemioterapia.

Tuttavia, la somministrazione di tali dosaggi, pur avendo la capacità di eradicare la malattia ed esercitare un buon controllo su di essa, è gravata da una serie di tossicità, la più importante delle quali è quella midollare ematopoietica con distruzione completa e irreversibile dei precursori delle cellule del sangue.

La reinfusione di HSC, precedentemente raccolte e conservate, è in grado di determinare una rigenerazione del midollo osseo .

Il primo caso di uso di staminali autologhe è stato descritto nel 1959 in una bimba affetta da leucemia acuta linfoblastica, sebbene qualche caso “aneddotico” fosse già stato riportato e pubblicato alla fine dell’800.

Solo nel 1978 è stato tuttavia pubblicato dai medici americani del National Cancer Instituite il

primo studio prospettico in cui l’autotrapianto di HSC veniva normalmente utilizzato in pazienti

con linfoma in fase avanzata di malattia. Da allora, fino ad oggi si è assistito ad un progressivo e

continuo incremento del numero dei trapianti autologhi effettuati con una sempre maggiore

estensione delle indicazioni: basti pensare che nel 2010 su 653 centri afferenti allo European Blood

and Marrow Transplantation Group sono state effettuate un totale di 20.017 procedure di trapianto

(41)

autologo di HSC.

Per comprendere meglio l'intera procedura possiamo didatticamente dividere il percorso del paziente da avviare a trapianto in 5 tappe successive.

RACCOLTA DELLE HSC

La metodica originale per raccogliere le HSC che per circa un decennio c onsiderava il prelievo di midollo osseo ematopoietico, già dai primi anni ’80 e' stata progressivamente sostituita dalla raccolta delle HSC dal sangue venoso periferico, previa terapia di mobilizzazione (GCSF,

chemioterapia ad alte dosi con Ciclofosfamide, Citarabina, Ifosfamide o altri mobilizzatori di recente introduzione come il plerixafor singolarmente o in combinazione) per incrementarne il

numero circolante.

Le staminali vengono raccolte mediante un separatore cellulare a flusso continuo ad una velocità di aspirazione del sangue di 30-70 ml/minuto con una centrifuga interna predisposta in modo da separare dagli altri elementi ematici una frazione di cellule mononucleate contenenti le HSC,

grazie alla presenza del loro “marcatore” CD34 ,

Vengono processati 10-15 litri di sangue intero in un tempo di 3-5 ore valutando, al termine, la conta cellulare e le cellule CD34-+. La quantità di HSC da raccogliere , in una o piu' sedute aferetiche, dipende dal numero di trapianti che si intendono effettuare, dall’intensità della chemioterapia di condizionamento e dalla patologia per la quale si effettua il trapianto, generalmente, al fine di assicurare al paziente un’adeguata ricostituzione midollare dopo somministrazione di chemio e/o radioterapia mieloablativa, è necessario reinfondere un numero

di CD34+ pari a 2-5 x 106/kg. ( per un uomo che pesa 75 Kg, sono necessarie almeno 150.000.000). Nonostante i nuovi farmaci, rimane tuttavia una percentuale di pazienti in cui non è possibile effettuare la mobilizzazione e in cui è necessario ricorrere all’espianto di midollo osseo ematopoietico al fine di ottenere un adeguato numero di staminali per effettuare in regime di sicurezza la procedura di trapianto autologo.

CRIOPRESERVAZIONE

Una volta raccolte, quale che sia la modalità di raccolta, le HSC devono essere conservate in maniera adeguata al fine di evitarne il deterioramento.Negli ultimi venti anni sono state proposte diverse metodiche di congelamento a temperature variabili tra -80 e -196°C e per permettere alle HSC di sopravvivere a queste temperature è necessario proteggerle diluendole in un agente

“crioprotettivo” noto con il nome di Dimetilsulfossido (DMSO), una molecola in grado di diffondere rapidamente all’interno della cellula attraverso la membrana plasmatica riducendo il numero e le dimensioni dei cristalli di ghiaccio intracellulari che altrimenti danneggerebbero la

membrana e gli organuli cellulari e proteggendo le cellule dalla disidratazione.

L’utilizzo del DMSO a concentrazione pari al 10% del volume della sospensione cellulare garantisce una buona conservazione delle cellule staminali ed un effetto tossico contenuto nei pazienti sottoposti a reinfusione. Le HSC correttamente criopreservate, possono essere utilizzate in qualsiasi momento dopo scongelamento e rimangono integre e vitali anche per lunghi periodi (es. 10-15 anni )

CONDIZIONAMENTO

Il condizionamento consiste nella somministrazione di chemioterapia e /o radioterapia a dosaggi sovra-massimali nei giorni precedenti l’infusione delle staminali con l’obiettivo di “preparare” il

(42)

midollo osseo del paziente a ricevere le cellule e l’eradicazione della quota di malattia che è ancora presente, basandosi sul principio dell’elevata chemio e radio-sensibilità delle neoplasie ematologiche.

I principali schemi di condizionamento usati nel trapianto autologo sono quellli riportati nel

riquadro (per convenzione il giorno dell’infusione è indicato come giorno 0):

BU-CY2 (BUSULFANO dal giorno -7 al giorno -4, CICLOFOSFAMIDE giorni -3 e -2);

BEAM (CARMUSTINA giorno -7, CITARABINA e ETOPOSIDE dal giorno -6 al giorno -3, MELFALAN giorno -2);

BEAC (CARMUSTINA giorno -6, CITARABINA, CICLOFOSFAMIDE e ETOPOSIDE dal giorno -5 al giorno -2);

MEL200 (MELFALAN giorno -2);

CY-TBI (CICLOFOSFAMIDE giorni -6 e -5, TOTAL BODY IRRADATION dal giorno -3 al giorno -1);

BU-MEL (BUSULFANO dal giorno -5 al giorno -2, MELFALAN al giorno -1);

MITO-MEL (MITOXANTRONE giorno -5, MELFALAN giorno -2).

REINFUSIONE

Al termine della terapia di condizionamento, dopo un tempo sufficiente per eliminare dal circolo ematico i metaboliti dei farmaci somministrati, le sacche di HSC devono essere scongelate e reinfuse al paziente attraverso un catetere venoso centrale o, in alternativa, da una vena periferica di grosso calibro. Generalmente, il processo avviene in prossimità della stanza di degenza del paziente, immergendo la sacca in un bagno termostatico in cui l’acqua distillata è mantenuta a 37°C, fino alla scomparsa di tutti i cristalli di ghiaccio. La reinfusione delle HSC dovrebbe avvenire il più rapidamente possibile dopo lo scongelamento e, comunque, non oltre i 45 minuti

dallo stesso. Le problematiche relative all’infusione sono correlate agli effetti tossici del DMSO contenuto nelle sacche. Nella maggior parte dei casi il paziente avvertirà delle vampate di calore, nausea, secchezza delle fauci e un “cattivo” sapore. In rari casi si possono avere degli effetti collaterali più importanti come brivido, febbre, insufficienza respiratoria, abbassamento dei valori pressori molto raramente fino allo shock

ATTECCHIMENTO

La somministrazione della terapia di condizionamento comporta la cosiddetta “fase di aplasia”, cioè determina una drastica riduzione delle difese immunitarie del paziente (abbassamento del valore dei globuli bianchi, delle piastrine e dell’emoglobina), che lo espone ad un elevato rischio di infezioni e di emorragie anche fatali. L’aplasia midollare termina quando le HSC infuse, in grado da sole di trovare la strada per colonizzare le cavità midollari vuote, cominciano a proliferare, maturano e si differenziano in globuli bianchi, piastrine e globuli rossi.

La durata della fase di aplasia midollare è variabile e dipende dall’intensità del condizionamento,

dal numero di HSC infuse e dallo stato della malattia al trapianto. Alla fase di aplasia segue il cosidetto “attecchimento”, cioè la fase di recupero ematologico con salita dei valori deileucociti e delle piastrine , che si verifica generalmente dopo 10-15 giorni dal trapianto.

Si definisce attecchimento in neutrofili e/o in piastrine il raggiungimento di valori di granulociti neutrofili superiori a 500/mmc, e/o di piastrine superiori a 20.000/mmc per almeno tre giorni consecutivi. Fino a quando l’attecchimento non è completo, però, il paziente è a rischio di infezioni ed emorragie e quindi necessita di un controllo particolarmente attento. Dopo la

dimissione la ripresa midollare e periferica continua e sono generalmente necessari 6 mesi o più

per avere una completa ricostituzione immunitaria.

(43)

Le principali indicazioni per il trapianto autologo di HSC sono le patologie neoplastiche ematologiche ed i tumori solidi, purché siano radio-chemiosensibili:nel 90% viene eseguito per le emopatie maligne, il restante per tumori solidi.

L’età limite fino a cui è possibile venire sottoposti a tale procedura è cambiata con il miglioramento delle terapie di supporto e la minore tossicità dei farmaci usati durante le varie fasi della patologia.

Se negli anni ’80 si riteneva non etico autotrapiantare oltre i 50 anni, oggi un paziente di 70 anni in condizioni cliniche buone può essere avviato a tale procedura senza un incremento significativo della tossicità e del rischio di morte. Tuttavia, al fine di limitare al massimo la tossicità e di effettuare il trapianto in regime di sicurezza, è necessario studiare molto attentamente il paziente prima del trapianto mediante lo “screening pre-trapianto”, con lo scopo di valutare bene che non vi siano delle condizioni cliniche tali da controindicare l’esecuzione del trapianto stesso.

Le principali patologie in cui è indicato il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche sono le seguenti:

Mieloma Multiplo e altre discrasie plasmacelluari;

Linfoma Non-Hodgkin;

Linfoma di Hodgkin;

Leucemia Mieloide Acuta;

Leucemia Linfoblastica Acuta (più raramente);

Tumori solidi chemio-sensibili (es. osteosarcoma, seminoma, sarcoma di Ewing, neoplasie mammaria ad elevata frazione di crescita, tumori a cellule germinali);

Malattie autoimmuni (LES, sclerosi sistemica progressiva, artrite reumatoide);

Malattie neurologiche (Sclerosi Multipla);

Malattie infiammatorie intestinali (es. Malattia di Crohn).

Le indicazioni del Ministero della Salute nei bambini sono le seguenti:

Leucemia mieloide acuta in prima o seconda remissione dopo purificazione midollare;

(44)

Leucemia linfoblastica acuta in seconda remissione dopo recidiva extramidollare isolata;

Linfomi maligni recidivati;

Neuroblastoma metastatico alla diagnosi;

Rabdomiosarcoma metastatico alla diagnosi;

Sarcoma di Ewing metastatico alla diagnosi;

Selezionati tipi di malattie autoimmuni refrattarie ai trattamenti convenzionali e quindi a prognosi infausta;

Il trapianto autologo è oggi una procedura relativamente sicura se eseguita in centri specializzati. Il miglioramento della terapia di supporto e della conoscenza dei principali effetti collaterali dei regimi di condizionamento, ha permesso negli ultimi anni di ridurre notevolmente le complicanze e la mortalità legata alla procedura (nota come Transplant Related Mortality, TRM), tuttavia, essa che rimane gravata dalle possibili complicanze infettive ( > 2-3 % ) .

Le più comuni complicanze in corso di trapianto autologo sono le seguenti:

Mucosite del cavo orale e del tratto gastroenterico;

Infezioni batteriche;

Riattivazioni virali (es. Cytomegalovirus);

Cistite emorragica;

Tossicità epatica e malattia veno-occlusiva;

Tossicità polmonare con distress respiratorio;

Insufficienza multi organo.

Inoltre il trapianto autologo, pur presentando dei vantaggi rispetto al trapianto allogenico tra cui la

mancanza della malattia del trapianto contro l’ospite (graft-versus-host disease, GVHD* , si associa

al rischio di reinfusione di cellule neoplastiche contaminanti il trapianto e all’assenza dell’effetto

GvL (Graft versus Leukemia)**, fattori questi entrambi importanti nel causare una recidiva post

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