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Il private equity per il riposizionamento strategico: il caso Kedrion spa

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Academic year: 2021

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Indice:

1. Private equity e cambiamento strategico

1.1. Introduzione sul private equity 2 1.2. Il processo di investimento 13 1.3 Il riposizionamento strategico 14 1.4 Importanza di questi strumenti per lo sviluppo e per la

gestione del cambiamento nelle aziende 18 1.5 Classificazione degli interventi frequentemente utilizzati 20

2. Introduzione al caso Kedrion Spa

2.1 Presentazione dell’azienda Kedrion Spa 30 2.2 Il profilo dell’azienda precedentemente all’ingresso del

Fondo 33

2.3 Il mercato di riferimento 36 2.4 Le strategie del Gruppo ed il riposizionamento strategico

della Kedrion 40 2.5 Ingresso del Fondo di private equity 43

3. L’operazione dal punto di vista del Fondo 45 4. Evoluzioni dell’azienda durante il periodo di permanenza del

Fondo 53

4.1 Il cambiamento strategico 54 4.2 Aspetti organizzativi e dinamiche delle società del Gruppo 57 4.3 Le fonti e l’impiego delle risorse finanziarie 61 4.4 L’attenzione verso le tematiche di responsabilità sociale 62

5. L’uscita del Fondo e prospettive future

5.1 Modalità di dismissione della partecipazione 64 5.2 Le prospettive dell’azienda con l’ingresso del nuovo socio 69

Conclusioni 73 Bibliografia e sitografia 76

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CAPITOLO 1

Private equity e cambiamento strategico

1.1 Introduzione sul private equity

La capacità di reperire risorse finanziarie può rappresentare uno dei fattori critici della crescita economica e del riposizionamento strategico1. Questo è dimostrato dal fatto che i paesi dotati di sistemi finanziari più evoluti, ovvero con sistema bancario adeguato e mercati azionari efficienti, hanno generalmente una crescita più rapida2.

In estrema sintesi possiamo ricondurre a due le tipologie di sistemi finanziari: un primo tipo, incentrato sull’attività bancaria e su relazioni stabili tra banche ed imprese, che prevale nei paesi dell’Europa continentale, caratterizzati da mercati relativamente ristretti ed imprese piccole, debole protezione legale, scarsa trasparenza e processi innovativi relativamente continui e stabili; un secondo tipo basato su circuiti di finanziamento di mercato, tipico dei paesi anglosassoni, caratterizzato da una maggiore trasparenza e protezione legale e da una maggiore forza e discontinuità dei processi innovativi3.

Entrambi i modelli presentano vantaggi4 e svantaggi ed in particolare determinano in modo diverso lo sviluppo delle imprese e conseguentemente la crescita economica del paese.

Ad esempio, un sistema finanziario basato su forti relazioni banca-impresa, può favorire rapporti stabili ed approfonditi tra le parti, una gestione ed allocazione dei rischi più efficace, tuttavia può anche favorire atteggiamenti più avversi al rischio. I sistemi più orientati al mercato, sono invece ritenuti più adatti per

1

Garzella, S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Torino, Giappichelli, 2005.

2

Allen, Oura, Sustained Economic Growth and Financial System, in Monetary and Economic Studies,

2004.

3

Rajan, Zingales, Saving Capitalism from Capitalists, 2003.

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finanziare imprese innovative, questo poiché queste ultime sono caratterizzate da ridotte informazioni sulle prospettive ed alto livello di incertezza; su di esse è quindi normale che si crei, nell’ambito degli investitori, una tendenziale dispersione delle valutazioni tra positive e negative5, oltre al fatto che, vi è la presenza di una moltitudine di investitori specializzati. Nei mercati in cui vi è un elevato numero di investitori specializzati, è favorita l’attività di venture capital6; infatti la presenza di mercati liquidi costituisce una condizione essenziale per le operazioni di disinvestimento e contribuisce ad attrarre nuovi capitali7.

Sistemi finanziari diversi, hanno dei riflessi sulle modalità di reperimento e di strutturazione delle fonti di finanziamento da parte delle imprese.

Le aziende possono finanziarsi mediante fonti di finanziamento interne o esterne. Le fonti interne (di autofinanziamento) sono costituite dagli utili non distribuiti, quelle esterne invece, si distinguono tra capitale di rischio e di debito ed il ricorso a queste ultime potrebbe generare la necessità di sottostare ad una valutazione da parte del finanziatore ed alla sua eventuale richiesta di imporre delle condizioni gestionali (convenants) al management8.

Possono esserci anche altre forme di finanziamento esterne che coniugano caratteristiche sia del debito, sia del capitale di rischio, come ad esempio le obbligazioni convertibili.

Nei sistemi orientati al mercato, le principali fonti di finanziamento delle aziende sono date dagli utili non distribuiti e da nuove emissioni azionarie ed obbligazionarie, mentre in quelli bancocentrici, oltre agli utili non distribuiti, si fa ampio ricorso ai debiti bancari9.

Le forme di ricorso al debito si distinguono in prestiti bancari e obbligazionari, quindi a seconda che siano originate da circuiti creditizi o mobiliari.

Per quanto riguarda il capitale di rischio invece, bisogna fare una distinzione a seconda che l’azienda in oggetto sia quotata o meno. Se essa è quotata, i suoi

5

Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

6

Attività di investimento in capitale di rischio realizzata da operatori professionali e finalizzata ad operazione c.d. di Early stage (seed financing o start up financing) (www.aifi.it).

7

Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

8

Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

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titoli saranno oggetto di scambi sul mercato e quindi sarà più agevole reperire finanziamenti a titolo di rischio, grazie alla possibilità di effettuare aumenti di capitale, emettendo nuove azioni. Se non è quotata, si dovrà distinguere il caso in cui le azioni siano patrimonio stabile della compagine sociale della società stessa, oppure siano oggetto di un mercato informale, alimentato da investitori specializzati, la cui attività viene identificata con i termini di venture capital e

private equity10.

Possiamo vedere il ciclo di vita del capitale di rischio di una società, come articolato in fasi, di cui tre sono ben identificabili: la prima è quella dei fondatori, la seconda è quella dell’apertura del capitale agli azionisti esterni (private equity) e la terza è quella della quotazione. Queste tre fasi possono essere più o meno articolate e diluite nel tempo11.

L’attività di private equity consiste nell’acquisizione di quote di capitale di rischio di società non quotate, valutando le potenzialità di crescita del loro valore, perché operanti in un mercato attrattivo, ovvero perché la loro struttura presenta ampi margini di recupero della redditività12.

Il fenomeno del private equity ha iniziato a diffondersi agli inizi degli anni Ottanta, poi nel corso degli anni, pur rimanendo invariati i presupposti di fondo, le caratteristiche dell’attività di investimento sono cambiate, diversificandosi in maniera tale da offrire una più vasta gamma di modalità di intervento13. La caratteristica comune, tuttavia rimane l’acquisizione di partecipazioni significative nelle imprese in un’ottica di medio-lungo termine, con l’obiettivo di sviluppo volto al conseguimento di una plusvalenza al momento della vendita della partecipazione14.

Congiuntamente ai mezzi finanziari, l’investitore può offrire competenze professionali, tecnico-manageriali ed una rete di contatti con altri investitori ed istituzioni finanziarie.

10

Termine utilizzato più frequentemente per indicare, in modo generale, "il mestiere" dell'investitore nel capitale di rischio, facendo specifico riferimento alle operazioni di investimento realizzate in fasi del ciclo di vita delle aziende successive a quella iniziale (www.aifi.it).

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Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

13

www.aifi.it

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L’apporto di know how manageriale assume particolare importanza nelle operazioni di crescita esterna, nelle quali i contatti, gli investimenti, le collaborazioni e l’esperienza maturata dall’investitore istituzionale sono fondamentali per il successo dell’operazione o per accelerare l’ingresso in nuovi settori o l’acquisizione di nuove quote di mercato15.

L’obiettivo dell’investitore istituzionale che entra nel capitale di una società, è quello di realizzare nel medio termine, un risultato positivo (capital gain), attraverso la cessione della partecipazione acquisita. Per risultato positivo s’intende l’incremento di valore della partecipazione, maturato dal momento dell’acquisizione al momento della cessione della stessa.

Possiamo affermare quindi, che il buon esito dell’operazione è dato dalla capacità dell’investitore di contribuire a creare valore all’interno dell’impresa, generando così, nella maggior parte dei casi, anche ricchezza per l’intero tessuto economico ed imprenditoriale del Paese16.

L’investitore si orienterà su progetti caratterizzati da un elevato potenziale di sviluppo, su iniziative sulle quali il suo apporto di capitale e competenze possa accelerare il processo di creazione di valore17.

Grazie al ricorso a questo tipo di operatori, specializzati nel sostegno delle imprese al fine di contribuire alla creazione di valore, l’impresa può reperire capitale “paziente” che può essere utilizzato per sostenere il suo sviluppo in ogni fase del suo ciclo di vita18. Si tratta di capitale di rischio, che può essere utilizzato per sviluppare nuovi prodotti e tecnologie, espandere il circolante, finanziare operazioni di finanza straordinaria, rafforzare la struttura finanziaria della società, risolvere problemi connessi con la proprietà o con il passaggio generazionale, realizzare operazioni di buy in o buy out, in cui i managers interni o esterni alla società, decidono di diventare anche azionisti.

15

http://www.aifi.it/IT/CapitaleDiRischio/CapitaleDiRischio.htm Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

16

http://www.aifi.it/IT/CapitaleDiRischio/CapitaleDiRischio.htm

Gervasoni, A. (a cura di), Sviluppo d'impresa e mercato finanziario, Guerini e Associati, Marzo 2002.

17

http://www.netpersonalization.com/Netpersonalization/Partners_e_venture_capital.htm

18

http://www.aifi.it/IT/CapitaleDiRischio/CapitaleDiRischio.htm

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Allo stato attuale, in Europa si distingue tra attività di private equity, in cui sono comprese tutte le operazioni realizzate su fasi del ciclo di vita delle aziende successive a quella iniziale, e venture capital, in cui si identificano le operazioni di finanziamento nelle fasi di avvio dell’impresa.

Per quanto riguarda la fase di avvio, che costituisce la prima macro-categoria di interventi nel capitale di rischio, possiamo effettuare una distinzione tra seed

financing, start up financing e first stage financing19 .

Si parla di seed financing nei casi in cui l’intervento dell’investitore avvenga già nella fase di sperimentazione, quando esiste solo un’idea o un’invenzione ed è ancora da dimostrare la validità tecnica del prodotto o del servizio. In questi casi generalmente non esiste ancora neanche un business plan e sono necessarie elevate competenze tecniche e scientifiche, oltre che manageriali. Il rendimento atteso è molto alto, per poter coprire l’elevato rischio di fallimento delle operazioni20.

Successivamente troviamo gli interventi in fase di start up, nei quali l’attività produttiva è in fase di avvio, ma non si conosce ancora la validità commerciale del prodotto o del servizio. Tuttavia in questa fase è stata superata la fase di sperimentazione e spesso sono state completate le fasi d’ingegnerizzazione e brevettazione.

L’intervento nel first stage, invece, si ha nei casi in cui l’attività produttiva sia già avviata, ma si debba ancora valutare pienamente la validità commerciale del prodotto o servizio. In questi casi l’imprenditore è alla ricerca di risorse per finanziare il business, che necessita di capitale per la sua crescita, ma il prodotto è già stato ideato, progettato e sperimentato, quindi vi è meno necessità di competenze tecnico-scientifiche da parte dell’investitore21.

La seconda macro-categoria di interventi, invece è costituita da situazioni in cui l’impresa si trovi davanti a problematiche connesse al suo sviluppo22. Si parla in questi casi di expansion financing, ovvero di finanziamenti effettuati in imprese

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

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già sviluppate e mature, che necessitano di capitali per consolidare il proprio sviluppo. L’aumento della pressione competitiva, anche a livello geografico, richiede il raggiungimento di dimensioni adeguate al contesto internazionale. L’azienda in questa fase ha già dimostrato di saper competere sul mercato con profitto, quindi il rischio d’insuccesso è più basso. L’investitore comunque sarà interessato ad effettuare l’intervento solo se ritiene che esistano buone prospettive per tale espansione in termini economicamente interessanti23. Esso può essere ricercato tramite diverse strade: sviluppo per vie interne (tramite aumento o diversificazione diretta della capacità produttiva), sviluppo per vie esterne (mediante acquisizione di altre aziende o rami d’azienda), oppure sviluppo a rete (grazie all’integrazione con altre realtà imprenditoriali)24.

Nello sviluppo ricercato per vie interne, il contributo dell’investitore sarà principalmente di natura finanziaria, anche se in certi casi, specie quando si devono affrontare diversificazioni produttive o geografiche, diventa fondamentale anche l’elemento consulenziale. Spesso in questa fase la struttura organizzativa si presenta ancora in fase evolutiva e ciò fa sì che l’investitore istituzionale debba intervenire anche su di essa25.

Nel caso di sviluppo per vie esterne, un ruolo importante è ricoperto dal network internazionale che l’investitore è in grado di attivare per individuare il partner ideale per l’azienda. Questo tipo di interventi si rivela particolarmente congeniale agli operatori che presentano un’esperienza internazionale consolidata e che quindi hanno elevata conoscenza delle realtà economiche ed industriali di paesi diversi26.

Il terzo caso di modalità di sviluppo, è quello che si realizza tramite operazioni finanziarie denominate cluster venture. Esse sono operazioni finalizzate al raggruppamento di più società operative indipendenti, integrabili verticalmente o orizzontalmente e caratterizzate da notevoli somiglianze in termini di prodotti,

23

AIFI&PricewaterhouseCoopers, Guida pratica al capitale di rischio, 2000.

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

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mercati e tecnologie, possedute da una holding che ha ruolo di coordinamento strategico, nella quale la maggioranza è detenuta da una o più società di investimento. Questo tipo di interventi ha come obiettivo primario il raggiungimento di economie di scala nel processo di creazione del valore. Si tratterà di identificare e sfruttare sinergie27 tra le varie società del gruppo, sinergie che potranno essere di tipo tecnologico, commerciale, manageriale e finanziario. Verrà mantenuta un’elevata focalizzazione e specializzazione delle attività delle singole aziende, senza limitarne l’autonomia e l’indipendenza decisionale e operativa. Possono essere ottenuti notevoli vantaggi sia in termini di condivisione di competenze imprenditoriali e manageriali, sia in termini di capacità di attrarre investimenti a condizioni vantaggiose.

Gli investimenti per lo sviluppo, per l’operatore finanziario, si presentano come più complessi rispetto a quelli effettuati nella fase di avvio. Questo accade a causa del numero relativamente elevato di azionisti, portatori di interessi spesso divergenti ed anche perché questa fase richiede un’analisi preliminare molto più complessa. Essa deve infatti valutare gli elementi che hanno segnato la storia aziendale, quindi la fase preparatoria all’intervento consisterà in un’accurata attività di due diligence che dovrà analizzare dettagliatamente tutti gli aspetti, e sarà finalizzata alla valutazione della congruità del valore dell’azienda e della sua condizione economico-reddituale, patrimoniale e societaria, rispetto ai contenuti del business plan28.

L’esistenza di un passato, permette in questi casi, di poter contare su un supporto di dati e di informazioni che garantiscano all’investitore un concreto supporto all’attività di valutazione, che potrà così risultare molto più oggettiva rispetto ai casi in cui si debba valutare un’azienda nelle fasi iniziali, ed anche operatori che non hanno una precedente diretta esperienza o conoscenza del settore merceologico specifico nel quale l’impresa target opera, sono in grado di

27

La sinergia esprime, il maggior valore che scaturisce dalla combinazione armonica di due o più aree di business che, isolatamente sviluppate, non sarebbero state in grado di generare lo stesso valore (S.Garzella, Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle “potenzialità inespresse”).

28

(9)

effettuare un’approfondita valutazione del potenziale investimento e dei suoi ritorni29.

La terza categoria di interventi nel capitale di rischio, è quella finalizzata al finanziamento di processi di cambiamento dell’azienda. Questa categoria è quella che è maggiormente indipendente dalla fase del ciclo di vita raggiunto dall’azienda. Diverse possono essere le motivazioni che spingono al cambiamento; si hanno casi in cui un’azienda ha raggiunto una fase di cosiddetto “maturità”, che per essere superata, richiede spesso una modifica dell’assetto strategico e/o organizzativo, oppure casi in cui si verificano eventi negativi come una crisi aziendale.

Si avranno operazioni di replacement capital, qualora si tratti di una sostituzione degli azionisti di minoranza, non più interessati alle sorti dell’azienda. In questi casi l’investitore si sostituisce, temporaneamente, ad uno o più soci uscenti, in modo tale da consentire ai soci che vogliono disinvestire, di cedere la propria partecipazione, ma ciò non costituisce un ostacolo allo sviluppo aziendale. Un’operazione di questo tipo non comporta grandi cambiamenti nella strategia dell’impresa, essa consente a dei soggetti di uscire dal capitale e di lasciare liberi di operare chi invece crede ancora nel futuro dell’azienda30.

Gli investimenti effettuati nei processi interni all’azienda, formano una categoria che risulta essere maggiormente svincolata dalla fase di sviluppo del business dell’azienda. Essi possono in estrema sintesi essere ricondotti a due tipologie: i

buyouts e gli special purpose investing (SPI)31.

Nei buyouts l’intervento dell’investitore isituzionale è di supporto finanziario al nuovo gruppo imprenditoriale al fine di condurre a buon fine l’operazione di riassetto proprietario.

Si tratta di operazioni che comportano un cambio radicale nella proprietà dell’impresa e possono essere di quattro tipi a seconda delle caratteristiche della

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

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Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000.

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nuova proprietà: management buy out, management buy in, employees buy out32 e family buy out.

Se sarà un gruppo manageriale esterno a prendere il controllo, avremo un’operazione di management buy in, se questo sarà interno alla società, l’operazione sarà di management buy out. Se invece l’intervento dell’investitore sarà volto a favorire un nuovo assetto proprietario che veda il coinvolgimento di un gruppo più allargato di dipendenti dell’azienda stessa, si parlerà di employees o workers buy out, qualora invece nella vita di un’impresa familiare, uno dei membri decida di rilevarla e di avvalersi dell’intervento di un investitore istituzionale per realizzare questa operazione di acquisizione, si parlerà di family buy out33.

La seconda categoria, quella degli special purpose investing, comprende tutte quelle operazioni compiute per finalità specifiche.

Se l’obiettivo è la costituzione di una posizione di leadership in settori frammentati con assenza o bassa presenza di market leaders, avremo un’operazione di industry consolidation.

Quando un’impresa quotata su un mercato regolamentato, risulti essere non adeguatamente apprezzata dallo stesso o richieda una sostanziale ristrutturazione prima di poter essere riofferta ad un acquirente industriale, si può manifestare la necessità di ritirare i suoi titoli dal mercato attraverso il lancio di un’offerta pubblica di acquisto e la successiva uscita dal listino. Si tratta di un’operazione di

delisting, nella quale l’investitore istituzionale acquista lui stesso i titoli nella quantità sufficiente a garantirgli la possibilità di uscire dal listino e utilizza il suo know how per preparare l’azienda alla successiva cessione.

Altre situazioni che impongono dei cambiamenti, sono rappresentate dalle crisi aziendali34, più o meno accentuate, la cui risoluzione può richiedere, oltre ad un riposizionamento strategico, un avvicendamento del gruppo proprietario o

32

Dario Gentile, appunti e lucidi, 2006.

33

AIFI&PricewaterhouseCoopers, Guida pratica al capitale di rischio, 2000.

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Crisi aziendale: manifestazione di una grave disfunzionalità operativa dovuta, in ultima analisi e per la gran parte dei casi, alla carenza di valori ed idee, alla squilibrata o asistematicacombinazione degli elementi del governo-imprenditorialità e managerialità-e alla carenza di managerialità che si esprime nella difficoltà di conferire contenuti operativi alle idee imprenditoriali (S.Garzella, Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle “potenzialità inespresse”).

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manageriale. In questi casi l’intervento di un investitore istituzionale specializzato in operazioni di turnaround financing35 può rappresentare spesso l’unico rimedio a situazioni che altrimenti sarebbero senza via d’uscita.

L’attività di investimento nel capitale di rischio può essere svolta da varie categorie di investitori professionali:

• banche d’affari e divisioni di banche commerciali; • fondi chiusi sovranazionali/internazionali;

• fondi chiusi locali/regionali;

• finanziarie di partecipazione di emanazione privata o industriale; • operatori pubblici36.

Si possono notare significative differenze riguardo a come viene svolta l’attività dalle varie categorie di investitori.

Nel caso dei fondi chiusi, i soggetti conferenti capitale forniscono le risorse finanziarie che vengono poi gestite dal management del fondo, questo determina un livello più alto di responsabilizzazione nell’attività di gestione.

I fondi chiusi, diversamente da quelli aperti, consentono il riscatto delle quote solo alla scadenza prestabilita dal regolamento.

I capitali sono raccolti tramite l’emissione di quote, per poi essere investiti in titoli di società non quotate37. Colui che sottoscrive le quote è generalmente un soggetto in grado di assumersi un elevato rischio, in attesa di un altrettanto elevato rendimento, da realizzarsi nel medio-lungo periodo.

Varie sono le tipologie di fondi chiusi che è possibile identificare; vi possono essere fondi indipendenti, lanciati e gestiti da professionisti e fondi captive, cioè di diretta emanazione di gruppi industriali, bancari o di altre entità. Si possono

35

Operazione con la quale un investitore nel capitale di rischio acquisisce un'impresa in dissesto finanziario, al fine di ristrutturarla e renderla nuovamente profittevole

(http://www.aifi.it/IT/CapitaleDiRischio/Glossario.htm#T).

Bertoli individua la seguente “sequenza tipica” dei processi di turnaround: i) cambiamenti nell’assetto proprietario, ii) ricapitalizzazione dell’impresa, iii) mantenimento dell’ammissione alla quotazione in borsa, iv) rinnovo del management, v) ripristino di un clima di fiducia. G. Bertoli, Crisi d’impresa e ristrutturazione.

36

Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

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individuare i tradizionali regional funds e mega funds a carattere paneuropeo38, che in genere fanno capo a istituzioni internazionali, operano in ambito continentale e generalmente vengono sottoscritti da investitori istituzionali39. Infine si possono effettuare distinzioni anche sulle politiche di impiego delle risorse; distinguendo fondi generalisti, che non hanno particolari preferenze di investimento, fondi che operano esclusivamente in particolari stadi di sviluppo delle imprese e fondi distinti per aree geografiche o per settori industriali.

Per quanto riguarda la durata di un fondo chiuso, essa è di solito decennale. Entro questo periodo, si possono individuare due sottoperiodi: l’investment period ed il

disinvestment period, entrambi generalmente di cinque anni. Spesso sono previsti tre anni di proroga della scadenza del fondo, nei casi in cui il gestore non sia ancora riuscito a concludere il processo di disinvestimento40.

Disinvestimento che può avvenire secondo quattro modalità distinte:

• vendita delle azioni sul mercato borsistico (nell’ambito di un processo di prima quotazione o in momenti successivi)

• cessione della partecipazione attraverso trattativa privata (trade sale) • cessione della partecipazione ad un altro operatore di private equity o di

venture capital (replacement e secondary buy out)

• riacquisto della partecipazione da parte del socio originario, rimasto nella compagine azionaria per tutta la durata dell’operazione (buy back)

Inoltre bisogna considerare anche il caso in cui la partecipazione perde parzialmente o totalmente il suo valore (write off)41.

Possiamo affermare che i fondi chiusi ricoprono un ruolo molto importante come finanziatori a titolo di capitale di rischio, di imprese con elevato potenziale di sviluppo e di redditività, che non dispongono delle risorse finanziarie adeguate per portare avanti i propri progetti di avvio, crescita o cambiamento.

38

Anna Gervasoni, Liuc paper n. 137, Caratteristiche strutturali ed operative dei fondi paneuropei di investimenti nel capitale di rischio, 2003.

39

Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

40

Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

41

Roberto Del Giudice; Il processo di disinvestimento, cap 9 (Private equity e Venture capital; Anna Gervasoni e Fabio Sattin).

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1.2 Il processo di investimento

Il processo di investimento si divide in varie fasi, che possono differire sostanzialmente a seconda della tipologia di operazione. Ad esempio si può pensare alla grande differenza che si manifesta tra un investimento, in cui il fondo entra nel capitale con una quota di maggioranza, rispetto ad un investimento in cui assume una partecipazione di minoranza.

Tuttavia ci sono delle fasi tipiche comuni a tutte le tipologie di investimento. Esse possono essere identificate in:

• individuazione dell’impresa target;

• valutazione del profilo imprenditoriale e/o del mangement team; • valutazione approfondita dell’azienda e della struttura dell’operazione; • trattativa e definizione del prezzo;

• monitoraggio dell’operazione; • disinvestimento42.

La fase di individuazione dell’impresa target è importantissima per lo sviluppo dell’attività di investimento nel capitale di rischio. Può avvenire secondo due principali modalità: una in cui sono gli operatori di private equity a farsi promotori dell’attività di investimento, andando a ricercare le opportunità di investimento tramite strumenti di direct marketing (generalmente questa modalità è tipica dei Paesi con mercati finanziariamente più evoluti come Stati Uniti e Gran Bretagna), e l’altra in cui sono gli imprenditori che spesso, affiancati da professionisti o consulenti, ricercano un partner finanziario (modalità che si rende necessaria in tutti quei Paesi in cui non c’è una diffusa conoscenza di questi strumenti).

Per quanto riguarda la fase di valutazione del profilo imprenditoriale e/o del mangement team, bisogna tener conto che il profilo dell’impresa ottimale, varia molto in relazione della tipologia di investimento che si deve effettuare43.

42

Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000.

43

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Il fine ultimo di queste operazioni è sempre l’ottenimento di elevati tassi di rendimento prospettici dell’investimento, in un orizzonte temporale dell’investimento di medio periodo, tuttavia non è possibile delineare un profilo ideale per tutte le tipologie di investimento. Generalmente ogni operatore di private equity tenderà a preferire realtà caratterizzate da:

• un valido progetto di sviluppo e prospettive di crescita sia dimensionale che reddituale;

• prodotti/servizi di successo e relativamente unici, con un mercato ancora potenzialmente in crescita;

• un imprenditore valido, ambizioso e determinato a perseguire obiettivi di sviluppo dell’azienda;

• un buon management;

• buone prospettive di disinvestimento, funzionale all’ottenimento di un capital gain44.

Ogni investitore valuterà quindi la tipologia di business in cui l’azienda target opera, il posizionamento strategico ricoperto all’interno di esso e la difendibilità dello stesso.

Vengono effettuate dettagliate analisi di mercato (effettivo o potenziale), vengono creati i primi contatti con il management per capire la sua validità, la sua motivazione e se gli obiettivi reciproci sono gli stessi. Spesso il management è l’elemento principale che l’operatore valuta.

La valutazione approfondita dell’azienda avviene solitamente sulla base di un

business plan. Esso è il documento che illustra le intenzioni strategiche dell’imprenditore e del management inerenti alle strategie competitive dell’azienda, ai suoi obiettivi, ai suoi prodotti/servizi, ai risultati economico/finanziari attesi. Tramite esso l’investitore può valutare approfonditamente le caratteristiche dell’azienda, le potenzialità del business ed i possibili ritorni dell’investimento45.

44

AIFI&PricewaterhouseCoopers, Guida pratica al capitale di rischio, 2000.

45

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Generalmente quando imprenditore ed investitore prendono i primi contatti, il primo si presenta con un documento preliminare che costituisce la premessa al business plan. Questo perché in un primo momento l’investitore è interessato principalmente ad accertare l’affidabilità dell’imprenditore o del management ed a conoscere un quadro generale della situazione aziendale.

Successivamente, qualora il progetto sia giudicato interessante, l’investitore richiederà un business plan per effettuare analisi più approfondite e, se l’esito di queste ultime sarà positivo, partiranno le trattative per concludere l’operazione di investimento.

1.3 Il riposizionamento strategico

Negli ultimi anni, l’ambiente in cui le aziende operano, è sempre più caratterizzato da una maggiore instabilità e da una crescente pressione competitiva.

Ogni settore può essere interessato da molteplici cambiamenti che possono essere originati da cause differenti46 ed avere implicazioni diverse sulle aziende operanti, ma che pur sempre impongono a queste ultime un adeguamento della strategia competitiva.

La configurazione strutturale di un settore, secondo Porter, è determinata, in ogni istante, dal contemporaneo disporsi di cinque forze competitive47, date da: intensità della concorrenza, minacce portate dai prodotti sostitutivi, minacce derivanti dai potenziali entranti, potere contrattuale dei fornitori e potere contrattuale dei clienti48.

L’insieme di queste cinque forze costituisce il sistema competitivo e la loro dinamica determina l’attrattività di un settore e l’analisi della loro intensità e

46

“L’evoluzione di un settore presenta caratteristiche e ha implicazioni profondamente diverse a seconda che sia indotta da: dinamiche congiunturali, dinamiche strutturali, dinamiche di ricomposizione di più settori, mutamenti delle regole del gioco competitivo.” Invernizzi, G., Strategia e politica aziendale: i testi, McGraw-Hill, 2004, cap. a cura di Mazzola, P.

47

Porter, 1980.

48

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direzione riveste una particolare importanza nel processo di formulazione della strategia competitiva.

Tuttavia bisogna considerare che i continui cambiamenti che interessano ogni settore, fanno sì che le strategie competitive delle aziende debbano essere continuamente ripensate ed adeguate in relazione al mutevole contesto in cui esse operano49, perciò l’analisi di Porter dovrà essere sviluppata anche in chiave dinamica, considerando sempre, oltre ad informazioni e dati storici, anche quelli relativi alle prospettive future.

La struttura di un settore cambia e proprio questi cambiamenti possono sottendere per le aziende operanti, sia appetibili opportunità di business, sia pericolose minacce50.

Le aziende devono cercare di sfruttare le opportunità che si presentano, modificando opportunamente le loro strategie, ma sempre facendo leva sulle risorse e competenze distintive51 che possiedono.

Ogni azienda possiede un suo portafoglio di risorse e competenze che la contraddistingue, le risorse possono essere classificate in tangibili, intangibili ed umane, mentre le competenze, in specialistiche (relative ad un concreto saper fare operativo) e generali (che si riferiscono alle modalità complessive di svolgimento delle attività aziendali).

Le risorse e competenze diventano distintive se forniscono un importante contributo al complessivo processo di creazione del valore52.

49

Invernizzi, G. (a cura di), Strategia e politica aziendale: i testi, McGraw-Hill, 2004.

50

Bianchi Martini, S., Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, cap. 2.

Sui limiti del modello delle cinque forze si veda: Grant, L’analisi strategica per le decisioni aziendali.

51

Le risorse sono interpretate come “fattori produttivi a disposizione dell’impresa, che sono trasformate in beni utilizzando un’ampia gamma di attività aziendali e meccanismi organizzativi” (Amit e Schoemaker, 1993). Secondo Grant, non tutte le risorse sono fonte di vantaggio competitivo. Il potenziale di una risorsa o competenza, nel dare luogo ad un vantaggio competitivo, inteso come maggiore redditività del capitale investito rispetto alla media del settore, dipende da tre fattori: a) l’elevata capacità della risorsa/competenza di originare un vantaggio; b) la sua elevata capacità di sostenere il vantaggio competitivo; c) la bassa appropriabilità della risorsa/competenza da parte di terzi. Secondo Garzella, il valore di una risorsa, può essere compreso studiando in modo combinato: il valore per il mercato, il grado di unicità, la durevolezza, l’estensibilità (Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Torino, Giappichelli, 2005).

52

“La strategia di portafoglio e quella competitiva devono quindi essere il risultato della congiunta analisi delle esigenze e delle dinamiche ambientali, da un lato, e delle potenzialità delle risorse aziendali, dall’altro” (Garzella, S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Torino, Giappichelli, 2005). Nella prospettiva resource-based, le risorse e le competenze sono indicate come

(17)

Le risorse e competenze distintive sono la fonte di vantaggio competitivo e affinchè questo vantaggio sia durevole, data la sempre maggiore instabilità degli ambienti competitivi, è necessario che le aziende scelgano e presidino il portafoglio di risorse e competenze e che investano su quelle che possono essere determinanti per ottenere un vantaggio competitivo futuro nei mercati e segmenti in cui l’impresa opererà53.

In situazioni di forti difficoltà competitive, il rischio è quello di concentrarsi eccessivamente sugli errori passati e sulle cause che hanno portato alla crisi, invece di rivolgere l’analisi allo studio delle risorse e competenze che potranno consentire un rilancio dell’azienda54

L’analisi del portafoglio di proprie risorse e competenze è il punto di partenza di un piano di rilancio di un’azienda che sta attraversando una situazione di crisi. E’ fondamentale per capire le reali possibilità che l’azienda ha per poter nuovamente raggiungere situazioni di vantaggio competitivo55.

Sarà necessario individuare quelle risorse, all’interno del portafoglio dell’azienda, che, se opportunamente valorizzate, potranno alimentare lo sviluppo futuro, magari anche combinandosi in modo sinergico con altre risorse o riconvertendosi in altre tipologie di produzione56. Su di esse si dovrà far leva per intraprendere un turnaround, quindi per creare un’inversione di tendenza e portare un’azienda dalla crisi in cui si trova ad un successo futuro.

Il private equity è uno strumento molto importante anche per aziende che stanno attraversando fasi di questo tipo e che quindi cercano nell’investitore

elementi fondamentali del sistema aziendale. Nella visione di Grant, il vantaggio competitivo di un’impresa deriva dalla capacità della strategia aziendale di coniugare coerentemente le competenze aziendali con i fattori critici di successo nel settore in cui l’impresa opera. Secondo Hamel –Prahalad, “è infatti necessario individuare quali attività contribuiscono realmente alla prosperità a lungo termine dell’azienda” (Hamel-Prahalad, Alla conquista del futuro, Milano, Il Sole 24 Ore, 1995).

53

Invernizzi, G. (a cura di), Strategia e politica aziendale: i testi, McGraw-Hill, 2004.

54

Garzella, S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Torino, Giappichelli, 2005.

55

Garzella, S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Torino, Giappichelli, 2005.

56

Garzella, S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Torino, Giappichelli, 2005.

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istituzionale un supporto per uscire dalla crisi ed implementare una fase di rilancio. Il turnaround financing, può essere definito come un’operazione con la quale un investitore nel capitale di rischio acquisisce un’impresa in dissesto finanziario, al fine di ristrutturarla e renderla nuovamente profittevole57. Questa tipologia di investimenti ha come oggetto generalmente acquisizioni di partecipazioni di controllo, in quanto rappresenta un elemento indispensabile per poter avere la possibilità di implementare con rapidità ed efficacia un radicale processo di cambiamento.

La ricerca e la selezione delle società che possono essere oggetto di investimento privilegia quella fattispecie di aziende che, pur trovandosi in una situazione economico/finanziaria caratterizzata da risultati negativi, siano dotate di una posizione competitiva valida e/o abbiano le potenzialità necessarie ad aumentare la redditività e il ritorno sul capitale investito.

Questa tipologia di investimenti è caratterizzata da un alto livello di complessità dovuto alla situazione di difficoltà in cui si trova l’impresa58.

Il mercato delle operazioni di turnaround può essere considerato una nicchia del private equity, in quanto tali operazioni sono per molti versi assimilabili alle più comuni operazioni di buy out, con la differenza principale che l’oggetto dell’acquisizione è rappresentato da aziende il cui valore è depresso per via del contesto negativo in cui sono coinvolte59.

1.4 Importanza di questi strumenti per lo sviluppo e per la

gestione del cambiamento nelle aziende.

Lo sviluppo economico e la competitività dei Paesi, sono determinati in maniera sempre più accentuata dall’innovazione tecnologica e dall’imprenditorialità innovativa.

57

http://www.aifi.it/IT/CapitaleDiRischio/Glossario.htm

58

Articolo di Michele Dugnani, www.atlantispartners.it 59

(19)

E’ importante quindi, per mantenere elevato il livello di sviluppo economico, far sì che le imprese possano svilupparsi e crescere, ma questo può avvenire solo se esse hanno le risorse adeguate, non solo in termini finanziari, ma anche in termini di imprenditorialità e managerialità.

Le difficoltà nel reperimento delle risorse sono in realtà molto elevate, specie per le imprese innovative in fase di avvio, che hanno bisogno di ingenti capitali e che presentano rischi tecnologici e di mercato molto elevati60.

Il finanziamento pubblico, ispirato a logiche burocratiche ed assistenzialistiche, ha spesso portato alla creazione di imprese deboli e non competitive in un contesto nazionale ed internazionale. Tale finanziamento di regola si concretizza nell’erogazione di contributi a fondo perduto oppure nella concessione di finanziamenti a tasso agevolato, dove l’agevolazione consiste in una riduzione del costo del capitale61.

Molte imprese invece, si trovano a dover affrontare fasi molto delicate che impongono un cambiamento. Si può trattare di un cambiamento strategico, che per essere affrontato con successo può avere bisogno di un supporto sia finanziario, sia gestionale, oppure di un cambiamento dettato da cause fisiologiche o patologiche che possono verificarsi in azienda, come un passaggio generazionale, la necessità di sostituire parte della compagine sociale, o una crisi. Non sempre un’azienda è in grado di superare da sola queste situazioni, si comprende quindi come, per assicurare un adeguato sostegno alle imprese, sia fondamentale in molti casi il supporto di un investitore istituzionale specializzato, in grado di apportare oltre alle risorse finanziarie, anche il know how necessario al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo.

Il socio istituzionale, oltre a possedere una profonda esperienza basata su una moltitudine di realtà imprenditoriali diverse, può offrire anche contatti con altri imprenditori dello stesso o di altri settori. Egli ha solitamente esperienza anche in tema di accompagnamento alla quotazione ed è stato comprovato che le imprese

60

Simona Cavallini, Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital, 2003, (http://www.eco.unipmn.it/eventi/innovarepercompetere/cavallini.pdf).

61

(20)

partecipate da investitori istituzionali presentino performance economiche superiori rispetto alle altre realtà imprenditoriali62.

Esse infatti sono imprese ad alto tasso di sviluppo, creano nuovi posti di lavoro, effettuano considerevoli investimenti e perseguono strategie di sviluppo a livello internazionale; generalmente la presenza di un investitore istituzionale nel capitale di un’azienda, rappresenta una sorta di garanzia nei confronti degli stakeholders, aumentandone il potere contrattuale e migliorandone l’immagine, cosa che si riflette positivamente anche sulla facilità di reperimento di finanziamenti da banche e mercati finanziari63.

Tuttavia un’impresa deve tener conto, che la decisione di aprire il capitale ad un investitore istituzionale, comporta cambiamenti molto grandi, specie per un’azienda medio-piccola o per un’azienda familiare. L’operatore di private equity infatti, tenderà ad aumentare il livello di trasparenza e la qualità della comunicazione aziendale, a professionalizzarne la gestione e l’organizzazione e ad introdurre o evolvere sistemi di pianificazione e controllo e di monitoraggio dei risultati64.

Rispetto ad un finanziamento tradizionale, come quello bancario o di un istituto di credito, questo non dà garanzie all’investitore riguardo al rendimento. L’investitore nel capitale di rischio infatti, si accolla parte del rischio di impresa come gli altri azionisti e per questo sarà direttamente interessato al processo di creazione del valore dell’impresa.

Un’azienda, prima di rivolgersi ad un operatore di questo genere, dovrebbe prima di tutto effettuare un’analisi della situazione aziendale, per capire se vi sono le condizioni e le motivazioni per un tale intervento. Le risorse apportate da un venture capitalist devono infatti servire allo sviluppo e non al riequilibrio degli squilibri aziendali, derivanti da un’errata gestione delle fonti finanziarie interne,

62

Una recente ricerca di AIFI, ha dimostrato che in un anno le imprese venture backed hanno accresciuto: le vendite del 35%, i profitti lordi del 25%, gli investimenti in ricerca e sviluppo dell’8,6%, le esportazioni del 30%. Esse creano più occupazione, presentando un tasso medio annuo di crescita del 15%, maggiore sette volte rispetto alle altre imprese prese nel campione. Per approfondimenti si veda AIFI, Quaderni sull’Investimento nel Capitale di Rischio. Il Private equity come motore di sviluppo, Egea, Milano 2004.

63

AIFI&PricewaterhouseCoopers, Guida pratica al capitale di rischio, 2000.

64

(21)

che causano la necessità di nuovi capitali, ma che possono e devono essere corretti con altri strumenti65.

Questi strumenti ricoprono un ruolo importantissimo nel processo di crescita, di sviluppo e di cambiamento delle imprese finanziate e perciò contribuiscono notevolmente allo sviluppo del sistema industriale e dell’economia nel suo complesso.

Purtroppo il private equity in Italia è caratterizzato da un numero ridotto di operatori, e quindi da un livello di concorrenza fra di essi, basso o nullo, inoltre vi è uno sviluppo scarso di interventi in segmenti start up e di turnaround ed una quasi assenza di operatori high tech, tutti casi in cui l’incertezza è maggiore ed il livello di rischio dell’investimento è più elevato66.

1.5 Classificazione degli interventi frequentemente utilizzati

Se andiamo ad osservare i dati AIFI del 2006, possiamo osservare che per quanto riguarda il numero degli investimenti effettuati in Italia, è stata riscontrata una prevalenza delle operazioni in fase di expansion (105, pari al 36% del totale), seguite dai buy out (100, in crescita dall’anno precedente), e dagli interventi in early stage (62, anch’essi in crescita)67.

La crescita segnalata nel mercato dei buy out ha come fattore determinante una crescente propensione delle piccole-medie imprese italiane ad aprire il proprio capitale ad investitori istituzionali, in molti casi anche per affrontare situazioni di riassetto societario, spesso in occasione di passaggi generazionali68.

Se analizziamo invece le risorse impiegate per tipologia di investimento, la maggior parte di esse ha interessato l’acquisizione di quote di maggioranza o

65

AIFI&PricewaterhouseCoopers, Guida pratica al capitale di rischio, 2000.

66

Ambromobiliare Merchant Bank, Dal T.F.R al private equity: condizioni, processi, vincoli e opportunità.

67

http://www.aifi.it/IT/Statistiche/Statistiche.htm

68

Roberto Del Giudice, Jonathan Donadonibus, Francesca Morghen (docenti Università Carlo Cattaneo-LIUC), Il mercato italiano del buy-out anno 2000-2001, 2002.

(22)

totalitarie (buy out), che hanno totalizzato 2444 milioni di euro, seguite da quelle utilizzate per finanziare la fase di espansione (1094 milioni di euro)69.

Con riguardo alla dimensione delle aziende destinatarie degli investimenti, è stato riscontrato che il 71% delle operazioni effettuate, ha avuto come oggetto imprese con un numero di dipendenti inferiore a 250, che hanno attratto circa il 22% dell’ammontare delle risorse raccolte (oltre 800 milioni di euro)70.

Il 99% delle risorse investite nel corso del 2006, è stato indirizzato verso imprese italiane, nel 2005, invece questa percentuale era del 95%. Scendendo maggiormente nel dettaglio riguardo alla localizzazione geografica, nel 2006, l’87% di esse è stato destinato ad imprese del Nord (in particolare della Lombardia), il 10% ad imprese del Centro e solo il 3% ad imprese del Sud71. Tra le modalità di cessione alle quali è stato fatto più ricorso, troviamo al primo posto la vendita a partners industriali (trade sale), che continua ad essere il canale più utilizzato (in termini di numero, il 38%), mentre il ricorso alla Borsa, dopo una crescita del 35% rispetto al 2005, ha raggiunto il 13%.

I settori più interessati da queste operazioni sono quelli dei prodotti e servizi per l’industria, sia in termini di numero di operazioni (12%), sia in termini di ammontare di risorse (15%). Risultano in crescita le risorse destinate al finanziamento di imprese che operano nel settore dei beni di lusso (+217% rispetto al 2005) e nel settore medicale, high tech e bioteh72.

Uno dei settori che maggiormente possono beneficiare dei vantaggi offerti dal private equity, è quello farmaceutico. Si tratta infatti, di un settore globale, in via di concentrazione, per il quale è fondamentale una crescita volta al raggiungimento di una massa critica dimensionale, necessaria per essere competitivi sui mercati ed ottenere le ingenti risorse finanziarie necessarie da investire in ricerca e sviluppo, poiché i notevoli investimenti richiesti per operare in questo settore, non sempre sono finanziabili solo con capitale di debito ed autofinanziamento73. 69 http://www.aifi.it/IT/Statistiche/Statistiche.htm 70 http://www.aifi.it/IT/Statistiche/Statistiche.htm 71 http://www.aifi.it/IT/Statistiche/Statistiche.htm 72 http://www.aifi.it/IT/Statistiche/Statistiche.htm 73

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Possiamo affermare che l’avvio di questo settore in Italia risalga al 1986, anno in cui alcune finanziarie private e di emanazione bancaria diedero vita all’AIFI (Associazione del Private Equity e Venture Capital). Prima di questa data, l’attività di investimento diretto nel capitale di rischio di imprese industriali non quotate era tassativamente preclusa alle aziende di credito ed agli istituti centrali di categoria74.

A partire dall’86 si è verificata un’evoluzione continua sul fronte normativo, che ha modificato l’ambito istituzionale entro il quale gli investitori di questo tipo si sono trovati ad operare75.

Nella prima metà degli anni Ottanta i principali operatori del mercato italiano del private equity e venture capital sono stati alcuni operatori di emanazione privata che, utilizzando la formula organizzativa della finanziaria di partecipazione, hanno cominciato ad impiegare nel capitale di piccole e medie imprese capitali propri o raccolti presso un ristretto numero di soci. In seguito, si è affacciato su questo mercato il sistema bancario, prima attraverso società specializzate, poi direttamente, mediante divisioni interne alle stesse banche.

A partire dai primi anni Novanta, invece, hanno iniziato ad operare in modo stabile in Italia, advisors di fondi chiusi internazionali ed i primi fondi chiusi di diritto italiano. Queste due tipologie di operatori, le più utilizzate nei sistemi più evoluti, sono attualmente in forte aumento anche in Italia76.

Secondo i dati AIFI, nel corso del 2006 sono stati investiti 3,7 miliardi di euro dagli operatori di private equity e venture capital italiani (il 22% in più rispetto al 2005 ed addirittura più del doppio rispetto al 2004), distribuiti su 292 operazioni.

http://www.aboutpharma.com/apmese_articolo.asp?id=5

74

Gervasoni, A., Il ruolo del sistema bancario.

75

Delibera del CICR del febbraio 1987 e relativa circolare della Banca d’Italia che consentirono anche ad aziende di credito ed istituti centrali di categoria di operare nel capitale di rischio tramite società di intermediazione finanziaria di loro emanazione, le SIF, il cui ambito d’intervento consisteva

nell’assunzione a carattere temporaneo di obbligazioni, azioni e titoli similari di imprese per partecipare al capitale di rischio in posizione minoritaria (Anna Gervasoni, Fabio Sattin; Private Equity e Venture Capital, 2000).

76

(24)

Si tratta del valore più alto mai registrato ed è un segnale che il mercato italiano è in forte crescita77.

La crescita che si sta verificando in Italia nel periodo attuale, nel mercato del private equity e venture capital, è un segnale molto positivo del fatto che ci stiamo riallineando ai dati degli altri paesi europei, in termini di risorse accumulate ed investimenti effettuati in operazioni di questo tipo.

Questo ha un’importanza maggiore considerando che il sistema delle imprese italiane è caratterizzato dalla presenza di imprese dalla dimensione medio-piccola e da una elevata concentrazione della proprietà. Per misurare questo divario dimensionale, si può usare un indice dato dal rapporto tra la dimensione media delle imprese italiane e dimensione media di quelle europee, che nel 2005 era pari allo 0,42%78. Un divario molto elevato quindi, che ci mostra che le nostre imprese hanno una dimensione, che è meno della metà rispetto alle altre imprese europee, in particolare, meno di 1/3 di quelle tedesche ed inglesi e circa la metà di quelle francesi79.

Questo grosso divario dimensionale, può avere ripercussioni notevoli in termini di competitività delle imprese: sul piano dell’efficienza dei costi, a causa del mancato sfruttamento del potenziale di economie di scala presente in molti settori, sul piano della capacità innovativa e su quello del livello di internazionalizzazione. A questi importanti aspetti si va ad aggiungere quello relativo alla finanza. Infatti la piccola dimensione costituisce una sorta di ostacolo alla possibilità di accesso ai servizi finanziari e questo rappresenta un fattore che spiega la difficoltà delle imprese a crescere.

Lo sviluppo e la complessità della funzione finanziaria delle imprese, sono correlate alla dimensione delle imprese stesse. Le piccole imprese, infatti, utilizzano una strumentazione finanziaria elementare e spesso di derivazione bancaria. Al crescere della complessità della gestione aziendale, a causa della diversificazione in nuove aree di business, dell’internazionalizzazione, del

77

http://www.aifi.it/IT/Statistiche/Statistiche.htm

78

Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

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maggiore impatto delle decisioni di investimento ed innovazione, dell’opportunità di salti dimensionali, la finanza aziendale acquista una crescente rilevanza strategica. Essa deve sostenere e favorire le decisioni fondamentali della gestione e quindi deve dotarsi sia dei mezzi necessari in termini di risorse finanziarie, sia di competenze adeguate80.

La struttura finanziaria delle imprese italiane presenta due caratteristiche di fondo: un rapporto di indebitamento relativamente alto ed un peso elevato dei debiti bancari a breve termine. La finanza continua ad avere una scarsa considerazione da parte degli imprenditori e delle imprese, in gran parte delle quali possiamo notare regole di condotta caratteristiche del pecking order81, che prevede una gerarchia delle scelte finanziarie che parte da quelle meno costose e meno complesse sul piano organizzativo e relazionale.

In Italia poche società si quotano in Borsa, tra queste mancano soprattutto le imprese di medie dimensioni, infatti le società con meno di 100 milioni di capitalizzazione sono meno del 30%, contro il 63%, il 67% ed il 62% rispettivamente di Francia, Germania e Gran Bretagna82.

Non solo sono poche le società che si quotano, ma sono poche anche quelle che aprono il loro capitale ad investitori specializzati, non a caso si può osservare che il private equity in Italia è uno strumento molto meno diffuso rispetto ai principali paesi europei, e soprattutto sono poche le operazioni nelle medie imprese, quelle che potenzialmente potrebbero fare il salto dimensionale ed effettuare una quotazione in Borsa. In più sono poco rilevanti anche gli interventi nei progetti più innovativi e rischiosi, propri della fase di early stage, che rappresentano la spinta evolutiva di un sistema. In Italia, il venture capital

80

Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

81

Secondo la teoria del pecking order, esiste un ordine gerarchico di fonti di finanziamento che dipende dal grado delle asimmetrie informative fra dirigenti e investitori, associate a ciascuna delle diverse fonti di finanziamento. Pertanto le società preferiscono finanziare nuovi investimenti in primo luogo con risorse finanziarie interne (come gli utili non distribuiti), poi con debiti finanziari e, in ultima istanza, mediante il collocamento sul mercato del capitale di rischio. Questa teoria spiegherebbe in parte perché le emissioni secondarie di azioni siano relativamente rare (http://www.bancaditalia.it/eurosistema/comest/pubBCE/mb/2006/mb200605/bce05/articoli_05_06.pdf). Per un’analisi empirica della teoria del pecking order , cfr. Fama, E. F., French, K. R. “Financing decisions: who issues stock?”, Journal of Financial Economics, vol n. 76, n.3.

82

(26)

nell’high-tech conta più o meno 40 operazioni per anno, mentre in Francia sono almeno 10 volte tanto83.

Tutto questo non dipende da una mancanza di capitali, ma da una mancata percezione da parte degli imprenditori dei vantaggi del private equity, strumento percepito ancora solo come di supporto ad operazioni straordinarie o a problemi finanziari contingenti84.

Inoltre la proprietà continua ad essere chiusa e fortemente concentrata intorno ai nuclei familiari ed i modelli di governance non sono sufficientemente aperti alle esigenze della separazione tra proprietà e controllo. Anche la concentrazione proprietaria rappresenta un elemento di vincolo alla crescita, poiché l’impresa in questi casi può crescere finché la nuova finanza necessaria è compatibile con gli investimenti della famiglia nel capitale di rischio85.

Le imprese familiari, infatti, costituiscono la spina dorsale del sistema industriale italiano, si stima che oltre il 90% delle imprese con meno di 10 addetti (che contribuiscono all’occupazione per l’80% della popolazione attiva), siano a controllo familiare86, ciò ha favorito la specializzazione della struttura produttiva del paese verso quei settori, in cui la dimensione non costituiva un fattore critico delle iniziative imprenditoriali, consentendo di sopravvivere e svilupparsi anche ad aziende medio-piccole, gestibili anche senza il possesso di una vera e propria cultura manageriale87.

Le imprese familiari italiane spesso manifestano un’eccessiva resistenza ad aumentare le proprie dimensioni ed a modernizzare la gestione.

Nella vita delle imprese familiari si verificano molti processi di transizione che possono riguardare sia l’azienda (managerializzazione, successione nel ruolo imprenditoriale, crescita interna ed esterna), sia la famiglia proprietaria

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Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

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Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

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Giancarlo Forestieri, Management; Impresa, banche e mercati finanziari 2005.

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Convegno annuale AIFI 2007.

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(successione nel ruolo proprietario, allargamento della compagine proprietaria, ricompattamento della compagine proprietaria, apertura a soci non familiari) 88. Alcune condizioni del contesto stanno aumentando la frequenza di questi processi di transizione, mettendo in pericolo la funzionalità duratura delle imprese familiari italiane; in particolare l’aumento delle pressioni competitive, la spinta a crescere dimensionalmente e l’intensificazione dei processi di successione per ricambi generazionali89.

Due sono i momenti più critici dal punto di vista della governance di questo tipo di imprese: il passaggio dalla logica familiare a quella di gestione manageriale, anche in assenza di un ricambio al vertice e l’esigenza di gestire in maniera adeguata la successione, intesa come passaggio generazionale. Si stima infatti, che meno di un quarto delle imprese a controllo familiare riesce a sopravvivere alla delicata fase del ricambio generazionale, arrivando, così, non più avanti della seconda generazione90.

Si tratta di situazioni che diventano ancora più difficili da gestire quanto più l’azienda opera in settori soggetti a spinte a forte innovazione tecnologica, internazionalizzazione dei mercati, di deregolamentazione delle legislazioni dei singoli paesi che favoriscono il formarsi di entità economiche sopranazionali (ad esempio, l’Unione Europea). Tutte queste situazioni, possono costituire addirittura una minaccia alla sopravvivenza di queste imprese, ma se gestite in maniera adeguata, possono determinare considerevoli opportunità di sviluppo. Le risorse finanziarie necessarie per sostenere queste strategie espansive, vanno quasi sempre al di là delle disponibilità della famiglia, o delle famiglie proprietarie, quindi gli strumenti di intervento sulla struttura proprietaria possono risultare fondamentali per superare questi ostacoli.

88

Giancarlo Forestieri, Guido Corbetta, Le banche italiane dal credito al merchant banking, Milano 1996.

89

Giancarlo Forestieri, Guido Corbetta, Le banche italiane dal credito al merchant banking, Milano 1996.

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Convegno annuale AIFI 2007. Dario Gentile 2006.

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Le dimensioni aziendali ridotte, che in passato potevano rappresentare anche un punto di forza, dato che conferivano una maggiore flessibilità del sistema produttivo ed una maggiore capacità di adattamento ai mutamenti della domanda, oggi rappresentano invece una criticità nel confronto internazionale. Le piccole imprese si trovano a dover fronteggiare problemi connessi all’efficienza ed alle difficoltà legate allo sviluppo di nuovi prodotti, da cui deriva una scarsa innovazione sia negli output produttivi, sia nei processi, esse dispongono di limitati strumenti al servizio dell’internazionalizzazione e difficilmente riescono a competere sui mercati globali, dove la concorrenza è sempre più forte e difficilmente controllabile91.

In Italia, di conseguenza, questo particolare segmento dell’attività del private equity, risulta essere molto interessante per gli investitori istituzionali, sia a causa dell’elevata domanda potenziale, sia perché l’intervento sull’assetto proprietario può aprire le porte ad una contestuale o successiva operazione nell’ambito del capitale per lo sviluppo92.

L’importanza di questo strumento a sostegno delle imprese che stanno attraversando queste delicate fasi, è fondamentale per superare i vincoli finanziari allo sviluppo, ridurre il livello di rischio finanziario, acquisire competenze e sviluppare combinazioni strategiche.

Questo è ciò che è accaduto a Kedrion, azienda leader italiana del settore dei plasmaderivati, che dovendo affrontare un particolare momento di transizione, successivo ad un passaggio generazionale, ha scelto di avvalersi del supporto di un investitore istituzionale.

Si tratta di un finanziamento dello sviluppo che è stato perseguito per vie interne, a supporto di un piano di riorganizzazione dell’azienda già deciso e delineato dalla famiglia imprenditrice.

La necessità dell’azienda era quella di reperire risorse finanziarie necessarie per svilupparsi consolidando la propria posizione sul mercato italiano, integrandosi a monte ed intraprendendo un processo di internazionalizzazione, ma anche quella

91

Convegno annuale AIFI 2007.

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di un apporto di competenze prevalentemente in campo finanziario e nella reportistica che le consentisse di passare dalla struttura tipica di azienda familiare a quella di un’azienda pronta per competere con successo sul mercato globale e per intraprendere una quotazione in Borsa.

(30)

CAPITOLO 2

Introduzione al caso Kedrion Spa

2.1 Presentazione dell’azienda Kedrion Spa

Situazione al 31/12/06:

Tipologia societaria: Società per Azioni Capitale Sociale: Euro 52.116.000,00 int. vers. Sede legale: Barga (LU), fraz. Castelvecchio Pascoli Presidente e Amministratore Delegato: Paolo Marcucci Vice Presidente: Rodolfo De Dominicis

Imprese controllate consolidate: • Hardis Spa

• Haemopharm Inc. • Kedrion SA

• Ked Pharmaceuticals AG Imprese collegate consolidate:

• Advanced Bioservices LLC93

Kedrion è un’azienda biofarmaceutica attiva nello sviluppo, nella produzione e nella distribuzione di plasmaderivati.

Questi prodotti sono usati da circa un milione di persone in tutto il mondo ogni anno, ma questo numero è destinato a crescere, perché attualmente molte persone non hanno ancora accesso a queste terapie94.

Lo scopo del processo di produzione dei plasmaderivati è la separazione, la concentrazione e la purificazione di frazioni proteiche plasmatiche per ottenere prodotti tra i quali l’albumina, le immunoglobuline e i fattori della coagulazione95.

93

Bilancio consolidato Gruppo Kedrion, anno 2006.

94

Mario Minoja, Giulia Romano: “Discipline” and “strategy” as CSR drivers: conditions and implications for stakeholders commitment and strategy implementation in the Kedrion case.

95

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Il plasma è utilizzato direttamente per il supporto di pazienti con gravi alterazioni della coagulazione, oppure sottoforma di emoderivati, dopo la trasformazione da parte dell’industria farmaceutica, che, ricevuto il plasma da destinare alla trasformazione, deve restituire farmaci secondo specifiche stabilite dal decreto di legge. Il plasma non utilizzato per uso clinico, viene così trattenuto dalla Kedrion, che lo trasforma in plasmaderivati96.

Situata a Castelvecchio Pascoli in provincia di Lucca, l’azienda opera in due siti produttivi tecnologicamente avanzati, dei quali uno è a Bolognana, a poca distanza dalla sede e l’altro è a S. Antimo in provincia di Napoli. L’azienda si avvale di un network di distributori presenti in tutto il mondo per penetrare i mercati esteri, in particolare in Europa orientale, Medio Oriente, Asia e America Latina97.

L’attività di questa azienda si sviluppa in tre aree di business: • Produzione e distribuzione di plasmaderivati

• Conto lavorazione

• Trasferimento di know how tecnologico

L’attività di produzione riguarda i farmaci plasmaderivati e il plasma virus inattivato, mentre la distribuzione riguarda anche i vaccini antinfluenzali, che però vengono distribuiti solo in Italia.

Il processo prevede:

-acquisizione di plasma che corrisponda a precisi criteri di qualità; -frazionamento;

-lavorazione per arrivare al prodotto finito; -distribuzione dei prodotti ottenuti98.

Kedrion collabora con il Servizio Sanitario Nazionale per un progetto volto al raggiungimento dell’autosufficienza nazionale per i farmaci derivati del plasma e prodotti con plasma proveniente da donatori italiani. Essa ottiene il plasma dalle aziende ospedaliere delle Regioni, lo trasforma in farmaci che poi ridistribuisce

96 www.kedrion.com 97 http://www.kedrion.com/ITA/dove_siamo_nel_mondo.html 98 http://www.kedrion.com/ITA/aree_business.html

Riferimenti

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