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1.1. Definizione della formazione...3

1.2. I fini assegnati alla formazione... 7

1.3. I soggetti coinvolti...10

1.4. Discipline alla base del sapere della formazione ...14

1.4.1. Psicologia... 15

1.4.2. Sociologia...17

1.4.3. Organizzazione... 18

1.4.4. Pedagogia ... 19

2. L'organizzazione di piani di formazione aziendale...21

2.1. Diagnosi organizzativa e analisi dei fabbisogni formativi... 22

2.1.1. La diagnosi: caratteristiche e processo diagnostico...23

2.1.2. Metodologia della ricerca... 26

2.1.3. Aspetti critici nell'analisi dei bisogni...29

2.2. Progettazione e attuazione dell'azione formativa...30

2.2.1. Fattori oggettivi di cui tener conto... 31

2.2.2. Esplicitazione degli obiettivi didattici... 33

2.2.3. Progettazione di massima della metodologia...35

2.2.4. Progettazione dei contenuti... 37

2.2.5. Metodologie didattiche...39

2.3. Valutazione dei risultati dell'azione formativa... 46

2.3.1. Complessità e attendibilità della valutazione...47

2.3.2. Modello teorico di riferimento... 49

2.3.3. Parametri nella valutazione... 51

3. Caso studio: la Soc. Coop. A.Fo.Ri.S.Ma...53

3.1. Le attività della società...53

3.2. Gestione e controllo dei corsi di formazione in base alla Procedura PQ05....61

3.2.1. Generalità... 61

3.2.2. Iscrizioni e selezioni... 65

3.2.3. Gestione operativa... 68

3.2.4. Chiusura dell'attività formativa e valutazione... 71

3.3. Il controllo come valutazione dei corsi effettuati...73

3.3.1. Oggetto e parametri della valutazione...74

3.3.2. La qualità erogata e la qualità percepita... 75

3.3.3. Valutazione di conformità, efficienza e innovazione...79

Conclusioni... 81

ALLEGATI... 85

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Introduzione

Questa tesi si pone l'obiettivo di analizzare quelli che sono i corsi di formazione professionale, punto centrale delle ultime politiche sia italiane che dell'Unione Europea, volendo creare un sistema integrato di long-life learning, che garantisca agli individui un'istruzione che non si concluda con quella obbligatoria, ma permetta loro di implementarla anche durante il percorso lavorativo, in qualsiasi Paese europeo essi si trovino, grazie all'unificazione degli insegnamenti e alla medesima qualità dei corsi erogati dalle strutture riconosciute. Le agenzie di formazione professionale nascono quindi per garantire i servizi di long-life learning e, in Italia, procedono secondo quelle che sono le normative emanate a livello regionale. Per garantire standard qualitativi alti, comprabili ai livelli degli altri paesi europei, è necessario per i responsabili, prendere conoscenza di tutte quelle che sono le discipline che, dalla nascita dell'istruzione ad ora, hanno contribuito a formare e migliorare questo processo individuale di crescita che parte dall'età infantile del bambino e continuo, non solo per tutta la durata dell'esperienza lavorativa, ma, in senso più ampio, per tutta la durata della propria vita. È altresì necessario adottare delle procedure similari, che consentano alle varie agenzie formative europee, di agire in maniera univoca, rendendo la progettazione, la somministrazione e la valutazione dei corsi di formazione facilmente riproducibile e analizzabile da un punto di vista teorico.

Per questo, all'interno del secondo capitolo si procederà con un'analisi dettagliata del percorso di progettazione, realizzazione e valutazione dei corsi di formazione, descrivendo le varie fasi e le varie metodologie utilizzate. Le varie fasi verranno analizzate distintamente, richiamando per ciascuna le metodologie maggiormente usate e descrivendone sia i punti di forza che le critiche che spesso vengono mosse ad esse. Questa descrizione risulta fondamentale per comprendere il meticoloso lavoro che sta sotto alla creazione di un corso di formazione che può durare anche solo per poche ore, piuttosto che per un periodo più lungo. Si valuteranno le possibili teorie prese in considerazione dai progettisti e dai formatori per garantire un'ottima riuscita del progetto, che porti alla soddisfazione dei committenti e dei partecipanti. Per la fase della valutazione, che risulta la meno

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teorizzata e quindi la più difficile da analizzare, si dovrà ricorrere all'utilizzo di esempi pratici, per comprendere maggiormente la complessità in cui ci si imbatte giunti a quest'ultima fase della formazione.

Infine, all'interno dell'ultimo capitolo, sulla base di quanto descritto in maniera teorica nei due precedenti, si discuterà del caso studio specifico della Soc. Coop. Aforisma, agenzia formativa con sede a Pisa, individuando quelle che sono le sue competenze specifiche e i vari servizi che offre sia ai privati che alle aziende del territorio pisano, all'interno del quale opera con grandi risultati. Per entrare nello specifico, verrà analizzata la procedura, adottata dal 2011, per le operazioni di gestione e controllo dei corsi di formazione professionale erogati dalla struttura, denominata PQ05, che analizza nel dettaglio le operazioni che il coordinatore del corso deve compiere per mantenere gli standard qualitativi preposti. A partire dalle generalità in base alle quali organizzare i vari documenti, indispensabili per il coordinatore, sia in fase di svolgimento che di monitoraggio e quindi di controllo finale del corso effettuato, la procedura descrive nel dettaglio le varie operazioni da compiere per le iscrizioni dei partecipanti al corso e le eventuali selezioni da effettuare; si occupa della gestione operativa vera e propria una volta avviato il processo formativo, per arrivare alle modalità di chiusura dell'attività formativa e della valutazione della stessa, operazione fondamentale per raggiungere un miglioramento progressivo di corso in corso.

Nell'ultimo paragrafo dell'elaborato, si prenderà quindi in esame, in maniera più dettagliata, la problematica del controllo, intesa come valutazione dei corsi effettuati, in base al modello creato dall'Enaip - “Ente Acli Istruzione Professionale”, seguito dalla Soc. Coop. Aforisma, in quanto agenzia formativa del circuito nazionale Acli. Si procederà con la descrizione di quelli che sono gli oggetti e i parametri della valutazione, analizzando nel dettaglio i vari indici qualitativi e quantitativi individuati dal modello, partendo dalla differenza tra la la Qualità erogata e la Qualità percepita, per analizzare infine gli indici di valutazione di conformità, efficienza e innovazione.

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1. La formazione professionale 1.1. Definizione della formazione

Per formazione si intende quel processo, all'interno del percorso di istruzione e lavorativo, che porta l'individuo interessato ad avvicinarsi a una data professione o all'inserimento nel mondo del lavoro. Per questo tipo particolare di formazione la Costituzione Italiana, in base all'articolo 117, concede autonoma competenza alle Regioni, a differenza dell'istruzione scolastica che risulta essere in mano allo Stato tramite il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.

In Europa, dal 1996, anno della pubblicazione del Libro Bianco di Cresson, comincia a farsi strada il concetto di life long-learning, un processo individuale intenzionale che porta il soggetto interessato all'acquisizione di ruoli e competenze in grado di integrare, modificare o sostituire un apprendimento non più adeguato, in base a quelli che sono i nuovi bisogni sociali e lavorativi, nel campo sia professionale che personale. Il Programma d'azione comunitaria nel campo dell'apprendimento permanente si propone di promuovere, tra gli Stati membri, gli scambi e la mobilità tra i sistemi di istruzione e formazione, in modo che si possa puntare agli stessi livelli di qualità a livello mondiale.

Nel 1997, si attua, durante la Conferenza di Amburgo, la distinzione tra educazione formale, non formale e informale. La prima è quella che avviene nelle istituzioni formali per l'istruzione e la formazione, al termine della quale viene rilasciato un diploma o una qualifica riconosciuta. La non formale comprende invece le attività educative svolte al di fuori del sistema formale e realizzate nell'ambito del luogo di lavoro o di altri gruppi o organizzazioni. Infine, per formazione informale si intende il processo attraverso il quale ogni individuo acquisisce attitudini, valori, abilità e conoscenze dall'esperienza di tutti i giorni e dalle influenze dell'ambiente in cui vive e opera1.

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Con la Conferenza di Lisbona del 2000, gli Stati membri si pongono l'obiettivo di adattare l'istruzione e la formazione ai bisogni dei cittadini durante tutte le fasi della loro vita, per promuovere l'occupazione e l'inclusione sociale.

Dal 2002, all'interno del Processo di Copenaghen, la formazione professionale è venuta ad assumere un ruolo fondamentale anche all'interno delle politiche dell'Unione Europea, che mira a una maggiore cooperazione a livello europeo. Tali politiche in materia di istruzione e formazione professionale consistono nello sviluppare strumenti e quadri europei comuni atti a migliorare la trasparenza, il riconoscimento e la qualità delle competenze e delle qualifiche, nonché a facilitare la mobilità dei lavoratori, che devono essere in grado di acquisire capacità, conoscenze e competenze richieste dall'attuale economia basata principalmente sulla conoscenza2.

La Regione Toscana e, più specificatamente, la provincia di Pisa, considerano la formazione professionale come lo strumento operativo indispensabile per la crescita economica, attuato tramite corsi e percorsi che vanno a rispondere ai bisogni formativi e occupazionali delle realtà imprenditoriali della zona, tenendo sempre conto della domanda formativa dei singoli cittadini appartenenti a tutte le fasce di popolazione. L'offerta formativa della Regione Toscana è molto diversificata e si presenta, in base a quelle che sono le normative comunitarie, in grado di sviluppare 2. Notizia ricavata dal sito internet

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l'apprendimento per tutto l'arco della vita del cittadino, permettendo di acquisire le conoscenze e le competenze a seconda della condizione professionale, del titolo di studio e dell'età3.

Possiamo dare infine una definizione più scientifica di apprendimento, considerandolo come il processo mediante il quale si da origine a un'attività o se ne modifica una già esistente, per rispondere a una certa situazione. Analizzato da un punto di vista genetico, esso rappresenta l'insieme delle conoscenze e delle abilità che l'individuo riesce ad accumulare durante la propria vita; naturalmente, bisogna pensare all'apprendimento come a un processo interattivo, che si realizza attraverso un continuo interscambio con l'ambiente4.

I teorici dell'apprendimento individuano due teorie principali, che sono quella dell'apprendimento automatico e quella dell'apprendimento per insight. Se si prende in considerazione la prima, si parla di un tipo di apprendimento basato sulla ricerca di algoritmi scientifici e quindi, di decisioni precise ricavate dai dati raccolti. Solitamente, questo tipo di apprendimento viene utilizzato nelle macchine, prendendo il nome di intelligenza artificiale.

Il secondo tipo di approccio si basa invece sulla riconfigurazione dello spazio del problema, arrivando a una ristrutturazione concettuale degli elementi disponibili e, quindi, alla risoluzione del problema. Questo si contrappone a sua volta alla teoria comportamentista, che fa derivare l'apprendimento dal susseguirsi di “prove ed errori”, fino a giungere alla giusta soluzione5.

Tutte queste teorie restano comunque astratte e in questa sede resta opportuno chiarire che la formazione di abitudini (apprendimento automatico) e la comprensione (apprendimento per segnali) possono essere considerate come concetti del tutto complementari e che contribuiscono a spiegare le varie caratteristiche dell'apprendimento, arrivando cos' a far nascere teorie miste che racchiudono parti dell'una e dell'altra.

3. Si veda a questo proposito il sito: http://www.provincia.pisa.it/.

4. E.R. Hilgard, Psicologia – Corso introduttivo, Giunti Barbera, Firenze, 1971, p. 292. 5. Ivi, pp. 324-325.

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1.2. I fini assegnati alla formazione

Al giorno d'oggi, vivendo in un mondo fondato sull'economia e, più in particolare su quella della conoscenza, è importante che le aziende capiscano fino in fondo, la vera importanza del far fare formazione alle risorse umane che le compongono. L'errore principale degli imprenditori è quello di considerare la formazione come un punto di arrivo e non come uno strumento, una “palestra di professionalità” dove poter allenare le competenze valoriali e comportamentali dei collaboratori per portare l'azienda a una sorta di eccellenza qualitativa. In una società caratterizzata dalla flessibilità e dall'iper-velocità, come quella in cui ci troviamo, spesso si sente parlare di qualità come caratteristica essenziale affinché un prodotto possa essere reputato migliore di un altro. È importante però comprendere che per poterci essere qualità del prodotto e qualità del servizio e di conseguenza fidelizzazione del cliente, e opportuno avere la qualità delle persone che operano all'interno dell'organizzazione, attraverso un continuo miglioramento delle conoscenze, delle capacità e dei comportamenti. Le direzioni aziendale devono dunque rendersi conto che valorizzare le proprie risorse umane significa in primo luogo investire sul futuro delle proprie aziende. La formazione aziendale deve essere intesa come un mezzo e non come un fine, uno strumento che deve essere compreso e utilizzato nel miglior modo possibile dal management aziendale per far si che, tramite l'eccellenza dei propri impiegati, l'azienda raggiunga quella flessibilità che le permetta un vantaggio competitivo, indispensabile per la sopravvivenza6.

La formazione professionale va ad agire non solo sul sapere, ma anche sul saper fare e sul saper essere; non incidere dunque, solo su ciò che riguarda le conoscenze di base, le procedure e gli aspetti normativi e legali (sapere), indispensabili per svolgere al meglio il proprio lavoro, ma verte anche sulla praticità e la professionalità di ruolo (saper fare), che permette di agire professionalmente all'interno dell'organizzazione, e mira infine a sviluppare tutte quelle che sono le

6. Dispensa di Gestione delle Risorse Umane, Giuseppe Bellandi, 2013. A cura della dott.ssa Nicoletta Quagliarella.

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caratteristiche di ruolo e la capacità di rispondere ai vari problemi con comportamenti adeguati (saper essere)7.

Elencando quindi i fini principali della formazione, possiamo sostenere che essa porta allo sviluppo professionale non solo del singolo individuo, ma anche dell'intera organizzazione nel quale l'individuo opera e del suo rapporto con il mondo esterno. Considerando l'interno dell'azienda, un buon processo di formazione consente un adeguamento alla cultura e alle strategie aziendali che permette di perseguire e realizzare con sforzi minori quelli che sono gli obiettivi dettati dal management. Infine sarà possibile raggiungere quei cambiamenti che porteranno l'azienda a raggiungere un'efficienza tale da rendere migliore la gestione delle risorse, dei mezzi e dei prodotti8.

Una delle principali preoccupazioni all'interno delle moderne aziende è quello del perfezionamento della direzione, per far sì che essa possa andare di pari passo con il progresso tecnico e scientifico che crea continuamente nuovi bisogni che devono essere soddisfatti il prima possibile in modo da non perdere il vantaggio competitivo acquisito nel tempo. La meccanizzazione e l'industrializzazione, così come l'econometria e la sociometria, sono tutte scienze nuove che vengono utilizzate come strumento per mediare il rapporto tra l'individuo e l'ambiente in cui opera. Questo passo in avanti comporta un aumento della somma conoscenze necessarie

7. Ibidem.

8. Aif – Associazione Italiana Formatori, Professione formazione, Milano, FrancoAngeli, 2002, pp. 53-54.

Fini del processo formativo

istruire formare educare

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all'individuo, che spesso è costretto a lavorare in gruppo, proprio per l'alto grado di specializzazione richiesto, che, se venisse raggiunto individualmente avrebbe dei costi molto alti. Alla luce di questo, un buon percorso di formazione deve far raggiungere alcuni elementi fondamentali che sono nuove competenze e informazione, spirito di équipe e di comunità, motivazione e interesse verso la causa aziendale. È indispensabile quindi sostituire ai concetti tradizionali un sistema coerente, capace di regolare la condotta degli individui e dei gruppi e che sia in armonia con gli attuali stili e condizioni di vita9.

La formazione deve quindi essere vista in primo luogo come informazione culturale e sistematica che permette ai membri di una comunità di comprenderla al meglio e di garantire il suo funzionamento e la sua sopravvivenza. È importante che tale formazione segua il ritmo sempre crescente del progresso tecnico, per questo deve essere indirizzata a coloro dai quali dipende il benessere economico, morale e sociale della comunità e cioè, ai dirigenti d'azienda. La società di oggi, che nasce dall'industrializzazione, esige che essi siano il più competente possibile, in modo da poter comprendere il movimento culturale che si va sempre più velocemente delineando, orientandolo verso il miglioramento morale e materiale dei popoli10. Più specificatamente, il dirigente aziendale deve essere in grado di valutare tutte le possibilità tecniche che la scienza di cui si occupa mette in campo, conoscere tutte le condizioni di applicazione e sfruttarle nel migliore dei modi. Al giorno d'oggi, si parla dunque di questa figura come di un policy-maker, cioè di colui che deve innanzitutto formulare degli obiettivi; in questo modo rende la comunità consapevole di quelli che sono i mezzi che deve utilizzare, sapendo interpretare le condizioni che continuamente si trasformano all'intero e all'esterno dell'azienda e a modificando le azioni di conseguenza. Egli sarà il catalizzatore del gruppo e lo doterà di una capacità di autodeterminazione e di auto-rigenerazione, che costituisce la sola garanzia di sopravvivenza e produttività11.

9. Psicologia e Lavoro, Mertens De Vilmar, Natura delle esigenze di formazione, n. 14, 1971. 10. Ibidem.

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1.3. I soggetti coinvolti

Quello che è opportuno considerare quando si tratta di formazione professionale è che essa è un tipo di formazione specifica che prevede il coinvolgimento di persone adulte e consiste quindi non in una comunicazione unidirezionale in cui si ha un soggetto che parla e un'aula che ascolta, ma di una a due vie in cui c'è confronto e sperimentazione, in modo che i contenuti acquisiti durante il processo formativo possano essere immediatamente riportati all'atto pratico. Bisogna quindi considerare che i soggetti coinvolti sono principalmente tre: coloro che vengono sottoposti alla formazione, l'azienda che la commissiona e coloro che erogano il servizio, che possono essere semplici formatori scelti direttamente all'interno dell'azienda o agenzie formative accreditate.

Quest'ultime sono delle strutture deputate alla realizzazione di interventi di formazione e orientamento individuale mediante l'utilizzo di risorse pubbliche. Il processo di accreditamento di tali strutture è stato introdotto per garantire degli standard di qualità nel campo della formazione professionale secondo dei parametri oggettivi che vengono definiti a livello regionale; sarà così possibile effettuare una politica di crescita delle risorse umane nei territori di riferimento, in base a quella che è l'offerta formativa programmata12. Secondo il Decreto n. 166 del 25/05/2001, in base all'accordo Stato-Regioni del 2000, ogni agenzia formativa, per poter essere accreditata, deve essere in regola con la normativa e successivamente risultare in regola alle verifiche periodiche che vengono effettuate dalla Regione: in questo modo che svolge un corso di formazione presso un'agenzia accreditata ha dunque una garanzia sulla qualità del servizio. Gli standard da garantire sono riferiti a:

• capacità gestionali e logistiche; • situazione economica;

• competenze professionali;

• livelli di efficacia e di efficienza nelle attività precedentemente svolte;

• interrelazioni maturate con il sistema sociale e produttivo presente sul

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territorio di riferimento;

• ulteriori criteri previsti dalle singole Regioni13.

L'accreditamento viene solitamente rilasciato per tre macrotipologie formative che sono: l'obbligo formativo (percorsi previsti nel sistema di formazione professionale e nell'esercizio dell'apprendistato), la formazione superiore (formazione post-obbligo formativo, Istruzione Formazione Tecnica Superiore, alta formazione relativa ad interventi all'interno e successivi ai cicli universitari), la formazione continua (destinata a soggetti occupati, in CIG e mobilità, ai disoccupati per cui la formazione è propedeutica all'occupazione, ad apprendisti che abbiano assolto all'obbligo formativo). L'accreditamento può essere ovviamente revocato o sospeso qualora vengano riscontrate dalla Regione difformità o mutamenti dei requisiti e delle condizioni che ne avevano permesso la concessione14.

Nel processo di formazione è fondamentale il ruolo del formatore, responsabile di tale processo, finalizzato a migliorare le conoscenze, le capacità tecniche e le abilità dei partecipanti. Egli può lavorare sia come libero professionista che alle dipendenze di un'azienda o di un'agenzia formativa. La figura del formatore viene paragonata a quella di un docente che opera con l'obiettivo di costruire e consolidare i legami tra mondo della formazione e quello del lavoro. A seconda della richiesta e delle competenze in suo possesso, possono essere affidate al formatore varie mansioni: predispone e realizza l'articolazione dell'offerta didattica e ne valuta i risultati; comprende e interpreta le esigenze del committente, svolge un’analisi dei bisogni formativi dei destinatari e predisporre un progetto formativo coerente con le finalità, i tempi e le risorse disponibili; inoltre, identifica e contatta le persone necessarie per realizzare il progetto, discute e decide con gli esperti i tipi e le modalità degli interventi, i sussidi didattici, gli strumenti di valutazione15. Per questo il formatore deve necessariamente possedere competenze conoscitive in merito all'oggetto-organizzazione e all'oggetto-educazione degli adulti. Deve inoltre possedere capacità operative più specifiche in riferimento all'analisi dei fabbisogni formativi, alla progettazione del percorso da svolgere e alle operazione direttamente

13. Si veda a questo proposito il documento all'indirizzo:

http://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dmlacform.pdf. 14. Vedi sito: http://www.guidaformazione.com/.

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connesse con la realizzazione di progetti educativi: con questo, oltre alla capacità di guida e presidio dell'apprendimento degli adulti, si intendono anche le capacità sociali, la sensibilità emotiva, l'impegno e la sensibilità pedagogica che permette di capire, sentire ed essere consapevoli di tutto ciò che costituisce un evento potenziale nel processo di apprendimento, in modo da intervenire in maniera equilibrata e bilanciata16.

Gli ambiti di attività del formatore sono: la formazione iniziale, che realizza iniziative rivolte ai giovani in uscita dalla scuola dell'obbligo o destinatari di porgetti all'interno del curriculum della scuola secondaria superiore; la formazione superiore, che si rivolge ai diplomati, laureati o possessori di titoli equipollenti; la formazione continua, effettuata per la riqualificazione dei lavoratori o per prevenire la loro possibile espulsione dal mercato del lavoro17.

È ovvio che non può esserci formazione senza coloro che vengono formati. I soggetti destinatari di tali percorsi possono essere delle tipologie più svariate, a seconda del tipo di formazione che si prende in considerazione. All'interno dell'azienda, per esempio, possono essere sottoposti a processi formativi tutte le varie professionalità presenti, sia per implementare, modificare e aggiornare quelle che sono le proprie conoscenze, sia per prendere parte a formazioni obbligatorie sulla sicurezza sul lavoro, norme di primo soccorso e antincendio, che sono solitamente le più comuni e diffuse in tutte le realtà aziendali.

Come osservato anche nel paragrafo precedente, le professionalità che al giorno d'oggi vengono formate più frequentemente risultano essere quelle manageriali. Tutto questo avviene dal momento che la formazione manageriale viene vista dagli operatori economici come uno dei nuovi modi per stabilire rapporti con la cultura, con il bisogno cioè di conoscere dati reali e di saperli interpretare. Il management si troverà così a intraprendere studi sempre più attenti e realistici sulla dinamica economica in cui la propria azienda opera, sulla razionalizzazione culturale delle strategie e sull'analisi della dinamica dell'azienda in base a tali nuove strategie. Ovviamente a tale formazione va affidata una funzione di tipo professionale, richiedendo quindi come pubblico un gruppo di persone che abbiano già avuto delle esperienze lavorative; essa infatti va ad ampliare, integrare e valorizzare tali 16. Aif – Associazione Italiana Formatori, Professione formazione, op. cit., pp. 349-351.

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esperienze, donando al manager le giuste capacità per migliorare il funzionamento dell'organismo azienda. Si può inoltre individuare come obiettivo quello di sviluppare il potenziale di relazione sociale e di leadership del soggetto interessato: un buon manager è infatti costantemente investito da molte responsabilità che può assolvere solamente attraverso la direzione dei comportamenti che egli si trova a dover coordinare. È proprio attraverso la formazione manageriale che vengono forniti gli strumenti tecnici necessari per migliorare le abilità di mestiere e per aggiornare i bagagli di conoscenze di tali professionalità. In conclusione, la

formazione manageriale è una strada da percorrere senza indugi perché legata ad un trend di evoluzione economico-imprenditoriale che non ammette alternative18.

All'interno delle aziende possiamo però trovare anche la figura dell'apprendista che, secondo la legge, sta compiendo il cosiddetto percorso di apprendistato, che consiste in un contratto di lavoro a contenuto formativo, finalizzato all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, dando loro la possibilità di acquisire le competenze per svolgere un mestiere o una professionalità specifica. Si parla di “contratto formativo” dal momento che esso prevede l'alternanza di lavoro in azienda a momenti di formazione, che possono essere svolti direttamente all'interno di essa, o in strutture formative specializzate. Questa specifica modalità di contratto dà all'azienda la possibilità di assumere e formare nuove professionalità a un costo del lavoro estremamente vantaggioso; da parte sua, il datore di lavoro si assume l'obbligo di garantire un'adeguata formazione all'apprendista e di retribuirlo giustamente per il lavoro svolto durante tale periodo. Secondo il Decreto legislativo 167 del 2011, che disciplina i contratti di apprendistato, esso può essere suddiviso in tre categorie: apprendistato per qualifica e diploma professionale; professionalizzante o con contratto di mestiere; di alta formazione e ricerca. Il primo si rivolge ai giovani dai 15 ai 25 anni, dandogli la possibilità di assolvere il diritto-dovere di istruzione e formazione. La durata di questa tipologia può variare dai tre ai quattro anni, in base al tipo di qualifica o diploma da conseguire. L'apprendistato professionalizzante o con contratto di mestieri coinvolge i giovani dai 18 ai 29 anni, consentendo loro di acquisire una qualificazione professionale prevista dai contratti collettivi di lavoro e di maturare competenze di base, trasversali e tecnico-professionali; anch'esso può 18. Umberto Agnelli, relazione presentata al convegno nazionale Asfor “Sviluppo della società

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avere una durata variabile in ragione dell'età e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire, di norma non può però durare più di tre anni, ampliati a cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell'artigiano. L'ultimo di alta formazione e ricerca è indirizzato alla stessa fascia di età del precedente, ma ha diverse finalità, tra le quali quella di permettere l'inserimento in una data azienda e contemporaneamente il conseguimento di un titolo di studio che può essere il diploma di scuola superiore, una specializzazione tecnica superiore, un titolo universitario o di alta formazione. Quest'ultima tipologia permette inoltre di svolgere attività di ricerca presso aziende private e di svolgere il praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche19.

Esistono inoltre corsi di formazione indirizzati a cittadini disoccupati e inoccupati con lo scopo di fornirgli competenze specifiche adatte per l'inserimento di questi nel mercato del lavoro. Spesso sono tali corsi di formazione che vengono affidati alle agenzie formative e che a volte possono essere finanziate dalla Regione di riferimento. Peculiari sono per esempio i percorsi di inserimento lavorativo rivolto alle persone disabili. Nella provincia di Pisa è stato istituito il Servizio Lavoro e Sociale, che gestisce una serie di attività di carattere formativo con l'obiettivo specifico di promuovere e incrementare l'acquisizione di competenze, indispensabili per inserire tali figure all'interno del mondo del lavoro, limitando quelle che sono le difficoltà nelle quali tali classi svantaggiate possono incorrere. La stessa provincia si occupa anche di bandi per l'erogazione di corsi di formazione gratuiti per altri soggetti svantaggiati, come ad esempio le donne, i migranti e i disoccupati a basso reddito, tutto ciò per sviluppare politiche del lavoro che dia impulso all'imprenditorialità e alla competitività, promuovendo politiche e servizi per gestire il cambiamento che avverrà a seguito di tali occupazioni “problematiche”20.

1.4. Discipline alla base del sapere della formazione

Risulta difficile individuare i punti di riferimento primari da cui ogni

19. Sito internet: http://www.nuovoapprendistato.gov.it/. 20. Vedi sito: http://www.provincia.pisa.it/.

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formatore prende avvio per sviluppare la propria professione. Ognuno di essi infatti prende spunto da quelle che sono le caratteristiche principali del proprio percorso culturale, formativo e della propria esperienza professionale, traendone i modelli teorici che lo ispirano, i modelli di comportamento e la strumentazione diagnostica e operativa.

Tuttavia, è innegabile ammettere che il peso di alcuni filoni disciplinari si fa sentire maggiormente; questi sono, in primo luogo, la psicologia, la sociologia, la teoria dell'organizzazione e la pedagogia. Esse costituiscono il retroterra che sovviene alla progettazione dei corsi, nel gestire l'aula e nel rispondere a quelle che possono presentarsi come problematiche da risolvere21.

Precisato ciò, è opportuno analizzare più nello specifico tali discipline, in modo da avere un quadro più completo di questo bagaglio di interconnessioni della figura del formatore.

1.4.1. Psicologia

Gli elementi che da sempre sono ritenuti fondamentali dalla maggior parte dei formatori sono la conoscenza e la comprensione dei comportamenti individuali, nel loro svolgersi e nelle loro cause, focalizzandosi in primo luogo sulla pragmatica e l'importanza della comunicazione. È importante sottolineare come negli studi psicologici si sia da sempre sottolineato il fatto che la comunicazione tra gli individui non si esaurisce nella produzione verbale, ma che tutti i comportamenti siano identificabili come tale, risultando quindi impossibile non comunicare.

La comunicazione si basa su regole che, per il linguaggio verbale, si basano ad esempio sulla grammatica e la sintassi; esse non sono però sempre formalizzate, ma si tratta spesso dell'acquisizione di una struttura o di un codice del tutto astratto, interiorizzato dall'individuo in maniera inconscia22.

Tutto questo avviene grazie a quelli che vengo definiti i rapporti sociali ed è per questo che i formatori, per comprendere meglio tali processi, si sono approcciati a una sotto-disciplina della psicologia: la psicosociologia. La domanda che viene

21. Aif – Associazione Italiana Formatori, Professione formazione, op. cit., p. 87.

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fatta più spesso in questa branca è che cosa sia il sociale. Inizialmente si pensava a esso come il mezzo che il singolo adottava per ottenere risultati che solitariamente non poteva ottenere. Oggi si parla di sociale il riferimento all'ampio mondo dei rapporti interumani, in tutte le loro sfaccettature; secondo questo pensiero, l'uomo inventa la società e, di conseguenza, la cultura per potersi esprimere al meglio, non lasciando quest'ultima a una concezione solamente oggettiva23. Il comportamento di individui che si trovano coinvolti in un rapporto di interazione viene analizzato sulla base di tre sistemi: quello della personalità, che tiene conto delle caratteristiche individuali come i bisogni, gli atteggiamenti e le particolarità così come dei processi di apprendimento e di quelli percettivi; il sistema sociale, basato sui rapporti tra gli individui e la posizione che essi ricoprono all'interno di tali rapporti; il sistema culturale, che comprende le credenze e i valori che i membri di una data società attribuiscono alle varie attività alle quali vengono sottoposti. La psicologia sociale si occupa dunque dell'azione reciproca tra le personalità, il sistema sociale e, in maniera minore, la cultura del gruppo sociale di riferimento24. Tutto questo è molto interessante e stimolante per coloro che si occupano di formazione, visto che l'attenzione non può che focalizzarsi sul gruppo e su come gli individui reagiscono all'interno di questo. Per gruppo si intende una pluralità di individui che si trovano in contatto reciproco, tenendo conto gli uni degli altri e avendo coscienza di avere in comune qualcosa di importante. Il gruppo può essere sostanzialmente di due tipi: primario, se si tratta di un legame personale, ricco di calore e intimità; secondario, quando i rapporti fra i membri sono freddi, impersonali e razionali e gli individui non vi partecipano con la propria personalità, ma con una veste specifica e limitata, solamente per raggiungere altri fini25.

Quello che si viene a creare attraverso la formazione, è sicuramente un gruppo secondario, individuato più comunemente in un'organizzazione. Per questo motivo i formatori hanno bisogno di far riferimento a un'altra branca specifica della psicologia: quella del lavoro e dell'organizzazione. Tale disciplina utilizza nei suoi studi un metodo dualistico psico/sociologico, attribuendo analoga validità sia alla dimensione soggettiva e psicologica, sia a quella oggettiva e sociologica. Il problema

23. Enzo Spaltro, Pluralità, Patron, Bologna, 1985, pp.87-88.

24. P.F. Secord e C.W. Backman, Psicologia sociale, Il Mulino, Bologna, 1971, pp. 12-14. 25. M.S. Olmsted, I gruppi sociali elementari, Il Mulino, Bologna, 1963, pp. 10-11, 14, 45-46.

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è che quando si tratta di organizzazioni si tende a far prevalere il carattere obiettivistico, tralasciando o addirittura rifiutando la dimensione soggettiva; è dunque in questa direzione che si concentrano gli sforzi maggiori per ricercare metodologie pratiche utili a giungere a nuovi risultati nel settore26.

1.4.2. Sociologia

Altra disciplina fondamentale nel delineare quelle all'interno delle quali si trovano a operare i formatori professionali, è sicuramente la sociologia. Una delimitazione del suo oggetto di studio risulta essere particolarmente complicato, dal momento che molto dipende dal quadro nazionale in cui ci ritroviamo a operare. In Italia vengono considerati fondamentali gli studi di Vilfredo Pareto e di Gaetano Mosca, così come in Francia ci si dedica con passione al pensiero di Emile Durkheim e di Auguste Comte. La sociologia viene dunque vista come una scienza dell'osservazione che porta all'interpretazione critica di qualsiasi raggruppamento umano, mirando a comprendere i vari rapporti interdividuali studiati nella loro ripetibilità, uniformità e prevedibilità27. Secondo la maggior parte dei sociologi, le forme di sociale si svolgono maggiormente nell'ambito istituzionale e all'interno della vita quotidiana degli individui, grazie ai rapporti che intercorrono tra di essi, la stabilità istituzionale può incorrere in un momento di cambiamento e proprio il processo di trasformazione è quello che interessa studiare ai formatori, che si trovano coinvolti in momento di cambiamenti organizzativi, strutturali e culturali28.

Volendo parlare in maniera più specifica di tali tematiche di studio, occorre prendere in considerazione, così come è stato fatto precedentemente per la psicologia, una braca specifica dell sociologia: la sociologia del lavoro e dell'organizzazione. Chiamato più comunemente sociologia dell'azienda, questo ramo si occupa dei rapporti sociali esistenti tra i vari lavoratori all'interno sia dei gruppi formali che di quelli informali. Il formatore che si trova a dover operare all'interno di un'azienda, deve quindi vedere l'organizzazione come un sistema che

26. M. Bruscaglione e E. Spaltro, La psicologia organizzativa, Angeli, Milano, 1982, pp. 449-450. 27. F. Ferrarotti, Manuale di sociologia, Laterza, Bari, 1986, pp.18-20.

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viene a sua volta composto da vari sottosistemi in continua correlazione con il macrosistema di cui tale azienda prende parte.

Questa sotto-disciplina nasce con la nascita del sistema industriale e si caratterizza per alcuni principali punti distintivi. Nell'esame dell'impresa vengono infatti presi in considerazione tre fenomeni strutturali che sono: la divisione del lavoro, quella della ricchezza e quella del potere. Tutto ciò rende la visione aziendale come un insieme di imperativi categorici all'interno del sistema socio-politico di riferimento e la branca prende il nome di sociologia “strutturale” dell'azienda.

È tuttavia importante prendere in considerazione l'opinione di un altro sottogenere, quella cioè della sociologia “manageriale”. Nata con Taylor alla fine dell'Ottocento, interpreta per la prima volta l'azienda come un tutt'uno in cui i pezzi meccanici, gli impianti, e i pezzi umani, i lavoratori, sono collocati al giusto posto secondo un piano prefissato da scienziati dell'organizzazione secondo quelli che sono gli scopi dell'intero sistema. L'obiettivo di questa sotto-disciplina è quello di facilitare l'esercizio del potere tramite supporti organizzativi che vanno a ridurre quelle che sono le distorsioni che si possono venir a creare nella comunicazione degli ordini e nella resistenza alle direttive. Questo viene reso possibile dall'equilibrio sociale e l'assenza di conflitti e porta al raggiungimento di efficienza e produttività che fanno di un'azienda una macchina per il successo29.

Il bravo formatore, grazie a tali nozioni di sociologia, deve essere in grado di cogliere le varie sfumature culturali all'interno dell'azienda in cui si trova coinvolto e cercare di progettare la formazione che più si addice al caso.

1.4.3. Organizzazione

Negli studi per la progettazione dell'organizzazione, ci imbattiamo in un filone che analizza la relazione fra la strategia dell'organizzazione e le strutture e le metodologie che appaiono più adatte per realizzarla, e in un secondo che analizza il modo in cui il lavoro viene organizzato, in un livello più “micro”. In un quadro di riferimento a largo raggio, il primo filone risulta sicuramente più contiguo al campo

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della formazione.

Quando un'azienda decide di modificare la propria pianificazione e gestione dello sviluppo, ha bisogno della definizione di nuovi obiettivi di fondo. Diventa quindi opportuno stabilire nuovi criteri d'azione e ridistribuire le risorse per conseguire tali nuovi risultati, andando ad agire sulla struttura aziendale. Per struttura si intende lo schema di organizzazione attraverso il quale l'impresa viene amministrata, che si riferisce cioè alla modalità di comunicazione delle informazioni che garantisce un'efficace attività di coordinamento per raggiungere gli obiettivi prestabiliti e concentrare tutte le risorse dell'impresa, in primis le capacità tecniche e amministrative del personale30. Un'organizzazione deve però essere trattata come un sistema biologico, caratterizzato da stretta interdipendenza delle parti che lo compongono, ciò sta a significare che un cambiamento in una di esse porta a delle conseguenze sulle altre.

Da qui si sviluppano due concetti fondamentali: differenziazione e integrazione. Con il primo si intendono le caratteristiche interne che ciascun gruppo deve sviluppare per raggiungere i fini aziendali, in relazione con l'ambiente esterno di riferimento. Con il secondo si fa invece riferimento al rapporto che deve intercorrere tra le varie unità organizzative. I due concetti risultano essere inversamente proporzionali: quando le unità sono altamente differenziate, sarà più difficile raggiungere un alto gradi di integrazione tra di esse. Se vi è dunque la necessità di avere gruppi differenziati a causa delle loro specifiche funzioni, ma anche un alto livello di integrazione, si deve procedere mettendo a punto meccanismi di integrazione più complessi, in modo da smussare il divario31.

1.4.4. Pedagogia

Risulta infine evidente che la disciplina più importante per un formatore è la pedagogia, da cui egli trae spunti sul modo in cui porsi in aula e sui metodi didattici da adottare.

30. A. Chandler, Strategia e struttura: storia della grande impresa americana, Angeli, Milano, 1976. 31. P.R. Lawrence, J.W. Lorsch, Diagnosi dello sviluppo delle organizzazioni, Etas Kompass, Milano, 1973, pp. 9, 12-13.

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L'educazione tende ad avere nell'individuo un duplice compito: trasmette la cultura, i valori e il sapere di una data comunità, formando una coscienza e uno stile di vita comune, ma al tempo stesso sviluppa i processi intellettivi, rendendo l'individuo in grado di crearsi una propria cultura personale, andando ad implementare quella della comunità. Ovviamente l'educazione è migliore se effettuata da un bravo formatore che incentivi e stimoli l'apprendimento, rispettoso del processo costruttivo di libertà dell'allievo. Le funzioni del formatore risultano essere molteplici e difficilmente inquadrabili in un mero elenco; basterà sottolineare il fatto che il compito principale è quello di guidare l'apprendimento degli alunni, facendosi mediatore della cultura e ponte di collegamento con la comunità32.

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2. L'organizzazione di piani di formazione aziendale

Ogni attività formativa viene rappresentata da un percorso articolato che può essere letto tappa per tappa in tutte le sue parti, sia nella sua logica processuale che nel suo insieme. Esso può essere suddiviso in quattro parti ordinate sia in maniera cronologica che logica, omogenee al loro interno così come per i sub-obiettivi che si prefiggono e per gli attori che ne sono coinvolti.

La prima tappa è cronologicamente rappresentata dall'analisi dei bisogni formativi, che consiste nel definire, nel modo più specifico possibile, il risultato che l'azienda si prefigge di raggiungere con l'azione formativa. Durante questa prima fase vengono coinvolti i committenti, ovvero chi finanzia e promuove la formazione, i formatori, coloro che erogheranno il servizio, e infine i possibili partecipanti, che saranno esposti all'azione formativa. Essi possono essere coinvolti secondo vari livelli, ma resta indispensabile che le istanze che emergeranno da questa interazione vengano in egual modo prese in considerazione nella definizione dei bisogni formativi.

La seconda tappa viene individuata nell'attività di progettazione formativa, che ha l'obiettivo di prefigurare, anticipatamente rispetto alla realtà, il modello di intervento formativo che si adatta maggiormente alla risoluzione delle necessità che sono emerse dall'analisi dei fabbisogni (prima tappa). In questa fase, oltre agli aspetti strettamente pedagogici e didattici, vengono programmati anche quelli organizzativi e logistici, vedendo quindi coinvolti i formatori e i responsabili dell'organizzazione.

La terza tappa comprende il momento attuativo vero e proprio della formazione ed è la traduzione pratica del progetto formativo, con l'adozione di differenti metodologie per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. I soggetti coinvolti saranno quindi i formatori e i partecipanti.

La quarta e ultima tappa è rappresentata dalla valutazione dei risultati, che consiste nel validare o verificare con opportuni strumenti quello che è stato il livello di apprendimento raggiunto e, successivamente valutare se esso viene realmente utilizzato durante la normale attività organizzativa. Questa fase viene esplicitata

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tramite verifiche di apprendimento e di trasferimento delle conoscenze e vengono coinvolti gli stessi soggetti della prima tappa, ovvero i committenti, i formatori e i partecipanti.

Dall'analisi delle quattro è chiaramente visibile come la fase dell'analisi dei bisogni e quella della verifica rappresentino i momenti più politico-organizzativi, mentre la fase della progettazione e quella dell'attuazione siano le più tecnico-professionali dell'intero processo33.

È opportuno in questa sede analizzare le tappe più nello specifico, raggruppando, per questioni pratiche, la seconda e la terza, dal momento che in entrambe è necessario svolgere un'analisi delle metodologie didattiche che sono solite essere utilizzate dai formatori.

2.1. Diagnosi organizzativa e analisi dei fabbisogni formativi

In questo capitolo verrano descritti il significato, le necessità e alcune modalità della fase preparatoria del processo formativo. In un corso per adulti, non è possibile agire ugualmente al campo dell'educazione tradizionale, ma è opportuno effettuare un'analisi dei fabbisogni dei soggetti che prenderanno parte al processo di apprendimento. Vi è infatti la necessità di comprendere se l'intervento formativo è da considerarsi opportuno, quali sono le reali capacità di sviluppo dell'organizzazione, quali sono i ruoli che devono essere coinvolti nel processo e i fabbisogni formativi

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percepiti e necessari.

Essa può essere considerata sia una fase propedeutica alla realizzazione vera a propria del corso, sia come una vera fase formativa, dal momento che l'azienda o le personalità coinvolte prendono coscienza di quelle che sono le proprie carenze e i propri punti deboli su quali andare ad agire.

2.1.1. La diagnosi: caratteristiche e processo diagnostico

I punti di partenza in un programma di formazione risultano essere fondamentali nell'impostazione di essa, per questo occorre partire dal presupposto che ogni proposta deve prendere in considerazione l'origine della domanda di formazione e la coerenza con il sistema organizzativo in cui si agisce.

La formazione presuppone quindi una diagnosi di quelle che sono le cause e le ragioni che la rendono indispensabile. Essa può essere una ricerca molto semplice, come per esempio individuare le conoscenze necessarie allo svolgimento di un determinato ruolo e implementarle qualora risultassero insufficienti. La diagnosi può però risultare a volte molto più complessa, soprattutto man mano che ci si muove lungo varie dimensioni. Ad esempio può essere problematica quando l'apprendimento che si vuole facilitare non riguarda solamente la dimensione cognitiva, quindi l'implementazione di conoscenze tecniche e operative, ma anche quella affettivo-emotiva, coinvolgendo i modi e gli atteggiamenti per affrontare i problemi e il lavoro e i comportamenti interpersonali. Altre difficoltà vengono incontrate quando si interviene su un insieme di ruoli diversi per livello, compiti, responsabilità e funzioni, ma che sono tra loro connessi e interdipendenti; in questo caso diventa indispensabile analizzare e comprendere il ruolo globale del sistema organizzativo, i suoi obiettivi, il modo di funzionare e le interazioni al suo interno34. Detto questo, è facilmente comprensibile che la diagnosi non è uno strumento finalizzato a un cambiamento organizzativo, ma a consentire di comprendere il sistema di riferimento in cui l'intervento formativo si sviluppa.

Questo processo origina e giustifica l'intera azione formativa, arrivando a

34. G. Goeta, Appunti sulla formazione, 1976, in Aif – Associazione Italiana Formatori, Professione

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stimolare la capacità di soluzione dei problemi del cliente attraverso l'aumento della consapevolezza dei soggetti organizzativi. Per raggiungere tali obiettivi è necessario costituire opportune premesse di intervento che si concretizzano in una diagnosi accurata, credibile e approvata da parte del committente. Quest'ultimo si presenta dal formatore con un bisogno generico, una carenza rispetto a un problema organizzativo, ma anche con una vaga sensazione dell'esistenza di una soluzione. L'esperto di formazione dovrà essere in grado di fare leva sul secondo elemento per poter gestire il primo nel migliore dei modi, tenendo presente l'obiettivo della formazione di potenziare i soggetti presenti nell'organizzazione e non di sostituirsi ad essi35.

Il lavoro di diagnosi si può suddividere in tre fasi principali. La prima parte viene individuata nel rapporto con la committenza; il formatore deve accettare la diagnosi precaria e parziale del committente. Egli ha una sua ipotesi che le serve principalmente da rassicurazione ed è compito dell'esperto fargli capire che ad essa occorre aggiungere altri tasselli attraverso un quadro di riferimento metodologico e concettuale più ampio. Vi dovrà poi essere relazione tra la diagnosi implicita del committente e il campo d'indagine dalla quale parte la valutazione del formatore, per evitare che il primo provi un senso di svalorizzazione delle proprie capacità, mentre il secondo decida di interrompere il lavoro di analisi, così come la formazione, oppure che entrambi si distacchino dal lavoro formativo compromettendo le possibilità di evoluzione a cui dovrebbe portare.

Durante questa prima fase, il formatore può incorrere in errori accidentali, che potrebbero pregiudicare l'intero esito della diagnosi, portando poi a una progettazione errata della formazione. Per esempio non potrebbe essere presa in considerazione l'analisi parziale del committente e il formatore potrebbe agire solamente facendo leva sulla propria esperienza e sul proprio intuito. Questo porterebbe a una personalizzazione del lavoro, ponendo l'enfasi su di sé e sul proprio carisma e venendo meno all'obiettivo di aiutare il cliente. Si crea dunque la necessità di un terzo elemento che si interponga tra committente e formatore che aiuti entrambi a passare da una diagnosi soggettiva a una più articolata e plurale: il metodo. Con questo tramite si dovrà riuscire a far comprendere al committente che i suoi obiettivi

35. L. Volpe, Paper per seminario di formazione formatori, 1982, in Aif – Associazione Italiana Formatori, Professione formazione, op. cit., pp. 160-166.

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possono essere modificati e raggiunti; solo avvenuto questo passaggio di presa di coscienza, si può ritenere conclusa la prima fase per passare alla seconda.

Il processo diagnostico procede con il coinvolgimento degli utenti ai quali è opportuno rilevare i loro problemi professionali e confrontarli con quella che è stata la diagnosi fatta con la committenza. Questa fase risulta essere molto delicata, poiché bisogna ricorrere ad un alto livello di comprensione cercando di prendere in considerazione in maniera ottimale le posizioni e le opinioni di tutti anche se differenti e non necessariamente condivise. Per raccogliere nel miglior modo i pensieri di tutti i soggetti considerati, si agisce spesso tramite tecniche di gruppo, che consentono di rilevare i punti contraddittori e quelli in comune; è altresì opportuno alternarle con incontri individuali, creando delle tecniche promiscue che permettano di raccogliere dati e informazioni nel modo più completo possibile.

Una volta raccolte le opinioni sia della committenza che della futura utenza, il formatore può passare alla terza e ultima fase diagnostica che prevede la creazione di un'ipotesi provvisoria che prenda in considerazione sia le opinioni concordanti che quelle divergenti e all'interno della quale tutti possano trovare una risposta ai loro problemi formativi. Tale diagnosi deve avere come caratteristica principale quella dell'accettabilità, per poter essere portatrice di un intervento formativo adeguato. Per fare ciò occorre trovare quelle parti di comprensione del sistema che siano condivisibili dal “sistema cliente”, poiché solo il consenso può portare all'abilitazione della formazione. A questo punto appare indispensabile il coinvolgimento degli specialisti disciplinari che integrano la diagnosi con la tecnica richiesta, cercando comunque di lasciarla chiara e comprensibile al committente.

L'obiettivo finale della diagnosi è dunque quello di portare committenza e utenza verso un graduale riconoscimento dei problemi che stanno vivendo, renderli consapevoli della loro possibile crescita per arrivare a una logica di progettualità per il futuro secondo l'intervento formativo da realizzarsi36.

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2.1.2. Metodologia della ricerca

Una volta definiti i soggetti e le motivazioni dell'analisi dei bisogni, è opportuno individuare i metodi utilizzabili. Si parte dunque con l'analizzare le tre metodologie privilegiate di ricerca: l'osservazione diretta, l'intervista e il questionario. Ciascuna si differenzia dalle altre per il modo in cui vengo raccolti i dati ed effettuata l'interrogazione del soggetto coinvolto e per la capacità di una piuttosto che dell'altra, di giungere a un determinato livello di profondità nello studio di un dato fenomeno. Per individuare la metodologia opportuna è importante tenere in considerazione queste differenze.

Il primo metodo dell'osservazione comporta complessi problemi operativi. Esso infatti porta a una modificazione dei comportamenti dei soggetti osservati che vivono spesso momenti di ansia rispetto a quanto colui che osserva può scoprire, rispetto a quanto si cerca invece di tenere il più possibile nascosto. Si riscontrano problemi anche all'inverso, dal momento che l'osservatore inizierà il suo lavoro con una certa ansia per quello che potrebbe scoprire in riferimento a ciò che si sta invece aspettando. Tutto ciò prende il nome di “effetto Hawthorne37”.

A queste prime considerazioni vanno aggiunte le difficoltà di quelle che vengono considerate le implicazioni soggettive dell'intera organizzazione, entro cui il processo di osservazione ha luogo. È opportuno quindi, per il ricercatore, tenere conto delle inevitabili distorsioni che si verificherebbero sui dati raccolti, finendo col considerare questa metodologia come una buona scelta solamente in casi rarissimi.

Anche la metodologia del questionario è giusto analizzarla tenendo bene in considerazione i punti critici. Uno di questi è, senza dubbio, l'eccessiva distanza che esso interpone tra il ricercatore e l'oggetto d'indagine. Se è vero che da una parte questo permette di controllare le ansie che entrano in gioco nelle relazioni dirette, dall'altra, questa metodologia, consente di ottenere solamente dei dati superficiali, generali e generici, rispetto all'oggetto d'indagine. Questo accade perché i dati che si ricavano sono in larga misura precodificati in funzione dello schema adottato per la formulazione dell'insieme delle domande che compongono il questionario e, inoltre,

37. Effetto Hawthorne: insieme delle variazioni di un fenomeno o di un comportamento che si verificano per effetto della presenza di osservatori, ma che non durano nel tempo.

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perché risulta quasi del tutto impossibile operare un rigoroso controllo sull'attendibilità e sulla validità dei dati raccolti nella fase precedente alla sottoposizione del questionario o durante la fase stessa di risposta al questionario, dal momento che è impossibile evitare distorsioni operate dai soggetti dell'indagine. I questionari inoltre non possono essere troppo lunghi e ricchi di domande, ma occorre che siano strutturati in maniera semplice e con un numero accettabile di quesiti, che fa sì che esso arrivi a essere molto standardizzato e con una maggiore possibilità di successo se comunque preceduto da un'intervista aperta con un campione minimo di potenziali interlocutori, per poter poi formulare un questionario composto da domande più precise.

Il ricorso a questa metodologia, in conclusione, si presenta connesso a problemi inerenti soprattutto alla chiarezza e completezza dello schema concettuale di riferimento, a partire dall'oggetto dell'indagine per arrivare alla precisione e coerenza interna con cui si opera nell'elaborazione delle singole domande.

Il ricorso all'intervista risulta perciò il più privilegiato rispetto agli altri poiché implica un'esplicita collaborazione tra il ricercatore e l'interlocutore dell'indagine, giungendo a una situazione relazionale di interrogazione diretta e dialogo. Tramite questa metodologia è possibile raccogliere un numero ampio di dati che possono essere successivamente tutti approfonditi in modo differenziato a seconda dello specifico interlocutore. Nonostante anche in questo caso ci siano problemi legati all'ansia della scoperta, come nell'osservazione, e anche all'avere uno schema di riferimento chiaro e completo, così come nel questionario, il tutto viene mitigato dal fatto che è possibile controllare i singoli contenuti del processo di scoperta, nel momento stesso in cui esso a luogo e con la concreta partecipazione degli interlocutori.

Al di là di tutte queste considerazioni, negative e positive, sulle possibili metodologie da utilizzare, sono molte altre le variabili da considerare quando si deve scegliere quale utilizzare, per giungere a risultati soddisfacenti e che possano essere utilizzate al meglio nelle successive fasi dell'azione formativa38.

Si tratta in ogni caso, per il ricercatore, di predisporre una lista di interrogazione tramite la quale poter raccogliere i dati che si ritengono indispensabili per proseguire

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nell'attività di formazione. Tale interrogazione rimarrà silenziosa e implicita nel caso dell'osservazione, silenziosa ma esplicita nel caso del questionario e manifesta ed esplicita nel caso dell'intervista.

Si tratta quindi di predisporre un impianto di indagine finalizzato alla raccolta di tre tipi differenti di dati:

• dati generali sull'organizzazione, tramite i quali sarà possibile ricavare una descrizione dettagliata dei vari aspetti della realtà organizzativa bisognosa di formazione, il suo disegno strutturale, l'articolazione dei compiti e degli obiettivi e i mezzi utilizzati per il loro raggiungimento;

• dati sul personale, che forniscono una descrizione sulle caratteristiche oggettive possedute dal personale che opera all'interno dell'organizzazione, nonché le caratteristiche del cosiddetto “comportamento organizzativo” (assenteismo, dimissioni, turnover, ecc.);

• dati sulla formazione, che permette di ottenere informazione sul percorso storico delle iniziative di formazione promosse e realizzate dall'organizzazione sia all'interno che all'esterno, così come gli iter formativi dei singoli individui.

Per ricavare questi dati basterà avvalersi di documenti formali di cui dispone l'organizzazione, aggiungendovi opportune liste di interrogazione di analisi organizzativa.

Se il formatore si deve occupare invece della formazione individuale occorre ricavare informazioni appropriate tramite un'attività di ricerca diversa, condotta direttamente sugli interessati e indagando su specifiche aree e problematiche:

• analisi dell'attività: descrizione sufficientemente dettagliata di ciò che gli individui fanno all'interno dell'organizzazione;

• analisi del ruolo: rappresentazione degli individui, in base al ruolo, cioè negli aspetti concernenti il raggiungimento degli obiettivi e le relazioni interpersonali e di autorità;

• analisi degli eventi critici: ricostruzione analitica e approfondita di situazioni che gli individui ritengono particolarmente critiche e che incontrano con una certa frequenza nello svolgimento delle proprie attività;

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singolo e l'azienda per quanto riguarda le attese reciproche e i bisogni a cui esse sono collegate.

È possibile ricavare questi dati ricorrendo ovviamente a liste di interrogazioni che saranno poi finalizzate al giusto utilizzo di una o l'altra delle tre metodologie elencate in precedenza. L'attenzione del ricercatore per un dato piuttosto che per un altro dipenderà esclusivamente dagli schemi concettuali di riferimento di cui egli si avvale e dunque dalla teoria alla quale aderisce.

Infine al ricercatore spetta il compito di analizzare e confrontare i dati raccolti sia in generale sull'organizzazione che quelli specifici dei singoli individui, per ricavare da essi gli elementi utili a definire il bisogno di formazione39.

2.1.3. Aspetti critici nell'analisi dei bisogni

Il compito istituzionale della formazione viene individuato nel rispondere ai più diversi bisogni di sviluppo delle competenze individuali mantenendole in linea e in sintonia con le strategie e le strutture aziendali. Occorre quindi effettuare un'analisi il più possibile oggettiva dei bisogni che si ritrovano ai vari livelli dell'organizzazione.

Nel passato questa metodologia di azione ha avuto un peso trascurabile e veniva svolta secondo formule e diagnosi precostituite che portavano alla realizzazione di un'offerta caratterizzata da un'approccio normativo e basata su interpretazioni soggettive e aprioristiche dei bisogni. Andando avanti con il tempo, si è cominciato a comprendere la vera importanza di questa fase e così l'attività e la professionalità di un formatore viene valutata in base agli investimenti in impegno risorse che spende nell'analisi dei bisogni, considerata come un'attività di ricerca scientificamente orientata.

Tuttavia tale attività pone dei problemi al formatore-ricercatore di definizione preventiva e di scelta del livello di analisi. Quest'ultima dovrà avvenire una volta verificata la coerenza con gli obiettivi formativi assegnati al sistema di formazione e la situazione istituzionale in cui questa avverrà. Così l'analisi dei bisogni di

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formazione a livello individuale sarà coerente con la necessità di organizzare iniziative interaziendali o corsi a partecipazione volontaria, volti all'acquisizione di know-how specifici. L'analisi dei bisogni a livello dell'organizzazione viene svolta quando si tratta invece di un tipo di formazione “in house”, svolta cioè direttamente all'interno dell'azienda. . L'ultimo tipo di analisi, quello sui ruoli, sarà utilizzabile quando si dovrà intervenire sulla manutenzione, sull'aggiornamento, sulla sensibilizzazione e sul cambiamento di specifici ruoli. La scelta del livello di analisi è decisiva per avere un'analisi dei fabbisogni che possa avere una qualche utilità nel processo di formazione.

Tale scelta impone successivamente che vengano fatte delle coerenti scelte metodologiche e che vengano utilizzati strumenti d'indagine di diversa complessità e natura. Ovviamente il grado di complessità cambierà a seconda del tipo di analisi da svolgere. Quindi se si parla di livello individuale, gli strumenti utilizzati saranno più semplici e man mano aumenteranno di complessità quando l'analisi sarà a livello dell'organizzazione40.

2.2. Progettazione e attuazione dell'azione formativa

In questo secondo paragrafo si analizzeranno le fasi di progettazione e di attuazione dell'azione formativa. La prima vede come protagonista unicamente il formatore e la sua capacità di dare forma progettuale agli innumerevoli elementi che ha raccolto e che gli sono stati forniti durante la prima fase. Durante questa tappa verranno analizzati i tre principali aspetti logici della progettazione formativa e cioè, la definizione degli obiettivi didattici, considerata come il punto di collegamento principale con la fase di analisi dei fabbisogni formativi; la progettazione dei contenuti, che risponde a logiche razionali e si riferisce al “cosa” devono imparare coloro che si sottopongono alla formazione; infine, la progettazione delle metodologie, che è legata alla “soggettività” delle persone cui sono destinati i contenuti e si riferisce principalmente al “come” e cioè alle opportunità e alle difficoltà da superare per permettere un apprendimento consono e utile.

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Per analizzare la terza fase, quella dell'attuazione dell'azione formativa occorre tener conto che l'apprendimento effettivo arriva soprattutto dall'esperienza e quindi dalla comprensione, dall'elaborazione e dalla metabolizzazione di questa. In questo paragrafo ci limiteremo a presentare una veloce rassegna di quelli che sono i principali e i più comuni metodi utilizzati nell'ambito del lavoro di formazione, a partire da quelli più strutturati per giungere a quelli meno strutturati.

2.2.1. Fattori oggettivi di cui tener conto

Come osservato nel capitolo precedente, la progettazione di un intervento formativo ha origine dall'analisi dei bisogni di formazione. Tali bisogni, all'interno di un'azienda, posso avere svariate cause, che si individuano solitamente in variazioni dell'ambiente esterno, delle strategie aziendali, dell'organizzazione o del sistema sociale in cui essa opera. Questo sta inoltre a dimostrare che, nella vita aziendale, intervengono variabili strutturali esterne che la vanno pian piano a caratterizzare e che sono significative e influenti sia sul modello gestionale che su quello comportamentale.

La progettazione aziendale dovrà dunque prendere in considerazione: le variabili del sistema azienda, che sono riassumibili in quelle strategiche e in quelle organizzative e che hanno caratteristiche soggettive e contingenti; le variabili strutturali esterne, con caratteristiche oggettive, parzialmente strutturali e parzialmente contingenti; le variabili culturali interne, che sono sempre parzialmente strutturali e parzialmente contingenti, ma con caratteristiche soggettive.

Per la progettazione dell'intervento formativo occorre prendere in considerazione le variabili strutturali esterne e, nello specifico le condizioni strategiche, i fattori critici che caratterizzano lo specifico settore aziendale e la cosiddetta fase-stadio d'evoluzione del settore.

Le condizioni strategiche sono quelle che vanno a condizionare e a influenzare sia le scelte stesse, che le performance e, di conseguenza, i profili manageriali e professionali dell'azienda. Esse comprendono:

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domanda, se essa sia omogenea o disomogenea e il livello di segmentazione, il grado di variazione nel tempo e altre caratteristiche minori che possono determinare il mutamento di questa;

• la struttura dell'offerta nel mercato: essa fa riferimento al livello di competizione, alla tipologia di tale sistema competitivo e alla eventuale regolazione della competizione;

• lo stato della tecnologia nel settore: questo punto riguarda lo stato di maturità della tecnologia di prodotto e della tecnologia di processo, il ciclo di vita dell'innovazione tecnologica e l'esistenza o meno di barriere tecnologiche per l'ingresso nel mercato;

• la struttura del conto economico nel settore: i peso delle materie prime nel settore di riferimento, i costi di trasformazione e quelli di distribuzione, di marketing e di investimenti;

• i vincoli socio-istituzionali nel settore: tutti i vincoli sociali, istituzionali e legislativi del settore, la natura di tali vincoli e le conseguenze protettive e/o restrittive che essi comportano.

In conclusione, le condizioni strategiche appena elencate possono aiutare a stabilire il grado di stabilità-instabilità del settore in cui l'azienda presa in considerazione si trova a operare, i tempi di variazione e le criticità o meno delle variabili strutturali del settore41.

È importante non dimenticare però che ogni settore merceologico ha, come detto in precedenza, dei fattori critici di successo, che vanno a condizionare le possibilità di eccellenza delle aziende che vi lavorano. Tali fattori vanno a condizionare la cultura e la professionalità necessaria alla sopravvivenza dell'azienda che si trova a competere in quel mercato. Essi ci possono dire in quale area di competenza e capacità interna si deve sicuramente disporre di condizioni di eccellenza professionale.

Ultimo fattore oggettivo da prendere in considerazione è quello dei vantaggi competitivi, che prescindono dalla specifica azienda, ma che caratterizzano l'intero settore merceologico di riferimento e che sono destinati a mutare in funzione della

41. Ulderico Capucci, Fattori oggettivi caratteristici dell'azienda di cui tener conto nella

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