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Academic year: 2021

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Introduzione.

L’ 11 e il 18 dicembre del 2011 la Corte di Giustizia dell’ Unione Europea ha emesso due importanti sentenze, la sentenza Viking e la sentenza Laval, riguardanti azioni collettive attuate in Finlandia e in Svezia nei confronti di due imprese, la prima Finlandese e la seconda Lettone, che stavano esercitando le libertà economiche di stabilimento e di prestazione dei servizi tutelate, rispettivamente, dagli allora articoli 43 e 49 TCE (oggi articoli 49 e 56 TFUE).

Nonostante che nei casi di specie gli scioperi fossero pienamente legittimi secondo il diritto interno dei due Stati membri in cui erano stati realizzati, e nonostante che l’ articolo 137, paragrafo 5, del TCE (oggi articolo 153, paragrafo 5 TFUE) escludesse l’ esistenza di una competenza dell’ Unione Europea in materia di diritto di sciopero, la Corte di Giustizia ha ritenuto che la legittimità delle azioni collettive dovesse essere vagliata alla luce del diritto europeo. La Corte ha prospettato (nel caso Viking) ed effettuato (nel caso Laval) tale verifica utilizzando la tecnica di bilanciamento elaborata dalla sua precedente giurisprudenza in relazione a provvedimenti nazionali che ostacolavano l’

esercizio delle libertà economiche fondamentali garantite dal Trattato. Questo bilanciamento si articola in tre momenti: un giudizio di adeguatezza dello scopo dell’ azione collettiva al diritto europeo, un giudizio di necessità ed un giudizio di proporzionalità. Il primo giudizio verifica che l’ azione collettiva “sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale”, il secondo ed il terzo verificano che essa costituisca extrema ratio.

La prima parte della tesi affronta le problematiche collegate alle sentenze Viking e Laval dal punto di vista dell’ ordinamento europeo, la seconda parte confronta la giurisprudenza Viking e Laval con la tradizione di diritto sindacale italiana e verifica l’ incidenza della giurisprudenza europea nell’ ordinamento italiano.

Il punto di partenza della prima parte della tesi è un analisi critica sulle motivazioni delle due sentenze volta ad identificare le premesse teoriche dell’

applicazione del suddetto giudizio di bilanciamento, le modalità con cui esso è

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2 stato applicato ai due casi concreti e le implicazioni (anche il-)logiche delle argomentazione utilizzate dalla Corte.

Le linee di indagine di questa prima parte della tesi sono fondamentalmente due.

La prima concerne la capacità dell’ attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea (in prosieguo: Carta di Nizza) della efficacia giuridica di diritto primario dell’ Unione Europea - avvenuta attraverso la modifica dell’

articolo 6, paragrafo 1 TUE ad opera del Trattato di Lisbona - di rappresentare un mutamento del quadro normativo europeo sufficiente per fondare un revirement nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ritenendo l’ equiordinazione che la Carta di Nizza stabilisce tra i diritti sociali e le libertà economiche insufficiente a compensare la Costituzione economica dell’ Unione, considerando le nozioni di sciopero e di libertà sindacale accolte dalla Carta non ispirate al principio dell’

autodeterminazione dell’ interesse collettivo da parte dei lavoratori organizzati e osservando che nelle motivazioni delle due sentenze gli unici richiami all’ articolo 28 hanno la funzione di legittimare la limitazione del diritto di sciopero, l’ Autrice risponde negativamente a questo interrogativo.

La seconda linea di indagine riguarda il ruolo svolto dalla Direttiva n. 96/71, relativa al distacco di lavoratori nell’ ambito di una prestazione di servizi, nelle vicende di cui si discute. Nella sentenza Laval la Corte di Giustizia ha dato una interpretazione minimalista della direttiva, come fonte che stabilisce sia gli standards minimi che quelli massimi di trattamento applicabili ai lavoratori distaccati nell’ ambito di una prestazione transnazionale di servizi. Tale orientamento si è consolidato con la sentenza Rüffert e con la sentenza Commissione europea contro Granducato di Lussemburgo. La suddetta interpretazione rende la Direttiva sul distacco uno strumento inadeguato al contrasto al dumping sociale, e pone con urgenza la questione di una sua modifica volta a rafforzare questa funzione. Sono in tal senso interessanti le proposte di modifica della Direttiva avanzate dal Parlamento Europeo e dalla Confederazione europea dei sindacati, esposte nel capitolo IV della parte prima della tesi.

La seconda parte della tesi svolge un approfondito confronto tra la diversa configurazione nell’ ordinamento europeo e nell’ ordinamento italiano sia del rapporto tra diritti sociali e libertà economiche, sia del bilanciamento tra diritto di

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3 sciopero e libertà di iniziativa economica, sia infine dei limiti apponibili al diritto di sciopero.

Dall’ analisi delle norme costituzionali italiane in materia economica si desume che la “decisione di sistema” adottata dalla nostra Costituzione è antitetica a quella convenuta nei trattati europei perché in essa la relazione tra le libertà economiche e i diritti sociali (tra cui lo sciopero) non si pone in termini di bilanciamento, ma di subordinazione delle prime ai secondi.

Pertanto il bilanciamento tra il diritto di sciopero e la libertà d’ iniziativa economica viene risolto dalla giurisprudenza di legittimità circoscrivendo l’

illegittimità dello sciopero per violazione dell’ articolo 41 della Costituzione alle sole ipotesi di danno alla produttività. Questo limite è posto a salvaguardia della sopravvivenza dell’ impresa, a tutela di un interesse generale di carattere sociale proprio anche degli stessi lavoratori e riconducibile al diritto al lavoro tutelato dall’ articolo 4, comma 1 della Costituzione.

I limiti apponibili al diritto di sciopero nel suo bilanciamento con la libertà di impresa e con i diritti di rilevanza costituzionale degli utenti dei servizi pubblici secondo l’ elaborazione giurisprudenziale italiana (a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 711 del 1980) e secondo il legislatore ordinario (intervenuto con la legge n. 146 del 1990) riguardano non i profili funzionali dello sciopero, ma solo quelli strutturali. Tali limiti incidono sulle forme di esercizio dell’ azione di sciopero, senza aprire spazi di sindacabilità giudiziaria circa il merito delle rivendicazioni sindacali che sottendono alla protesta.

Esaurito il confronto, nel capitolo IV della parte seconda è esaminata l’ incidenza dell’ indirizzo giurisprudenziale affermato dalla Corte di Giustizia nelle sentenze Viking e Laval nell’ ordinamento italiano. Stante l’ interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’ articolo 153, paragrafo 5 del TFUE come norma che non esclude una competenza europea in materia di bilanciamento tra diritto di sciopero e libertà economiche e stante l’ affermazione dell’ efficacia diretta orizzontale degli articoli 49 e 56 del TFUE, dal principio del primato del diritto europeo sul diritto interno degli Stati membri deriva il vincolo per il giudice italiano, eventualmente chiamato a decidere una controversia corrispondente a quella del caso Viking o Laval, a prendere una decisione rispettosa dei principi elaborati in

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4 queste due sentenze. Poiché l’ applicazione in Italia di tale giurisprudenza entrerebbe in forte contrasto con i diritti fondamentali della Costituzione italiana sul conflitto sociale, una soluzione possibile (ma improbabile) per difendere la tradizione italiana in materia di rapporti collettivi è rappresentata dalla “dottrina dei controlimiti”. I “controlimiti” da opporre al primato del diritto europeo sarebbero gli articoli 39 e 40 della Costituzione: il diritto di sciopero, la libertà di organizzazione sindacale e la libertà di contrattazione collettiva.

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PARTE PRIMA

SCIOPERO E LIBERTA’ ECONOMICHE NELL’

ORDINAMENTO EUROPEO.

CAPITOLO PRIMO

I PRINCIPI ISPIRATORI E L’ EVOLUZIONE STORICA DELLE POLITICHE SOCIALI EUROPEE.

Sommario : 1. La filosofia originaria dei Trattati di Parigi e di Roma. - 2. La

“rottura” dell’ equilibrio. - 3. Alla ricerca di un nuovo equilibrio tra diritti sociali e libertà di mercato: le Carte dei diritti.

1. La filosofia originaria dei Trattati di Parigi e di Roma.

L’ originaria generale assenza nei Trattati istitutivi di riferimenti alla protezione dei diritti fondamentali e di una significativa attribuzione di competenze sociali alla Comunità, nonché la subordinazione delle preoccupazioni sociali all’

obiettivo, prioritario, della costruzione di un mercato comune europeo fondato sulla libera concorrenza, sono state descritte con la metafora della “ frigidità sociale dei - suoi - padri fondatori“1; tuttavia tale immagine, da sola, non è sufficiente a rendere merito alla complessità dell’ equilibrio congegnato dai Trattati istitutivi. In questo equilibrio “costituzione economica” e “ costituzione sociale” appartenevano a due categorie distinte, rientrando la prima, considerata

“impolitica” in quanto “non soggetta a interventi di natura politica”, nel dominio

1 G.F. MANCINI, Principi fondamentali di diritto del lavoro nell’ ordinamento delle Comunità Europee, in AA.VV., Il lavoro nel diritto comunitario e l’ ordinamento italiano, Padova, Cedam, 1988, p. 26.

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6 dell’ ordinamento comunitario mentre la seconda restava nel “dominio della discrezionalità politica dei legislatori nazionali”2.

Il fine perseguito dal nuovo ordine giuridico era innanzitutto di carattere economico: la costruzione di un mercato comune europeo fondato sulla concorrenza e caratterizzato, all’ interno, dalla liberalizzazione degli scambi tra gli Stati membri e, verso l’ esterno, dalla istituzione di una tariffa doganale comune. Invece “il radicamento sociale del mercato poteva, e doveva, essere realizzato dagli Stati membri in forme differenziate”3, seguendo i propri processi politici democratici. Non si avvertiva ancora l’assenza di un deficit sociale europeo: vi era solo una chiara divisione del lavoro fra Comunità e Stati, definita efficacemente dall’ espressione “Keynes at home, Smith abroad”4. Le competenze comunitarie in materia sociale erano pressoché nulle, e tra queste, chiaramente, non vi era la competenza in tema di europeizzazione dei rapporti collettivi.

Le motivazioni della scelta di questo sistema erano molteplici, ma certo erano preminenti quelle legate alla contingenza storica e quelle connesse e conseguenti alla adesione alla teoria economica liberista.

La motivazione di ordine storico si può individuare nell’ esigenza degli Stati membri di sviluppare le politiche sociali in ambito nazionale per rafforzare la ricostruzione della propria identità e sovranità democratica. I Paesi fondatori della Comunità economica europea, infatti, dopo la devastazione delle due guerre mondiali, stavano ricostruendo la loro legittimità democratica e il rapporto di cittadinanza proprio con la costituzionalizzazione dei principi della cittadinanza sociale5.

Di stampo liberista era l’ idea secondo la quale la mano invisibile del mercato comune avrebbe spontaneamente promosso “il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’ opera” e “la parificazione nel progresso”. Così affermava testualmente l’ articolo 117 del Trattato istitutivo della Comunità

2 2. C. JOERGES, What is left of the European economic constitution? A melancholic eulogy, in European Law Review, 2004, p. 461 ss., qui p. 471

3 C. JOERGES, ult. op. cit., p. 471

4 Espressione coniata da R. GIPLIN, IN The political Economy of international relations, Princeton, Princeton University press, 1987.

5 S. GIUBBONI, I diritti sociali fondamentali nell’ ordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza , in Dir. dell’ U.E., 2003, 2-3, p. 326 ss., qui p. 328 e 329.

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7 economica europea, che poi proseguiva : “gli Stati membri ritengono che una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato comune, che favorirà l’

armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dal presente Trattato e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative”6.

Poiché si credeva che l’ integrazione economica avrebbe portato con sé l’

integrazione sociale, le limitate disposizioni in campo sociale del Trattato di Roma erano al momento funzionali all’ instaurazione del mercato comune fondato sulla libera concorrenza.

Esse si raccoglievano intorno a due filoni: le politiche di sostegno dell’ impiego e l’ armonizzazione delle normative sociali dei Paesi membri.

Tra le prime rientravano gli articoli 48 e seguenti sulla migliore utilizzazione delle capacità professionali e sulla libera circolazione dei lavoratori, nella seconda rientrava l’ articolo 119 sulla “parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile” per uno stesso lavoro. Il Trattato di Roma, a suo modo, aveva accolto una “ relazione di sostanziale non interferenza tra diritto comunitario della concorrenza e discipline nazionali di tutela del lavoro e di protezione sociale”7.

L’ armonizzazione preventiva era ritenuta necessaria solo in casi eccezionali : quando i differenziali tra i vari sistemi di tutela del lavoro erano percepiti come distorsivi del gioco concorrenziale tra le imprese degli Stati membri. Solo allora il diritto comunitario del lavoro sarebbe dovuto intervenire a ristabilire condizioni di concorrenza leale attraverso una parificazione verso l’ alto, proteggendo così l’

autonomia dei Diritti del lavoro degli stati membri da forme sleali di concorrenza basate sul dumping sociale8.

6 Trattato che istituisce la Comunità economica europea – Trattato di Roma, 25 marzo 1957, da ora in poi solo Trattato di Roma. È disponibile su www.eur-lex.europa.eu . Cito gli articoli secondo la loro numerazione originaria.

7 S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’ integrazione europea, Bologna, il Mulino, 2003, p.169.

8 S. GIUBBONI, ultima op. citata, p.175.

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8 2. La “rottura” dell’ equilibrio.

Nel corso degli anni Settanta il sistema delineato nei trattati di Roma e di Parigi manifestò segnali di forte debolezza. Prima la crisi economica del 1973 prodotta dallo scoppio di un nuovo conflitto arabo-israeliano scosse definitivamente le certezze della capacità dei meccanismi economici di produrre autonomamente il progresso sociale e della semplice necessità di un intervento armonizzatore come risposta a specifici episodi di distorsione della concorrenza. Successivamente l’

offensiva politico-culturale del neoliberismo, avviata con l’ elezione a primo ministro nel 1979 di Margaret Thatcher, leader del partito conservatore inglese, determinò una situazione di impasse che rivelò l’ inefficienza del processo politico-decisionale imperniato sulla regola dell’ unanimità degli Stati membri prevista nel Trattato, al suo articolo 308 .

Per quanto riguarda il primo fattore di debolezza, svelata l’ illusorietà dell’ idea della spontanea e progressiva armonizzazione verso l’ alto dei sistemi sociali nazionali, nel 1974 il Consiglio approvò il primo Programma d’ azione in materia sociale. Il Programma tenne “ a battesimo la politica sociale europea” 9 e fece da trampolino di lancio per le prime direttive sulla crisi d’ impresa della seconda metà degli anni Settanta che ampliarono notevolmente il raggio d’ azione delle politiche sociali europee. Con tali direttive si mirava a “preservare la tenuta dei sistemi nazionali di diritto del lavoro dalle pressioni della crisi economica e, in particolare, dai rischi di dumping sociale che questa può ingenerare”10. Esse furono approvate sulla base dell’ art 100 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea che ancora prevedeva esclusivamente la regola del voto all’

unanimità.

Tuttavia il voto all’ unanimità, il secondo dei due fattori di debolezza sopra indicati, si rivelò essere una “trappola” quando, dal 1979 alcuni governi nazionali, in prima fila quello britannico, iniziarono a porre il veto su ogni

9 F. CARINCI, Piano, piano dolce Carlotta : cronaca di un Europa in cammino, in Arg. dir. lav, 2010, p. 52.

10 S. GIUBBONI, Governare le differenze: modelli sociali nazionali e mercato unico europeo, in C.

Pinelli, T. Treu (a cura di), La costituzione economica : Italia, Europa, Bologna, il Mulino 2010, p.99.

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9 regolamentazione sociale a livello europeo, bloccando per vari anni ogni iniziativa in tal senso delle autorità comunitarie.

Il vuoto di iniziativa fu in parte colmato dagli interventi della giurisprudenza della Corte di Giustizia grazie alla quale, già dalla fine degli anni Sessanta, si era progressivamente affermato un “sistema pretorio di protezione comunitaria dei diritti fondamentali”11 che, però, non ha mai tutelato i diritti sociali ad esercizio collettivo con la stessa enfasi con cui ha tutelato invece i diritti individuali, ma anzi ne ha aggravato il deficit di tutela.

A partire dalla fine degli anni Settanta è stato concettualizzato il deficit sociale europeo, la cui origine è stata individuata da parte della dottrina nella “rottura” di quell’ “equilibrio costituzionale delle origini” prima descritto, “in conseguenza dello spill over delle dinamiche di integrazione negativa”12. La separazione della sfera dell’ economico dalla sfera del sociale non ha retto alla espansione e alla profondità raggiunta dalla integrazione per mercati, che ha determinato l’

“infiltrazione”13, nel senso di intrusione deregolativa, dei principi posti dalla disciplina comunitaria della concorrenza e del mercato comune nel corpo dei diritti del lavoro nazionali. “Infiltrazione” che si è spinta fino al punto di imporre profondi limiti non solo ai legislatori nazionali, ma anche, negli ultimi anni, all’

autonomia delle parti sociali per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha esposto i diritti sociali riconosciuti dagli ordinamenti degli Stati membri alle pressioni della liberalizzazione economica transnazionale14.

11 S.GIUBBONI, I diritti sociali fondamentali nell’ ordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza , in Dir. dell’ U.E., 2003, 2-3, p. 330.

12 S. GIUBBONI, I diritti sociali tra Costituzione italiana e ordinamento del’ Unione europea, in Riv. critica dir. lav., 2008, n. 2, p. 1141, che, per questa ricostruzione, scrive di fare riferimento a:

F. W. SCHARPF, Governing in Europe: effective and democratic ?, Oxford, 1999 ; M. FERRERA, The boundaries of welfare. European integration and the new spatial politics of social protection, Oxford, 2005.

13 S. GIUBBONI, ult. op. cit., p. 1125, che a sua volta per questa espressione cita: G. LYON-CAEN, L’ infiltration du Droit du travail par le Droit de la concurrence, in Droitouvrier, 1992, p. 313.

14 S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’ integrazione europea, Bologna, il Mulino, 2003, p. 129, che a proposito cita S. SCIARRA, Verso una costituzionalizzazione dei diritti sociali fondamentali dell’ Unione europea, EUI working papers, Law, n. 96/1 e Market freedom and fundamental social rights, EUI working papers, Law, n. 02/3.

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10 3. Alla ricerca di un nuovo equilibrio tra diritti sociali e libertà di

mercato: le Carte dei diritti.

Alla fine degli anni Ottanta hanno preso “ il via politiche europee più socialmente autonome”15. Appare evidente, anche secondo la ricostruzione esposta del paragrafo precedente, che gli sforzi per la costruzione di una dimensione europea delle politiche sociali rappresentano il tentativo di compensare per via di integrazione “positiva” l’originaria integrazione “negativa” che abolendo gli ostacoli diretti o indiretti agli scambi aveva prodotto una straordinaria espansione del processo di integrazione economica, si mirava ora a colmare la lacuna di tutela che quest’ ultima aveva prodotto con la riduzione delle possibilità di protezione dei diritti sociali a livello nazionale.

La prima tappa di questo percorso di costruzione di un’ Europa sociale è costituita dall’ Atto Unico europeo entrato in vigore il 1° luglio del 1987 che, nelle sue disposizioni, introdusse il principio della maggioranza qualificata in seno al Consiglio per l’ adozione delle direttive in materia di sicurezza e salute dei lavoratori; propose il dialogo sociale (con un indicazione generica che però aprì alle convenzioni collettive a livello europeo) e impegnò la Comunità a promuovere la “coesione economica e sociale” fra Stati membri per “ridurre il divario fra le diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite”. Così recitava testualmente il nuovo articolo 130 del Trattato di Roma: si era abbandonata la prospettiva dell’ armonizzazione verso l’ alto.

All’ Atto Unico europeo seguì l’ elaborazione della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori. Essa fu adottata come “solenne dichiarazione di principi” da undici Stati membri, con l’ esclusione del Regno Unito, nel Consiglio europeo di Strasburgo, il 9 dicembre 1989.

L’ obiettivo era quello di fissare degli standard minimi di tutela per impedire che la concorrenza verso il basso nelle condizioni di lavoro, il così detto dumping sociale, facesse scendere queste ultime sotto la soglia minima di tutela ritenuta essenziale dai paesi membri.

15 B. CARUSO, I diritti sociali fondamentali nell’ ordinamento costituzionale europeo, in G. Ajani - A. Benacchio (diretto da), Trattato di diritto privato dell’ Unione Europea, in particolare S.

Sciarra – B. Caruso (a cura di), Volume 5, Il lavoro subordinato, Giappichelli, Torino, 2009., p.

719.

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11 La Carta del 1989 non ha valore normativo: è uno strumento politico, contenente degli “obblighi morali”, fonte d’ ispirazione della legislazione derivata degli anni successivi16; essa non rappresentò neppure una novità dal punto di vista dei contenuti, identificandosi questi ultimi nel “minimo comune denominatore”17 dei diritti allora già riconosciuti nei diversi sistemi nazionali, inoltre i diritti sociali da essa previsti non erano differenti da quelli già tutelati in altri documenti internazionali, come la Carta Sociale Europea, adottata dal Consiglio d’ Europa nel 1961 per supportare la Convenzione Europea sui Diritti Umani (che riconosce solo i diritti civili e politici).

Tuttavia questo documento ebbe un valore simbolico importante essendo la prima Carta dei diritti elaborata in seno all’ allora Comunità economica europea, con specifico riferimento ai diritti sociali dei lavoratori. La Carta Sociale Europea e la Convenzione Europea sui Diritti umani erano chiaramente collocate al di fuori dell’ ambito giuridico istituzionale della Comunità.

La Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentalidei lavoratori si occupò anche dei diritti sindacali: in essa furono inserite le previsioni della libertà sindacale e del diritto di sciopero. L’ articolo 11 riconobbe il diritto dei lavoratori di associarsi liberamente allo scopo di costituire organizzazioni sindacali, “per la difesa dei loro interessi economici e sociali”; mentre l’ articolo 13 riconobbe in capo “ai datori di lavoro o le organizzazioni dei datori di lavoro” e “le organizzazioni dei lavoratori”, e “in caso di conflitti di interesse”, il diritto di ricorrere ad azioni collettive, compreso lo sciopero, “fatti salvi gli obblighi risultanti dalle regolamentazioni nazionali e dai contratti collettivi“.

Nel febbraio del 1992 i 12 Paesi membri della Comunità europea sottoscrissero un nuovo Trattato, il “Trattato di Maastricht”, modificativo di quelli sino ad allora vigenti, con cui si creò una Unione europea avente finalità politiche generali ed una Unione monetaria dai programmi attuativi precisi.

La materia sociale fu trattata nell’ Accordo sulla politica sociale, che, a causa del l’ opposizione della Regno Unito, fu relegato ad allegato del Protocollo separato sulla politica sociale. Esso impegnava undici Stati membri, escluso appunto il

16 B. VENEZIANI, Nel nome di Erasmo da Rotterdam. La faticosa marcia dei diritti sociali fondamentali nell’ ordinamento comunitario, in Riv. giur. Lav., 2000, I, p. 793.

17 M. ROCCELLA – T. TREU, Diritto del lavoro dell’ Unione Europea, Cedam, Padova, 2012, p. 16.

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12 Regno Unito, ad estendere le competenze comunitarie al settore sociale. Il Protocollo sulla politica sociale introdusse due innovazioni rilevanti per le tematiche qui trattate. In primo luogo, riformulando l’ art 117 del Trattato istitutivo della Comunità europea, allargò le competenze comunitarie in materia sociale, prevedendo che le misure da attuarsi in vista degli obiettivi sociali dovessero tenere conto “della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali”, oltre che “della necessità di mantenere la competitività dell'economia della Comunità”18. In secondo luogo estese in modo significativo le materie per le quali le decisioni in seno al Consiglio potevano essere prese a maggioranza qualificata.

Con il Trattato di Maastricht e poi con quello di Amsterdam si è realizzato un ampliamento rilevante delle competenze comunitarie in materia di diritto del lavoro. Tale ampliamento si estendeva fino al punto di fare assumere a queste ultime un carattere tendenzialmente generale, fatta esclusione per la retribuzione e, nell’ambito dei diritti sindacali a causa delle radici fortemente nazionali dell’

area dei rapporto collettivi, per il “diritto di associazione, diritto di sciopero e diritto di serrata”19.

L’ Accordo sulla politica sociale, dunque, rafforzò positivamente le basi giuridiche dell’ azione comunitaria in materia sociale, tuttavia, sanzionando nuovamente la legittimità dell’ autoesclusione opportunistica del Regno Unito dai vincoli dell’ area della politica sociale, riconfermò l’ idea di una debole Europa sociale à la carte, il cui rovescio della medaglia era proprio il dumping sociale20. L’ insidioso opting out della Regno Unito al capitolo sociale venne superato solo con la stipulazione del Trattato di Amsterdam, nell’ ottobre del 1997, in occasione della quale, a seguito del ritorno di un governo labour, questo Stato membro dette finalmente il via libera all’ incorporazione del Protocollo sociale di Maastricht nel Trattato istitutivo della Comunità europea.

18 Art. 1 del Protocollo sulla politica sociale, poi trasfuso nell’ art. 136, par. 6 TCE, ora art. 151, par. 2 TFUE

19 Art. 2, par. 6 del Protocollo sulla politica sociale, poi trasfuso nell’ art. 137 TCE, ora art. 153, par. 5 TFUE

20 S. GIUBBONI, I diritti sociali fondamentali nell’ ordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza , in Dir. dell’ U.E., 2003, 2-3, p. 335 e 336.

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13 Con il Trattato di Amsterdam, inoltre, venne inserito nel Trattato un espresso richiamo ai diritti sociali fondamentali prevedendo, nell’ articolo 136, che la Comunità e gli Stati membri, nel perseguimento dei loro obiettivi sociali, dovessero “tener presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea” e “nella Carta Comunitaria dei diritti sociali dei lavoratori”. Pur sottolineando l’ importanza della innovazione costituita dalla proclamazione, nel testo dei trattati, del carattere fondamentale dei diritti sociali, la dottrina italiana osservò che la formula “tenere presenti” era troppo generica per poterne dedurre l’ incorporazione nel Trattato delle carte sociali. I diritti sociali erano richiamati come oggetto di norme programmatiche quindi facevano ingresso nell’ ordinamento giuridico comunitario non come diritti soggettivi giustiziabili, ma solo come “interessi sociali oggettivi”21. Si era inoltre notato che, così posti, risultava evidente “l’ asimmetria rispetto alle libertà economiche fondamentali direttamente garantite ai singoli dal TCE”22 e a cui, da tempo, la giurisprudenza della Corte di Giustizia attribuiva lo status di diritti fondamentali.

Alla fine degli anni Novanta la prospettiva dell’ imminente allargamento dell’

Unione europea a numerosi paesi dell’ Est23 ha contribuito a rendere “il passo [europeo] più rapido con rispetto alla dimensione sociale”24.

L’ accelerazione del processo di integrazione sociale veniva promossa dai paesi più sviluppati della “vecchia Europa” che sollecitavano una consacrazione dei diritti sociali. Tali paesi erano infatti giustamente preoccupati per la incombente esposizione delle proprie imprese alla pressione competitiva proveniente da economie caratterizzate da costi e condizioni di lavoro inferiori a quelli ormai istituzionalizzati nei paesi dell’Unione, considerando anche che era proprio l’

aspettativa di poter sfruttare il cd. dumping sociale a costituire uno dei maggior

21 M. V. BALLESTRERO, Europa dei mercati e promozione dei diritti, WP C.S.D.L.E. “M. D’

Antona” p. 7 e Brevi osservazioni su costituzione europea e diritto del lavoro italiano, in Lav. e Dir., 2000, IV, p. 561; il riferimento tra virgolette è di S. GIUBBONI,I diritti sociali fondamentali.., ult. op. cit., p. 338; B. VENEZIANI, ult. op. cit., p. 814 e L’ allargamento della UE e la Costituzione Europea, in Studi in onore di Giorgio Ghezzi, II, Padova, Cedam, 2005, p. 1743.

22 S. GIUBBONI, ult. op. cit. , p. 338.

23 Il 1° maggio 2004 avrebbero fatto ingresso nell’ UE ben 10 nuovi Stati membri, di cui 8 situati nella parte centro orientale del continente: l’ Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Slovenia e l’ Ungheria. Il 1° gennaio 2007 fecero ingresso la Romania e la Bulgaria e il 1° luglio 2013 è entrata la Croazia.

24 F. CARINCI, ult. op. cit., p. 71

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14 motivi che rendeva appetibile per i Paesi dell’ Est Europa l’ ingresso nel mercato unico, malgrado i pesanti sacrifici economici che venivano imposti loro come condizione per l’accesso25.

Così nel Consiglio europeo di Colonia, nel giugno 1999, fu prevista la costituzione di una “Convenzione”, organo composto da 62 membri delegati di capi di Stato e di governo, che avrebbe dovuto predisporre la bozza per una Carta dei “diritti fondamentali vigenti a livello dell’ Unione”, con il mandato di

“ricognizione” dei diritti vigenti a livello dell’ Unione al fine di renderli manifesti.

Per quanto riguarda i contenuti non si dovette “reinventare la ruota”: fu sufficiente riassumere l’ esistente26. Tuttavia, in questa opera ricognitiva, la Convenzione ha avuto il merito di andare oltre il minimo comune denominatore degli ordinamenti nazionali: nel 2000, nella Carta di Nizza sono stati enunciati non solo i diritti sociali fondamentali a fruizione individuale, ma anche i diritti collettivi, quali sono il diritto di associazione, il diritto di contrattazione e di azione collettiva, compreso quello di sciopero, diritti che non sono ancora riconosciuti in tutti i paesi europei27.

La Carta, all’ articolo 12, contempla la libertà sindacale, riconoscendola però come semplice libertà di associazione: la norma tutela genericamente la libertà di associazione, il riferimento al fine sindacale ha una funzione soltanto esemplificativa28. Nell’ articolo 28 è riconosciuto il diritto di negoziazione e di azioni collettive compreso, con molte cautele e limiti concettuali che ne condizionano l’ esercizio, il diritto di sciopero.

25U. CARABELLI, Tutele del lavoro, diritto di sciopero e libertà di contrattazione collettiva tra identità nazionale e integrazione comunitaria, in www.europeanrights.eu, p. 38 ; G. ORLANDINI, Autonomia collettiva e libertà economiche nell’ ordinamento Europeo, in Dir. lav. e. rel. ind., 2008, p. 236; A. LO FARO, Diritti sociali e libertà economiche nel mercato interno:

considerazioni minime in margine ai casi Laval e Viking, in Lav. e dir., 2008, 1, p.66.

26 Infatti il preambolo della Carta di Nizza afferma testualmente che i diritti riconosciuti dalla medesima Carta derivano “ dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall’ Unione e dal Consiglio d’ Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’ Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell’ uomo”.

27 Ad esempio, in Gran Bretagna lo sciopero non ha mai superato lo statuto giuridico tipico delle immunità.

28 G. GIUGNI, Diritto sindacale, Cacucci, Bari, 2007, p.26.

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15 Una volta che la Convenzione ebbe licenziato la bozza della Carta, essa fu solennemente proclamata, con il nome di Carta dei diritti fondamentali dell’

Unione europea, durante il vertice di Nizza del dicembre 2000 dal Consiglio, dalla Commissione e dal Parlamento, senza però essere menzionata nel contemporaneo Trattato di Nizza per l’ opposizione di una robusta minoranza di Stati membri, capeggiati dal Regno Unito.

La così detta Carta di Nizza era nata come documento politico collocato fuori del corpo dei trattati; benché formalmente priva di qualsiasi efficacia giuridica tuttavia ha svolto immediatamente, a dispetto del suo status formale, un effetto normativo come “forma di soft law comunitaria dotata di per sé di una speciale forza di persuasione”29. Infatti, nella sua valenza ricognitiva delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e grazie all’ articolo 6 del Trattato sull’

Unione europea30, essa si è offerta fin da subito alla interpretazione della Corte di Giustizia che ha iniziato a tener conto nelle sue decisioni dei diritti da essa sanciti31.

La Carta di Nizza è stata poi incorporata nel Trattato che adotta una Costituzione per l’ Europa, firmato a Roma nell’ ottobre del 2004.

Nonostante la ratifica della maggior parte dei paesi membri, questo Trattato non è potuto entrare in vigore stante la bocciatura referendaria della Francia e dell’

Olanda.

Dopo una “ pausa di riflessione” piuttosto lunga, si è deciso di andare avanti sacrificando la forma, ma salvando la maggior parte della sostanza del Trattato costituzionale. Il “ maquillage formale”32 è consistito nell’ abbandono della simbologia e della terminologia costituzionale e nell’ opzione per un Trattato non sostitutivo bensì modificativo dei due precedenti33. Di questa operazione se ne è fatta carico una seconda Convenzione che ha elaborato il c.d. “Trattato di

29 S. GIUBBONI, ult. op. cit., p. 347.

30 Allora, prima del Trattato di Lisbona, il 2° par. dell’ art 6 del TUE stabiliva il rispetto da parte dell’ Unione dei “diritti fondamentali quali“ tra l’ altro “risultano dalle tradizioni costituzionali

comuni degli Stati membri in quanto principi generali del diritto comunitario”.

31 Ancora S. GIUBBONI, ult. op. cit., p. 346 e 347.

32 F. CARINCI, ult. op. cit., p. 75.

33 Il TUE venne ristrutturato e il TCE, ribattezzato Trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea, riorganizzato e rinumerato.

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16 riforma” o Trattato di Lisbona, firmato a Lisbona nel dicembre del 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009.

Le principali innovazioni del Trattato di Lisbona in materia di diritti fondamentali e sociali sono tre. La novità di maggiore rilievo consiste nell’ adozione della Carta di Nizza attraverso la riformulazione del’ art 6, paragrafo 1, del Trattato istitutivo dell’ Unione Europea che adesso riconosce ai diritti stabiliti nella Carta lo “ stesso valore [ giuridico ] dei trattati”. In secondo luogo, nel paragrafo 2 del medesimo articolo, si è prevista l’ adesione dell’ Unione europea alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali. Infine, nell’ articolo 3 paragrafo 3 del Trattato istitutivo dell’

Unione europea, sono stati ridefiniti gli obiettivi dell’ Unione con l’ inserimento della formula “ economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale”. Tale riferimento ha sostituito la tradizionale formula dell’ “economia di mercato aperta e in libera concorrenza”

che continua a comparire nel Trattato sul funzionamento dell’ Unione europea34.

34 Nell’ art. 119 del TFUE.

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17

CAPITOLO SECONDO

IL DIRITTO DI SCIOPERO NELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’ UNIONE EUROPEA.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La tecnica redazionale: l’equiparazione tra libertà sindacali e libertà economiche. - 3. Analisi dell’articolo 28, la nozione di sciopero adottata. - 3.1. La titolarità del diritto all’ azione collettiva. - a. L’

apertura ad una esclusiva titolarità sindacale. - b. L’ equiparazione tra sciopero e serrata. - 3.2. Le finalità. - 4. Le limitazioni allo sciopero ammesse dalla Carta di Nizza. - 4.1. L’ esercizio conforme al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. - 4.2.Le limitazioni rispondenti a “finalità d’

interesse generale riconosciute dall’ Unione o all’ esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”.

1. Introduzione.

La Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea, così detta Carta di Nizza, è stata definita “ il punto di riferimento per la riflessione sui diritti sociali nello spazio giuridico europeo, sia in dottrina che in giurisprudenza”35. Essa ha il primato sulle altre carte dei diritti europee, che le sono poste in posizione sussidiaria potendo servire come strumento interpretativo per colmare le eventuali lacune o incertezze in essa presenti36. Tale Carta contiene il riconoscimento più qualificato e definitivo dei diritti sociali.

35 B. CARUSO, I diritti sociali fondamentali nell’ ordinamento costituzionale europeo, in G. Ajani - A. Benacchio (diretto da), Trattato di diritto privato dell’ Unione Europea, in particolare S.

Sciarra – B. Caruso (a cura di), Volume 5, Il lavoro subordinato, Giappichelli, Torino, 2009, p.721.

36B. CARUSO, ult. op. cit., p. 722.

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2.La tecnica redazionale: l’ equiparazione tra libertà sindacali e libertà economiche.

Nella Carta di Nizza è adottata una sistematica costruita intorno a sei “valori”

(dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia) che funzionano da meta-criteri ordinatori dei diritti: questi ultimi sono raggruppati in capi retti ciascuno da un valore cui è intitolato il capo.

La redazione per valori ha importanti effetti interpretativi, oltre che estetici, potendo essa “ incidere sulle tecniche di bilanciamento, di interpretazione e di limitazione dei diritti fondamentali”37. La più importante conseguenza interpretativa è data dall’ allineamento di tutti i diritti sul medesimo piano, ciò comporta il superamento della storica distinzione tra diritti civili, politici e sociali, distinzione che era alla base della attribuzione di una priorità assiologica ai diritti civili e politici e del disconoscimento della precettività dei diritti sociali38.

Inoltre, nel Preambolo si afferma che “ l’ Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, - oltre che – di uguaglianza e di solidarietà” e alla dignità umana è dedicato anche l’ articolo 1 della Carta: per questo con riferimento alla dignità della persona si è parlato di “meta diritto unificante”39 attorno al quale sono equi-ordinati tutti i diritti40. Oltre a far cadere le barriere tra le categorie dei diritti, la Carta di Nizza ne afferma l’ indivisibilità, l’

interdipendenza e la complementarietà41. L’ indivisibilità tra i diritti civili, politici e sociali è confermata dalla sistemazione trasversale dei diritti sociali. Essi sono per lo più collocati nel capo IV dedicato alla “Solidarietà”, ma trovano riconoscimenti anche nel capo II , “Libertà”, dove, nell’ articolo 12, è sancita la libertà di associazione sindacale, e nel capo III “Uguaglianza”, nel quale si trova l’ articolo 28, sul diritto di negoziazione e di azioni collettive, compreso lo

37 M. CARTABIA, I diritti fondamentali e la cittadinanza dell’ Unione, capitolo V di Le nuove

istituzioni europee, commento al Trattato di Lisbona, a cura di F. Bassanini e G. Tiberi, p. 105 ss.

38 M.V. BALLESTRERO, Brevi osservazioni su costituzione europea e diritto del lavoro italiano, in Lav. e Dir., 2000, IV, p. 559.

39 B. CARUSO, I diritti sociali fondamentali dopo il Trattato di Lisbona ( tanto tuonò che piovve), in WP C.S.D.L.E. “Massimo d’ Antona” INT 81-2010, p. 16.

40 S. GIUBBONI , Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’ integrazione europea, il

Mulino, 2003, p. 137.

41 S. RODOTA’,La Carta come atto politico e documento giuridico, in A. Manzella - P. Melograni – E. Paciotti – S. Rodotà (a cura di), Riscrivere i diritti in Europa. Introduzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 73.

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19 sciopero. Anche il principio di indivisibilità dei diritti ne impedisce ogni gerarchizzazione.

La Carta promuove i diritti sociali fondamentali a diritti di pari rango a quello dei diritti civili e politici: questo è il principale apporto di novità sostanziale di essa, sottolineato generalmente dalla dottrina che l’ ha commentata42. Da ciò consegue che, poiché le libertà sindacali (tra cui il diritto di sciopero) sono diritti sociali43 e le libertà economiche sono diritti civili, nella Carta vi è una “sostanziale equiparazione tra libertà sindacali e libertà economiche”44.

La equiparazione tra diritti sociali e libertà economiche è stata criticata da chi ha accusato la Carta di Nizza di aver consentito quel “ bilanciamento sbilanciato”45 in senso sfavorevole al diritto di sciopero operato della recente giurisprudenza della Corte di Giustizia46. L’ ingresso del diritto di sciopero insieme agli altri diritti sociali nel diritto comunitario, nonché la loro collocazione sullo stesso piano delle libertà economiche hanno, sì, portato il beneficio di determinare una modificazione degli equilibri interni al diritto europeo, sottoponendo le libertà economiche ad un bilanciamento con i diritti sociali; ma, allo stesso tempo, hanno anche esposto i diritti sociali al bilanciamento con le libertà economiche nel contesto di “ un ordinamento normativo che non riconosce la priorità dei diritti sociali fondamentali”47. L’ equiparazione tra diritti sociali e libertà economiche

42 E. PACIOTTI, La Carta: i contenuti e gli autori, in A. Manzella - P. Melograni – E. Paciotti – S.

Rodotà (a cura di).., ultima op. citata, p. 18 ; M. ROCCELLA, La Carta dei diritti fondamentali : un passo avanti verso l’ unione politica, in Lav. e dir., 2001, II, p. 329 e ss. ; R. DEL PUNTA, I diritti sociali come diritti fondamentali : riflessioni sulla Carta di Nizza, in Dir. rel. ind., 2001, 3, p. 335 e ss. ; S. GIUBBONI, I diritti sociali fondamentali nell’ ordinamento comunitario. Una

rilettura alla luce della Carta di Nizza , in Dir. dell’ U.E., 2003, 2-3, p. 559.

43 A. BALDASSARRE, Diritti della persona e valori costituzionali, Giappichelli, Torino, 1997, p.

212 ss., libertà sindacale e diritto di sciopero sono qualificati come diritti sociali di libertà.

44 G. ORLANDINI, Il diritto di sciopero nella carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea, in Giorn. dir. lav. e reazioni. ind., 2001, I, p. 658.

45 M.V. BALLESTRERO, Europa dei mercati e promozione dei diritti, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’

Antona “ INT-55/2007, p. 17. e ss.

46 Corte di Giustizia, 18 dicembre 2007, causa C‑438/05, International Transport Workers’

Federation e Finnish Seamen’s Union contro Viking Line ABP e OÜ Viking Line Eesti , e Corte di Giustizia, 18 dicembre 2007, causa C‑341/05, Laval un Partneri Ltd contro Svenska Byggnadsarbetareförbundet, Svenska Byggnadsarbetareförbundets avdelning 1, Byggettan e Svenska Elektrikerförbundet.

47M.V. BALLESTRERO, ultima op. citata, p.18.

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20 si è dimostrata non sufficiente : nel sistema normativo europeo le libertà economiche erano e rimangono prioritarie e la Carta di Nizza non ha modificato questo ordine di priorità.

3. Analisi dell’ articolo 28, la nozione di sciopero adottata.

Nel panorama europeo vi sono paesi che qualificano lo sciopero come diritto ed altri come mera libertà48. Perciò la dottrina italiana49 non ha mancato di attribuire all’ articolo 28 della Carta di Nizza l’ incontestabile merito di avere scelto il modello dello sciopero-diritto, anziché il modello dello sciopero-libertà, riconoscendo il diritto di sciopero come diritto fondamentale50.

Tuttavia, poiché “pochi diritti dipendono così radicalmente dalle proprie condizioni d’ uso”51 come quello al conflitto, si è anche osservato che: “il riconoscimento di tale diritto poco dice sugli spazi d’ azione in concreto riconosciuti ai lavoratori organizzati”, ben potendo esso “ essere reso vano da una nozione che ne condiziona l’ esercizio con stringenti limiti concettuali, e ne subordina la legittimità ai più vari interessi cui può essere contrapposto”52. L’ approfondimento del disposto della Carta, in particolare della nozione di sciopero adottata e delle limitazioni ad esso ammesse, smaschera molte ambiguità che conducono a ritenere l’ incapacità di quanto ivi previsto di fornire risposte soddisfacenti al contrasto tra azioni sindacali e libertà economiche fondamentali.

48 B. Nell’ Unione Europea a 28 non riconoscono in maniera esplicita il diritto costituzionale di sciopero i seguenti Paesi: Austria, Belgio, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Irlanda e Regno Unito.

49 B. VENEZIANI, La Costituzione europea, il diritto del lavoro e le icone della solidarietà, in Costituzione Europea: quale futuro ?, AA.VV., Ediesse, Roma, 2006, p. 68 ; G. ORLANDINI, Il diritto di sciopero nella carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea, in Giorn. dir. lav. e reazioni. ind., 2001, I, p. 651 e 653.

50Tra l’ altro nell’ articolo 28 il riconoscimento dello sciopero come diritto non è immediato. Tale disposizione descrive una sequenza logica per la quale poste le premesse: le azioni collettive sono diritti e lo sciopero è un’ azione collettiva; allora, per proprietà transitiva, lo sciopero è un diritto.

51 R. ROMEI, Di che cosa parliamo quando parliamo di sciopero, in Lav. e Dir., 1999, 2, p. 235.

52 G. ORLANDINI, ultima op. citata, p. 653.

(21)

21

3.1. La titolarità del diritto all’ azione collettiva.

a. L’ apertura ad una esclusiva titolarità sindacale.

L’ articolo 28 riprende sotto molti profili, ma non purtroppo quello della titolarità, la lettera dell’ articolo 6 paragrafo 4 della Carta Sociale Europea e dell’ articolo

13 della Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori.

Tali precedenti Carte dei diritti o erano a proposito rimaste neutre, non specificando il soggetto titolare del diritto ( così l’ articolo 13 della Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori), o avevano indicato chiaramente una titolarità esclusivamente individuale del diritto ( così l’ articolo 6, paragrafo 4, della Carta sociale europea che parla di diritto “dei lavoratori e dei datori di

lavoro”).

Invece l’ articolo 28 riconosce la titolarità dell’ azione collettiva in capo a “i lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni” , lasciando aperta la porta sia alla titolarità individuale che a quella collettiva.

Inoltre, l’ uso della disgiuntiva “o” indica che il diritto di sciopero può essere anche di esclusiva titolarità sindacale, secondo un modello tipico dei sistemi organici, quale quello tedesco, e in totale contrasto con il modello a titolarità individuale che caratterizza diversi paesi europei, tra cui l’ Italia. Non solo si ammette la titolarità collettiva nella versione di titolarità diffusa, versione per la quale sono titolari del diritto anche coalizioni non sindacali e spontanee di lavoratori, ma addirittura nella versione di titolarità collettiva sindacale, per la quale sono titolari del diritto solo i sindacati.

Tutto ciò non è privo di effetti nel nostro ordinamento poiché “ i processi di “ ripensamento” della titolarità individuale del diritto in atto nell’ ordinamento italiano possono trovare proprio nella Carta dei diritti un autorevole avallo”53 . Parte di quella dottrina italiana che sposa la tesi della titolarità diffusa del diritto di sciopero fa infatti riferimento all’ articolo 28 della Carta di Nizza per affermare la configurabilità di un diritto fondamentale in capo ad un soggetto collettivo (l’ “organizzazione sindacale”, qui intesa come qualsiasi coalizione di

53 G. ORLANDINI, ultima op. citata, p. 655.

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22 lavoratori), confutando così la relativa obiezione mossa dai sostenitori della tesi della titolarità individuale54.

Dato il recente ricorso nei contratti collettivi italiani alle così dette clausole di pace o di tregua sindacale che considerano rilevanti anche i comportamenti dei singoli lavoratori insieme a clausole di inscindibilità55, il ripensamento della titolarità individuale del diritto di sciopero è adesso particolarmente pericoloso.

Infatti assumendo la titolarità collettiva di tale diritto diventa più difficile e incerta l’ affermazione della nullità delle clausole di tregua, con il risultato dell’

avallo di tali nuove prassi contrattuali che limitano enormemente il diritto dei singoli lavoratori di scioperare.

Le clausole di tregua sindacale che si estendono anche ai comportamenti dei singoli lavoratori sconfinano nella parte normativa del contratto collettivo56 e le clausole di inscindibilità integrano nel contratto individuale le clausole del contratto collettivo con funzione normativa. Dunque la clausola di tregua che si estende anche ai comportamenti dei singoli lavoratori è resa, per effetto della clausola di inscindibilità, impegnativa per i singoli lavoratori a cui il contrato si applica, con la conseguenza che la violazione di essa costituisce infrazione disciplinare. In altri termini, lo sciopero del singolo lavoratore, che si ponga in

54 A. ZOPPOLI, Dialogando sulla titolarità ( sindacale ) del diritto di sciopero, p.168, in A.

Loffredo (a cura di), La titolarità del diritto di sciopero : atti della giornata di studio : Siena, 11 maggio 2007 , Cacucci, Bari, 2008.

55 Tali clausole sono state inserite nel contratto collettivo per Fabbrica Italia Pomigliano stipulato il 29 Dicembre 2010 tra la Fiat s.p.a. e Fim, Uilm e UGL-metalmeccanici. In tale contratto esse

sono l’ art.8- Inscindibilità delle diposizioni contrattuali e l’ art. 11-Clausola di responsabilità.

56 Secondo la lettura di M.V. BALLESTRERO, Astuzie ed ingenuità di una clausola singolare, in Lav. e Dir., 2011, II, p. 269 e ss. . Diversamente P. CHIECO, Accordi FIAT, clausola di pace sindacale e limiti al diritto di sciopero, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’ Antona”. IT – 117/2011, e R. DE LUCA TAMAJO, Accordo di Pomigliano e criticità delle relazioni industriali, in Riv. it. dir.

lav., 2010, 1, p. 806 e ss. Questi autori ritengono che la clausola di responsabilità si risolva interamente entro la parte obbligatoria del contratto collettivo, e che quindi oggetto della clausola della clausola di inscindibilità siano comportamenti altri rispetto allo sciopero. Il primo dei due autori qualifica la clausola di responsabilità come promessa del fatto di terzo (art 1381 cod. civ.), il secondo come clausola risolutiva espressa ( art. 1456 cod. civ.). A questa seconda ricostruzione di può muovere la critica che la clausola di responsabilità in esame non può essere efficace come ipotesi di risoluzione automatica a causa della sua formulazione generica e omnicomprensiva, la clausola risolutiva espressa per essere idonea a determinare il meccanismo della risoluzione automatica deve descrivere con precisione il tipo di inadempimento che comporta lo scioglimento del contratto . Questa condizione non è soddisfatta dall’ art. 11 , 2° comma, del contratto collettivo per Fabbrica Italia, che fa riferimento a “comportamenti idonei a violare.. le clausole del presente contratto collettivo, ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’ esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’ Azienda,.. inficiando lo spirito che [ lo] anima “ lo scambio contrattuale. Lo spirito che anima lo scambio contrattuale è un’ elemento impreciso perché spirituale.

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23 contrasto con l’ impegno di pace sindacale assunto dal sindacato, può essere sanzionato in via disciplinare con misure che possono arrivare fino al licenziamento per mancanza57, a prescindere dalla affiliazione o meno dello scioperante al sindacato che ha stipulato la clausola di tregua sindacale.

Se si assume la titolarità individuale del diritto di sciopero si può affermare la nullità delle clausole di tregua sindacale italiane, ai sensi dell’ art 1418 del Codice Civile58, perché contrarie alla norma imperativa dell’ articolo 40 della Costituzione italiana, che impedisce ai sindacati in quanto non titolari del diritto di sciopero di disporne: essi non possono stipulare un patto che, data la connessione logica tra la proclamazione e l’ esercizio del diritto individuale che rende la prima nei fatti necessaria per il secondo, si traduce nell’ impossibilità effettiva dei lavoratori di esercitare il diritto loro riconosciuto dall’ articolo 40 della Costituzione59.

Se invece si assume la titolarità collettiva, affermare la nullità delle clausole di tregua sindacale, neutralizzando così le odiose prassi contrattuali prima descritte con l’ inefficacia ab origine propria della nullità, diventa più difficile. Si dovrebbe infatti affermare la violazione per omissione dell’ art 40 della Costituzione, ritenendo che questa disposizione configuri un dovere dei sindacati di proclamare lo sciopero tutte le volte in cui ciò sia necessario60.

b.L’ equiparazione tra sciopero e serrata.

Indicando come titolari del diritto al conflitto “ i lavoratori e i datori di lavoro o le rispettive organizzazioni”, l’ articolo 28 pone la serrata sullo stesso piano dello

57Ai sensi dell’ art. 8 del contr. coll. per Fabbrica Italia Pomigliano : “la violazione da parte del lavoratore di una di esse – una delle clausole del contratto collettivo integrate nei contratti individuali di lavoro - costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi.. degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti per mancanza..”.

58 Art 1418 cod. civ. “ Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative”.

59 M.V. BALLESTRERO, ultima op. citata, p. 273 e 274 ; diversamente R. DE LUCA TAMAJO, ultima op. citata, p. 807, sostiene che la clausola di tregua sindacale è legittima ai sensi dell’ art 40 della Costituzione, ma comunque priva di effetti sul diritto del singolo di scioperare che, proprio perché

a titolarità individuale, resta impregiudicato.

60 M.V. BALLESTRERO, ultima op. citata, p. 274.

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24 sciopero: anche ad essa, ricompresa come lo sciopero nella fattispecie “azioni collettive”, è riconosciuta la qualifica di diritto fondamentale.

Tale riconoscimento limita in maniera indiretta l’ esercizio del diritto di sciopero perché ha rispetto ad esso un forte effetto deterrente, autorizzando tout court le imprese a sospendere l’ attività produttiva come ritorsione all’ azione collettiva intrapresa dai lavoratori, senza alcuna valutazione circa la proficuità della prestazione rifiutata dal datore di lavoro.

Invece la giurisprudenza italiana tende a considerare legittima la così detta serrata di ritorsione solo se essa è posta in essere come risposta a forme anomale di sciopero, quando la prestazione offerta dai lavoratori è inutilizzabile in toto dall’

impresa. Ad esempio la serrata è considerata legittima nel caso in cui in uno sciopero a scacchiera l’astensione di un gruppo di lavoratori impedisce ad un altro gruppo di svolgere la propria prestazione61. Viceversa, se la prestazione rifiutata è solo meno conveniente o di più difficile utilizzazione, la serrata di ritorsione è considerata illegittima e l’ imprenditore versa in mora credendi ai sensi degli articoli 1206 e seguenti del Codice Civile62.

L’ articolo 28 della Carta di Nizza accoglie il principio del “ parallelismo tra sciopero e serrata come mezzi di lotta simmetrici“ , secondo una “concezione liberista della parità tra le parti collettive nel conflitto industriale”63.

Esso non attribuisce rilevanza giuridica al diseguale rapporto di forza esistente di fatto tra lavoratori e datori di lavoro . Questa scelta di assumere la parità di posizione di contraenti che si trovano in realtà in posizioni di forza differenti è discutibile per almeno due motivi.

In primo luogo essa si traduce inevitabilmente nella sconfitta della parte più debole.

In secondo luogo non vi è “ ragione di accogliere in una Carta che pretende di far propri i “ valori comuni” europei, un principio di “ parità delle armi” tra le parti sociali che , certo, “comune” non è , e che, anzi, si pone in chiara contraddizione con i valori fondanti di più di un sistema di relazioni sindacali ( e

61 Sentenza della Corte di Cassazione n. 2179 del 12 aprile 1979.

62 Sentenza Corte di Cassazione n. 4983, 2 novembre 1978, Lavoro e prev. oggi, 1979, 969;

sentenza Corte di Cassazione n. 150, 13 gennaio 1988, Giust. Civ. Mass., 1988, fasc. 1.

63 G. GIUGNI, Diritto sindacale, Cacucci, Bari, 2007, p. 275 e 225.

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