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2.2 Caratteristiche generali della percezione tattile

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Academic year: 2021

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2.2 Caratteristiche generali della percezione

tattile

2.2.1

I comuni sensi ed il senso comune

Esistono delle affermazioni considerate certezze incontrovertibili avvalorate dal numero e consolidate in espressioni comuni come, ad esempio: i cinque sensi. Ma ci si può facilmente convincere come in alcuni casi tali certezze siano quantomeno fuorvianti.

L’enumerazione compitata sulle dita di una mano costituisce un semplice esperimento: nominando in sequenza: vista odorato udito gusto tatto avviene di guardarsi le dita, di sentirsi snocciolare le parole, e magari incidentalmente, di cogliere qualche odore o sapore. Inoltre, senza toccare niente, si ha la consapevolezza di aver teso le dita e la si avrebbe anche al buio, senza cioè far ricorso alla vista. Non avendo fatto ricorso al tatto, si può dunque avere un'esperienza sensoria che dev’essere ricondotta ad un senso diverso dai cinque tradizionalmente elencati che, pertanto, devono essere almeno sei [33], [34], [10], [11].

Giacché il “sesto” senso non sembra aver a che fare con i primi quattro, sarà probabilmente accorpabile col tatto in modo da riportarsi a canoni rassicuranti.

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2.2.2.a

Dove si esplica comunemente il tatto

Come gli altri sensi, il tatto dispone di organi deputati, per la maggior parte localizzati nella pelle. Questa considerazione mostra una prima singolarità: il tatto è un senso “diffuso”. L’uomo sente, esperisce sensazioni tattili, almeno con tutta la superficie del corpo.

2.2.2.b

La pelle come limite e interfaccia

Come abbiamo visto, la pelle è un organo complesso, composto di diversi tessuti e sensori con molteplici funzioni e, globalmente, costituisce l'interfaccia principale tra noi e il mondo fisico [45].

Oltre ad un’evidente funzione protettiva, la pelle ingloba sensori di varia natura, i segnali dei quali, integrati a livello più o meno profondo nel nostro cervello [47], forniscono solo una pallida rappresentazione di quanto è entrato in contatto con noi.

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Figura 1

2.2.2.c

Toccare ed essere toccati

Toccando con una mano tesa un oggetto qualsiasi, senza vedere che cosa, e senza poterlo manipolare, molto difficilmente si è in grado di esprimere giudizi più articolati di: è caldo, ha degli spigoli, è soffice e così via [14].

Si obbietterà che è una situazione piuttosto insolita quella descritta. Basterebbe chiudere le dita intorno a quest’oggetto per poter dire: è un cubo di Rubik, è una mela, è un icosaedro.

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verso il sesto senso a cui si è accennato nell’introduzione.

Nel primo caso si è in una condizione di passività: un oggetto si avvicina alla pelle, provoca delle risposte di quei sensori e il soggetto non può far altro che registrare questo evento. A dispetto dell’apparente povertà dell’esperienza, già a seguito di un'interazione così semplice si può dire molto a proposito della natura del contatto: se è un oggetto inanimato, ad esempio o se si è stato il contatto con un’altra persona. Pure, accade di interpretare erroneamente un segnale tattile imputandolo a cause affatto diverse da quelle reali in base alla situazione contingente (questo per dire quanto un’esperienza sensoria possa essere facilmente viziata dalle condizioni al contorno, anche ingannevolmente indotte).

Nella modalità attiva (toccare qualcosa) il tatto esplica un'azione esplorativa. Non ci si limita a registrare un contatto bensì si tende a cercarlo ed a cercarlo in un modo preciso: è il soggetto che stringe le dita intorno all'oggetto e che le insinua in concavità, ne percorre la superficie per saggiarne la “rugosità” e la consistenza, e se l'oggetto è particolarmente grande o pesante potrebbe anche richiedere l’uso di entrambe le mani [45], [33].

Essere toccati, dunque, è una modalità tattile che fornisce meno indicazioni rispetto a toccare [10], [11].

2.2.3 La complessità della percezione

Eppure per i sensori sotto lo strato corneo della pelle cambia poco o niente: rileveranno pressioni (limitiamo a questa grandezza il campo d'indagine) distribuite con una certa legge esattamente come se invece di essere nell'atto di toccare fossero nella situazione duale d’essere toccati [37], [45]. Questa considerazione è sufficiente a dimostrare che la percezione tattile non è legata unicamente ai sensori presenti nella pelle, e siccome quei sensori non si trovano in condizioni diverse quando si tocca o quando si è toccati, si dovranno andare a cercare altri sensori da qualche altra parte che siano in grado di dare quelle informazioni aggiuntive che servono ad esplorare il mondo col tatto.

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2.2.3.a Il vissuto tattile: la propriocezione

Per toccare qualcosa, in genere bisogna allungare una mano: in quest'atto, grazie ai recettori muscolotendinei ed ai recettori disposti nelle articolazioni, si registra la posizione puntuale della mano nel percorso verso l'oggetto. Le variabili che permettono di descrivere la traiettoria sono gli angoli spazzati dalle articolazioni della spalla, del gomito, del polso, delle falangi.

I recettori muscolotendinei sono recettori specializzati situati fra un muscolo ed il suo tendine dedicato. Ne esistono di due tipi:

• il primo, denominato “del Golgi”, svolge la funzione di inibire la contrazione del muscolo quando il muscolo antagonista sta per stirarsi: in base alla misura di tensione questi recettori danno un contributo importante al controllo fine del movimento.

• Il secondo tipo è disposto parallelamente alle fibre muscolari e, quando queste si stirano, viene schiacciato e comanda un riflesso contrattivo

antagonista detto riflesso miotattico1.

Nelle articolazioni si trovano altri recettori che in base alle deformazioni delle

cuffie articolari ricavano misure angolari con una risoluzione di circa 2°2.

Un brevissimo passo indietro, alla compitazione dei cinque sensi, basta per affermare che si può raggiungere l’oggetto che si vuol afferrare anche senza il bene della vista.

È possibile dunque dire dov'è, rispetto a noi, quella mela o quella matita. Inoltre, siccome sappiamo qual è la nostra posizione nell'ambiente, possiamo ricavare la posizione “assoluta” dell'oggetto in questione. Disponiamo, infatti, di uno

1 Come il noto riflesso che si prova col martelletto sul ginocchio

2 Una particolarità di questi sensori di pressione si evidenzia quando si sollevano dei pesi: la

prima informazione visiva dell’oggetto porta ad una sovrastima ponderale: ciò si traduce in un abbrivio nell’atto incipiente del sollevamento che viene retroazionato dal sistema nervoso centrale durante il sollevamento proprio grazie alle informazioni derivanti da questi sensori [12]

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strumento, nell'orecchio interno3, che usiamo per definire la nostra posizione assoluta rispetto all’ambiente. I recettori labirintici sono recettori muscolotendinei situati nell’orecchio interno specializzati nel rilevare la posizione della testa usando come parametri la forza di gravità e le variazioni di velocità lineare e angolare della testa.

2.2.3.b Sensibilità nell'esperienza tattile

Un essere umano non solo interagisce con gli oggetti entrando in contatto con essi ma è solitamente capace di dosare la propria forza in modo da manipolarli senza danneggiarli.

Il nostro set di sensori sottopelle, infatti, dà le informazioni necessarie per farci un'idea della cedevolezza dell'oggetto che stiamo maneggiando e questo ci permette di tenere una presa salda senza danneggiare quanto teniamo in mano.

2.2.4 Importanza della non staticità nella

sensazione

Nell'ambiente esterno gli eventi si susseguono mai uguali l'uno all'altro e noi stessi siamo in continuo divenire [6]. Tutti i nostri sensi sono fatti per funzionare in un mondo in movimento, per rilevare un mondo che varia. Una strategia di difesa di alcuni animali è il semplice immobilismo: un predatore attacca quello che si muove, se non si muove non è vivo, se non è vivo è inutile sprecare energie a saltargli addosso. Allora si può fare di più: piuttosto che sprecare energie ad attaccare un cactus che abbia la forma di un coniglio, è preferibile che il predatore non veda neanche quello che non si muove, che non lo rilevi [29].

Anche noi funzioniamo così: con le derivate. I nostri sensi sono sensibili alle

3I propriocettori sono pressoché incapaci di fornire informazioni a proposito di posizione e

movimento del corpo senza coinvolgere sovrasistemi percettivi; è cioè necessario un riferimento esterno perché si riesca a muoversi efficacemente: non salgo le scale se non so dov’è il primo gradino, i subacquei e i piloti d’aereo possono perdere l’orientamento e non sapere più qual è l’alto e il basso. [45].

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variazioni: provando a fissare un punto preciso su un'immagine si perde man mano di vista l'insieme e infine la percezione stessa dell’immagine risulta insensata o incomprensibile: questo perché per vedere meglio anche le cose ferme si attua la tattica di spostare il movimento dall’osservato all’osservatore. In natura i predatori fanno la stessa cosa per stanare prede immobili. Quando ci si siede s’avverte il contatto con la poltrona solo per pochi istanti, poi si dimentica di essere appoggiati a qualcosa (alcuni sensori si saturano) e vi alzate con uno strano formicolio. Certamente non s’avverte il peso, la presenza dell'orologio al polso o dei vestiti sulla pelle e non perché leggeri; infatti una mosca che si posa su una mano s'avverte immediatamente. Questo perché il sistema è sensibile alle variazioni: una sensazione tattile degna di essere registrata è una sensazione mutevole. Un contatto fisso e immobile non merita la nostra attenzione se non negli istanti del suo instaurarsi [33].

2.2.5 Selettività nella percezione

Sentiamo quello che vogliamo sentire.

Un altro importante argomento della percezione è la selettività: siamo portati a percepire quanto ci immaginiamo debba esistere. Segnali discordanti dall'esperienza quotidiana richiedono conferme laboriose e strabuzzamento d'occhi.

È probabilmente una strategia di ottimizzazione delle risorse: siamo soliti ricostruire situazioni già vissute sulla base dell'esperienza. Ciò richiede risorse in meno rispetto ad analizzare ogni volta tutto quello che ci sta intorno. Ma questo può portare a degli errori. Vediamo, rileviamo quello che ci aspettiamo che sia: è il caso delle illusioni ottiche (e naturalmente esiste l’analogo per il tatto) [23].

La già citata psicologia della Gestalt viene in soccorso nella definizione della sensazione complessa e veridica. In caso di esperienze discordanti siamo portati a dare conferma ai segnali sensoriali di un tipo con le risultanze di un altro senso. Esperienze della Lederman [26] riportate anche da Srinivasan [38] del MIT Touchlab mostrano che in certi casi diamo più credito alla vista che al tatto: soppesando due oggetti di ugual peso e forma ma di dimensioni diverse

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crederemo più pesante quello più grosso.

2.2.6 La sensazione veridica

Con queste ultime considerazioni si vede come queste facoltà siano fallaci, soprattutto se prese singolarmente.

Una sensazione affidabile è una sensazione complessa. Una sensazione veridica è una sensazione complessa. Non basta “toccare con mano”; un'esperienza tattile è una complessa interazione del nostro corpo con l'ambiente. Nella vita quotidiana un’esperienza di questo tipo è la guida dell'automobile. Se conoscete la vostra automobile la sentirete coricarsi nelle curve esattamente di quanto vi aspettate senza allarmarvi, saprete quanto energicamente potete frenare o quanto bruscamente potete sterzare senza perderne il controllo e se pensate che è perché vedete dove state andando, pensate che Niki Lauda nel suo italiano scarno sosteneva che un buon pilota guida con quella parte che sta a contatto col sedile: è il sedile che vi trasmette quello che sta facendo l'automobile sotto di voi: il sedile è la vostra interfaccia aptica.

2.2.7

Due approcci antitetici allo studio della percezione

tattile

Possiamo affermare che esistono due principali tipi d'approccio al problema della comprensione della percezione tattile. Uno è muscolare, meccanicistico: ad uno stimolo corrisponde una reazione di un apposito sensore: replicato lo stimolo si è replicata la sensazione corrispondente.

L'altro può essere considerato olistico: la sensazione tattile è un insieme integrato di sensazioni difficilmente individuabili singolarmente. Il sesto senso, del quale si è cercato di mostrare l'esistenza come arricchimento della comune idea del senso del tatto, è anche chiamato propriocezione ed è la percezione

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che abbiamo di noi stessi nel mondo fisico che ci circonda: è quello che ci fa portare il secondo piede giusto sul gradino rendendo inutili le istruzioni per

salire le scale scritte da Julio Cortàzar4.

Questo approccio meno deterministico ha delle basi scientifiche: la psicologia

della Gestalt5 considera il processo percettivo un'esperienza globale, non

4 “[…]Le scale si salgono frontalmente, in quanto all'indietro o di fianco risultano particolarmente

scomode. La posizione naturale è quella in piedi, le braccia in giù senza sforzo, la testa eretta ma non tanto da impedire agli occhi di vedere gli scalini immediatamente superiori a quello sul quale ci si trova, e respirando con lentezza e ritmo regolare. Per salire una scala si cominci con l'alzare quella parte del corpo posta a destra in basso, avvolta quasi sempre nel cuoio o nella pelle scamosciata, e che salvo eccezioni è della misura dello scalino. Posta sul primo scalino la suddetta parte, che per brevità chiamiamo piede, si tira su la parte corrispondente sinistra (anch'essa detta piede, ma da non confondersi con il piede menzionato), e portandola all'altezza del piede la si fa proseguire fino a poggiarla sul secondo scalino, sul quale grazie a detto movimento riposerà il piede mentre sul primo riposerà il piede. (I primi scalini sono sempre i più difficili, fino a quando non si sarà acquisito il coordinamento necessario. Il fatto che coincidano nel nome il piede e il piede rende difficoltosa la spiegazione. Fare attenzione a non alzare contemporaneamente il piede e il piede).

Giunti con questo procedimento sul secondo scalino, basta ripetere a tempi alterni i suddetti movimenti fino a trovarsi in cima alla scala. Se ne esce facilmente con un leggero colpo di tallone che la fissa al suo posto, dal quale non si muoverà fino al momento della discesa.” [4]

J. Cortàzar – da “Istruzioni per salire le

scale”

5 La Teoria della Gestalt è una teoria interdisciplinare in cui si inquadrano diverse acquisizioni

psicologiche con le loro rispettive applicazioni pratiche. L'essere umano viene inteso come sistema aperto in attivo confronto con il suo ambiente. La Teoria della Gestalt rappresenta, in particolare, un tentativo di comprendere il formarsi di strutture ordinate nella realtà psichica. Trae la sua origine da idee e scoperte di J. W. Goethe, E. Mach e C. Von Ehrenfehls, così come nelle ricerche di Wertheimer, Koehler, Koffka e Lewin, decisi oppositori della concezione elementaristica, dell'associazionismo e dell'impostazione del comportamentismo e della teoria delle pulsioni.

La Teoria della Gestalt comprende i seguenti aspetti:

• il primato del mondo fenomenico: il mondo dell'esperienza umana rappresenta l'unica realtà che ci è data immediatamente e della quale non possiamo prescindere

• l'interazione tra individuo e situazione nel senso di campo dinamico viene determinata dall'esperienza e dal comportamento e non unicamente da pulsioni (psicoanalisi, etologia), forze esterne (comportamentismo) o prefissate caratteristiche della personalità (teoria della personalità);

• collegamenti tra diversi contenuti psichici si instaurano più facilmente e con effetto più duraturo se sorgono sulla base di relazioni sostanziali tra i contenuti stessi che non invece tramite ripetizione e rafforzamento;

• il pensiero e la soluzione di problemi sono caratterizzati da processi di strutturazione, ristrutturazione, ed individuazione del 'centro strutturale' della relativa situazione problematica ('Einsicht'), processi aventi una determinata direzione o tendenza, conforme a ciò che è richiesto dalla situazione stessa;

• nel campo gnoseologico hanno luogo processi di formazione e differenziazione di strutture sulla base di correlazioni associative, conformemente ad una tendenza all'organizzazione ottimale;

• cognizioni di una persona che siano tra loro incompatibili comportano esperienze dissonanti e processi cognitivi che tendono a ridurre tali dissonanze;

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sminuzzabile in elementi atomici ma tanto più significativa quanto maggiore è il nostro coinvolgimento della realtà da percepire.

2.2.8

Influenze degli altri sensi sul tatto

In generale, esistono dipendenze mutue dei vari sensi che concorrono all'esperienza arricchendola e migliorandone la qualità. Già abbiamo visto come un solo tipo di sensori non riesce a fornire sensazioni ma semplici segnali di scarso o nullo significato e come una sensazione veridica sia quella accompagnata da un concerto di informazioni di supporto solo apparentemente insignificanti e soggette a complesse gerarchie.

Per gli scopi di questo lavoro, la principale modalità di arricchimento sensoriale è quella visiva: la vista influenza pesantemente le nostre impressioni tattili-propriocettive e uditive. Il viceversa non si verifica, o meglio: l'influenza della propriocezione sulla vista è piccola ma comunque molto maggiore di quella agìta sull'udito.

L'udito non influenza affatto la vista ma ha effetti significativi sul canale tattile: siamo in grado di fornire giudizi di rugosità partendo da considerazioni solo uditive o tattili, con ovvia migliore prestazione del tatto, da alcuni imputata alla facilità con la quale, in situazioni normali, i più vari disturbi possono influenzare una misura di rugosità condotta col solo udito.

Lederman&Abbott [26] dimostrarono come la valutazione della rugosità condotta con i soli ausili del tatto e della vista forniva risposte sotto o sovrastimate (vista) quando uno solo dei due sensi era coinvolto nell'esplorazione per poi convergere ad un valore medio accurato quando l'esplorazione veniva effettuata con l'ausilio di entrambe le modalità sensorie. Nella valutazione della rugosità un parametro rilevante è la spaziatura fra i

Da un punto di vista gnoseologico l'approccio conforme al pensiero gestaltista è quello di un realismo critico. Da un punto di vista metodologico l'impostazione gestaltista tenta una ragionevole combinazione del metodo sperimentale con quello fenomenologico. I problemi centrali vengono affrontati senza rinunciare al rigore sperimentale. Tramite sviluppi quali la Teoria dell'auto-organizzazione di sistemi, la T.d.G. acquista significato anche al di là dell'ambito tradizionale della psicologia.

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risalti che aumenta con la rugosità avvertita: valori bassi del grit value corrispondono a spaziature ampie e rugosità accentuata. Ciò è evidente anche alla vista e anche qui la discrepanza fra la valutazione tattile e quella visiva tende a compensarsi.

Tutto ciò porta alla conclusione che la vista ha sì influenza considerevole nella esperienza tattile ma non può considerarsi un senso dominante.

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