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1 Fisica e senso comune

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Academic year: 2021

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Giulio Passatore

Fisica e senso comune Conferenza nei Licei

Per confrontare la fisica e il senso comune occorre precisare con quali significati usare i due termini.

Il senso comune nasce dal vivere quotidiano e determina il nostro comportamento fondato implicitamente su regole socialmente condivise, fondamentale tra le quali il rispetto reciproco tra le persone. Esso può anche essere qualificato come “buon senso” o anche come “ragionevolezza”. Se il significato della locuzione “senso comune” si fermasse qui, non sussisterebbe alcuna motivazione del confronto tra esso e la scienza e il mio discorso sarebbe già concluso.

Il problema nasce con l’estensione del significato del senso comune da norma di comportamento a valore cognitivo, caratterizzato dall’interpretazione acritica dei fatti naturali che porta a un dogmatismo con la pretesa di dominare strati dell’opinione pubblica con rilevanti conseguenze su scala sociale. Il fenomeno è antico, ma tuttora ben presente: anche se oggi non esiste più la “caccia alle streghe”, almeno nel senso letterale, opinioni remote continuano a essere assai dif- fuse, come la magia, la pseudo medicina, l’astrologia1 e nuove se ne aggiungono, come le demonizzazioni aprioristiche delle biotecnologie e dell’energia nucleare2. La “ragionevolezza” cede all’irrazionalità. Lo scontro con la scienza, carat- terizzata dalla razionalità che si esprime con una continua consapevolezza critica è inevitabile.

La formulazione estrema di quello che ho chiamato “senso comune” con significato deteriore, che almeno ha il meri- to di essere chiara, è fornita dalla Scuola Scozzese nella seconda metà del Settecento: la conoscibilità del mondo esterno deriverebbe da un suggerimento insito negli uomini, innanzi al quale anche gli scienziati dovrebbero inchinarsi. Contro questa posizione, storicamente vista come reazione alla critica scettica di Hume, si scagliò Kant che nella prefazione ai Prolegomeni ad ogni futura metafisica (1783) scrisse:

Far appello al senso comune quando scienza e intelligenza non bastano più, è una sottile invenzione dei nostri tempi, in forza della quale il più insipido ciarlone può affrontare impavido il cervello più fine e può tenergli fron- te. Ma finché rimarrà ancora un piccolo resto di intelligenza, ci si guarderà bene dal ricorrere a questo mezzo. E, bene esaminando, esso non è che un ricorso al giudizio della moltitudine, un consenso di cui il filosofo arrossisce, mentre il bello spirito popolare ne trionfa e ne mena vanto.

È rilevante che questo giudizio sia espresso dall’erede dell’Illuminismo e padre della sociologia liberale fondata sul ri- spetto della persona.

Ho riportato le posizioni della Scuola scozzese e di Kant perché esse, al di là della contingenza storica in cui sono sor- te, esprimono una contrapposizione che ha pervaso la storia della scienza e in particolare della fisica dall’antichità ad oggi. Cercherò in quanto segue di mostrare, riferendomi ad alcuni episodi della costruzione della fisica, come nel corso del suo sviluppo il senso comune, nel significato ampliato e deteriore (con questo significato userò la locuzione “senso comune” tra virgolette), si sia infiltrato anche nel pensiero di grandi costruttori, creando problemi che solo un’acuta cri- tica accompagnata da approfonditi esperimenti è stata in grado di superare.

A mio parere la fisica è una costruzione dell’intelletto umano nella quale si intrecciano vari aspetti reciprocamente connessi che portano dall’osservazione dei fenomeni alla costruzione delle teorie.

La fisica moderna è attenta nel passare dalla percezione delle proprietà dei corpi alla nozione di grandezze fisiche. Il passaggio si effettua attraverso la definizione operativa: le grandezze fisiche, quali lunghezza, intervallo di tempo, mas- sa, temperatura, ecc., sono definite dall’operazione che ne misura il valore numerico. È così garantita l’universalità della nozione di ciascuna grandezza fisica e al contempo il suo carattere quantitativo, mentre il “senso comune” resta sempre qualitativo. Ciò consente di esprimere e osservare le correlazioni numeriche tra diverse grandezze e scoprire regolarità insite in fenomeni naturali: è l’embrione delle leggi fisiche. Una volta classificate le correlazioni si deve compiere un passo a mio parere fondamentale che diversifica la scienza dal “senso comune”: è l’interpretazione delle correlazioni osservate. In certi casi può essere banale, ma in altri può richiedere capacità critiche acute e intuizioni geniali che liberi- no dall’incombenza del “senso comune”. La via è aperta per costruire modelli mentali che esprimano le interpretazioni:

a seconda della validità di queste i modelli cadranno o saranno fecondi di sviluppi che porteranno a nuove idee che l’esperimento sarà chiamato a verificare. Dato il carattere quantitativo della fisica, il linguaggio dei modelli sarà neces- sariamente di tipo matematico. Ciò garantisce la consistenza logica del modello che si trasforma in teoria fisica: insie-

1Riferisco un fatto significativo: l’elenco telefonico della SIP (l’attuale Telecom) riportava, tra i suoi numeri speciali, insieme con la polizia, il pronto soccorso e i pompieri, anche l’oroscopo. Il prof. Edoardo Amaldi scrisse al direttore generale per esprimergli la sua indignazione. Bisogna considerare che Amaldi aveva un grande prestigio come scienziato: era stato l’assistente di Fermi al tempo dei famosi ragazzi di via Panisperna ed era in quel periodo direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università di Roma. Egli va anche annove- rato tra i fondatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Il direttore generale gli rispose: “Lei ha ragione, ma questo è il numero più gettonato” (da Scienza e Paranormale, n. 87-88, settembre-dicembre 2009, p.60). Questa è certamente la motivazione dell’ampio spazio riservato all’astrologia su quotidiani e settimanali, nonché su vari canali televisivi.

2Per un’analisi sulla problematica di questi argomenti e affini si suggerisce la lettura dei libri di Tullio Regge, Lettera ai giovani sul- la scienza, Rizzoli, Milano, 2004 e di Silvano Fuso, I nemici della Scienza, Dedalo, Bari, 2009 alla parte 3.a. Per quanto concerne il problema energetico, e in particolare l’energia nucleare, si vedano i documenti Una politica energetica per l’Europa della Commis- sione Europea (10 gennaio 2007) e le successive conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo (8-9 marzo 2007) (reperibili in:

Energia in Italia: Problemi e prospettive 1990-2020, Studio della Società Italiana di Fisica SIF su Internet).

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me di proposizioni logicamente collegate capace di descrivere i fenomeni in un certo ambito e di fare previsioni quanti- tative.

Per mostrare quanto il “senso comune” abbia pesato nella costruzione della fisica ho solo l’imbarazzo della scelta de- gli argomenti. Accennerò a vari episodi nel corso dell’evoluzione della fisica dall’antichità al XX secolo. È impressio- nante constatare che Aristotele, padre di quel monumentale edificio che è la logica, che tanto ha contribuito allo svilup- po del pensiero occidentale, sia stato, nei confronti delle scienze naturali, il teorizzatore del “senso comune”. Infatti, re- stando alla fisica e all’astronomia, suoi punti qualificanti sono il geocentrismo, l’impossibilità del vuoto, i moti naturali e violenti, l’ignoranza della legge di inerzia, il fermo assoluto costituito dalla Terra, la differenza qualitativa tra materia terrestre e celeste. Il quadro aristotelico della natura dominò la cultura per circa due millenni (dal quarto secolo avanti Cristo al Rinascimento).

Nell’ambito cosmologico e astronomico vi furono nell’antichità due rilevanti voci fuori dal coro. L’una è la cosmolo- gia degli atomisti presocratici (Leucippo, Democrito, V sec.a.C.) ripresa più tardi con varianti da Epicuro (IV-III sec.a.C.) e da Lucrezio (I sec. a.C.)3. Punti qualificanti sono la concezione atomica della materia, il vuoto in cui avviene il moto perenne degli atomi, il loro aggregarsi nei corpi e poi il disaggregarsi, la pluralità dei mondi. Queste idee si con- trappongono alle percezioni immediate, conformi al “senso comune” di un continuo che riempia tutto lo spazio e dell’unicità e staticità del nostro mondo. Le idee fisiche e cosmologiche degli atomisti restarono latenti per due millen- ni: sarà Giordano Bruno a riprenderle e diffonderle nel Rinascimento.

L’altra voce difforme dal senso comune aristotelico è l’eliocentrismo di Aristarco di Samo (c.310-230 a.C.). Non sap- piamo quali fossero le sue motivazioni4. All’affossamento delle idee di Aristarco contribuirono, oltre alle posizioni della cultura dominante, non solo nell’ astronomia5, le argomentazioni di uno dei più grandi astronomi dell’antichità, Ipparco di Nicea (c.190-120 a.C.), basate sulla fisica aristotelica. Le argomentazioni di Ipparco, che oggi troviamo confutate fa- cilmente in ogni testo di fisica elementare, erano fondate sull’ignoranza della legge di inerzia. Se la Terra ruotasse (da ovest a est), una pietra lasciata cadere dalla cima di una torre lungo il lato ovest non dovrebbe situarsi alla base di que- sto, ma un po’ più a ovest, dato che, durante la caduta della pietra, il suolo terrestre si sarebbe spostato verso est. Ciò non avviene e dunque, concludeva Ipparco, la Terra non ruota.

È con Copernico (De revolutionibus orbium coelestium, 1545) che le idee di Aristarco vengono riprese sistematica- mente. Le motivazioni di Copernico sono espresse nella dedica del De Revolutionibus a papa Paolo III:

…E così, ammessi quei movimenti che più sotto nell’opera attribuisco alla Terra, finalmente, dopo lunghe e ripe- tute osservazioni, trovai che, se si rapportavano i movimenti degli altri astri erranti [i pianeti] a quello circolare della Terra e si calcolava quindi il movimento di rivoluzione di ogni astro, non solo si conseguivano di qui i loro movimenti apparenti, ma che anche gli ordini di grandezza degli astri e di tutte le sfere e inoltre il cielo stesso si trovavano in una tale connessione che non si poteva in nessuna loro parte spostare qualcosa, senza che ne deri- vasse confusione nelle altre parti e nella totalità.

Può essere interessante, per il confronto con il “senso comune”, citare un giudizio attribuito a Lutero (1539)6:

…Si parlava di un nuovo astrologo che pretenderebbe di dimostrare che è la Terra a muoversi, e non il cielo, il Sole e la Luna. È come se uno, stando seduto su un carro o su una nave, si immaginasse che lui sta fermo mentre la Terra e gli alberi si muovono

e anche la condanna del Sant’Uffizio, avvenuta alquanto più tardi (1616) che dichiarava la teoria copernicana stolta ed assurda in filosofia e formalmente eretica.

Così, in un periodo in cui imperversavano le guerre di religione, i contendenti concordarono nella condanna di Coper- nico in nome del “senso comune”. Ma la storia ha fatto giustizia. Con le parole di uno studioso di Copernico7:

È molto difficile, ai nostri giorni, comprendere e valutare nella loro grandezza effettiva lo sforzo intellettuale, l’audacia e il coraggio morale rappresentati dall’opera di Copernico. A tal fine dovremmo sforzarci di tornare indietro, alla certezza ingenua e fiduciosa con la quale il senso comune accetta l’evidenza immediata dell’immobilità della Terra e del movimento dei cieli.

3Così Lucrezio nel Libro secondo del De Rerum Natura, versi 1048 e seguenti: “Per prima cosa, non sussiste per noi alcun limite da ogni parte e in ogni direzione, da entrambi i lati, sopra e sotto…… Per cui ancora una volta è necessario che tu ammetta che esistano altrove altri aggregati di materia simili a questo [ove viviamo] che l’etere stringe in avido abbraccio.”

4Werner Heisenberg, uno dei fondatori della meccanica quantistica, tenta questa risposta: “ Non possiamo dubitare che il suo argo- mento più efficace fu quello della semplicità matematica. È molto difficile definire chiaramente cosa significhi questa espressione, semplicità matematica. Ma persino senza questa definizione è ovvio che il sistema eliocentrico di Aristarco era più semplice dell’universo di Eudosso con le sue 27 sfere. Molto tempo dopo, nel XVII secolo, la semplicità fondamentale del sistema eliocentrico fu riconfermata dalla scoperta di Newton che l’introduzione di due nuovi concetti, inerzia e gravità, poteva spiegare il moto dei pia- neti in ogni dettaglio e quindi poteva condurre ad una reale comprensione del sistema planetario. Ma questi concetti non erano cono- sciuti al tempo di Aristarco.” (W.Heisenberg, Lo sfondo filosofico della fisica moderna, Sellerio, Palermo,1999).

5Secondo Plutarco, Aristarco rischiò la condanna per empietà e ne fu salvato solo dall’atmosfera che caratterizzava l’ambiente di Alessandria, grazie al liberalismo culturale della dinastia dei Tolomei.

6O.Gingerich, The book nobody read, 2004 (trad. it.: Alla ricerca del libro perduto, Rizzoli, Milano, 2004).

7A.Koyré, La révolution astronomique, Hermann, Paris, 1961 (trad. it.: La rivoluzione astronomica, Feltrinelli, Milano, 1966).

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È tuttavia impressionante che l’autore della rivoluzione copernicana non riesca a liberarsi della fisica aristotelica.

L’universo di Copernico è simile a quello di Aristotele, a parte la sostituzione della Terra con il Sole quale “fermo asso- luto”. Inoltre, e questo è l’aspetto più significativo, egli non riesce a superare in modo convincente le obiezioni del tipo di quelle di Ipparco. Entrambe queste limitazioni sono superate da quell’apostolo entusiasta della rivoluzione coperni- cana che fu Giordano Bruno con due fondamentali intuizioni in pieno contrasto con il “senso comune”: la pluralità dei mondi e la legge di inerzia8. Con quest’ultima nasce la meccanica moderna: si può concordare con Koyré quando dice che la meccanica moderna nasce dall’astronomia9.

La legge di inerzia è espressa da Bruno in due passi del Dialogo terzo de La Cena de le Ceneri (1584)10 anche se in modo implicito, ma del tutto adeguato alla confutazione delle obiezioni di Ipparco alla rotazione terrestre11. La legge di inerzia, anche se oggetto dell’insegnamento all’inizio dei corsi di fisica elementare, è una delle leggi più nascoste della fisica. Per pervenirvi occorre un’analisi critica del fenomeno del moto: scoprire l’attrito e la sua rilevanza, intuire la no- zione di vuoto e di moto rettilineo uniforme senza limiti. Occorre separare, nell’analisi di un fenomeno, l’aspetto essen- ziale da quelli concomitanti: questo è un processo di interpretazione critica che può portare a concetti astratti assai lon- tani dalla percezione immediata, ma fondamentali per la comprensione dei fenomeni naturali.

Ciò è quanto fa con chiarezza Galileo nella Giornata Seconda del Dialogo dei Massimi Sistemi (1632). La sua analisi mostra l’importanza dei concetti limite e degli esperimenti concettuali nella fisica. I primi esprimono situazioni che, pur non realizzandosi nell’esperienza quotidiana, sono approssimabili in essa quanto si vuole: un esempio ne è il moto in assenza di attriti. I secondi sono esperimenti pensabili anche se non realizzabili tecnicamente, ma compatibili con le leggi di natura e ciò li qualifica come fisicamente significativi. È attraverso un esperimento concettuale che Galileo in- troduce quella che oggi chiamiamo la legge di inerzia.12

La legge di inerzia è dunque una legge limite e costituisce il punto di partenza della meccanica galileiano-newtoniana.

Ma essa non sussiste in qualunque sistema di riferimento: ad esempio, sussiste con buona approssimazione in un siste- ma solidale con il suolo, ma non entro un autobus che sta frenando ove ogni oggetto libero di muoversi, pur non essen- do soggetto a forze, viene spinto in avanti rispetto alle pareti dell’autobus. Si individua così una classe di sistemi di rife- rimento privilegiati chiamati sistemi inerziali rispetto ai quali la legge di inerzia sussiste e con essa tutta la meccanica galileiano-newtoniana. Tutti questi sistemi di riferimento, in moto rettilineo uniforme tra loro, sono fisicamente equiva- lenti. È questo il principio di relatività galileiano espresso in un altro famoso passo della Giornata Seconda del Dialo- go:

Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coperta di un gran navilio…

Il principio di relatività di Galileo porta a una nuova concezione dello spazio: il fermo assoluto, cardine della fisica ari- stotelica, è demolito.

Un altro aspetto significativo, nell’ambito della meccanica, del contrasto tra pensiero scientifico e “senso comune” è il fenomeno della caduta dei gravi. La fisica aristotelica sostiene che un corpo pesante arrivi al suolo con velocità maggio- re di un corpo leggero partito dalla stessa quota. Ciò è quanto mostra la percezione immediata. La fisica aristotelica non

8Invero la legge di inerzia era stata espressa in un frammento di Leonardo da Vinci (1452-1519), Pensieri sulla Natura 39 e 42 qual- che decennio prima, ma era rimasta del tutto isolata e quindi ignorata.

9A.Koyré, op. cit. nel rif.4.

10La figura di Bruno non è quella di uno scienziato, bensì quella, complessa ed anche contraddittoria, impregnata di filosofia ermeti- ca che spesso sconfina in animismo e magia, diffusa nella cultura rinascimentale, transizione dal Medioevo alla scienza moderna.

Malgrado questi aspetti le affermazioni di Bruno nei passi citati sono ineccepibili dal punto di vista fisico.

11Tra le varie argomentazioni di Bruno la più nota è quella della nave: si pensi a una nave in moto e dalla cima dell’albero maestro si lasci cadere un oggetto, lungo l’albero, dalla parte opposta al verso del moto. Bruno sostiene che l’oggetto si situerà alla base dell’albero e non più indietro perché esso, durante la caduta, mantiene nella direzione orizzontale la velocità della nave che anch’esso aveva inizialmente. In questa affermazione vediamo la composizione deimovimenti e la legge di inerzia. Le cose vanno esattamente come se la nave, anziché essere in moto, fosse ormeggiata nel porto: in questa affermazione vediamo il principio di relatività che so- litamente è attribuito a Galileo.

12Galileo considera un piano ideale sul quale una palla possa rotolare senza attrito. In una prima situazione la palla è lanciata lungo il piano verso il basso con una data velocità. La velocità continua a crescere durante la discesa, ma tanto più lentamente quanto minore è l’inclinazione dei piano. In una seconda situazione la palla è lanciata lungo il piano verso l’alto con una data velocità. La velocità diminuisce finché la palla si ferma, la diminuzione è tanto più lenta quanto minore è l’inclinazione del piano e corrispondentemente la lunghezza percorsa è tanto maggiore. Si pensi ora, in entrambe le situazioni, di diminuire progressivamente l’inclinazione del pia- no fino a porlo nella posizione orizzontale: cosa accadrà in questa nuova situazione, che è la situazione limite di entrambe le prece- denti? L’unica risposta è che la palla continuerà a muoversi indefinitamente con la velocità iniziale. Questa argomentazione costitui- sce una dimostrazione, per via puramente logica, della legge di inerzia, secondo la quale un corpo non soggetto a forze permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.

Tuttavia, se si analizzano i contenuti della Prima e Seconda Giornata del Dialogo del Massimi Sistemi, si deve rilevare che Galileo non poté mai liberarsi della “naturalità” del moto circolare, di memoria aristotelica. Questa è affermata esplicitamente nella Giornata Prima e i passi della Giornata Seconda, cui sopra si è fatto riferimento, ne sono condizionati. In essi il significato autentico di quello che generalmente viene letto come “moto rettilineo uniforme” è invece, come sottolinea P.Rossi nella monografia Galileo Galilei in Storia della Scienza Moderna e Contemporanea, UTET 1998, “moto uniforme lungo un meridiano” È impressionante come Galileo, proprio nel momento in cui crea le basi della meccanica moderna usando concetti limite quali piano indefinito e moto rettilineo uni- forme, subisca ancora un condizionamento del “senso comune” codificato dalla fisica aristotelica.

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si poteva porre il problema della caduta nel vuoto, dato che non accoglieva questa nozione. Se però si arriva a capire che un elemento importante del fenomeno è la resistenza dell’aria e si pensa al vuoto come concetto limite, è fisicamen- te sensato porre il problema. Questo aveva già fatto la fisica atomistica di Leucippo e Democrito ed è espresso poetica- mente da Lucrezio13.

Fu Galileo a riprendere il problema. Con un esperimento concettuale (a quel tempo non esisteva la possibilità di pro- durre il vuoto, dato che la pompa a vuoto fu costruita da Otto von Guericke alla fine del Seicento) egli mostrò che due corpi di pesi diversi, partendo dalla stessa quota, dovrebbero arrivare al suolo con la stessa velocità. Il procedimento, descritto nella Giornata Prima dei Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove Scienze, è di pura logica:

partendo dalla premessa che si vuole dimostrare errata, si perviene ad una contraddizione.14

Il fatto che tutti i corpi, nel vuoto, cadano con la stessa accelerazione ha una conseguenza oggi trattata anche nei testi di fisica elementare: la coincidenza tra i valori della massa inerziale (definita attraverso l’accelerazione impressa a un corpo da una data forza) e della massa gravitazionale (definita attraverso il peso del corpo). Questo fatto, già rilevato da Newton all’inizio del Settecento, restò un mistero per la meccanica newtoniana perché suggeriva che le due masse, de- finite operativamente in modi diversi, dovessero essere la stessa grandezza fisica. La risposta affermativa a questo sug- gerimento sarà data nei primi decenni del Novecento da Einstein e porterà ancora più lontano dal “senso comune”.

Tra la fine del Seicento e la fine dell’Ottocento avviene la sistemazione della meccanica newtoniana con le famose tre leggi del moto e la teoria della gravitazione, mentre si sviluppano vari settori della fisica quali la fenomenologia termi- ca, luminosa, elettromagnetica. Due sono le immagini intuitive e solitamente contrapposte:

- quella del continuo imponderabile: calorico, etere, fluido elettrico e magnetico;

- quella del discreto: corpuscoli.

Quanto alla fenomenologia termica, la sua trattazione si compie nell’Ottocento con la costruzione della termodinami- ca: teoria che dai fenomeni desume i principi fondamentali e quindi procede assiomaticamente. Essa è da annoverarsi tra le più belle costruzioni dell’intelletto umano. Le controversie nascono al livello dell’interpretazione dei suoi principi.

Una è quella del continuo imponderabile, erede del calorico settecentesco, che rifiuta ogni considerazione strutturisti- ca della materia, ritenendola ipotesi non scientifica in quanto non osservabile. Il calorico è sostituito dall’energia: è la corrente energetista, di cui sono esponenti il chimico Wilhelm Ostwald e i fisici William Thomson, lord Kelvin (che nel 1867 parlò di “mostruosa ipotesi di Lucrezio” riferendosi all’atomismo) e Ernst Mach, (che nel 1899, all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Accademia delle Scienze di Vienna esordì dicendo:”non credo che esistano gli atomi!”).

Ad essa si contrappone l’idea della struttura particellare della materia (già introdotta da John Dalton nella chimica) che interpreta i concetti basilari della termodinamica in termini del moto delle particelle, “eterno percita motu”, usando l’espressione di Lucrezio: rinasce la concezione atomica, già una volta condannata dal “senso comune”. Tra i suoi espo- nenti menziono James Clerk Maxwell (1831-79) e Ludwig Boltzmann (1844-1906). Quest’ultimo interpretò i principi della termodinamica in termini del moto molecolare e, in particolare, mostrò il carattere statistico del secondo principio:

con lui la probabilità entrò nella fisica. Questo atteggiamento fu assai contrastato dal “senso comune”, tanto che Bol- tzmann restò scientificamente isolato e cadde in una depressione che lo portò al suicidio. È ancora più tragico constatare che egli non vide la vittoria della sue idee: pochi mesi prima, nel 1905, Einstein, in un fondamentale lavoro sul moto browniano, aveva dimostrato indirettamente l’esistenza degli atomi che poco dopo fu motivata sperimentalmente da Je- an Perrin.15

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, grazie alla strumentazione elettrica e magnetica, l’idea della strut- tura particellare della materia si completava con la scoperta dell’elettrone da parte di Joseph John Thomson (1836-

13 Dal Secondo Libro del De Rerum Natura, versi 230-239: “Infatti tutti gli oggetti che cadono attraverso l’acqua o attraverso la tenue aria a seconda dei loro pesi devono accelerare la caduta perché l’elemento dell’acqua e la natura leggera dell’aria non possono ritar- dare ugualmente ogni oggetto ma [i più leggeri] cedono, vinti, più presto ai più pesanti. Al contrario, il vuoto non può opporre resi- stenza da nessuna parte in nessun momento ad alcun oggetto [impedendo] che esso, per quel che richiede la sua natura, continui a cadere; perciò tutti gli oggetti, sebbene di peso non uguale, devono muoversi attraverso il vuoto inerte sospinti in modo uguale.”

14Siano due corpi di pesi diversi: secondo la fisica aristotelica (estrapolata al vuoto) quello più pesante dovrebbe arrivare al suolo con velocità maggiore. Si pensi ora di far cadere i due corpi uniti: il corpo risultante sarà più pesante di entrambi e perciò dovrà arri- vare al suolo con velocità maggiore di ciascuno di essi. Ma, come il corpo più pesante dovrebbe trascinare quello più leggero facen- dolo cadere più in fretta, così quello più leggero dovrebbe frenare quello più pesante. Dunque il corpo composto dovrebbe arrivare al suolo con velocità intermedia tra quelle di ciascuno dei corpi separati, in contraddizione con la conclusione precedente.

La verifica sperimentale fu poi effettuata da Newton utilizzando un tubo a vuoto ove si constata che una pallina di piombo e una piuma cadono con la stessa accelerazione.

15Il contrasto tra concezione atomica e “senso comune” è espresso efficacemente dalle parole di Perrin: “Prevedere così l’esistenza o le proprietà di oggetti che sono ancora al di là della nostra conoscenza, spiegare il visibile complicato attraverso l’invisibile semplice, ecco la forma di intelligenza intuitiva alla quale, grazie ad uomini quali Dalton o Boltzmann, noi dobbiamo l’Atomistica, di cui que- sto libro fornisce un’esposizione” (J.Perrin, Les Atomes, Alcan, Paris, 1927). Queste parole ricordano un passo del De Rerum Natura (I,270):

Accipe praeterea quae corpora tute necessest (Riconosci pertanto quali corpi sia necessario ammettere che esistano confiteare esse in rebus nec posse videri. nelle cose anche se non possono essere visti)

Per un’esposizione, di ottima divulgazione, della nascita della concezione atomica nella fisica moderna suggerisco il libro di D.Lindley: Gli atomi di Boltzmann, Bollati Boringhieri, Torino, 2001.

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1940), la determinazione della sua massa e carica e di quelle degli ioni e, poco dopo, del nucleo atomico. In questi espe- rimenti, eseguiti con tubi a raggi catodici e con spettrometri di massa, elettroni e ioni vengono trattati come corpuscoli conformemente alla meccanica newtoniana sotto l’azione di campi elettrostatici e magnetostatici. La “mostruosa ipotesi di Lucrezio” acquisiva valore quantitativo ed entrava a pieno titolo nella fisica.

Il cammino di liberazione dal “senso comune” pervade tutta la storia della fenomenologia luminosa che, a partire dalla fine dell’Ottocento, si intreccia e poi si fonde con la fenomenologia atomica e porta ai due grandi pilastri del Novecen- to, la relatività ristretta e la meccanica quantistica.

L’interpretazione della fenomenologia luminosa nasce con la contrapposizione tra due immagini fornite dal “senso comune”: quella di onda, entità distribuita nello spazio e nel tempo, indefinitamente attenuabile, e di corpuscolo, unità singola e localizzata. È consueto associare questa contrapposizione a due grandi costruttori della fisica: Christian Hu- ygens (1629-95) sul versante ondulatorio e Isaac Newton (1642-1727) su quello corpuscolare. Il modello ondulatorio è suggerito dall’analogia con le onde meccaniche, quali le onde sonore e quelle sull’acqua. Ne segue l’esigenza di un mezzo per la propagazione e questo, con nome di aristotelica memoria, fu chiamato etere: mezzo impalpabile, estrema- mente rarefatto, permeante tutti i corpi e lo spazio cosmico. Newton ne colse il carattere artificioso e lo rifiutò divenen- do sostenitore del modello corpuscolare, malgrado i fenomeni di diffrazione, tipici delle onde, già colti alcuni decenni prima da Francesco Grimaldi e Robert Hooke dall’osservazione della propagazione della luce dietro gli ostacoli.16 La posizione di Newton mostra insieme senso critico e acquiescenza al “senso comune”. Il senso critico sta nel coglie- re il carattere artificioso dell’etere e quindi rifiutarlo, mentre l’acquiescenza al “senso comune” sta nel sottovalutare le indicazioni sulla diffrazione (egli stesso ripeté gli esperimenti di Grimaldi) forse perché vaghe. Il punto che non colse è che per la luce il fenomeno della diffrazione risulta evidente su ben altra scala di quella ove è manifestato nelle onde sull’acqua e acustiche: l’ordine di grandezza della lunghezza d’onda delle onde luminose è del decimilionesimo di me- tro.

Fu Thomas Young nei primi anni dell’Ottocento a scoprire che la luce dà luogo all’interferenza, fenomeno anch’esso tipicamente ondulatorio. L’esperimento di Young consistette nell’illuminare con luce monocromatica uno schermo che recava due fori: su un secondo schermo posto al di là del primo si osservarono le frange di interferenza. Questo fu l’esperimento cruciale che fondò il modello ondulatorio della luce.17 Young rimase sempre fedele all’idea dell’etere (o- gni onda meccanica richiede un mezzo ove propagarsi) e per questo fu sconcertato quando, pochi anni dopo, il suo ami- co Augustine Fresnel avanzò, su stringenti motivazioni fenomenologiche, l’ipotesi della trasversalità delle onde lumino- se che un mezzo impalpabile ed estremamente rarefatto, come si immaginava l’etere, non avrebbe potuto sostenere.

Una svolta avvenne con James Clerk Maxwell che, negli anni 60-70 dell’Ottocento, a seguito dei lavori di Michael Faraday, mostrò che le onde luminose non sono meccaniche, bensì elettromagnetiche. È impressionante constatare che Maxwell, pur avendo mostrato, attraverso le sue famose equazioni, che le onde elettromagnetiche sono trasversali e hanno un meccanismo intrinseco per la loro propagazione, non si sia potuto liberare dell’etere e pervenire alla loro pro- pagazione nel vuoto. L’etere continua ad essere il sistema di riferimento privilegiato in cui formulare l’ elettromagneti- smo, al pari dell’acqua di un lago per le onde che si propagano in essa. Nell’elettromagnetismo l’etere avrebbe il ruolo del “fermo assoluto” aristotelico.18

La liberazione si ebbe con Einstein nei primi anni del Novecento. A seguito dell’esito negativo di un esperimento di A.A.Michelson e E.W.Morley inteso a misurare la velocità della Terra rispetto all’etere19, Einstein “gettò via l’etere dal

16Nella Query 28, pubblicata nella IV edizione del trattato Opticks, Newton scrive:

“Le onde sulla superficie dell’acqua stagnante, aggirando lateralmente un grosso ostacolo che ne blocca una parte, si piegano succes- sivamente e si dilatano gradualmente nell’acqua quieta al di là dell’ostacolo.Le onde, pulsazioni e vibrazioni dell’aria, in cui consiste il suono, si piegano manifestamente anche se non in modo così rilevante come le onde sull’acqua. Infatti una campana o un cannone possono essere uditi al di là di una collina che impedisce la vista del corpo che produce il rumore e i suoni si propagano facilmente lungo tubi curvi come lungo tubi dritti. Ma non si è mai saputo che la luce segua i percorsi curvi, né si pieghi dietro l’ombra.”

17Perché Young ricorse ai due fori anziché usare due sorgenti luminose identiche, come si fa per le onde sull’acqua o sonore, ove due sorgenti identiche producono interferenza? Al tempo di Young non si poteva rispondere: oggi sappiamo che l’emissione lumino- sa avviene a livello atomico per l’emissione di moltissimi treni d’onde indipendenti senza alcuna relazione di fase tra loro e l’interferenza si osserva solo se si sdoppia ciascun treno in due, in modo da ottenere tra di essi una relazione di fase costante talché, una volta riuniti, mostrano interferenza costruttiva o distruttiva a seconda delle lunghezze dei cammini da essi percorsi. Resta un mi- stero su come Young abbia pensato di ricorrere ai due fori: secondo un aneddoto, l’idea gli sarebbe stata suggerita osservando onde prodotte da un cigno sbattendo le ali sull’acqua di uno stagno le quali, percorrendo due canali diversi, si ricongiungevano in uno sta- gno adiacente producendovi, nei vari punti, oscillazioni di ampiezza massima o minima.

18L’Introduzione al primo lavoro di Maxwell sull’elettromagnetismo (1866) mostra un profondo intreccio tra passato e futuro: men- tre introduce acquisizioni fondamentali che ancor oggi sono basilari nella fisica, al contempo non può liberarsi da retaggi del passato conformi al “senso comune”. Viene spontaneo un parallelo con Copernico: due artefici di rivoluzioni, ma condizionati da pesanti e- redità che il “senso comune” aveva imposto.

19Nel lavoro di Michelson e Morley la velocità della Terra rispetto all’etere si sarebbe ottenuta dalla misura della differenza tra le velocità della luce rispetto alla Terra in due diverse situazioni: quando la Terra si muove lungo la direzione di propagazione della lu- ce e quando si muove in direzione ad essa perpendicolare. Il risultato, di grande precisione grazie ad un’avanzata strumentazione ot- tica, mostrò, sorprendentemente, che i due valori risultavano uguali: ne sarebbe seguito che la Terra è solidale con l’etere il quale, invece, avrebbe dovuto costituire il mezzo immobile in cui la luce si propaga, come le onde nell’acqua di un lago.

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tempio della fisica”20 affermando, in piena coerenza con la teoria di Maxwell, che la luce si propaga nel vuoto. Ciò rivo- luzionò l’interpretazione dell’elettromagnetismo: sparito il sistema di riferimento costituito dall’etere, Einstein postulò che l’elettromagnetismo dovesse sussistere in qualsiasi sistema di riferimento inerziale, estendendo così il principio di relatività che Galileo aveva formulato per la meccanica. Nasceva la teoria della relatività (detta “ristretta” in quanto po- stula l’equivalenza tra i sistemi di riferimento nell’ambito di quelli inerziali): ogni legge della fisica deve valere ugual- mente in qualsiasi sistema di riferimento inerziale.

È di grande importanza che la fisica, nell’elettromagnetismo, si sia riappropriata del concetto di vuoto, conforme alle idee sia degli atomisti dell’Ottocento sia di quelli dell’antichità classica. Mentre la velocità di un’onda meccanica di- pende dall’osservatore, in quanto questo può essere in moto rispetto al mezzo in cui l’onda si propaga, così non può es- sere per la velocità della luce che si propaga nel vuoto e che, dunque, deve essere la stessa per ogni osservatore inerziale (conformemente all’indicazione emersa dall’esperimento di Michelson-Morley). Questa affermazione è in fortissimo contrasto con il “senso comune” e implica una correzione alla regola di trasformazione delle coordinate tra osservatori inerziali rispetto a quella conosciuta dal tempo di Galileo che era conforme al “senso comune”. La novità è che la nuova trasformazione concerne non solo le coordinate spaziali, ma anche il tempo: la valutazione dell’intervallo di tempo in- tercorrente tra due eventi è diversa per diversi osservatori in moto relativo tra loro. In particolare, due eventi simultanei per un osservatore su un treno non lo sono per un osservatore al suolo e reciprocamente. Ne segue che è tale anche la valutazione della distanza tra due punti. Questi fatti, irrilevanti nell’ambito dei fenomeni quotidiani, assumono un ruolo essenziale quando la velocità relativa tra gli osservatori è prossima a quella della luce, come avviene nella fisica delle particelle elementari e su scala cosmica.

Con Galileo si era distrutta l’assolutezza dello spazio, distruggendo il “fermo assoluto”; con Einstein si distrugge l’assolutezza dello spazio-tempo: spazio e tempo si trasformano tra loro nel passare da un osservatore ad un altro e la rottura con il “senso comune” è totale.

Negli anni in cui nasceva la relatività ristretta stava nascendo anche qualcosa di diverso e completamente nuovo. Per interpretare la fenomenologia dell’emissione luminosa Max Planck, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ipotizzò, contro quanto fino allora noto nell’elettromagnetismo, che lo scambio di energia tra radiazione elettromagneti- ca e particelle cariche elettricamente non avvenisse con continuità, bensì attraverso quanti, chiamati allora quanti di Planck. L’energia di ciascuno di questi risulta proporzionale alla frequenza dell’onda elettromagnetica secondo un fatto- re h, detto nel seguito “costante di Planck”, il cui valore è dell’ordine di 10 34joule secondo talché il valore dell’energia di un quanto risulta, nella luce visibile ove la frequenza è dell’ordine di 1015 s-1, dell’ordine di 10 19J. Si riconosce così subito che gli effetti della quantizzazione di Planck non sono rilevanti nell’esperienza quotidiana, ma lo sono su scala atomica. Pochi anni dopo (1905), su precise indicazioni fenomenologiche concernenti l’effetto fotoelettri- co (emissione di elettroni da una superficie metallica investita da luce), Einstein lo interpretò come dovuto all’interazione tra quanti di Planck (poi chiamati fotoni) e elettroni presenti nella materia. Dato che i fotoni sono unità energetiche indivisibili e localizzabili, essi richiamano l’immagine di corpuscolo, ma questa è incompatibile con la fe- nomenologia dell’interferenza e della diffrazione, ben consolidata.

Dunque per la luce, a seconda dei fenomeni osservati, si imponevano due immagini entrambe suggerite dal ”senso comune”, ma tra loro incompatibili: quella di onda, ampiezza distribuita nello spazio implicata dai fenomeni di interfe- renza e quella di corpuscolo, unità localizzata e indivisibile, richiesta dall’effetto fotoelettrico. Questa situazione fu chiamata “dualismo onda-corpuscolo”. Il problema che si poneva alla razionalità umana era di trasformare il dualismo da contrapposizione in sintesi e ciò richiese un cammino arduo che portò nel terzo decennio del secolo a una violenta rottura con il “senso comune” costituita dalla meccanica quantistica.

Quanto fosse sconvolgente questo problema è ben espresso da una conferenza tenuta da Max Planck nell’adunanza plenaria della Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft nel 1919 di cui riporto due passi.

Se io avessi tenuto la mia conferenza 20 anni fa, avrei potuto terminare a questo punto, perché non ci sarebbe stato nient’altro di fondamentalmente nuovo da pensare e dell’imponente quadro descritto ci si sarebbe potuto aspettare un bellissimo effetto conclusivo, a gloria superiore della fisica moderna. Ma probabilmente non avrei tenuto affatto la conferenza, per l’apprensione di potervi offrire con essa troppo poco di nuovo. Oggi le cose stanno in tutt’altro modo perché da allora il quadro si è essenzialmente mutato.

E alla conclusione:

Con le mie esposizioni, Signori, ho cercato di accompagnarvi lontano su di uno stretto sentiero, forse più lontano di quanto a qualcuno possa sembrare consigliabile, verso un fronte estremo della ricerca, fino ad uno dei vari po- sti ove al presente pionieri di ogni nazione gareggiano in incruenta lotta per prendere piede solidamente su un nuovo terreno sconosciuto.21

La chiave del problema sta nella domanda: cosa si vedrebbe nell’esperimento dei due fori di Young se si operasse con un fotone alla volta e si accumulassero i loro arrivi?

20G.Gamow, The great Physicists from Galileo to Einstein, Dover, 1961; trad. it.: Biografia della fisica, Mondadori, Milano, 1961.

21Se si tiene presente che questa conferenza fu tenuta in Germania nel 1919, in questa frase conclusiva si coglie quanto la scienza possa riavvicinare gli uomini al di là delle nazionalità dopo uno sconvolgimento bellico mondiale. La situazione si sarebbe rivissuta venticinque anni dopo.

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Ciò significa operare con intensità luminose bassissime, tali da aversi, tra la sorgente luminosa e lo schermo rivelato- re, un’energia dell’ordine di 10 19J. Esperimenti di questo tipo furono tentati negli anni immediatamente successivi al lavoro di Planck, ma con esito incerto. Oggi sono possibili e il risultato è che ciascun fotone si colloca sullo schermo rivelatore in modo apparentemente casuale, ma il loro accumulo riproduce la figura delle frange dell’interferenza di Young.

Ciò porta alla conclusine che l’interferenza tra le due possibilità costituite dai due possibili cammini concerne il sin- golo fotone ed è una legge probabilistica. L’interferenza tipica dell’ottica ondulatoria è così portata “dentro” al singolo fotone che non segue una legge del moto determinista come un corpuscolo classico, bensì probabilistica. Con Bol- tzmann la probabilità era entrata nella fisica per descrivere statisticamente un insieme di moltissimi corpuscoli, ora essa diviene intrinseca al singolo oggetto, che non si potrà più chiamare corpuscolo.

A cosa allora pensare quando si cerca un’immagine per il fotone, ora che le immagini di onda o di corpuscolo suggeri- te dal senso comune si sono dissolte?

Il problema è assai più vasto di quanto allora Planck potesse supporre. A partire dagli anni ’20 del Novecento si è scoperto che tutti i costituenti della materia a livello atomico (elettroni, atomi, nuclei, molecole) presentano gli stessi fenomeni di interferenza e diffrazione che hanno fondato il modello ondulatorio della luce. Ma allora l’elettone, e con esso ogni costituente della materia a livello microscopico, non può essere immaginato come un corpuscolo della fisica newtoniana. Ma si va ben oltre: gli elettroni, e così tutti i costituenti della materia a livello microscopico, presentano la stessa fenomenologia dei fotoni, nel senso che si rivelano come unità localizzabili: per elettroni è stato effettuato, a par- te varianti puramente tecniche, lo stesso esperimento di Young dei due fori con un elettrone alla volta e si è constatato lo stesso esito: ciascun elettrone si localizza sullo schermo rivelatore in modo apparentemente casuale, ma il loro accu- mulo avviene con una legge precisa, che è quella delle frange di interferenza22. Dunque gli elettroni, e così ogni oggetto su scala atomica, non sono pensabili come piccolissime biglie trattabili secondo la meccanica newtoniana. Ma allora, a cosa pensare quando si parla di un fotone o di qualsiasi costituente la materia a livello atomico?

La risposta può sembrare astratta e ben strana, ma risulta dalla fenomenologia descritta sopra. Un qualunque oggetto a livello atomico è un qualcosa il cui comportamento, quando gli sono aperte varie possibilità (come l’uno o l’altro foro dell’esperimento di Young), risente di tutte queste e dalla loro interferenza risulta la probabilità della sua presenza nei vari punti dello spazio. È un’idea del tutto nuova, sconosciuta al senso comune e quindi non deve stupire la difficoltà di esprimerla disponendo del linguaggio che nel senso comune si è formato23. Essa costituisce la regola fondamentale del- la meccanica quantistica. Non si pretende di dire che la natura sia fatta così: si vuole solo costruire una regola, logica- mente possibile, atta a interpretare i fatti osservati e calcolare previsioni, tali da dominare tutto il mondo su scala atomi- ca e subatomica. Questa idea supera la contrapposizione tra onda e corpuscolo: questa è una contrapposizione tra im- magini del senso comune e scompare con esso.

Einstein, che pur aveva aperto la strada alla meccanica quantistica con l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico, non la accettò mai, non riuscendo ad ammettere che la natura, a livello fondamentale, sia governata da leggi probabilistiche.

Sono famose le sue polemiche con Niels Bohr, uno dei costruttori della meccanica quantistica, avvenute in vari con- gressi tra il 1927 e il 1930, poi riprese con un importante lavoro del 1935 e proseguite per tutta la vita. I suoi interessi di ricerca volgevano altrove. Già due anni dopo il 1905, anno felicissimo in cui produsse i lavori sulla relatività ristretta, sul moto browniano e sull’effetto fotoelettrico, il suo impegno fu rivolto al mistero della meccanica newtoniana consi- stente nella coincidenza tra i valori della massa inerziale e della massa gravitazionale. Egli arrivò a concludere che que- sta coincidenza, lungi dall’essere casuale, è conseguenza di una nuova impostazione della gravitazione che identifica gli effetti osservati in un sistema di riferimento in moto accelerato con quelli osservati in un opportuno campo gravitazio- nale. Questa affermazione è nota come Principio di equivalenza di Einstein. Il suo sviluppo porta ad estendere il princi- pio di relatività dall’ambito ristretto ai sistemi di riferimento inerziali a qualunque sistema di riferimento: è il passaggio dalla relatività ristretta dalla relatività generale. In questa la struttura dello spazio-tempo viene distorta dal carattere eu- clideo a causa della presenza delle masse. Lo spazio-tempo non è più il semplice contenitore dei corpi, come nella rela- tività ristretta, ma sono i corpi a determinarne la struttura, la quale, a sua volta, determina la legge del loro moto.

La geometria euclidea, che il “senso comune” riteneva la geometria dello spazio fisico, perde questa prerogativa e si qualifica come libera costruzione del pensiero matematico al pari delle geometrie non euclidee. Spazio, tempo e massa divengono fisicamente connaturati: anche qui, in un contesto del tutto diverso da quello della meccanica quantistica, il

“senso comune” è infinitamente lontano.

22 Il primo esperimento su elettroni singoli fu effettuato da un gruppo italiano (O.Donati, G.F.Missiroli, G.Pozzi; Am.J.Phys.

14,639,1973) e uno successivo da un gruppo giapponese (A.Tonomura, J.Endo, T.Matsuda, T.Kawasaki, H.Erzwa; Am.J.Phys.

57,117,1989). In quest’ultimo esperimento l’intensità del fascio elettronico era di 1000 elettroni al secondo (ossia una corrente dell’ordine di 10 16A). L’intervallo temporale medio tra gli arrivi sullo schermo di due successivi elettroni, era quindi di un mille- simo di secondo, come se i due elettroni, viaggianti con la velocità dell’ordine di metà di quella della luce, fossero spazialmente se- parati di 1,5 108 10 3m=150 km (distanza tra Torino e Genova). Per questo si poteva ritenere che gli elettroni arrivassero sullo schermo uno alla volta, cioè indipendentemente.

23Sembra di rivivere il disagio di Lucrezio, quando a proposito della sua difficoltà nell’esprimere l’idea atomica diceva “propter ege- statem linguae et rerum novitate” (I,139).

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Mentre fin dai primi anni della costruzione della meccanica quantistica è stata realizzata la sua integrazione con la re- latività ristretta che ha portato a feconde applicazioni nella fisica delle particelle cosiddette elementari, così non è per la relatività generale: i suoi concetti e quelli della meccanica quantistica appaiono profondamente diversi. Problema della fisica teorica di frontiera è la costruzione di una gravità quantistica, che operi la sintesi tra le due teorie, fortemente ri- chiesta dalla cosmologia ove sia la fisica quantistica nei suoi più recenti sviluppi sia la relatività generale costituiscono gli strumenti concettuali fondamentali.

Alcune osservazioni conclusive. Nel corso di questo excursus ho cercato di mostrare come il “senso comune” abbia recato gravi condizionamenti nella costruzione della fisica, ma anche come questa sia riuscita via via a liberarsene. A mio parere lo strumento essenziale di liberazione sta nella capacità di interpretare criticamente i fenomeni della natura:

il paradigma Salviati contro Simplicio pervade tutta la storia della fisica. Ma “Simplicio” spesso sa essere molto abile.

Già nell’ambito della fisica aristotelica egli usa con padronanza la logica. Lo ritroviamo in varie circostanze della fisica, generalmente quando una teoria, dopo essersi consolidata, incorre nel pericolo del dogmatismo. Essa può trasformarsi in un nuovo “senso comune”. Per difendersene è importante aver presente un pensiero di Henri Poincarè24:

Le teorie fisiche sono le ausiliarie indispensabili della scienza, ma sono ausiliarie tiranniche dalle quali bisogna difendersi: colui che subirà il loro dominio senza reagire non sarà mai capace di essere veramente libero. Egli si metterà un paraocchi e non avrà più la possibilità di liberarsi dalle teorie.

Il pensiero di Poincaré, espresso quando la relatività muoveva i primi passi e la meccanica quantistica era a livello embrionale, potrebbe indurre al relativismo che è l’altro nemico della scienza.25 Ma essa è ben consapevole del carattere provvisorio delle proprie teorie. Ciò che si chiede a una teoria fisica è la capacità di descrivere una fenomenologia, di fare previsioni quantitative nonché la coerenza logica dell’insieme delle sue proposizioni. Ciò è del tutto compatibile con il proprio superamento. Può accadere che la teoria presenti problemi insoluti che richiedano un approfondimento da cui può nascere una nuova teoria: è quanto è avvenuto nel passare dalla meccanica galileiano-newtoniana alla relatività generale. Può anche accadere che una teoria porti alla costruzione di tecniche che amplino il dominio dei sensi, consen- tendo l’osservazione di mondi caratterizzati da altri ordini di grandezza: è quanto è avvenuto nel passare dalla fisica classica a quella quantistica. Ma in questi processi si può constatare un’evoluzione intrinseca con un verso ben preciso.

Una nuova teoria nasce con continuità da quella che la precede, nel senso che la contiene come situazione limite; è più generale, nel senso che concerne ambiti più vasti; è più profonda, nel senso che coglie relazioni prima sconosciute; è più astratta, nel senso che è sempre più lontana da immagini fornite dal “senso comune” e supplisce a questa difficoltà con strumenti del formalismo matematico. L’evoluzione della scienza ha dunque una sua dinamica interna, mentre il

“senso comune” è statico.

Un’ultima osservazione: l’evoluzione della scienza appare una continua ricerca da parte della razionalità umana a scoprire la razionalità della natura: come disse Einstein, la cosa più stupefacente è che la natura sia intelligibile. In que- sto, a mio parere, sta il profondo valore umanistico della scienza.26

Non tutti pensano così. La scienza ha molti nemici e non solo negli strati meno colti della società, ove il “senso co- mune” alligna più facilmente27. In particolare il valore umanistico della scienza è sovente ignorato, o misconosciuto, o negato, anche in settori che si qualificano di alta cultura. Valgano due citazioni. La prima, che riferisco con amarezza perché concerne una luminosa figura del liberalismo italiano, è di Benedetto Croce (1866-1952) che purtroppo, per quanto riguarda la valutazione del pensiero scientifico, restò totalmente condizionato dell’idealismo hegeliano influen- zando pesantemente la cultura italiana, nonché l’insegnamento ad ogni livello nella prima metà del Novecento28: Gli uomini di scienza […] sono l’incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all’organismo filosofico-storico.29

La seconda è di Paul K.Feyerabend (1924-1994), annoverato tra i filosofi della scienza contemporanei quale esponen- te del relativismo scientifico:

I successi della scienza sembrano impressionanti solo perché siamo stati condizionati a reputarli importanti, per- ché non sono mai stati confrontati con i successi conseguiti grazie ad altri punti di vista e perché i grandi falli- menti della scienza raramente giungono alle orecchie del vasto pubblico.30

24Citato nell’Introduzione a Scritti di fisica matematica di J.H.Poincaré (a cura di U.Sanzo), UTET, Torino, 1993.

25Non si confonda relatività con relativismo. Nella fisica relatività significa leggi che sussistono per tutta una classe di osservatori (quelli inerziali nella relatività ristretta e qualsiasi osservatore nella generale). Relativismo significa, invece, soggettivismo: pertanto esso è incompatibile con ogni costruzione scientifica in quanto questa pretende valore universale. Relatività e relativismo hanno dun- que, almeno nella fisica, significati opposti.

26Si suggerisce la lettura, (non sempre facile) dell’Autobiografia scientifica di Einstein (contenuta in A.Einstein, Opere scelte, a cura di E.Bellone, Bollati Boringhieri, Torino, 1988) e quella, più facile, dell’autobiografia di Victor Weisskopf, Le gioie della scoperta, Garzanti, Milano, 1992.

27Su questo tema si può vedere il libro, ben documentato e vivacemente polemico, di G.Israel, Chi sono i nemici della scienza?, Lin- dau, Torino, 2008; oltre ai libri di T.Regge e di S.Fuso citati nel riferimento 2.

28È significativa la polemica, nei primi due decenni del Novecento, tra Benedetto Croce e Federigo Enriques, matematico e filosofo della scienza, uno dei promotori della Rivista di scienze che propugnava il ruolo umanistico dell’insegnamento scientifico.

29B.Croce, Il risveglio filosofico e la cultura italiana, Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia.6,1908.

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Alla citazione di Croce contrappongo un pensiero di Poincaré:

La scienza è fatta di dati come una casa di pietre, ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre non sia una casa.

Alla citazione di Feyerabend contrappongo quanto disse Thomas Young nell’introdurre, il 12 novembre 1801, il mo- dello ondulatorio della luce alla seduta della Royal Society:

La scoperta di principi semplici e uniformi, mediante i quali un gran numero di fenomeni apparentemente ete- rogenei siano ridotti a leggi coerenti e universali deve sempre essere riconosciuta di considerevole importanza verso il miglioramento dell’intelletto umano.

In queste parole, tanto umili quanto profonde, ravviso il valore e il significato della ricerca scientifica.

30P.K.Feyerabend, Dialogo sul metodo, Laterza, Roma-Bari, 1993.

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