• Non ci sono risultati.

1) IL BENESSERE ANIMALE INTRODUZIONE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1) IL BENESSERE ANIMALE INTRODUZIONE"

Copied!
46
0
0

Testo completo

(1)

INTRODUZIONE

(2)

1.1 Definizioni e stato dell’arte

Una nuova concezione di benessere animale è apparsa nel dibattito scientifico ed etico solamente negli anni ’60. Prima di allora prevaleva la teoria antropocentrica, secondo la quale l’animale si trovava in un buono stato di benessere fintanto che continuava a crescere e riprodursi; perciò gli unici parametri presi in considerazione da questo tipo di approccio erano quelli produttivi. In seguito ai movimenti ambientalisti e animalisti e la pubblicazione, nel Regno Unito, di un libro di denuncia per le condizioni dell’allevamento intensivo (Harrison, 1964), l’approccio al benessere animale ha subito un’evoluzione. Nel 1965 il governo inglese istituì un comitato formato da studiosi, tra i quali la stessa autrice del libro-denuncia, per approfondire l’argomento e darne una connotazione scientifica. Dall’attività di questo comitato scaturì il “Brambell Report”, in cui si dava una prima definizione di welfare come “stato di benessere fisico e mentale di un animale” e veniva rifiutata una valutazione del benessere animale basata sui soli parametri produttivi, a favore di un approccio multidisciplinare che comprendesse l’osservazione del comportamento, delle funzioni biologiche degli animali e di qualunque altro aspetto accreditato dalla letteratura scientifica più recente. Infine fu riconosciuto che ogni animale avesse diritto ad una sufficiente libertà di movimento e, quanto meno, alla possibilità di alzarsi, sdraiarsi, girare su se stesso, pulirsi e distendere gli arti senza difficoltà.

Nel 1979 il governo inglese incaricò il Farm Animal Welfare Council (FAWC) di valutare lo stato di benessere degli animali, sia nel contesto dell’allevamento che durante i mercati, il trasporto e la macellazione. Riferendosi specificatamente ai concetti espressi nel Brambell Report, i membri del FAWC produssero cinque nuovi standard minimi di benessere validi per tutte le specie, allevate sia in modo estensivo che intensivo (Fig.1.1).

(3)

Figura 1.1- Le cinque libertà espresse dal FAWC (1979)

(http://www.fawc.org.uk/pdf/fivefreedoms1979.pdf) Dopo la pubblicazione di queste linee guida, gli studi sul benessere animale si sono ampliati, esplorando i molteplici aspetti della vita in cattività o in allevamento; perciò il concetto stesso di benessere, col tempo, è stato definito in maniera sempre più puntuale.

Tra le molte definizioni in letteratura, le più accreditate sono quelle che identificano il benessere di un animale come “uno stato di salute completo, sia fisico sia mentale, in cui l’animale è in armonia con il suo ambiente” (Hughes, 1976), oppure come “il suo stato in relazione ai tentativi di far fronte al suo ambiente” (Broom, 1996). Queste due definizioni riconoscono l’importanza dell’adattamento dell’animale al proprio ambiente, evidenziando quest’ultimo come aspetto preponderante per il benessere animale. Appleby e Hughes (1997) lo hanno definito come “uno stato di benessere derivante dal soddisfacimento di bisogni fisici, ambientali, nutrizionali, comportamentali e sociali di un animale o di un gruppo di animali sottoposti a cura, supervisione o influenza dell’uomo”, ponendo l’accento sulla compartecipazione dell’elemento umano; invece Blokhuis (1999) ci ricorda la stretta dipendenza col concetto di stress affermando che il benessere “è la capacità degli animali di rispondere agli stress senza incorrere in patologie, condizioni che causano dolore (traumi, ferite) o malattie infettive ...”.

(4)

L'Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE, 2007) afferma che "un animale è in buono stato di benessere se è sano, gode di condizioni confortevoli, è ben nutrito, sicuro, capace di esprimere comportamenti innati e non soffre stati spiacevoli come dolore, paura e distress".

Più recentemente nella comunità scientifica, sotto la spinta dell’opinione pubblica, sta emergendo la convinzione che il benessere degli animali non va inteso solo come l’assenza di sofferenza e di stress; secondo Duncan (2004), ad esempio, il benessere è anche la presenza di stati emotivi soggettivi positivi. In ogni caso è ormai assodato che il benessere è uno stato intrinseco all’animale e non è totalmente imputabile ai fattori esterni.

Lo stress

Nell’ambito degli studi sul benessere animale, è necessario comprendere il significato di stress, poiché i due concetti sono fortemente connessi tra loro.

Sull’argomento le prime fondamentali rivelazioni si devono a due medici all’inizio del secolo scorso, Walter Bradford Cannon (fisiologo) e Hans Selye (endocrinologo), che grazie alle loro ricerche, hanno fatto chiarezza sui meccanismi di risposta degli esseri viventi quando debbano confrontarsi con l’ambiente circostante ed affrontarne le difficoltà. Aguggini et al. (1992) riportano le affermazioni di Cannon, secondo il quale non sono solo le gravi alterazioni dell’omeostasi a determinare l’attivazione del sistema simpatico e la conseguente mobilizzazione delle riserve dell’organismo, ma le situazioni che comportano una partecipazione emotiva del soggetto. Successivamente Selye, ha coniato il termine stress per definire il complesso fenomeno reattivo del soggetto sottoposto a situazioni di tensione di particolare gravità stressanti provocavano fenomeni reattivi con rilascio prolungato di glicocorticoidi.

Col tempo, la sua definizione è stata ripresa ed ampliata da altri autori. Le più note affermazioni in merito, indicano lo stress come “una risposta generalizzata ed aspecifica nei confronti di qualsiasi fattore, realmente o potenzialmente in grado di alterare la capacità compensativa dell’animale”, ovvero “una condizione di prolungata allerta, che richiede all’animale un aumento eccessivo dell’energia

(5)

mobilizzata dalle riserve organiche” (Broom, 1986). Un’altra definizione interessante, attribuita a Bateson (1991), afferma che “gli animali mantengono il loro stato/equilibrio interno entro certi limiti; cambiamenti ambientali significativi oltre quei limiti provocano una reazione fisiologica e comportamentale che tende a superare o compensare il cambiamento negativo, quando il tentativo di superare o compensare il cambiamento fallisce, subentra lo stress fisico o psichico”. Lo stress è stato definito da Broom e Johnson (1993) come “l’effetto ambientale su un individuo che sovraccarica i suoi sistemi di controllo e regolazione e riduce o sembra ridurre la sua efficienza…”; in seguito a ciò, uno stimolo stressante può costituire una minaccia all’omeostasi metabolica con la conseguente organizzazione di una difesa biologica che innesca una risposta a livello neuro-endocrino e comportamentale (Amadori et al.,2002).

La risposta allo stress è un processo dinamico, comune a una multiforme varietà di cause, siano esse di natura ambientale (agenti fisici, pericoli, sovraffollamento) o endogena all’animale (come patologie o esperienze negative); tuttavia, per uno stesso evento stressante (o stressor), la risposta endocrina può generarsi in modo aspecifico ed indipendente dall’attività encefalica superiore, oppure determinare anche un coinvolgimento emotivo del soggetto. La componente psichica è coinvolta nello stress a vari livelli: come causa scatenante, come fattore di amplificazione delle reazioni e come effetto. Le risposte individuali ad uno stesso agente, hanno intensità variabile in base al coinvolgimento emotivo (incertezza, ansia, disagio, paura, aggressività), alla situazione (se il soggetto può reagire con un comportamento attivo, oppure se non può controllare in alcun modo l’evento), alla causa (sia essa nuova o già sperimentata dall’animale, sia acuta acuta che cronica), o all’interferenza di altri fattori di stress (Panzera e Albertini, 2009). Selye (1932) ha suddiviso in tre fasi successive la complessa risposta biologica a un evento stressante e l’ha denominata “sindrome generale di adattamento”:

1 - La reazione di allarme riguarda gli agenti di stress acuto, per i quali spesso una risposta rapida e di breve durata è risolutiva. Non appena lo stressor viene percepito dai centri ipotalamici dell’animale, si attiva il sistema autonomo simpatico, il quale agisce direttamente sugli organi innervati e

(6)

indirettamente attraverso la liberazione ematica di catecolamine dalla midollare surrenale. Il soggetto è posto in stato di allerta, pronto a sostenere un’intensa attività fisica secondo il modello comportamentale “fight or fly”(combatti o fuggi) per superare la causa di stress. In questa fase la risposta comportamentale è la prima a manifestarsi, essendo la più semplice e meno dispendiosa per l’organismo; si può osservare una risposta comportamentale attiva (allontanamento o aggressività) oppure passiva (dal sospendere l’attività in corso, fino all’immobilità “freezing”), spesso accompagnate da segni evidenti di paura (vocalizzazioni, tremori, urinazione e defecazione).

2 - Fase di resistenza che si verifica quando l’animale subisce uno stress più prolungato, al quale non può rispondere con un costante stato di allerta; perciò l’organismo mette in atto una risposta endocrina più lenta ad instaurarsi ma con effetto più prolungato. I glicocorticoidi sono sintetizzati dalla corticale del surrene e riversati nel sangue, generalmente in quantità proporzionale all’intensità dello stimolo stressante. Questi ormoni, assieme all’ACTH ipofisario, determinano un risparmio delle riserve organiche, in quanto l’animale deve poter resistere più a lungo alla situazione di svantaggio; perciò si modifica il metabolismo basale, aumenta l’attività antinfiammatoria e si riduce l’attività del sistema immunitario. Questa risposta è parzialmente adattativa, perché consente all’animale di modificare la sua omeostasi per superare un periodo di prolungato stress.

3 - Fase di esaurimento che sussiste in situazioni in cui l’esposizione allo stressor si protrae a lungo (stress cronico), oppure il soggetto non è in grado di sottrarsi al disagio in alcun modo, subendolo passivamente. L’attività dei glicocorticoidi è regolata da feedback negativo a livello ipotalamico, limitando gli effetti indesiderati sull’organismo. Le alterazioni causate dal rilascio prolungato di cortisolo si evidenziano a livello psichico, funzionale, metabolico, immunitario, produttivo e riproduttivo, fino all’esito infausto delle patologie che si possono determinare.

(7)

In definitiva, bisogna ricordare che la risposta allo stress non va intesa sempre con una connotazione negativa: l’adattamento, infatti, pone l’animale nelle migliori condizioni per superare l’evento avverso proveniente dall’esterno o dall’interno del corpo (Ferrante, 2009). Si parla di stress quando la durata della causa scatenante o la sua intensità prevaricano i processi di compensazione; il fenomeno assume perciò una connotazione patologica. Lo stesso Selye distingueva con il termine “eustress” la normale reazione dell’organismo, spesso con esito positivo, nei confronti di qualunque agente esterno (stressor acuto o cronico); questa definizione corrisponde alla prima e seconda fase della sindrome generale di adattamento. Invece con la parola “distress”, egli intendeva descrivere la fase di esaurimento, la quale inizia con la comparsa di comportamenti anomali (depressione del sensorio, stereotipie, ecc) e poi determina un decadimento delle funzioni organiche e produttive, fino alla morte del soggetto. Nel contesto dell’allevamento intensivo, il distress può essere determinato da una carenza di stimoli ambientali (ad es. isolamento, monotonia ambientale, frustrazione ed incapacità di manifestare il normale etogramma) come pure da un eccesso di stimoli (sovraffollamento, costrizione, maltrattamenti).

(8)

1.2 Metodi di valutazione del benessere animale

La ricerca sui metodi valutativi del benessere è cominciata con la pubblicazione del Brambell Report (1965) e da allora queste tematiche si sono diffuse in Europa e nel mondo, coinvolgendo discipline diverse (etologia, fisiologia, genetica, psiconeurologia ed endocrinoimmunologia), le quali interagiscono tra loro per meglio comprendere le relazioni tra animale ed ambiente (Verga et al., 1999).

A livello internazionale, i metodi per valutare il benessere si dividono principalmente fra tre “scuole di pensiero”:

a) L’approccio basato sulla considerazione dei “feelings” (ovvero le sensazioni soggettive dell'animale) ritiene che il benessere dipenda principalmente da quello che l'animale sente come piacevole o spiacevole, in quanto è capace di provare emozioni e stati affettivi. Questo tipo di valutazione segue una definizione di benessere che stima poco importanti lo stato sanitario, la fitness e l’assenza di stress (Duncan, 1993). Lo scopo di tale approccio è misurare le sensazioni soggettive dell’animale, quindi è indispensabile che il soggetto sia posto nelle condizioni di poter scegliere tra due o più opzioni; per tal fine i ricercatori si avvalgono di test di preferenza, indicatori fisiologici e comportamentali. Possibili obbiezioni verso questo approccio sono la difficoltà di ottenere dati scientifici inopinabili, dato che le “sensazioni soggettive” sono difficili da interpretare; inoltre, gli animali potrebbero manifestare scelte non corrispondenti ad un reale miglioramento del benessere e bisogna considerare che le loro azioni potrebbero essere influenzate da altri fattori (età, esperienze precedenti, ecc).

b) L’approccio basato sulla possibilità di esprimere l'etogramma, considera che gli animali raggiungono un buon grado di benessere quando è loro concesso di vivere in ambienti più simili a quelli naturali, dove possano esprimere i comportamenti specifici (Webster et al., 1986). Gli studiosi che utilizzano questo metodo, compiono studi sui selvatici in ambiente naturale, poi pongono a confronto la specie addomesticata e attribuiscono le differenze comportamentali alla condizione di cattività, ritenuta perciò

(9)

fonte di scarso benessere. Tuttavia alcuni reputano difficile identificare quali siano i comportamenti naturali nell’allevamento moderno (Mattiello, 1998). Non deve poi essere trascurato l’effetto dalla selezione genetica finora operata dall'uomo, che condiziona le risposte reattive di base e può influire, ma in modo meno sostanziale, sui comportamenti complessi. Inoltre, comportamenti come la ricerca di cibo o la difesa dai predatori, ad esempio, hanno un senso per animali liberi ma si riduce nei domestici. Tuttavia, pur considerando queste obbiezioni, si deve riconoscere che ricreare ambienti “naturali” in allevamento non può che migliorare le condizioni di vita degli animali.

c) L’approccio che prende in considerazione le normali funzioni biologiche degli animali si basa sulle definizioni di benessere date da Hughes (1976) e da Broom (1986), per i quali il benessere è il corretto adattamento dell’organismo all’ambiente circostante. Questo concetto, largamente accettato in ambito scientifico, comprende le teorie formulate da Cannon (1914) e Selye (1932), perciò nell’approccio funzionale si considerano i meccanismi fisiologici messi in atto per contrastare gli stressori acuti o cronici. Il livello di benessere è quantificabile con l’entità e l’effetto finale degli sforzi che l’animale compie per adattarsi all’ambiente. A tale scopo sono stati individuati degli indicatori di benessere, suddivisi in tipologie diverse (patologici, fisiologici, comportamentali e produttivi). In caso di stress acuto, come la cattura, il contenimento o altre manipolazioni, si evidenziano in maggior misura gli indicatori di tipo fisiologico (aumentati livelli ematici di catecolamine e cortisolo, aumento della frequenza cardiaca). Lo stress cronico causa soprattutto alterazioni negli indicatori comportamentali (stereotipie) e patologici, poiché gli alti livelli di cortisolo determinano maggior suscettibilità agli agenti infettivi. In definitiva, questo tipo di approccio è scientificamente valido per valutare il benessere, perché si avvale di parametri misurabili e oggettivi, di facile interpretazione e ripetibili nel tempo (Verga et al., 1999).

(10)

Sebbene l’ultimo metodo di studio abbia basi scientifiche più solide, non bisogna sottovalutare l’utilità degli altri due approcci. Lo studio del comportamento naturale può dare molto spunti per migliorare l’ambiente di allevamento e il management aziendale; mentre l’uso combinato dell’approccio funzionale e quello basato sui feelings, fornisce un’interpretazione più completa dei risultati. Perciò, la valutazione del benessere dipende molto dal tipo di approccio e dall’importanza dei criteri di valutazione che esso utilizza, siano essi soggettivi od oggettivi (Ferrante, 2009).

Gli indicatori di benessere

Gli indicatori utilizzati per monitorare lo stato di benessere animale possono essere distinti in:

 Indicatori diretti (o animal-based factors), i quali registrano le reazioni degli singoli animali nei confronti degli stressors;

 Indicatori indiretti (o environmental factors) che rilevano le caratteristiche dell’ambiente di allevamento, suscettibili di alterare lo stato di benessere. Appartengono alla prima categoria gli indicatori etologici, fisiologici, patologici e produttivi (Tab. 1.1).

Tabella 1.1 - Indicatori diretti o “animal-based”

ETOLOGICI analisi dell’etogramma di specie, test comportamentali, anomalie di comportamento o stereotipie

FISIOLOGICI parametri neuro-endocrini, immunitari, metabolici, cardiaci PATOLOGICI patologie, lesioni, disordini metabolici, mortalità PRODUTTIVI fertilità, accrescimento, quantità e qualità delle produzioni

(Ferrante, 2009) Le stereotipie comportamentali sono tipici indicatori etologici di stress: compaiono prima delle alterazioni dell'asse neuro-endocrino e possono indicare sia frustrazione per bisogni negati (fame), noia per un ambiente poco stimolante o il tentativo di evitare situazioni sgradevoli (Wemesfelder, 1993). Secondo Ferrante

(11)

l’apatia sono indicatori di scarso benessere. Il gioco può essere considerato un indicatore positivo di benessere: normalmente presente nei giovani animali, può comparire anche negli adulti, quando si trovino in uno stato emozionale rilassato e tranquillo; infatti, tale comportamento scompare subito in presenza di stress, dolore o cambiamenti improvvisi della fitness organica (Held e Spinka, 2011). Tra gli indicatori fisiologici si annoverano i livelli ematici di catecolamine, glucocorticoidi, corticosterone, glucosio, acidi grassi liberi, ematocrito e formula leucocitaria, che però necessitano di un prelievo per la loro rilevazione che rappresenta di per sé una fonte di stress (Ferrante, 2009). Altri parametri misurabili con una visita esterna sono la frequenza cardiaca e la temperatura corporea (Terlouw et al., 1996).

Gli indicatori patologici sono i più coinvolti nelle situazioni di stress cronico, poiché l’iperincrezione ipofisaria di ACTH determina molte alterazioni sistemiche organiche: il livello elevato di glucocorticoidi può causare patologie cardiovascolari (Sundin et al., 1995), gastriti ulcerative e ridotta funzionalità del sistema immunitario (Coppinger et al., 1991; Ferrante et al., 1998); inoltre la depressione del sistema immunitario è responsabile dell’aumentata incidenza di patologie infettive.

Tra gli indicatori produttivi si possono citare la perdita di peso negli adulti (valutabile monitorando il Body Condition Score) e gli scarsi accrescimenti nei soggetti giovani. Nelle femmine si possono manifestare una diminuita produzione lattea, riduzione della fertilità e alterazione del ciclo riproduttivo (McGlone, 1993). Quando il welfare è scarso e non sono ancora presenti le patologie condizionate, il decadimento dei livelli produttivi e riproduttivi è un forte segnale della persistenza di stress cronico (Ferrante, 2009).

Un ulteriore parametro da prendere in considerazione, secondo alcuni autori (Broom e Johnson, 1993), sarebbe l’aspettativa di vita o “life expectancy”: per esempio, gli allevatori di vacche ad alta produzione sono ben consapevoli che il numero medio di lattazioni per carriera è diminuito col passare dei decenni, mentre è aumentata la capacità produttiva e l’indice di conversione degli alimenti; molti soggetti sono riformati precocemente per l’insorgenza di mastiti, ipofertilità, problemi podali, con conseguente declino della loro produttività. Perciò la ridotta

(12)

aspettativa di vita negli allevamenti intensivi indica la presenza di stress e di benessere non ottimale, nonostante un buon livello di produttività aziendale. Gli indicatori indiretti, o environmental factors, sono parametri che si basano sull’ambiente di allevamento; non si soffermano perciò sul singolo animale ma esprimono una valutazione del welfare in allevamento (Tab. 1.2).

Tabella 1.2 – Principali indicatori indiretti STRUTTURE E SISTEMI

DI ALLEVAMENTO

tipo di stabulazione, caratteristiche delle aree funzionali, qualità della lettiera, aerazione, ventilazione, sistemi di alimentazione

GESTIONE (MANAGEMENT)

alimentazione, mungitura,

cure individuali, manutenzione impianti RELAZIONI

UOMO-ANIMALE quantità e qualità delle interazioni

(da Ferrante 2009) Alcuni dati che riguardano le strutture di allevamento sono di facile rilievo (tipo di stabulazione, spazio procapite, illuminazione, ventilazione, pavimentazione, lettiera, ecc); mentre altri, come alcuni aspetti della gestione dell’allevamento e le interazioni tra addetti e animali, richiedono più tempo di osservazione (Ferrante, 2009).

I fattori manageriali influenzano il benessere in vario modo, di alcuni si conosce l'effetto e sono facilmente misurabili, altri invece sono difficili da individuare ma sono anch'essi di forte impatto sul benessere. Tra i principali si ricorda: il razionamento (qualità, quantità e modalità di distribuzione dell'alimento), la numerosità dei gruppi in relazione con lo spazio a disposizione, le condizioni microclimatiche dei ricoveri (temperatura, umidità, velocità e qualità dell’aria, luce), le modalità di svezzamento, le pratiche di mutilazione, l’attitudine e indole del personale addetto alla cura degli animali. Riguardo alle interazioni tra uomo ed animali negli allevamenti intensivi, ci sono numerosi studi comportamentali che avvalorano la relazione esistente tra la paura provocata dall’uomo (per approcci bruschi, contenimento errato, ecc) e la marcata diminuzione della produttività e del benessere (Hemsworth, 2003). Anche Seabrook (1984) parla di

(13)

“stockmanship”, ovvero la capacità di questa figura nel saper riconoscere i più lievi cambiamenti nel comportamento di uno o più animali, nel capire le esigenze di allevamento e nell’adottare opportuni interventi.

La valutazione “index-system”

Misurare lo stato di benessere è un lavoro complesso la cui valutazione dovrebbe comprendere e integrare le risposte comportamentali, fisiologiche ed immunitarie dell’animale (Zoccarato e Battaglini, 1999).

Pur tuttavia, nel tempo, molti autori hanno affermato la validità di una valutazione del benessere basata solo sullo stato di salute e sulle performance produttive, trattandosi di criteri immediati e più semplici da rilevare rispetto agli indicatori etologici (Gonyou, 1986; Sundrum, 1997). Secondo Johannesson et al. (1997), un sistema di valutazione del benessere deve prendere in considerazione quattro aspetti: l’incidenza/prevalenza delle malattie e delle ferite; l’osservazione di parametri comportamentali; la descrizione del sistema di produzione; la registrazione delle attività previste in tale sistema produttivo. Secondo Ferrante (2009) i metodi migliori sono quelli che utilizzano sia parametri indiretti sia diretti, quale l’ispezione di un campione rappresentativo di animali per verificare l’eventuale presenza di patologie, lesioni o anomalie nel comportamento.

Un buon metodo di valutazione del benessere deve essere scientificamente valido e attendibile, deve essere di facile utilizzo da parte del personale addestrato e permettere di individuare i punti critici aziendali (Tosi e Verga, 2001). Gli indicatori scelti devono avere una correlazione riconosciuta con il benessere animale e la loro valutazione deve permettere di stabilire un livello soglia, oltre il quale sia necessario intraprendere azioni correttive (Goddard, 2010).

In molti paesi europei sono allo studio dei sistemi di valutazione affidabili, basati su combinazioni d’indicatori, la cui scelta dipende anche dallo scopo che il monitoraggio si prefigge: la certificazione di un sistema di allevamento, la comparazione tra aziende o la consulenza all’allevatore che voglia implementare il benessere dei suoi animali (Johnsen et al., 2001).

(14)

Una valutazione in allevamento può svilupparsi secondo sistemi diagnostici, basati principalmente su indicatori diretti misurati su singoli animali (animal-based systems), oppure si avvale di sistemi ad indice aziendale (resource-based systems). Questi ultimi hanno notevoli vantaggi e sono caratterizzati da rapidità di esecuzione ed elevata ripetibilità, poiché utilizzano parametri tecnici riguardanti prevalentemente le strutture e il management, cioè le risorse dell'allevamento (indici indiretti). I sistemi a indice aziendale forniscono un giudizio finale basato su una scala di valori, individuano le carenze dell’azienda e ne valorizzano i punti di forza; tuttavia la difficoltà in questo approccio multifattoriale sta nell’assegnare la giusta importanza ad ognuno degli indicatori usati (Hurnick, 1998). Alcuni esempi di noti sistemi di valutazione, da anni utilizzati in Austria e Germania, sono l’Animal Needs Index (ANI 35L) ed il Tier Gerechtheits Index (TGI 200). Si tratta di strumenti d’indagine poco invasivi, sia per il personale che per gli animali; sono stati sviluppati con lo scopo di certificare il sistema biologico su allevamenti suini, bovini ed avicoli. Utilizzano delle checklist di veloce esecuzione ma allo stesso tempo complete; i parametri utilizzati sono poco dispendiosi e semplici da misurare (locomozione, interazioni sociali, pavimentazione, microclima dei ricoveri, management e interazioni con l’uomo).

In Italia sono stati messi a punto diversi sistemi ad indice aziendale. Il Sistema Diagnostico Integrato (SDI) ideato da Bertoni (2002) include tre gruppi di parametri, ovvero gli indicatori diretti sugli animali, l’allevamento e l’alimentazione: la sommatoria dei punteggi parziali determina l’indice finale di giudizio. Il sistema SATA (Servizio di Assistenza Tecnica agli Allevamenti) è stato sviluppato in Lombardia a partire dal SDI, con lo scopo preminente di confrontare tra loro gli allevamenti di bovine lattifere basandosi su criteri strutturali e sulla gestione. Il CRPA di Reggio Emilia ha messo a punto nel 2007 il sistema “IBA” (Indice di Benessere Animale), si tratta anche in questo caso di una valutazione index-system, i cui parametri oggettivi sono raggruppati in categorie e le checklist sono specifiche per ogni settore dell’allevamento (Rossi et al. 2007).

Tutti questi sistemi sono stati inizialmente studiati per la specie bovina, suina e per gli avicoli; tuttavia, data la loro ripetibilità e validità scientifica, potrebbero

(15)

essere facilmente applicati anche nell’allevamento ovino, con le opportune modifiche relative ai differenti metodi di allevamento e punti critici del benessere.

Welfare Quality® ed “AssureWel”

Dall’esperienza maturata negli anni, tramite progetti di ricerca europei e la COST Action 846 dal titolo “Measuring and Monitoring Animal Welfare”, nel 2004 l’Unione Europea ha finanziato il progetto di ricerca WELFARE QUALITY® nell’ambito del VI° programma quadro “Science and society improving animal welfare in the food quality chain”. Il gruppo di studio comprendeva ricercatori provenienti da Università e Istituti scientifici di 13 paesi europei, Brasile, Cile, Messico e Uruguay ed ha perseguito due obiettivi principali:

- integrare il benessere animale tra le informazioni dichiarate in etichetta per i consumatori finali, in ottemperanza ai precetti del Libro Bianco sulla Sicurezza alimentare (Commissione Europea, 2000);

- sviluppare sistemi di valutazione e monitoraggio della qualità del benessere animale in azienda ed al macello.

Il progetto di studio, conclusosi nel 2009, ha prodotto tre pubblicazioni, inerenti nuovi protocolli di valutazione del benessere in sette categorie di animali da reddito (vitelli a carne bianca e vitelloni da carne, vacche lattifere, suini da ingrasso e scrofe, galline ovaiole e polli da carne).

Il sistema Welfare Quality® combina un metodo di valutazione science-based ed un canale standardizzato per la raccolta e l’integrazione delle informazioni; alla fine del processo viene assegnata agli allevatori o ai responsabili della macellazione una delle quattro categorie di benessere animale. Per lo sviluppo di questo sistema di valutazione e monitoraggio i ricercatori hanno stabilito quattro principi basilari: “good housing” (stabulazione), “good feeding” (alimentazione), “good health” (salute) e “appropriate behaviour” (comportamento). Poi sono stati definiti alcuni criteri generali (Tab. 1.3), validi sia in allevamento che al macello per tutte le categorie di animali studiati, in totale 12 criteri (Canali e Keeling, 2009).

(16)

Tabella 1.3 – Principi e Criteri generali del sistema Welfare Quality®

PRINCIPI CRITERI DI VALUTAZIONE

Buon livello

di alimentazione assenza di fame prolungata assenza di sete prolungata Buon livello

di stabulazione

confort nell’area di riposo comfort termico facilita di movimento Buono stato sanitario assenza di lesioni assenza di malattie

assenza di dolore causato da procedure di allevamento Comportamento

appropriato

espressione del comportamento sociale espressione di altri comportamenti

buona relazione uomo-animale stato emozionale positivo

(INEA, 2012) Le ricerche si sono poi concentrate sull’individuazione di parametri specifici negli allevamenti delle sette categorie produttive coinvolte, giungendo ad individuare per ciascuna 30–50 indicatori animal–based, resource-based e management-based. Questi parametri di valutazione, correlati ai 12 criteri generali, sono stati testati in più di 700 allevamenti allo scopo di verificarne la validità scientifica, la ripetibilità e la flessibilità di adattamento alle varie realtà di allevamento. Perciò la procedura per la classificazione degli allevamenti e macelli, nel sistema di valutazione Welfare Quality®, è suddivisa in tre fasi: per ogni parametro da considerare è assegnato un punteggio da 0 a 100, poi vengono sommati i punteggi afferenti a ciascuno dei 4 principi base, infine il punteggio ottenuto è convertito in un giudizio sul livello di benessere animale (le categorie sono eccellente, elevato, accettabile e scarso). Grazie a classificazione delle strutture, gli allevatori possono conoscere il loro livello e, se insoddisfacente, possono attivarsi per promuoverne il miglioramento, agendo sulle carenze evidenziate in sede di valutazione. Il progetto Welfare Quality® mira ad aumentare il livello di benessere nelle specie analizzate, informando anche i consumatori per coinvolgerli in scelte alimentari più consapevoli. Neanche questo studio ha coinvolto gli ovini, ma tale metodo potrebbe essere applicato anche a questa specie con gli opportuni adattamenti.

(17)

Il progetto inglese “AssureWel” è nato dalla collaborazione tra l’Università di Bristol, la RSPCA (The Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, UK) e la Soil Association©. Il suo scopo è di integrare all’interno dei sistemi di certificazione

agricola esistenti in Gran Bretagna, un sistema pratico di valutazione del benessere per le principali specie allevate, che possa essere utilizzato dagli organismi certificatori anche per la conduzione di ispezioni e verifiche. La durata prevista per questo progetto è di cinque anni (2010-2015), durante i quali saranno messi a punto dei sistemi di valutazione per ogni specie allevata (bovini da latte e da carne, suini, galline ovaiole, polli da carne, ovini). Parallelamente con lo sviluppo della ricerca, è previsto un piano di diffusione dei risultati e la loro progressiva introduzione nei protocolli di certificazione agricola degli organismi promotori (RSPCA - freedom food e Soil Association©). Tra il 2011 e il 2013, sono state

predisposte delle valutazioni del benessere per gli allevamenti di galline ovaiole, di bovine da latte e per i suini. Per quanto riguarda gli ovini, è previsto tra il 2014 e il 2015 lo sviluppo di un sistema di valutazione e la sua introduzione nei protocolli di certificazione aziendale.

Il progetto “AssureWel” ha risposto alla necessità dei produttori di alimenti agricoli, ovvero d’includere la valutazione del benessere tra i requisiti di accesso ai programmi di certificazione e garanzia di qualità, per i loro prodotti. Altri progetti precedenti a livello europeo, come lo stesso Welfare Quality®, si prefiggevano lo stesso obiettivo ma non sono ancora disponibili per l’uso pratico in sistemi di controllo e certificazione commerciali. Con l’adozione di un sistema basato anche su criteri di benessere animale, questo progetto mira a diffonderne la pratica presso altri organismi certificatori del Regno Unito, oltre a quelli che lo hanno promosso.

Gli studi in campo ovino

La specie ovina, in quanto rustica e allevata in maniera estensiva, è stata trascurata nello studio del benessere animale. Infatti, è vero che l’allevamento estensivo garantisce agli animali una maggiore libertà e la possibilità di esprimere una più ampia gamma di comportamenti naturali, rispetto a sistemi di allevamento più

(18)

intensivi (Dwyer, 2009). Tuttavia, è stato sottolineato (Goddard et al., 2006; Goddard 2010) che negli allevamenti estensivi alcuni aspetti delle cinque libertà (fame, sete, disagio e dolore fisico, malattia e paura) possono non essere pienamente soddisfatti. Ad esempio, in sistemi di allevamento estensivi può esserci poca interazione tra uomo e animali, che determina uno stress nel gregge quando l’allevatore debba compiere delle operazioni sugli animali (Goddard, 2010). Non bisogna dimenticare, infatti, che gli ovini considerano l’uomo come un predatore e che questa sensazione istintiva può venir rafforzata da approcci scorretti o da contatto poco frequente con l’uomo (Beausoleil et al., 2002). Molti altri sono gli aspetti dell’allevamento estensivo che richiedono all’allevatore notevoli sforzi di gestione, allo scopo di mantenere un buon livello di benessere animale; alcuni interventi chiave, in questo senso, sono un'alimentazione appropriata per le pecore gravide, la corretta gestione del parto per ridurre la mortalità neonatale, il controllo delle patologie degli unghioni (zoppie, laminiti) e delle parassitosi (Goddard et al., 2006).

Per quanto riguarda la tipologia d’indicatori utilizzati per valutare il benessere, possono risultare utili le informazioni sulle risorse di allevamento (indicatori indiretti) integrati da indicatori animal-based (diretti) (Goddard, 2010). Questi ultimi possono rivelarsi buoni strumenti, oltre che per la valutazione del benessere animale anche per il monitoraggio sanitario del gregge (Phythian et al., 2012). Attualmente, per la specie ovina, non sono ancora stati definiti dei protocolli specifici ma, in alcuni paesi sono in fase di sviluppo (ad es. “Assurewel”, UK). Nel frattempo, è possibile impostare una valutazione del benessere in allevamento affidandosi a indici già sperimentati e, inoltre, prendendo in considerazione sia gli indicatori di un buono stato di benessere che quelli relativi ad uno scarso benessere animale (Goddard 2010).

A titolo di esempio, recentemente un progetto di ricerca inglese ha prodotto un elenco di aspetti critici e d’indicatori di benessere degli ovini in allevamento (Tab. 1.4), validati da un gruppo di esperti in materia (Phythian et al., 2011). Si tratta di parametri relativi agli animali, al management e alle risorse a disposizione degli animali; raggruppati in base alle cinque liberta individuate dal FAWC (Farm Animal Welfare Council, UK).

(19)

Tabella 1.4 – Aspetti critici ed indicatori di benessere degli ovini

(Napolitano, 2011) In ambito internazionale sono soprattutto il Regno Unito, l’Australia e la Nuova Zelanda a portare avanti lo studio del benessere in allevamento ovino ed emanano protocolli specifici a riguardo. Ad esempio il FAWC, dal 2011 accorpato nel Department of Environment, Food and Rural Affairs (DEFRA), ha recentemente emanato un report specifico sul benessere nell’allevamento ovino (DEFRA, 2003), nel quale sono presi in considerazione tutti gli aspetti che possono influenzare il welfare di questa specie, dalla nascita e per tutto il ciclo produttivo previsto (stockmanship, feed & water, health, management, breeding tecniques, pregnancy & lambing, artificial rearing, housing, hazards). Inoltre, è presente una sezione specifica sulle pecore da latte e sulle accortezze da riservare alla mungitura, all’alimentazione, il controllo e la cura quotidiana di questa categoria produttiva. Alcune raccomandazioni più specifiche per l’allevamento estensivo, sono presenti nell’ Animal Welfare Guidelines – Sheep, emanato dal Ministero per l’agricoltura della Tasmania (Department of Primary Industries and Water, 2008). Il documento è

Cinque Libertà Aspetti critici Indicatori Tipo*

Libertà dalla fame Alimentazione adeguata; Disponibilità di acqua; Cambiamenti della dieta. BCS; Disponibilità di acqua; Spazio alla mangiatoia.

A R R Libertà dal disagio Disponibilità di ricoveri; Condizioni del

pascolo; Manutenzione attrezzature. Pavimentazione dei ricoveri; Pulizia. A R Libertà dal dolore

Stato di salute; Pratiche manageriali;

Predazione.

Zoppia; Esame delle feci;

Castrazione.

A A M Libertà di

comportamento Disponibilità di spazio; Numerosità.

Disponibilità di spazio; Valutazione qualitativa del comportamento; Comportamenti anomali. R A A Libertà da paura e stress

Qualità del rapporto con l’uomo; Svezzamento; Uso di

cani pastore.

Valutazione delle

capacità di movimento. M * Nota: A= indicatore relativo agli animali;

(20)

basato sull’Australian Model Codes of Practice for the Welfare of Animals ed è stato redatto con la consultazione dell’Animal Welfare Advisory Committee. Queste linee guida sul benessere prevedono anche la protezione dagli estremi climatici e dai predatori, le misure da attuare in caso di siccità; non si trovano, invece, indicazioni sui ricoveri e lo spazio pro-capite.

(21)

1.3 L’evoluzione della normativa fino ad oggi

La normativa riguardante il benessere animale nel corso degli anni ha raccolto le richieste etiche sollevate dalla società e dal mondo scientifico, tentando di conciliarle con l’interesse produttivo degli allevatori. La Dichiarazione Universale dei Diritti degli animali, proclamata nel 1978 dall’UNESCO, rappresenta l’esempio più elevato di una legislazione di tipo protezionistico, sebbene sia priva di valore legale e molti dei suoi intenti rimangano tuttora inapplicati. Tale documento attribuisce a tutti gli animali dei diritti molto ampi (rispetto, considerazione, cura e protezione) e diffida l’uomo dal compiere su di essi atti crudeli e maltrattamenti (Biagi et al., 1998). Dopo la pubblicazione del Brambell Report e la diffusione delle cinque libertà da parte del FAWC, la Comunità Europea si è adoperata per inserire a pieno titolo il benessere animale nell’ambito delle proprie politiche agricole, di ricerca e di mercato interno. Inizialmente l’obiettivo legislativo non era ispirato tanto a finalità etiche, quanto alla necessità di uniformare le condizioni di detenzione degli animali per tutti gli Stati Membri, così da eliminare le anomalie di competizione commerciale (Sandøe e Christiansen, 2010). Ciò nonostante, le normative europee hanno promosso negli anni la ricerca e l’applicazione di standard minimi di detenzione; impedendo la comparsa di sistemi di allevamento ancora più intensivi. Nel Trattato sull’Unione Europea (Trattato di Maastricht, 1992) è stata inserita la Dichiarazione sulla protezione degli animali; mentre nel successivo Trattato di Amsterdam (1997) è entrato in vigore il Protocollo sulla protezione ed il benessere animale, il quale fissa gli ambiti dell’azione legislativa. Il Trattato di Lisbona entrato in vigore dal 1° dicembre 2009 riconosce che, nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione Europea, sia necessario tener conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti (Gastaldo, 2010).

Attualmente l’Unione Europea coordina le attività dei paesi membri attraverso il Programma d’azione comunitario per la protezione e il benessere degli animali (2006-2010), i cui obiettivi sono: promuovere la ricerca scientifica ed aggiornare gli standard minimi della legislazione comunitaria; introdurre degli indicatori di benessere standardizzati; diffondere a livello internazionale, in special modo nei

(22)

paesi in via di sviluppo, il consenso o la cooperazione riguardo alle tematiche del benessere animale (Gavinelli e Ferrara, 2008).

In ambito internazionale, recentemente l’OIE ha iniziato ad occuparsi del benessere animale inserendolo per la prima volta nel proprio piano di attività (Piano Strategico 2001-2005); a tal scopo è stato istituito un gruppo di lavoro permanente, composto da veterinari ed altri esperti, il quale ha riconosciuto l’interdipendenza esistente tra salute e benessere animale ed ha emanato raccomandazioni al riguardo, di volta in volta vagliate ed adottate dagli stati membri dell’organizzazione, a partire dal 2003. Nel 2006, a Strasburgo è stata adottata una Dichiarazione Comune concordata tra l’OIE, il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea; con questo atto le istituzioni presenti si sono impegnate a fornire reciproco sostegno e cooperazione sul tema del benessere animale, attraverso l’emanazione di normative e raccomandazioni, la formazione dei veterinari e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Nel 2012, l’OIE ha adottato dieci Principi Generali per il benessere degli animali in allevamento, allo scopo di indirizzare lo sviluppo di linee guida secondo quanto appurato dalla ricerca scientifica nell’arco di mezzo secolo. Fraser et al. (2013) elencano tali Principi, che riguardano: l’influenza della selezione genetica sulla salute ed il comportamento animale; dell’ambiente nella trasmissione di malattie, nella proliferazione di parassiti e come causa di lesioni; dell’ambiente in quanto in grado di modificare i tempi di riposo e di movimento, nonché l’espressione di comportamenti naturali. Inoltre hanno preso in considerazione: una corretta gestione dei gruppi, per minimizzare la competizione e promuovere i rapporti sociali tra gli animali; gli effetti della qualità dell’aria, della temperatura e dell’umidità sulla salute ed il comfort degli animali e l’adeguata possibilità di accesso al cibo e all’ acqua. Infine hanno vagliato l’importanza della prevenzione ed del controllo di malattie e parassiti, il ricorso all’eutanasia per i casi senza alcuna possibilità di recupero; la prevenzione e la gestione del dolore; nonché la promozione di interazioni positive tra uomo ed animali attraverso un corretto handling da parte del personale addetto agli animali.

(23)

Il benessere animale negli allevamenti italiani

Fin dal principio, nella Comunità Europea gli ambiti normativi connessi con il benessere animale si sono distinti ed evoluti prendendo a riferimento le cinque Convenzioni per la protezione degli animali, emanate tra il 1968 ed il 1987 dal Consiglio D’Europa. Infatti, l’ampio panorama normativo di oggi è sostanzialmente riconducibile a cinque argomenti principali:

 allevamento

 trasporto di animali vivi  macellazione

 sperimentazione animale

 detenzione di animali da compagnia.

Pertanto, il benessere degli animali in allevamento è riconducibile a due Convenzioni del Consiglio d’Europa:

- la Convenzione sulla protezione degli animali allevati a scopo produttivo (Council of Europe, 1976), adottata dalla Comunità europea con la Decisione 78/923/CEE del Consiglio europeo;

- la Convenzione per la protezione di animali destinati al macello (Council of Europe, 1979), adottata con Decisione 88/306/CEE del Consiglio europeo. Queste normative sono state ratificate in Italia con la Legge n° 623 del 14/10/85. Successivamente, il Comitato permanente della Convenzione ha emanato specifiche raccomandazioni riguardanti le singole specie allevate; tra le dodici raccomandazioni c’è anche quella relativa agli ovini (6/11/1992).

In Italia la normativa vigente per la protezione degli animali in allevamento si basa sul Decreto Legislativo n° 146 del 26/03/2001, che ha recepito la Direttiva 98/58/CE. Si tratta di una norma orizzontale a carattere generale, rivolta alla tutela del benessere di tutti gli animali (inclusi i pesci, i rettili e gli anfibi) allevati o detenuti per la produzione di derrate alimentari, di lana, di pelli o di pellicce o per altri scopi agricoli (Rota Nodari, 2008). Stabilisce le condizioni minime di detenzione, soffermandosi in particolare su alcuni punti: il personale addetto e la frequenza di controllo degli animali, il registro dei trattamenti, la libertà di movimento, l’idoneità dei fabbricati e dei locali di stabulazione, la manutenzione degli impianti automatici, la corretta alimentazione, le mutilazioni, i metodi di

(24)

allevamento. Questa norma non interferisce con l’esistenza di una legislazione specifica per alcune specie o categorie produttive (come per i vitelli, le galline ovaiole, suini e bovini). Tuttavia il Decreto Legislativo 146/2001 è l’unico riferimento normativo per gli ovini, data la mancanza di norme apposite per tale specie.

La Commissione europea ha il compito di custodire e vigilare sulla corretta attuazione delle norme e dei trattati sulla protezione degli animali negli stati membri. A questo scopo la legislazione europea prevede delle verifiche, ad opera delle autorità competenti, sul rispetto delle prescrizioni sul benessere animale negli allevamenti.

La Condizionalità (PAC)

Dopo la riforma della Politica Agricola Comune (PAC) nel 1992, l’Unione Europea ha inserito il benessere animale in allevamento nelle politiche di sviluppo rurale. Il Reg. (CE) 1257/99 già prevedeva, infatti, la possibilità di interventi mirati in tale ambito, assieme agli altri requisiti minimi di investimento previsti (rispetto delle norme in materia di igiene ambientale, insediamento giovani agricoltori e miglioramento delle condizioni di trasformazione e commercializzazione). Successivamente, con il Reg. (CE) 1782/2003, per la prima volta furono allegati i Criteri di Gestione Obbligatori (CGO) per il benessere animale (Tab. 1.5), assieme a quelli relativi alla sanità pubblica, la salute delle piante e degli animali, la tutela dell’ambiente.

Tabella 1.5 - CGO sul benessere degli animali, applicati dal 1 gennaio 2007

C16 Direttiva 91/629/CEE del Consiglio, del 19 novembre 1991, che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli (GU L 340 dell'11.12.1991), articoli 3 e 4

C17 Direttiva 91/630/CEE del Consiglio, del 19 novembre 1991, che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini (GU L 340 dell'11.12.1991), art. 3-4, paragr. 1

C18 Direttiva 98/58/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, riguardante la protezione degli animali negli allevamenti (GU L 221 del 8.8.1998), articolo 4

(25)

La Condizionalità è stato un altro principio introdotto da questo regolamento: essa vincola le imprese agricole al rispetto dei Criteri di Gestione Obbligatoria (CGO) e al mantenimento della terra in Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali (BCAA), al fine di evitare riduzioni o esclusioni nell'erogazione dei contributi comunitari. Più recentemente, il Regolamento (CE) 73/2009 ha stabilito le nuove norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto agli agricoltori nell'ambito della politica agricola comune, abrogando il regolamento (CE) 1782/2003; tuttavia il principio generale della condizionalità è stato confermato, compresi i requisiti di benessere animale.

(26)
(27)

Dal VI° censimento generale per l’agricoltura promosso dall’ISTAT (2010) risulta che la Toscana è al quarto posto in Italia (dopo Sardegna, Sicilia e Lazio) per il numero di capi ovini allevati; infatti, sono stati censiti 2.359 allevamenti, per un totale di 471.064 capi. Si è registrato un decremento rispetto ai dati del precedente censimento (V° censimento generale dell’agricoltura, 2000), che riportava 4.628 aziende e 554.664 ovini allevati, mentre il numero medio di capi per azienda è cresciuto (170 nel 2010 contro i 120 registrati nel 2000). Si conferma perciò, anche per il comparto ovino, la tendenza delle piccole aziende a scomparire mentre si mantengono stabili le imprese medio-grandi (IRPET, 2011).

Il settore dell’allevamento ovino da latte conta 1.488 aziende, circa il 63% del totale di allevamenti ovini nella regione. Le province più coinvolte nella produzione di latte ovino sono quelle di Grosseto, Siena e, sebbene con forte distacco sulle altre due, Pisa (Graf. 2.1). La provincia Grosseto conferisce circa il 75% latte ovino toscano destinato alla produzione del pecorino toscano DOP. Il raccolto dall’industria lattiero-casearia nel 2010 è stato pari a circa 687.000 tonnellate di latte, tale produzione è seconda solo a quella sarda, superando anche Sicilia e Lazio. A livello toscano esistono almeno 149 stabilimenti di trasformazione riconosciuti, inoltre esiste un elevato numero di caseifici aziendali, per la trasformazione e vendita diretta dei formaggi (IRPET, 2011).

Grafico 2.1 - Distribuzione percentuale delle pecore da latte nelle province toscane

0,6 1,6 0,8 0,2 4,8 1,5 11,0 3,1 27,0 49,5 Massa- Carrara Lucca Pistoia Prato Firenze Livorno Pisa Arezzo Siena Grosseto

(28)

Dal progetto di ricerca “Valutazione on farm del benessere in allevamenti di bovini ed ovini da latte” (ARSIA, 2009) attuata tra il 2006 ed il 2008 su un campione di 50 aziende, è risultato che le modalità di allevamento degli ovini da latte riscontrate in Toscana sono essenzialmente il tipo estensivo (33%) e semi-estensivo (67% del campione); nel primo caso la stalla è utilizzata come ricovero temporaneo dalle intemperie mentre nel secondo è prevista la stabulazione notturna ed il pascolamento con condizioni meteorologiche favorevoli.

La razza maggiormente allevata è la Sarda (56%), seguita dalla Massese (17%), dalla Comisana (8%) e dalla Appenninica (8%); sono presenti poi altre popolazioni di consistenza limitata localizzate nelle zone di origine (Pomarancina, Zerasca, Garfagnina e meticci). La distribuzione delle razze sul territorio ed il tipo di conduzione non sono uniformi: la Sarda è presente soprattutto nella parte centro meridionale della regione, in aziende medio-grandi basate per la maggior parte su terreni di proprietà, con un buon livello di meccanizzazione e di elevate dimensioni aziendali; la Massese occupa prevalentemente le province del nord ed è allevata principalmente in aziende medio-piccole, a conduzione diretta, che ricorrono a terreni in affitto, talvolta solo in maniera stagionale.

Punti critici per il benessere animale

L’allevamento ovino, per le modalità con cui è condotto, garantisce il rispetto delle esigenze etologiche della specie ma può presentare tuttavia alcune criticità. Un buon livello di benessere animale viene garantito con l’applicazione di Buone Pratiche Zootecniche (BPZ) che derivano da quanto previsto dalla condizionalità e dalla legislazione nazionale di recepimento.

Il personale addetto al governo degli animali deve essere commisurato alla numerosità dei capi, al tipo di conduzione ed al grado di meccanizzazione presente in azienda. L’ispezione del gregge o dei vari gruppi di animali deve avere una frequenza almeno quotidiana (ciò è scontato per le pecore in mungitura ma deve avvenire anche per le altre categorie di animali, come le agnelle prepuberi e gli arieti); in caso di eventi come la tosatura, parto e altre pratiche zootecniche, il controllo degli animali deve essere più frequente con attenta osservazione di ogni

(29)

individuo. Perciò gli addetti devono necessariamente possedere la giusta formazione per interagire correttamente con gli animali e saper riconoscere tempestivamente le situazioni anomale (capi malati, zoppie, competizione ed aggressività eccessiva...), intervenendo correttamente per risolverle. Dalle interviste svolte, risulta che almeno la metà degli allevatori ha partecipato a corsi formativi, tuttavia molti hanno segnalato la carenza di formazione specifica, in particolare riguardo al benessere animale.

Le modalità di allevamento più diffuse sono di tipo estensivo o semi-estensivo; tra le due opzioni il modello semi-estensivo è migliore perché implica una minore esposizione agli stress termici ed ai predatori.

In ogni caso gli ovini trascorrono una consistente parte della loro vita sul pascolo, perciò la sua corretta gestione è fondamentale per garantire il loro benessere. Le dimensioni del pascolo devono essere adeguate al carico di animali, in base al disciplinare di allevamento (convenzionale, biologico, integrato) nel rispetto della normativa vigente sull’inquinamento zootecnico. L’attività di pascolamento degli ovini è strettamente influenzata dalla quantità e qualità di erba, ma anche dalla familiarità con i luoghi e dall’integrazione sociale all’interno del gregge: possono brucare per 9-12 ore percorrendo dai 6 ai 14 km al giorno. Le pecore tendono a concentrare l’attività di pascolamento nelle prime ore della mattina e in quelle prima del tramonto, dedicando le ore più calde del giorno e parte di quelle notturne alla ruminazione; in estate gradiscono maggiormente il pascolo nelle ore serali, mentre durante il giorno tale attività è inibita (Sevi e Casamassima, 2009). L’utilizzo del pascolo viene definito di tipo continuo, se il gregge sfrutta il medesimo appezzamento per l’intera stagione; mentre viene detto razionato quando agli animali sono destinati appezzamenti di terreno in funzione della disponibilità di erba. Il sistema a rotazione risulta migliore perché consente una migliore utilizzazione delle risorse pabulari da parte degli animali ed una minore proliferazione delle specie infestanti, infatti gli animali vengono immessi in una particella quando l’erba è alta 8–10 cm ed è previsto un consumo rapido ed uniforme di ciascuna area (2-4 giorni). Permette inoltre di ridurre la carica parassitaria sui vegetali, grazie ai corretti tempi di sospensione fra due utilizzi, garantendo anche una minor infestione dei giovani soggetti (UNAPOC, 1992).

(30)

Nel periodo estivo, gli animali devono poter accedere a dei ripari naturali (alberi ed arbusti) o artificiali (tettoie) per difendersi dal calore eccessivo, questi ripari devono essere dimensionati al numero di capi presenti per evitare competizione. Altri due elementi che minano fortemente il livello di benessere degli ovini al pascolo, nel periodo estivo specialmente, sono la scarsa di disponibilità di risorse alimentari e idriche a cui l’allevatore deve sopperire con opportune integrazioni alimentari e aumentando i punti di abbeverata. La stima del consumo giornaliero di acqua è di 7-10 litri per gli arieti e le pecore gravide, 10-12 litri per le pecore in lattazione e 0,5-1 per gli agnelli (UNAPOC, 1992); tuttavia la valutazione del fabbisogno idrico degli animali al pascolo è di notevole difficoltà, dato che dipende dal contenuto di umidità dell’erba, dalla temperatura ambientale e dalla durata dell’esposizione al sole.

La presenza di predatori, determina nel gregge un forte stress e successive ripercussioni, sia in termini produttivi (minor produzione lattea ed aborti) che di benessere (stati di angoscia e panico). L’allevatore può cercare di prevenire questi problemi installando delle recinzioni anti-lupo e introducendo dei cani da guardia ben addestrati, che proteggano il gregge al pascolo e fungano da deterrente.

L’ovile è costituito generalmente da un unico grande ambiente suddiviso in box e deve garantire buone condizioni di stabulazione, igiene e salute per gli animali. Durante la permanenza al chiuso degli animali, il microclima deve essere adeguatamente condizionato per limitare la dispersione di calore in inverno ed un eccessivo aumento delle temperature in estate. Le temperature ottimali in ovile si attestano sui 10-18°C per le pecore, con un range di tolleranza compreso tra i 6 e i 26°C, mentre gli agnelli necessitano di temperature ottimali un po’più alte (14-21°C). Temperature superiori possono provocare significativa riduzione della risposta immunitaria, alterazione del bilancio minerale, diminuzione della produzione lattea e del suo contenuto in caseina ed in grasso, peggioramento della qualità igienico-sanitaria e dell’attitudine casearia del latte (Sevi e Casamassima, 2006).

I ricoveri per gli ovini sono generalmente strutture prefabbricate, in cemento, muratura o più raramente in legno e materiali misti; devono essere orientati secondo i venti dominanti e con la migliore esposizione possibile al sole. Queste

(31)

accortezze sono fondamentali per assicurare la corretta ventilazione in estate, il ricambio dell’aria in inverno e lo sfruttamento massimo della luce naturale attraverso ampie finestre (almeno 1/20 della superficie calpestabile). L’illuminazione artificiale deve essere sempre garantita con almeno 15 lux di intensità luminosa (UFV, 2003). La ventilazione è essenziale per allontanare le sostanze inquinanti (gas nocivi, microrganismi, polveri) dagli ambienti, la cui elevata concentrazione può ripercuotersi negativamente sulle condizioni di vita, sullo stato di salute e sulla produttività degli animali allevati, oltre a peggiorare le condizioni di lavoro degli addetti. Affinché siano garantiti il corretto funzionamento ed il tempestivo intervento in caso di anomalie, gli impianti automatizzati della stalla necessitano di ispezioni frequenti da parte del personale, una manutenzione programmata.

Il pavimento, le pareti, i recinti e tutte le strutture mobili di contenimento che vengono a contatto con gli animali, devono essere privi di asperità, scivolosità o sporgenze pericolose, inoltre devono essere facilmente lavabili e disinfettabili. Per favorire lo stato di tranquillità degli animali quando si trovano in ovile, rumori e vibrazioni dall’esterno, o provenienti dagli impianti, dovrebbero essere minimizzati. Gli abbeveratoi collettivi o individuali presenti in stalla devono trovarsi in posizione sollevata da terra e posizionati in maniera tale da ridurre le contaminazioni, devono essere puliti una volta al giorno ed incrementati nel periodo estivo. Le rastrelliere e mangiatoie non devono presentare segni di deterioramento e sporcizia, devono essere previste in numero e dimensione tali da consentire l’alimentazione contemporanea di tutti gli animali, senza che si creino gerarchie.

Le superfici di stabulazione devono essere adeguate al numero di capi, suddividendo lo spazio per gruppi con affinità fisiologica e produttiva (pecore in produzione, agnelle da rimonta, agnelli di età inferiore a 4 mesi, arieti), i gruppi dovrebbero essere di consistenza non superiore a 50 capi.

In Toscana è emerso che la superficie media/pecora si attesta intorno a 1 ± 0,4 m2, in linea con le BPZ; tuttavia un numero non trascurabile di realtà zootecniche (25%) confina gli animali in spazi piuttosto ridotti, al di sotto di 0,8 m2/capo

(32)

(ARSIA, 2009). Nella tabella 2.1 sono riportate le superfici unitarie secondo le buone pratiche zootecniche.

Tabella 2.1 - Superfici unitarie coperte per la stabulazione di ovi-caprini da latte Categoria Superficie minima (m²/capo)

Pecora in produzione 0.8

Agnelle da rimonta 0.6

Agnelli fino a 4 mesi 0.4

Ariete 2.0

Lo spazio di stabulazione è un requisito importante di benessere animale, a maggior ragione nella stagione invernale quando le pecore passano più tempo al chiuso; è prevista una riduzione dimensionale dei ricoveri (15-20%) solo nell’allevamento estensivo, per l’uso limitato della struttura da parte degli animali (Chiumenti, 2001). L’allevamento biologico impone maggiori superfici a disposizione degli animali: 1,5 m²/pecora e 0,35 m²/agnello; mentre altri Autori indicano come ottimale una superficie/capo di 2 m² e comunque mai inferiore a 1,5 m²/capo (Sevi e Annicchiarico, 2005).

Tra gli spazi dedicati agli ovini, sarebbe auspicabile che l’allevatore prevedesse un’area per l’isolamento dei capi malati, con lettiera pulita, cibo di buona qualità ed acqua fresca a disposizione; la separazione fisica dal resto del gregge è essenziale per evitare il diffondersi di malattie, tuttavia l’allevatore deve assicurare un contatto visivo tra i soggetti isolati ed il resto del gregge, poiché gli ovini sono animali gregari e mal sopportano l’isolamento totale dal gruppo.

Per l’introduzione di soggetti nuovi in allevamento, è buona norma possedere una zona di quarantena, possibilmente non all’interno dell’ovile ma in locale separato. Il sistema di mungitura più diffuso è quello meccanico fisso (sala di mungitura o carrello attrezzato), che comporta dei tempi di attesa per le pecore mediamente di 2-3 ore, due volte al giorno. L’accesso dei capi alla sala di mungitura prevede generalmente la suddivisione dell’ovile mediante transenne mobili, mentre solo il 10% delle aziende dispone di una effettiva sala di attesa. In ogni caso, per la tutela del benessere animale è opportuno che le pecore siano divise in recinti di dimensioni adeguate (0,25–0,30 m²/capo), formando gruppi non numerosi per evitare l’affollamento e l’accesso indisciplinato alla mungitura; inoltre, è

(33)

indispensabile che nelle aree di attesa siano disponibili abbeveratoi e ripari dagli agenti atmosferici.

I percorsi di accesso e di uscita dalla mungitura, devono essere strutturati in modo da evitare traumi e lesioni alle pecore (gradini con altezza corretta, rampe anti-sdrucciolo con la giusta pendenza, percorsi privi di sporgenze e con protezioni che evitino le cadute dall’alto). Le vasche per bagni medicati dovrebbero essere installate all’uscita dalla zona di mungitura, prevedendo un percorso obbligato per il passaggio delle pecore.

Particolare accortezza deve essere dedicata alle primipare, le quali devono essere abituate gradualmente ed in modo positivo, all’atto della mungitura: due settimane prima del parto, le primipare dovrebbero essere riunite in gruppi omogenei per età e fatte entrare in mungitura per abituarle alla vicinanza degli addetti, ai rumori e alle manipolazioni.

La riproduzione negli ovini è affidata alla monta naturale, perciò viene lasciata agli animali la piena libertà di esprimere i comportamenti tipici del corteggiamento e dell’accoppiamento. Tuttavia occorrono alcune accortezze nella gestione degli arieti, in particolare una corretta composizione dei gruppi di monta prevede un rapporto maschi/femmine di 1:35-40, da ridurre in presenza di giovani arieti per evitare uno loro sfruttamento eccessivo (Balasini, 2001).

Per quanto riguarda la gestione del parto, nella maggior parte dei casi, gli animali sono lasciati liberti di scegliere il luogo del parto mentre, talvolta viene preferito far partorire le pecore in stalla per garantire un eventuale tempestivo controllo sulla partoriente e sui nascituri. Nel primo caso la pecora può esprimere un comportamento naturale, ricercando un luogo tranquillo ed allontanandosi dal resto del gregge. La scelta di confinare le partorienti in stalla è un buon compromesso tra le esigenze di controllo dell’allevatore ed il benessere della pecora. E’ necessario, tuttavia, adottare certe accortezze, per esempio, è necessario prevedere una zona dell’ovile dedicata al parto, preferibilmente con box individuali; limitare al minimo i fattori di disturbo (rumori, vicinanza di personale ed altre pecore) durante il parto e le ore successive, per favorire il riconoscimento madre-figlio. Il personale dovrebbe possedere le conoscenze adeguate per la corretta assistenza al parto e saper intervenire prontamente, se necessario.

(34)

Generalmente nella prima settimana dopo il parto, madre e figlio rimangono separati dal gregge permettendo il rafforzamento del loro legame e la frequente assunzione di latte da parte dell’agnello; successivamente la femmina si ricongiunge al suo gruppo e viene seguita dal pascolo anche dal piccolo. Al pascolo gli agnelli si aggregano in gruppi per il gioco motorio e sociale, per imitazione degli adulti iniziano ad assaggiare e riconoscere le essenze foraggere, dando inizio al passaggio fisiologico dalla condizione di monogastrico funzionale (lattante) a quella di poligastrico funzionale (ruminante).

Lo svezzamento prevede due modalità di intervento da parte dell’allevatore: il metodo graduale prevede separazioni ripetute e progressivamente più lunghe dell’agnello dalla pecora, in alternativa può prevedere l’allontanamento fisico dalla madre mantenendo un contatto visivo ed acustico; nello svezzamento brusco, invece, l’agnello viene allontanato una sola volta e in modo definitivo dalla madre. Sevi e Casamassima (2009) hanno evidenziato l’inopportunità di svezzare l’agnello prima delle 5-6 settimane di vita, poiché anche in natura è questo il periodo in cui il legame con la madre si affievolisce ed essa inizia a svezzarlo. Poiché lo svezzamento comporta sempre un rallentamento del ritmo di accrescimento, il momento più opportuno per effettuare questa pratica è quando l’animale ha raggiunto 9-12 kg di peso o triplicato il peso alla nascita (Pulina, 2001). Il metodo più rispettoso del benessere della pecora e dell’agnello risulta essere quello brusco; infatti è vero che l’allontanamento immediato è traumatico, ma genera meno stress emotivi per entrambi rispetto agli allontanamenti ripetuti del metodo graduale. Dopo il distacco, l’adattamento rapido degli agnelli al nuovo regime alimentare è favorito se vengono affiancati al pascolo da un gruppo di femmine adulte (Sevi e Casamassima, 2009).

Le principali pratiche zootecniche, quali tosatura, pareggio degli unghioni e mutilazioni (taglio della coda, delle orecchie, decornazione, castrazione) devono essere compiute da personale addestrato e con le giuste modalità di contenimento. Per evitare l’attacco di mosche ed altre complicazioni post-operatorie, le mutilazioni andrebbero evitate nei mesi estivi e gli animali coinvolti dovrebbero rimanere in ovile, separati dal gregge per qualche giorno; il personale deve ispezionare con frequenza i soggetti operati.

Figura

Figura 1.1- Le cinque libertà espresse dal FAWC (1979)
Tabella 1.3 – Principi e Criteri generali del sistema Welfare Quality ®
Tabella 1.4 – Aspetti critici ed indicatori di benessere degli ovini

Riferimenti

Documenti correlati

“Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi