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ALTEMS

Master Universitario di II Livello

Organizzazione e Gestione delle Aziende e dei Servizi Sanitari Facoltà di Economia

Facoltà di Medicina e Chirurgia

In collaborazione con Policlinico Universitario “A. Gemelli”

Master Universitario di II Livello

in

Organizzazione e Gestione

delle Aziende e dei Servizi Sanitari

La sostenibilità del S.S.N. e la valorizzazione dei

modelli assistenziali per competenza. Valori e

opportunità”

Project Work

A.A. 2012/2013

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Ai miei due grandi amori, i miei figli Francesco e Valerio, a Marili’, mia moglie, per la sua tenacia, semplicità e grandezza nello spirito. A loro va’ il mio interminabile ringraziamento.

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Indice

Cap 1. Il Sistema Sanitario Nazionale, impatto sull’economia nazionale; pag 4 Cap 2. Il cambiamento del sistema salute, in base ad una nuova lettura della domanda pag 9 2.1 L’invecchiamento della popolazione; pag 10 2.2 Il cambiamento epidemiologico: “l’epidemia” della cronicità pag 11

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Cap. 1.

Il Sistema Sanitario Nazionale, impatto sull’economia nazionale

Il nostro sistema sanitario è stato considerato dall’OMS uno dei primi in Europa, sulla base di tre indicatori:

1. il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione;

2. la risposta alle aspettative di salute e di assistenza sanitaria dei cittadini; 3. l’assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione._1

Si parla con sempre maggiore insistenza di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, e la sostenibilità in sanità comprende oltre ai fattori strettamente economici, anche altri fattori quali lo sviluppo, la cultura, la professionalità e l’innovazione. Sviluppare un Servizio Sanitario Nazionale sostenibile vuol dire, quindi, porre attenzione ed investire su tutti questi fattori, ma significa, soprattutto, aggiornare il modello organizzativo e strutturale del sistema sanitario in modo da renderlo più vicino alle persone e ai bisogni di salute che essi esprimono.

Non vi è dubbio, che il SSN italiano, come la gran parte del servizi sanitari europei, si confronta oggi con nuove, importanti sfide assistenziali, e ciò determina la necessità di sottoporlo a revisione.

In particolare, l’esigenza di una revisione scaturisce da numerosi fattori, tra i quali la tendenza all’invecchiamento della popolazione da assistere, che importa l’individuazione di nuovi modelli di assistenza e di cura con ricadute sul tessuto sociale ed urbanistico.

Il prossimo futuro imporrà che la quantità di risorse necessarie per garantire la disponibilità di cure (a una popolazione che continuerà ad invecchiare) sarà sempre in

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aumento, con una progressione di spesa che difficilmente potrà essere garantita dallo stato. Il compito più importante per i policy makers sarà, invece, quello di affrontare i problemi della sanità in un contesto di approccio strutturale e non con interventi ad hoc come ampiamente fatto negli anni passati. L’investimento sulla prevenzione sarà sicuramente la forma di investimento con il più elevato ritorno in termini di benefici per euro speso da parte della popolazione. Ma anche in questo caso sarà importante sapere dove intervenire e con quali strumenti. Diventa indispensabile la disponibilità di dati statistici su cui implementare studi epidemiologici al fine di trovare la risoluzione ai problemi di salute.2

In sintesi, occorre invertire la rotta e partire dalle nuove esigenze di assistenza e cura per giungere a nuovi modelli di intervento.

Le recenti misure di contenimento della spesa del Servizio sanitario nazionale sono principalmente dettate da un decennio di crescita economica debole in cui il PIL ha registrato un incremento complessivo di 2,8 punti, mentre la spesa sanitaria è aumentata di 45,1 punti;

Il finanziamento per il SSN rimane quello fissato nell’ambito delle manovre di correzione varate nel 2011, precisamente nel Dl 98/2011, che hanno imposto anche alla sanità un significativo onere, con una riduzione delle risorse disponibili per il periodo 2011-2012 (vedi tabella 1). In tal modo, quelle risorse che nell’intesa del dicembre 2009 dovevano essere rese disponibili dallo Stato sono, invece, poste a carico delle Regioni che devono recuperarle attraverso un incremento della compartecipazione alla spesa per gli utenti. Inoltre, è stata stabilita una riduzione del finanziamento statale per gli anni 2013-2014: il finanziamento statale vigente, ottenuto incrementando quello del 2012 del tasso di variazione del PIL, è ridotto di 2 miliardi per il 2013 e di 5,4 miliardi per il 2014 (vedi tabella 2)

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volta la spesa sanitaria registra una riduzione in termini nominali, così come era accaduto nei primi anni ’90.

Un aspetto che desta preoccupazione sulla sostenibilità, in questo caso sociale ed epidemiologico, del SSN, è la modalità con cui sono stati ottenuti i rilevanti ed efficaci contenimenti della spesa, soprattutto nelle regioni in Piano di Rientro.

In tali contesti, sembra prevalere ancora la logica del governo dei fattori produttivi e non dei servizi, verificando esclusivamente la riduzione dei consumi dei singoli imput, al di fuori di un’analisi degli output e degli outcome dei servizi. Si privilegiano quindi le misure di blocco delle assunzioni, che si correlano con il congelamento delle retribuzioni pubbliche, cosi come di contenimento della spesa per farmaci, medical device, beni e servizi e per le prestazioni erogate da produttori privati accreditati.

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ì.) La salute rientra tra i diritti costituzionalmente garantiti e, pertanto, per rendere fruibile tale diritto, vanno contemperati gli sforzi per raggiungere l’equilibrio di bilancio con l’impegno verso la reale garanzia dell’attuazione dei LEA e l’aiuto e il supporto – anche questo costituzionalmente previsto- a chi è in condizione di fragilità, non autosufficiente, povertà;

ìì.) La sanità rappresenta uno dei più importanti comparti del paese non solo sul versante finanziario, ma anche sul versante occupazionale e produttivo e quindi economico;

ììì.) La sanità è un rilevante volano per l’accrescimento del Know how nella ricerca scientifica, tecnologica, nelle scienze mediche, assistenziali, educative, gestionali e organizzative3.

La salute, dunque, insieme all’organizzazione e ai professionisti che ne occupano – sanità- deve essere considerata più che un fattore di spesa, un valore sia per l’economia del Paese, sia per il servizio alla collettività.

Cap. 2

Il cambiamento del sistema salute, in base ad una nuova lettura della

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domanda

Continua il lento e progressivo processo di accorpamento delle aziende pubbliche, sia sul versante ASL, sia su quello delle AO, riducendo il numero delle aziende pubbliche e aumentandone significativamente le dimensioni geografiche e l’entità dei fattori produttivi governati.

In molte regioni, si sta prefigurando un nuovo aspetto istituzionale di SSR, basato su un numero davvero limitato di aziende “giganti”: oltre all’ASUR marchigiana, l’azienda unica è ormai una scelta comune in tutte le regioni piccole; l’Abruzzo ha concentrato l’assetto complessivo di sistema in sole 4 ASL, l’Umbria ha ridotto le ASL a 2. Tra le grandi regioni, l’Emilia Romagna sta procedendo rapidamente alla costituzione dell’AUSL unica della Romagna (Rimini, Forli, Cesena e Ravenna unificate) 4

Sono ancora più rilevanti fattori strutturali quali l’invecchiamento della popolazione, il cambiamento epidemiologico, il progresso scientifico e l’innovazione tecnologica e il cambiamento nelle asimmetrie informative tra pazienti e medici. Questi fattori presentano una tendenza evolutiva meno incerta ma anche più difficilmente reversibile e meno controllabile.

Essi sono interdipendenti gli uni dagli altri; il loro effetto, infatti, si rinforza reciprocamente e questa mutua interazione spiega l’aumento dei bisogni sanitari e la loro traduzione in domanda di servizi.

2.1 L’invecchiamento della popolazione

4Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano – Rapporto OASI 2013 a cura di Elena Cantu’ e

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L’allungamento della vita è il risultato della crescita economica e del progresso scientifico e tecnologico che, insieme al benessere economico, ha consentito una migliore risposta ai bisogni sanitari della popolazione. Dal 1960 ad oggi l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata di 12,3 anni per le donne e 12,2 anni per gli uomini, attestandosi rispettivamente a 84,6 e 79,4 anni (OECD, 2012).

L’aumento è sensibile anche se si confrontano questi valori con quelli relativi agli inizi degli anni ’90 (quando ha preso il via il processo di aziendalizzazione del SSN). Tra il 1990 e il 2009, infatti, la vita media si è allungata di 4,3 anni per le donne e 5,6 anni per gli uomini (OECD, 2012). L’aumento dell’aspettativa di vita alla nascita, congiuntamente ad un rallentamento nella natalità, ha prodotto un aumento della percentuale di popolazione anziana. Nel 2012, infatti, secondo l’OCSE, il 20,3% della popolazione italiana ha più di 65 anni (5,6 punti percentuali in più che nel 1990 e 11 in più rispetto al 1960), e il 6% ha più di 80 anni (percentuale che nel 1990 era pari al 3,1% e all’1,3% nel 1960). Una popolazione anziana che raddoppia, in termini relativi,

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2.2 Il cambiamento epidemiologico: “l’epidemia” della cronicità.

L’invecchiamento della popolazione è tra i fattori che -insieme agli stili di vita- contribuiscono all’aumento dell’incidenza delle malattie croniche in tutti i paesi industrializzati. Ad esempio, nel 2008 (OECD, 2012) l’incidenza dei tumori in Italia è aumentata rispetto al 1998 di 27 unità di 100.000, equivalenti a 132 casi all’anno in più per una media ASL di 500.0005 abitanti. Sempre al 2008, secondo una stima dell’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO, 2011), il 92% delle cause di mortalità in Italia è riconducibile a malattie non trasmissibili, costituite per più di due terzi da malattie cardiovascolari e tumori (Figura 2).

Figura 2: mortalità per malattie non trasmissibili, Italia (2008)

Le malattie cardiovascolari, infatti, sono responsabili da sole del 48% della mortalità in Europa. Dal punto di vista di un sistema sanitario con vincoli di bilancio, l’impatto

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economico delle malattie croniche sta assumendo proporzioni preoccupanti. In Gran Bretagna, ad esempio, le malattie croniche a più alta prevalenza (malattie cardiovascolari, cancro, diabete e demenze) assorbono oltre il 50% della spesa sanitaria totale annuale. Complessivamente, in Europa, le sole malattie cardiovascolari sono costate nel 2006 circa 192 miliardi di euro, dovuti per il 57% (circa 110 miliardi) ai costi sanitari, per il 21% alla produttività persa e per il 22% alle cure informali (82 miliardi) (Luengo-Fernandez, Leal, Gray, Petersen, & Rayner, 2006). A livello pro-capite, le spese sanitarie dirette per la cura delle malattie cardiovascolari ammonta a 223 euro all’anno: sono le malattie che hanno i costi economici, oltre che umani, più elevati d’Europa (Luengo-Fernandez et al., 2006; Marmot & Wilkinson, 2009).

Anche il cambiamento negli stili di vita influenza il cambiamento epidemiologico. Tra questi, le dipendenze da alcool e tabacco sono sicuramente rilevanti (secondo il WHO il fumo di tabacco è causa di 6 milioni di morti ogni anno, ovvero di una morte su 10 negli adulti in tutto il mondo (WHO, 2011)). Da un punto di vista dinamico, in Italia queste dipendenze sono meno diffuse che in altri Paesi, e soprattutto sono in diminuzione. Il consumo pro-capite in litri di bevande alcoliche in Italia era pari a 19,2 litri per abitante oltre i 15 anni nel 1960, valore che nel 1990 era già sceso a 11 litri e nel 2009 era pari a 6,9 litri (OECD, 2012). Per quanto riguarda il consumo di tabacco, similmente, la percentuale italiana di abitanti oltre i 15 anni che si dichiarano fumatori abituali era pari al 50% nella seconda metà degli anni ’60, per ridursi gradualmente grazie alle politiche di prevenzione e di restrizione. Nel 1990 il 28,5% era fumatore abituale e nel 2010 questa percentuale si è ridotta al 19,5% (OECD, 2012).

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2008; Reidpath, Burns, Garrard, Mahoney, & Townsend, 2002).

Malgrado l’Italia sia ai livelli più bassi in Europa per tasso di prevalenza dell’obesità negli adulti (≥18 anni), la quota di adulti in sovrappeso e obesi è in crescita: nel 2009 il 10.2% della popolazione italiana adulta, circa 5 milioni di persone, risultava obesa; nel 2001 la stessa percentuale era pari a 8.5% (Istat, 2010), mentre sempre nel 2009 il 36,1% degli adulti risultava in sovrappeso, contro il 33% del 2001 (OECD, 2012). Ancora più rilevante, in senso prospettico, è l’aumento del fenomeno in età infantile. Nel 2012, secondo uno studio del Ministero della Salute (Ministero della Salute, 2013) il 32,3 dei bambini è in stato di sovrappeso o obesità. In termini di costi, la FAO ha recentemente stimato i costi mondiali relativi al fenomeno dell’obesità in 1,3 trilioni di dollari all’anno (FAO, 2012).

Un ultimo -ma determinante- fattore alla base del cambiamento epidemiologico e dei bisogni ad esso collegati è la riduzione della mortalità specifica sulle patologie sopra citate, fenomeno che statisticamente ne aumenta immediatamente la prevalenza. Ci si ammala di più ma si muore di meno per specifiche patologie croniche. Si muore per pluripatologie e dopo periodi più lunghi di cronicità. Questo fenomeno è in larga parte da attribuire alle dinamiche dell’innovazione scientifica e tecnologica in sanità.

Cap 3. I modelli organizzativi assistenziali gestionali

In questi ultimi decenni sempre più si sente parlare di un assistenza globale, personalizzata, a misura d’uomo. Gli utenti, diventati persone attive nel loro percorso di salute e malattia, sono sempre più esigenti e, per rispondere alle loro necessità, le istituzioni sanitarie hanno bisogno, oltre che di tecniche e tecnologie avanzate, di professionisti competenti e aggiornati alle più recenti evidenze scientifiche e di un’alta dose di umanità.

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l’appropriatezza delle cure ai cittadini occorre trovare modelli innovativi di controllo dei costi e di contestuale incremento della qualità dei servizi sanitari.

Il modello organizzativo assistenziale del case management, o gestione del caso, si propone come strumento empirico, nella realizzazione di percorsi di cura, atto a favorire l’efficacia e il controllo dei costi attraverso la massima individualizzazione delle risposte ai bisogni sanitari.

In letteratura si trovano varie definizioni:

- Sistema di accertamento, pianificazione, fornitura, erogazione, coordinamento di servizi e monitoraggio dei bisogni multipli del paziente (Zender 1990)

- Insieme di fasi logiche e processo di interazione tra i servizi di un sistema di enti, che assicura che l’utente riceva le prestazioni necessarie in modo efficace, efficiente, a costi giusti (McKenzie et al 1989)

- Modello organizzativo assistenziale che ha lo scopo di provvedere alla qualità delle cure, aumentare la qualità della vita, diminuire la frammentazione e contenere i costi dell’assistenza (ANA 1988).

Altre definizioni di case management, più che puntare sullo scopo principale che è la soddisfazione dei bisogni degli utenti, pongono un’enfasi eminente sulla riduzione dei costi.

Il case management è comunque un sistema di erogazione dell’assistenza al cittadino. Esso si pone come obiettivo la riduzione dei costi e dei tempi di degenza ma si propone anche di migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’assistenza sanitaria, durante tutto l’evento patologico e in qualunque struttura. La metodologia di tale sistema si basa sul coordinamento e l’utilizzo di risorse adeguate, sull’appropriatezza degli interventi e sul monitoraggio dei risultati raggiunti.

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loro ruolo, all’interno dei gruppi assistenziali multidisciplinari.6

A seconda del contesto, delle caratteristiche organizzative, dei bisogni e della filosofia organizzativa, delle conoscenze e dell’esperienza dei membri dello staff, della popolazione assistita vengono usati diversi termini per identificare il modello. I più utilizzati sono: case management, managed care, care management, nursing care (o case) management. Negli ospedali per acuti viene utilizzato maggiormente il termine case management.

Alla fine degli anni ’80, il case management si afferma negli Stati Uniti come il più recente modello di assistenza infermieristico.

In un’ indagine dell’American Hospital Association del 1990, esso risulta, il modello assistenziale più diffuso negli USA nei reparti per acuti.

Già prima però sono stati descritti numerosi modelli di case management nei servizi sociali, nei servizi sanitari e nella letteratura infermieristica. I primi articoli appaiono nella letteratura dei servizi sociali solo alla fine degli anni ’70.

Il case management, però, ha origini ben più lontane, esse si fanno risalire al 1863, durante la Guerra di Secessione, quando nel Massachussetts nell’area dei servizi sociali le associazioni di volontariato introdussero il principio di coordinamento dei volontari e dei servizi destinati alle persone malate e bisognose per garantire a queste continuità nell’assistenza

Nel 1900 Annie Goodrich, direttrice della scuola di Nursing dell’Università di Yale, descriveva la figura di un operatore che coordina gli interventi sanitari e sociali in base alla rilevazione dei bisogni delle persone e della famiglia, garantendo un appropriata allocazione delle risorse, un contenimento dei costi, una diretta responsabilità per le cure prestate. Questi principi anticipano con straordinaria precisione la figura di quell’operatore che oggi viene chiamato case manager.

Agli inizi del ’900 Lillian Wald suggerisce alla compagnia di assicurazione Metropolitan Life Insurance un dipartimento delle infermiere visitatrici per fornire agli assicurati delle

6Patrizia Nunziante “I nuovi modelli organizzativi. Le nostre sfide per il futuro Il Case managment. Newsletter

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compagnie industriali di Manhattan il servizio di “case management nursing”.

Il modello, visto il successo ottenuto nel controllo dei costi, tale da far risparmiare alla Metropolitan Life Insurance Company di New York 43 milioni di dollari, fu utilizzato per assistere gli ex combattenti della II Guerra Mondiale e le loro famiglie, da parte della Veteran Administration, l’organizzazione statunitense che assiste gli ex militari.

Negli anni ’60, il case management, viene utilizzato per l’implementazione di un programma coordinato di assistenza ai malati mentali dopo la deistituzionalizzazione degli ospedali psichiatrici da parte del National Institute of Mental Health, il quale sottolineando l’importanza della continuità e del coordinamento delle cure per questo genere di malati si pronunciò a favore di una politica di sviluppo che ponesse l’integrazione e il coordinamento alla base dei nuovi modelli di assistenza psichiatrica territoriale, indicando il case management come modello di riferimento.

Il modello viene utilizzato negli anni ’70 per l’assistenza ai bambini con handicap. Nel 1975 negli USA la legge istituì un case manager comunitario al fine di garantire l’accessibilità ai servizi, in particolare per quelli preventivi.

Negli anni ’80, l’enfasi sul controllo dei costi e l’affermazione del sistema di pagamento prospettico o modalità di pagamento degli ospedali per caso trattato, in seguito all’introduzione dei DRGs, il modello assistenziale del case management viene introdotto formalmente nel vocabolario del nursing e si afferma come modello di erogazione dell’assistenza negli USA. L’ottimizzazione della durata della degenza e delle prestazioni effettuate nell’ambito di un ricovero, è divenuto cruciale per il bilancio degli ospedali, da qui l’introduzione del case manager, che segue l’utente durante tutto

il ricovero, attraverso un percorso clinico standard dove tutti gli interventi vengono pianificati in modo da evitare duplicazioni, ridondanze, attese, con l’obiettivo di ridurre la durata del ricovero al minimo indispensabile.

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americani per acuti.

La diffusione del modello, oltre che alle spinte economiche, è legata al cambiamento dei ruoli del personale di cura, alla riforma assistenziale, alle richieste di maggiore qualità dell’assistenza da parte dei clienti; il case management è infatti un modello di erogazione dell’assistenza che integra la soddisfazione del cittadino e dell’organizzazione ed è nello stesso tempo un metodo per la gestione olistica ed individuale dei problemi di salute.

I recenti cambiamenti avvenuti all’interno del servizio sanitario nazionale quali l’aziendalizzazione degli Ospedali e delle ex Usl, che hanno introdotto il principio della competitività anche all’interno del sistema sanitario pubblico, lo sviluppo dei servizi sanitari territoriali, dei distretti comincia a rendere concrete anche in Italia le prime esperienze di case management.

3.1 Manager care e case management

Lo sviluppo del Manager care (assistenza gestita) è stato influenzato negli USA dall’evoluzione clinica e organizzativa del sistema sanitario. Si tratta di un sistema organizzativo composto da strutture e metodi la cui finalità ultima è quella del contenimento dei costi (efficienza) e dell’erogazione di un servizio sanitario di qualità (efficacia) e di una logica/filosofia che deve declinare efficienza, efficacia e soddisfazione del cittadino.

Il manager care è un sistema organizzativo di assistenza che ha come fine ultimo il raggiungimento di determinati risultati usando risorse che sono appropriate al caso specifico e al tipo di utenti serviti, che possiamo riassumere in:

- continuità e integrazione della risposta assistenziale, - controllo dell’utilizzazione delle risorse.

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delle cure: è stato pertanto preferito dalle assicurazioni, dalle imprese e spesso anche dai singoli cittadini.

Uno dei principi fondanti del manager care è il cambiamento degli atteggiamenti degli operatori, in quanto esso guida questi ultimi a prendere le decisioni più consone per rimuovere le erogazioni di servizi inappropriati e permettere la scelta di quelli più appropriati, opportuni ed efficaci.

Per modificare l’approccio clinico dei professionisti, i sistemi di manager care si sono basati su tre livelli di intervento:

- selezione del personale e delle strutture,

- incentivazione del personale e dei cittadini, che scelgono operatori sanitari, che fanno parte del sistema,

- verifica dei risultati raggiunti.

I sistemi manager care utilizzano come strumento “professionale” di orientamento della pratica clinica i critical o clinical pathway (percorsi critici o clinici standard), elaborati da gruppi multidisciplinari e gestite spesso da manager o coordinatori infermieristici o amministrativi.

I termini manager care e case management vengono spesso confusi al punto che spesso viene oscurato l’obiettivo principale del modello assistenziale.

Il manager care è più che altro un ingranaggio per il controllo finanziario dei servizi e per conglobare in generale un target di popolazione. Esso è stato descritto come una unità di base di un modello assistenziale centrato sui risultati dei clienti (Zander); al contrario il case management è fondato sui bisogni di salute di una specifica popolazione di clienti.

Il case management (gestione del caso) è un componente del manager care chiamato anche primary nursing di seconda generazione; è considerato evoluzione, miglioramento ed estensione dei concetti fondamentali del primary nursing.

Il case management fa riferimento ad un servizio fornito da professionisti che forniscono e/o coordinano servizi sociali e sanitari.

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alla dimissione. La gestione del caso si concentra su un episodio di malattia e include tutte le aree in cui il cliente riceve assistenza; viene principalmente utilizzato per pazienti o popolazioni di pazienti che richiedono livelli intensivi di assistenza come: - terminali, anziani;

- ad alto costo;

- con frequenti ricoveri;

- con significative variazioni assistenziali; - con fattori socio-economici ad alto rischio; - con alta densità di popolazione.

Altre indicazioni per l’implementazione del modello sono una mission istituzionale strategica e situazioni in cui più figure professionali sono coinvolte nella cura del paziente (es.: pazienti diabetici, HIV sieropositivi, politraumatizzati) oppure per specifiche popolazioni di pazienti come ad esempio gli anziani.

Il processo del case management include: - identificazione di una popolazione di pazienti; - effettuazione di una valutazione completa;

- definizione dei risultati attesi in un determinato periodo di tempo;

- la negoziazione del piano di assistenza con il paziente e con i “caregivers”; - implementazione e monitoraggio del piano;

- analisi dei risultati;

- prendere le decisioni necessarie, valutare e modificare il piano.

I pazienti che per motivi vari non rientrano in un determinato target, che sono ad alto rischio di complicazioni e quindi non seguono un critical pathway saranno “case manager”¯ cioè si attuerà per essi una gestione del caso. Questi si possono aggirare al 20-50% dei pazienti di un reparto. Più complessi sono i problemi dei pazienti, potenzialmente più elevato è il rischio di una utilizzazione inappropriata di servizi, di riammissione impropria in ospedale, di frammentazione dell’assistenza e di ritardo del processo diagnostico terapeutico.

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manager.

Il case management è un modello unico di assistenza perché può essere centrato sia sul singolo paziente, sia su una popolazione di pazienti. Esso è contemporaneamente sistema sia multidisciplinare sia monodisciplinare e lavora con pazienti in diversi setting e aree assistenziali (Zander).

Il case management è un meccanismo autonomo di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’assistenza sanitaria, basato sulla logica di coordinamento delle risorse da utilizzare per la specifica patologia del paziente attraverso le diverse strutture del sistema sanitario. L’approccio del case management è quello di considerare i pazienti come una entità che sta vivendo un percorso di malattia, allontanandosi della concezione di vedere i pazienti attraverso le cure previste ed erogate in modo frammentario ed episodico.

Lo scopo principale del case management è pertanto quello di ottimizzare l’autocura dei clienti, ridurre la frammentazione delle cure, fornire qualità delle cure attraverso la continuità, migliorare la qualità di vita dei clienti, ridurre la degenza ospedaliera, aumentare la soddisfazione dello staff di cura e promuovere l’uso efficace delle risorse.

3.2. Critical/clinical pathways o percorsi critici/clinici

I critical pathways sono strumenti fondamentali usati nei sistemi manager care e case management.

Essi si costruiscono con la collaborazione di tutto il team assistenziale di un ospedale. Sono la versione abbreviata del percorso ospedaliero del cliente in base al DRG o al caso tipo. Forniscono le informazioni necessarie per erogare un assistenza di qualità con un buon rapporto costo efficacia. Ciascun reparto ospedaliero sviluppa i propri critical pathways.

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orienta ogni disciplina sugli interventi essenziali e sui risultati che debbono essere raggiunti in un determinato giorno o in un determinato periodo di tempo.

I critical pathways aiutano il team assistenziale a raggiungere i risultati attesi in un appropriato numero di giorni di degenza e vengono costruiti per pazienti o popolazioni di pazienti che andranno incontro a esperienze cliniche simili e che richiederanno trattamenti, servizi e risorse simili. Essi sono sviluppati in base alle esperienze e conoscenze dei membri team assistenziale. Inoltre essi:

- si basano su standard di assistenza di specifiche popolazioni di pazienti, sulle migliori evidenze scientifiche e su dati di benchmarking;

- specificano il periodo di riferimento e il flusso temporale con date e tempi per il raggiungimento dei risultati attesi (giorni, nei reparti per acuti; ore, minuti, nelle aree critiche; visite, per l’assistenza domiciliare; periodi, per pazienti cronici);

- usano i DRG per diagnosi mediche, insieme alle diagnosi infermieristiche e alle linee guida;

I critical pathways prevedono in dettaglio tutte le attività previste per trattare quel caso specifico secondo la migliore sequenza temporale in relazione agli esiti da conseguire; in questo modo è possibile verificare quotidianamente gli scostamenti e assumere le decisioni necessarie per correggerle.

Si tratta di strumenti secondo cui, per ogni singola diagnosi, sono formulati degli outcomes, ai quali corrispondono degli interventi chiave relativi ad una serie di elementi assistenziali generali (consulenze, accertamenti, trattamenti, nutrizione, farmaci, attività, sicurezza, educazione e pianificazione della dimissione) (Zander 1992).

Essendo strumenti generali, che includono dei piani standardizzati, non tutti i pazienti seguono meticolosamente il piano. Per questo si utilizzano i copathways che permettono di affrontare una comorbilità e gli algoritmi per il trattamento di varianze frequenti. I critical pathways migliorano e facilitano la comunicazione con il paziente e coordinano il processo di cura e sono un valido mezzo per esaminare e valutare il processo di assistenza e le sue conseguenze.

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semplificata del critical pathways; ciò stimola il paziente a porre delle domande e quindi a stabilire un dialogo con l’equipe assistenziale.

I critical pathways possono essere un potente strumento per prevenire le cause di “malpractice”, perché testimoniano la conduzione degli interventi secondo gli standard assistenziali.

Con i critical pathways e con l’uso delle mappe di cura, nei paesi in cui sono stati adottati, si è superato il processo di nursing, non come metodo scientifico, ma come metodo monodisciplinare ridondante nella prospettiva di una presa in carico globale della persona.

Il case manager è considerato un ruolo rilevante della pratica clinica avanzata. Per lo svolgimento di questo ruolo deve essere richiesta una formazione di tipo avanzato, Cronin suggerisce almeno un master o una specializzazione: sono richieste, infatti, approfondite conoscenze di assistenza, di dinamiche organizzative, di finanza e risorse comunitarie.

Le competenze di pratica clinica avanzata che elevano al ruolo di case manager includono:

- la comprensione del modello organizzativo assistenziale, - la conoscenza di una specifica popolazione di pazienti, - le diagnosi cliniche correlate e i trattamenti medici,

- conoscenze sulla gestione delle risorse, sull’uso dei piani di assistenza, dei protocolli e delle linee guida,

- il riconoscimento dell’importanza di essere “avvocato” del paziente e della continuità assistenziale.

Il case manager, nel modello sperimentato al Memorial Hospital di Tampa in Florida: - si occupa della presa in carico dei pazienti di una unità operativa,

- è responsabile dei risultati clinici e finanziari; - lavora in collaborazione con gli altri infermieri.

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turno) responsabile dell’assistenza dei pazienti assegnati, il quale a sua volta delega attività e compiti ad altri infermieri e personale di supporto.

Uno studio condotto da Conti R. sul ruolo del case manager ha rilevato che esso ha una dimensione clinica, manageriale, e finanziaria.

Una delle principali competenze richieste al case manager è quella di avere un buon background clinico specialistico oltre ad un’elevata capacità di prendere decisioni. Il ruolo clinico consiste nell’applicazione del processo del nursing, quindi valutare i pazienti per individuare i loro problemi reali e potenziali cercando di adattare il piano di assistenza al critical pathway che il case manager ha sviluppato precedentemente insieme al team multidisciplinare, a identificare qualsiasi variazione degli standards previsti e provvedere a risolvere le varianze insieme al team.

Il case manager quale esperto clinico, dedica parte del proprio tempo al giro visita, al fine di promuovere una pratica di tipo collaborativo e di provvedere alle cure dirette al paziente. Questo:

- consente il mantenimento delle abilità cliniche;

- permette di migliorare direttamente l’integrazione dei servizi; - mantiene il piano legato ad aspettative realistiche.

Nel suo ruolo manageriale il case manager ha la responsabilità di facilitare e coordinare l’assistenza dei pazienti durante la loro presa in carico. Egli determina insieme al gruppo interdisciplinare gli obiettivi e la durata della degenza, gestisce e guida l’assistenza pianificando il trattamento per soddisfare i bisogni dei pazienti e delle loro famiglie. Il case manager deve identificare non più di tre obiettivi prioritari e prevedere quando i membri del team dovrebbero essere presenti, considerando la peculiarità del paziente e i suoi bisogni. Egli valuta la qualità dell’assistenza per assicurare il raggiungimento degli obiettivi con un appropriato uso delle risorse e identifica qualsiasi opportunità di miglioramento della qualità.

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diversi contesti clinici o coordinare le informazioni che possiede sul paziente in modo che ogni persona che si occupa del paziente possa avere le informazioni necessarie sulla sua salute per assisterlo nel modo migliore.

Nella dimensione finanziaria del ruolo egli raccoglie informazioni sui DRG che tratta, ne stima le variazioni e agisce per controllare e contenere le spese.

Il case manager ha anche una importante funzione di educatore sia nei confronti dell’equipe assistenziale sia nei confronti del paziente e della sua famiglia. Quindi: - valuta i bisogni formativi dell’equipe assistenziale e assiste il gruppo infermieristico nello sviluppo di protocolli e linee guida,

- fornisce al paziente e alla famiglia informazioni basilari per affrontare la malattie e per mettere in atto i nuovi comportamenti che sono necessari.

Egli contribuisce a migliorare la qualità di vita del paziente che affronta l’esperienza della malattia, rilevando e sviluppando le capacità residue al fine di aumentarne l’autonomia ed evidenziando i bisogni dei pazienti secondo un ordine di priorità.

Il case manager deve avere forti abilità nel comunicare e nel negoziare con una varietà di operatori ed ancora l’intelligenza di cambiare lo status-quo, quando è necessario: come quello di fare uscire o entrare un paziente all’interno di un percorso clinico in base alle informazioni possedute.

Il case manager non è necessariamente un infermiere. Nei servizi di assistenza domiciliare, dove i pazienti hanno più bisogno di servizi sociali, gli assistenti sociali possono ricoprire il ruolo di case manager. Negli ospedali, dove si pone maggiore enfasi all’assistenza, gli infermieri sono le figure più indicate per svolgere il ruolo di case manager.

(25)

risorse. Il Progetto Nardino esperienza della Regione Puglia in Piano di

Rientro;

Nella XV Legislatura (dal 28 Aprile 2006 al 28 aprile 2008), il Governo ha elaborato il disegno di legge “Interventi per la qualità e la sicurezza del Servizio sanitario nazionale”, presentato dal Ministro della Salute come manovra collegata alla legge finanziaria per l’anno 2008.

Il disegno di legge non ha concluso il suo iter di approvazione tuttavia si richiamano alcuni dei principi indicati, che mantengono un carattere di attualità.

In particolare, si sottolinea che il principio di tutela della salute è interesse diffuso della collettività, che ne assume la responsabilità e quindi la promuove.

Tra i punti salienti si rinviene la volontà di consolidare il concetto di centralità del territorio nella logica di sussidiarietà tra gli enti di governo del sistema attraverso il potenziamento delle cure primarie e dell’integrazione sociosanitaria. A tal fine il disegno di legge prevede la centralità dell’integrazione socio-sanitaria per garantire la continuità dell’assistenza e la presa in carico delle persone con bisogni socio-sanitari complessi.7

In quest’ottica Regioni ed Enti Locali sono chiamati a rafforzare, con idonee soluzioni organizzative, il ruolo di distretto quale sede preposta all’erogazione dell’assistenza primaria e alla gestione di prestazioni di elevata integrazione socio-sanitaria che opera in stretta collaborazione con strutture specialistiche e con la rete dei servizi sociali.

L’importanza dell’assistenza primaria nel raggiungimento dei suoi obiettivi di soddisfacimento dei bisogni di salute e tutela della continuità assistenziale, sia nell’accesso al sistema sanitario e nell’indirizzo ai vari livelli specialistici che nella integrazione delle diverse fasi sanitarie e/o sociali del processo assistenziale, è

7Walter Ricciardi, Gianfranco Damiani, Manuale di Programmazione e Organizzazione Sanitaria II° edizione

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sottolineata nella dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità di Alma Ata del 1978 (WHO, 1978). In Italia la struttura operativa della ASL, deputata a garantire la “primary care”, è rappresentata dal distretto. Obiettivo fondamentale dell’attività distrettuale è l’integrazione tra i servizi sanitari e quelli socio-assistenziali è importante poiché la maggior parte della domanda di salute (ad esempio malattia dell’anziano, relazione madre-bambino, disabilità, malattia mentale, tossicodipendenza) sottintende un bisogno sanitario per garantire ed assicurare l’efficacia e l’efficienza della risposta assistenziale (Bellentani MD et al,2003).

La Regione Puglia è impegnata nel triennio 2010 – 2012 nella realizzazione del Piano di Rientro che prevede, tra l’altro, la riconversione di 20 strutture ospedaliere e la contestuale attivazione o potenziamento, sui relativi territori, di Presidi Territoriali di Assistenza e forme di assistenza primaria in grado di gestire i pazienti fragili e più vulnerabili con appropriatezza e secondo le più recenti modalità di presa in carico. È in atto, pertanto, una fase di riorganizzazione e reingegnerizzazione dell’intero sistema di assistenza territoriale distrettuale che prevede, soprattutto, il governo dei Percorsi Diagnostici - Terapeutici - Assistenziali (PDTA) nel contesto delle Cure Primarie. Il modello della presa in carico e, pertanto, della continuità delle cure è quello del Desease & Care Management.

Elemento fondamentale di questo approccio multidisciplinare, a forte integrazione delle diverse professionalità coinvolte, genera l’empowerment del paziente con il supporto innovativo dell’Infermiere - Care Manager.

Nell’ambito di questo modello assistenziale proposto si inserisce il “Progetto Nardino” che si basa sulla presa in carico delle persone fragili e affette da patologie a lungo termine.

Il “Progetto Nardino” si sviluppa nei comuni oggetto di riconversione ospedaliera attraverso l’assegnazione di risorse infermieristiche opportunamente individuate dall’AReS Puglia e dall’Azienda Sanitaria.

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lungo termine attraverso l’istituzione della figura del Care Manager nelle forme evolute di Associazionismo Medico e nel Servizio Infermieristico ed Ostetrico Distrettuale. Il Servizio Infermieristico ed Ostetrico Distrettuale, all'interno del sistema di "Cure Primarie" e attraverso una sua forte integrazione con l'Associazionismo Complesso della Medicina Generale, aumenta e riqualifica l’offerta di assistenza territoriale diventando, pertanto, il punto di forza che presidia la funzione di "presa in carico", assicura la continuità delle cure ed opera un reale "filtro" al ricorso improprio al pronto soccorso ed al ricovero ospedaliero.

Il cittadino che si reca presso l’ambulatorio infermieristico trova la risposta ai bisogni sanitari che richiedono l’intervento dell’infermiere anche solo per prestazioni occasionali.

La figura dell’infermiere Care Manager, che con il Progetto Nardino si va formando, assume anche la funzione di mediatore dei bisogni dell’organizzazione, della persona fragile e dei familiari, in modo da evitare o procrastinare il più possibile il ricorso a setting assistenziali a più alta complessità.

Uno dei punti forza del Progetto è l’utilizzo della Telemedicina, che offre la possibilità di eseguire, presso gli studi medici, l’ambulatorio infermieristico e/o presso il domicilio del paziente, il telemonitoraggio medicale ai pazienti con malattie cronico-degenerative come, per esempio, diabete, scompenso cardiaco, ipertensione, insufficienza respiratoria o ulcere degli arti inferiori, riducendo il disagio del pendolarismo tra il comune di residenza ed l’ospedale di riferimento.

La Telemedicina si pone come area di servizio supplementare, e non meramente sostitutiva, dei servizi specialistici e dell’ospedalizzazione, che mira a rafforzare la presa in carico continua ed integrata dei bisogni del paziente in funzione della specifica patologia attraverso le tecnologie informatiche e dispositivi medici specifici.

Diviene, pertanto, uno strumento strutturale di supporto ai processi operativi del Desease & Care Management e dei Percorsi Diagnostici - Terapeutici - Assistenziali, favorendo l’interconnessione tra ospedale e territorio.

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progetto, l’AReS Puglia ha attivato sia la Telecardiologia che la Telediabetologia.

La Telecardiologia prevede l’esecuzione di ECG, teleconsulto specialistico, Holter cardiaco e Holter pressorio, attraverso l’utilizzo di apparecchi che vengono applicati al paziente dal personale infermieristico e rilevano tracciati elettrocardiografici, immediatamente inviati –attraverso la rete internet– alla centrale operativa di “Cardionline, attiva 24h/24h, che in poco tempo inviano la diagnosi sul luogo in cui è presente il paziente oppure al centro ospedaliero più vicino, per facilitare l’intervento di cura una volta che il paziente stesso è giunto sul posto.

La Telediabetologia fornisce una opportunità di cambiamento radicale del paradigma assistenzale in diabetologia. L’evoluzione tecnica e procedurale della metodica, grazie a un nuovo software originale e un nuovo modello gestionale, offre la possibilità concreta di mettere a disposizione, tanto del paziente quanto del medico, nuovi servizi capaci di migliorare il controllo della malattia, riducendo le complicanze e i costi di gestione. L’automisurazione della glicemia, assistita on line, fornisce al paziente un servizio sia in emergenza (quando il sistema genera allarmi che innescano procedure di urgenza), sia nella gestione quotidiana della malattia diabetica (con un feedback costante e immediato).

L’isolamento del malato è spezzato e i medici curanti ricevono con immediatezza informazioni e strumenti di analisi che migliorano in maniera sensibile il follow up. Grazie a nuovi strumenti interpretativi, Specialisti e Medici di Medicina Generale hanno sempre a disposizione gli elementi per una migliore comprensione dell’andamento della malattia, per una più accurata valutazione dell’efficacia della terapia e per formulare una previsione del rischio di scompenso glicemico, eliminando ogni spreco dovuto a consumi impropri.

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Presso l’Azienda ASL TA a seguito della riconversione di due ospedali del Polo Occidentale, è stato istituito un Ambulatorio infermieristico ospedaliero con completa autonomia e con prestazioni infermieristiche gratuite. I farmaci utilizzati presso l’ambulatorio sono di provenienza ospedaliera e non dalla distribuzione per conto, (farmacie private) abbattendo i costi del farmaco del 50%. Dal 2011 al 2013, l’ambulatorio registra 800 prestazioni al mese tra attività terapeutiche farmacologiche, prestazioni infermieristiche generiche e specialistiche, attività di monitoraggio TAO.

Cap 5. Processo di assessment al fine di valutare il potenziale professionale

utilizzando strumenti di analisi del profilo del “Case Manager” (job

analysis, job description, skills e approccio per competenze).

L’evoluzione dei bisogni sanitari della persona assistita e la crescente complessità del sistema sanitario hanno reso necessaria la valorizzazione di competenze infermieristiche in grado di svolgere una funzione di integrazione per garantire la complessità assistenziale.

L’approccio per competenze è solitamente utilizzato nella gestione delle risorse umane per definire le “caratteristiche chiave” che un soggetto deve possedere per ricoprire un ruolo aziendale e per poter programmare con maggiore precisione la formazione e lo sviluppo individuale e organizzativo. Le aziende, che adottano un modello di valutazione delle competenze, sono attente sia ai risultati sia alle peculiarità individuali che possono condizionare le performance.

Per Boyatzis (1982) le competenze sono un “sistema di schemi cognitivi e

comportamenti operativi causalmente correlati al successo sul lavoro, a una prestazione efficace o superiore nella mansione”. Le competenze sono quindi definibili come

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raggiungere gli obiettivi prefissati.

Nel nostro sistema organizzativo diventa fondamentale chiarire il ruolo professionale idoneo all’attività clinica manageriale del case management.

La costruzione di un modello gestionale per competenze passa attraverso alcune fasi fondamentali che schematicamente possiamo così rappresentare:

Definizione delle competenze distintive richieste dall’organizzazione: è la fase

in cui viene analizzata dal top management la strategia aziendale e vengono definiti e comunicati gli obiettivi strategici che l’organizzazione intende perseguire. In base alle scelte di posizionamento viene quindi definito il portafoglio di competenze che le risorse devono possedere per garantire all’azienda il vantaggio competitivo e il raggiungimento degli obiettivi;

Rilevazione e mappatura delle competenze: è la fase in cui si trasferisce il

concetto di competenza distintiva nella pratica per riconoscerla nella popolazione aziendale che la detiene. La mappatura delle competenze è abbastanza lunga e articolata: dopo una preliminare analisi organizzativa tesa a individuare le famiglie professionali di riferimento, essa richiede di identificare le capacità richieste a ciascun ruolo nonché le conoscenze tecniche/professionali con i relativi livelli di priorità.

Diagnosi: è la fase deputata al censimento delle competenze possedute. Si ottiene

quindi una fotografia attendibile del livello di competenze possedute dalle risorse, si opera il confronto con il livello atteso o richiesto, e si condividono con i diretti interessati i gap da colmare per garantire all’azienda competenze adeguate alla strategia. Tale fase deve fornire indicazioni sia sul tipo di competenze critiche da sviluppare sia su come è segmentata la popolazione in base alla distanza del profilo atteso, questo perché le successive attività di sviluppo e la stessa formazione vengano tarate e differenziate in base alle esigenze specifiche.

Sviluppo: è la fase in cui si realizzano le attività di potenziamento delle

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della validità/efficacia degli interventi stessi, viene rilanciato il ciclo delle competenze.8

Nel nostro caso di specie diventa fondamentale la valutazione del potenziale dei professionisti per rispondere in modo efficiente agli obiettivi assistenziali e ai bisogni dei cittadini. Il ruolo fondamentale del Management sanitario, in questo caso del Dirigente delle professioni sanitarie, è utilizzare strumenti di gestione del personale per valutare il profilo del nostro ruolo: il case manager. Nei capitoli precedenti abbiamo tracciato il percorso del profilo di ruolo del case manager, diventa interessante a questo punto delineare la metodologia applicativa di tale processo utilizzando come progetto il modello organizzativo presentato ed implementato nella Regione Puglia (Leonardo/Nardino) (capitolo 4).

Il modello assistenziale proposto si basa sulla presa in carico del paziente cronico, nell’ambito delle cure primarie, secondo il Chronic Care Model. Esso è stato sperimentato nella ASL di Lecce, con il Progetto Leonardo Disease and Care Management (DCM), verificandone la fattibilità e la qualità dei risultati è stato

8Tiziana Campanella, redattrice di Eccellere-Business Community “Dal concetto di competenze alla

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implementato in tutta la regione con il Progetto Nardino. Le patologie croniche che si vogliono prendere in considerazione in questa prima fase sono: Diabete mellito, Malattia Cardio-Vascolare (MCV) cronica conclamata, Scompenso Cardiaco, Bronco-Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO).

Lo scopo dello studio è quello di tracciare l’approccio metodologico utilizzato dall’ARES Puglia e la costruzione di mappe di competenze al fine di valorizzare il profilo del ruolo, non solo socio-anagrafico ma anche e soprattutto professionale dello ICM (Infermiere Case manager).

5.1. Care Manager, approccio metodologico della Regione Puglia.

Competency Based: Selezione degli infermieri candidati (mediante Avviso Pubblico) con particolare valutazione di alcune competenze possedute dal professionista:

 Professionalità e lavoro di gruppo

 Competenza clinica

 Capacità di problem solving

 Capacità comunicative

 Capacità tecniche

Gli infermieri vengono formati per l’acquisizione delle seguenti abilita specifiche per l’esercizio del ruolo di Case manager . Gli obiettivi formativi sono rivolti a:

 Fornire conoscenze e tecniche per il care management (coinvolgimento attivo del paziente, acquisizione delle 8 priorità per l’autogestione della malattia al fine di stabilire una alleanza con il paziente);

 Far conoscere le tecniche della comunicazione;

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 Far conoscere come valutare globalmente il paziente (dati clinici, comportamentali e psico-sociali) per un’assistenza personalizzata.

 Far acquisire le conoscenze del programma informatico a supporto del lavoro di care management

L’evento formativo, della durata di cinque giorni, ha previsto una parte teorica ed una pratica nel quale sono stati affrontati i seguenti contenuti:

 concetti base del disease and care management;

 concetti di epidemiologia e distribuzione delle malattie croniche degenerative sul territorio regionale e nazionale

 concetti base sulle tecniche della comunicazione;

 acquisizione di conoscenze sull’ empowerment e sull’educazione all’autogestione del paziente con patologie croniche;

 concetti base per una medicina di qualità: manuale di qualità e tecnica di audit;

 conoscenza e formazione sul progetto;

 la comunicazione e il confronto nel gruppo;

 condividere i percorsi diagnostico-terapeutici che sono alla base del progetto;

 dimostrazioni tecniche sul programma informatico con esecuzione diretta da parte dei partecipanti;

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pazienti tutti gli strumenti di conoscenza e competenza per un reale coinvolgimento nel processo assistenziale:

1)Sapere come e quando consultare il medico; 2) Conoscere la malattia e fissare gli obiettivi; 3) Assumere correttamente i farmaci;

4) Effettuare gli esami ed i controlli raccomandati; 5) Sapere come mantenere la malattia sotto controllo; 6) Modificare gli stili di vita per ridurre i rischi; 7) Far leva sui punti di forza per superare gli ostacoli; 8) Effettuare le visite specialistiche e i follow-up

Tutto il processo di cura, dall’intervento formativo per gli infermieri sino al materiale educativo per il paziente ed il softwere gestionale, è strutturato intorno al modello delle “ 8 priorità”, finalizzate al raggiungimento di consapevolezza e capacità di autogestione della condizione cronica da parte del paziente stesso (Figura 3)

(35)

I RISULTATI

Si è evidenziato un netto impatto positivo sull’applicazione delle raccomandazioni, basate su evidenze scientifiche, nella concreta realtà assistenziale.

Questa aderenza alle raccomandazioni si è tradotta sia in un impatto positivo sulle liste d’attesa, grazie alla possibilità di programmare e garantire l’appropriatezza degli accessi, ma anche in un netto aumento della percentuale di paziente che hanno raggiunto gli obiettivi clinici stabiliti dalle Linee Guida e dal Comitato Scientifico del Progetto: - BMI (Indice di Massa Corporea) + 18% di pazienti che hanno raggiunto i target terapeutici

- Colesterolo LDL + 42, 8% di pazienti che hanno raggiunto i target terapeutici - Colesterolo totale + 38,7% di pazienti che hanno raggiunto i target terapeutici - Pressione Arteriosa Sistolica + 61, 3% di pazienti che hanno raggiunto i target terapeutici (Tabella 4)

(36)

36

Si riporta nella tabella 5, la periodicità prevista dei controlli da effettuare nel follow-up dei pazienti, divisi per patologia. Il Piano delle Cure individuale definirà poi per ciascun paziente l’effettiva cadenza del follow-up.

Tabella 5. Periodicità dei controlli previsti dal progetto.

A seguito dei risultati positivi conseguiti dal programma di Disease & Care Management, le Autorità sanitarie regionali hanno recentemente dato avvio ad un Piano per l’estensione su tutto il territorio regionale del modello sperimentato nel Progetto Leonardo.

Considerata la documentazione prodotta e i dati pubblicati, diventa essenziale al fine di codificare le competenze della figura del care manager utilizzare un metodo scientifico che si basa sulla costruzione delle mappe di competenze utilizzando un Dizionario di competenze costruite dalla struttura del profilo professionale e dalla specificità del ruolo e dagli obiettivi assistenziali.

(37)

A seguito delle informazioni derivate da colloqui, interviste a colleghi è emerso che:

 il modello, ha un notevole impatto positivo sulla correzione degli atteggiamenti scorretti nei confronti della patologia cronica. L’utenza inizialmente non era abituata ad una presenza di “educatore sanitario”;

 La presa in carico da parte di un care manager ha dimostrato una riduzione dei ricorsi al pronto soccorso, una riduzione dei costi sanitari e una migliore performance clinica del paziente specialmente nell’autogestione;

 I rapporti con altre figure sanitarie principalmente con i medici di medicina generale, inizialmente molto tesi, probabilmente derivato dalla carenza culturale del modello assistenziale e della consapevolezza del profilo del ruolo del care manager infermieristico

 Introduzione nel piano formativo di elementi di management sanitario, strumenti di gestione del personale, strumenti di integrazione multiprofessionali (studio dei casi, role-playing, gruppi di ascolto ecc.

Considerato il percorso professionale del care manager e le varie sperimentazioni in Italia e nella Regione Puglia, possiamo analizzare le varie fasi metodologiche partendo dalla definizione dell’ attività lavorativa (job analisys):

Ruolo professionale del Case Manager (job Analisys): il C.M. è una tipologia

assistenziale del percorso assistenziale del paziente, che si và sempre più diffondendo come modello organizzativo. Il C.M. consiste nella presa in carico del paziente e nella sua supervisione dal momento del ricovero per poter pianificare una dimissione precoce e adeguata ai bisogni del paziente e della famiglia, puntando sull’integrazione delle professionalità interessate al soddisfacimento dei bisogni clinici-assistenziali dello stesso e sottolineando l’aspetto di “presa in carico”, “continuità assistenziale”, di dimissione coordinata e lineare dell’utente.

(38)

Figura 5

Titolo della posizione: “Case Manager” Attività:

• Prende in carico i pazienti da un punto di vista educativo-assistenziale e clinico; • controlla la documentazione clinica e si interfaccia con il Medico di continuità

assistenziale per le valutazioni del caso;

• programma indagini diagnostiche e consulenze;

• informa il paziente e parenti dell’organizzazione e il funzionamento della struttura territoriale e presente l’attività del care manager,

• definisce la stesura -previa condivisione- con altri professionisti, di procedure clinico-assistenziali;

• monitorizza la qualità percepita degli utenti e l’aderenza da parte del paziente ai programmi educativi e assistenziali;

• progetta la continuità dell’assistenza, attraverso la definizione delle modalità di coordinamento dei diversi attori erogatori di prestazioni di cura più rispondenti alle necessità del “caso” a ai bisogni espressi o latenti degli utenti;

• controlla gli esiti assistenziali mediante strumenti validati scientificamente; • favorisce l’integrazione tra ospedale e territorio;

• ottimizza le risorse in uso per l’erogazione dell’assistenza;

• promuove la formazione continua per il personale di supporto e del caregiver;

La fase importante è la valutazione delle competenze cioè quei fattori che caratterizzano l’organizzazione. Ogni competenza viene declinata con livelli di appropriatezza da 0 a 4/6. Le skills di conoscenze mi permetteranno di definire il profilo di ruolo e le competenze distintive. (Fig. 6)

(39)

competenze

skills

 Comunicazione e ascolto (livello 4)

 Managerialità (livello 5)

 Impatto ed influenza (livello 6)

 Organizzazione ed obiettivi (livello 4)

 Team Leader (livello 4)

 Propensione al cambiamento (livello 3)

 Accuratezza e qualità del lavoro(livello 4)

 Proattività (livello 4)

 Fiducia nelle proprie capacità (Livello 4)

Conoscenza Informatica

Conoscenze di economia sanitaria

Conoscenza Linguistica

Conoscenza procedure assistenziali

Conoscenze teoriche

Terminologia specifica

Conoscenza procedure aziendali

 Conoscenza del modello assistenziale e riconscimento del ruolo e della leadership

Cap. 6

Valori ed opportunità dei modelli organizzativi focalizzati sulla

presa in carico del cittadino-paziente

L’American Nurse Association (ANA) ha identificato i principali vantaggi del case management. Questo modello organizzativo:

1. è centrato sui bisogni del paziente e della famiglia, 2. fornisce risultati di cura di qualità,

3. aumenta la soddisfazione del paziente,

4. minimizza la frammentazione delle cura attraverso il coordinamento, 5. promuove l’efficienza delle cure,

6. utilizza e coordina gruppi assistenziali multidisciplinari, 7. risponde ai bisogni dei provider,

8. rappresenta una fusione dei risultati clinici ed economici, 9. può essere efficace strumento di marketing per gli enti sanitari.

(40)

Infatti gli studi sin ora condotti negli Stati Uniti riportano soprattutto i vantaggi finanziari. Gli enti che hanno adottato il modello hanno ottenuto una riduzione totale dei costi per paziente curato, una riduzione delle giornate di degenza, un aumento del turnover, e un incremento del reddito dell’ospedale. Soprattutto si registra una riduzione dei costi quando la responsabilità viene assunta da un infermiere che pianifica e controlla le cure, valuta i risultati e fa parte del gruppo multidisciplinare.

In uno studio condotto in un dipartimento d’emergenza sempre negli Stati Uniti si è visto che il case management aumenta la soddisfazione del paziente e del gruppo assistenziale e, oltre a ridurre i costi di cura attraverso la continuità delle cure stesse, riduce l’uso non-appropriato del dipartimento di emergenza.

In USA, dove il modello è adottato da molti anni, si pensa al futuro e a come migliorare le modalità di organizzazione del lavoro del case manager in una società in cui le innovazioni nel mondo delle telecomunicazioni e delle informazioni stanno trasformando lo stile di vita. Il case manager del prossimo futuro potrà iniziare il suo lavoro in macchina, in mezzo al traffico delle metropoli americane. La dotazione di una web-assistent lo aggiorna sulle condizioni degli utenti e gli permette di ricercare le ultime evidenze scientifiche su problemi dei pazienti. È questa la modalità organizzativa che viene descritta in un caso ideale.

Lo sviluppo tecnologico ha cambiato e cambierà i modelli organizzativi assistenziali; la tecnologia, l’empowerment della popolazione, la pratica basata sull’evidenza e il bisogno sempre più incalzante di efficienza e di qualità dei servizi sanitari determinerà una rivoluzione nella gestione dei servizi.

In Europa per le condizioni contestuali precedentemente descritte il case manager è una figura che timidamente inizia ad affacciarsi nei diversi ambiti dei servizi sanitari e sociali.

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sociali hanno creato i presupposti affinché l’infermiere diventi l’operatore leader del gruppo assistenziale. Il problema maggiore in Inghilterra, come in Italia, nei programmi di attuazione del case management è la mancanza di continuità delle cure tra ospedale e territorio, specialmente quando si tratta di malattie croniche e pazienti anziani. Questa mancanza di continuità rende difficile la presa in carico dei pazienti nel territorio.

In Italia le esperienze documentate di applicazione del case management sono state condotte presso il Reparto di Medicina dell’Ospedale Maggiore di Bologna e presso l’Unità Operativa Post-Acuti (UOPA) di Rimini. I due progetti nascono in seguito alle esigenze di rimodulazione strutturale del sistema sanitario, nonché dalla volontà dei dirigenti infermieri di valorizzare il ruolo dell’infermiere. La riorganizzazione della rete ospedaliera ha come obiettivo ultimo la riduzione dei posti letto e delle giornate di degenza con un uso efficiente ed efficace delle risorse a disposizione.

Il progetto O.S.C.A.R. sembra più attinente ai principi fondanti del case management. Gli obiettivi del progetto sono:

- la riduzione di ricoveri ospedalieri ripetuti delle persone ultra sessantacinquenni affette da insufficienza cardiaca cronica con una riduzione dei costi sanitari;

- la continuità assistenziale, presa in carico e follow-up per una migliore soddisfazione del paziente e per una qualità delle cure;

- la gestione in rete delle diverse professionalità per un adeguato utilizzo delle risorse; - l’educazione sanitaria del paziente e della sua famiglia.

La pianificazione dell’assistenza è attuata attraverso la metodologia del clinical pathway o profilo clinico di cura, in cui vengono specificati i tempi di degenza in relazione al livello di instabilità clinica del paziente, le azioni da effettuare giorno per giorno, per tutto il periodo di presa in carico, che comprende anche un periodo post-dimissione. In questo progetto l'infermiere case manager:

- è responsabile del caso;

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- procura i servizi necessari e verifica che le attività assicurate ai pazienti siano coerenti con i suoi bisogni.

Nel progetto UOPA, non esistendo dei profili di cura, la gestione infermieristica consiste soltanto nella presa in carico del paziente da parte dell’infermiere case manager. In realtà, più che di un vero e proprio programma di case manager, si può parlare di primary nurse. L’infermiere case manager coordina il lavoro degli altri operatori, organizzati in piccole équipe. In queste unità operative non vi è la presenza del medico, ogni paziente ha un medico referente o del reparto di provenienza o della patologia prevalente del paziente: tale medico ha la responsabilità clinica del paziente. Il team [coordinatore-infermiere, medico referente del reparto inviante, infermiere case manager, infermieri, OSS (operatore socio sanitario), fisioterapisti, assistente sociale, dietista] attua un’assistenza personalizzata, che ha come obiettivo: portare il paziente al maggior livello di autonomia raggiungibile nel più breve tempo possibile. I risultati dopo un anno di attività delle U.O.P.A. (Unità Operativa Post Acuti) sono molto gratificanti per il gruppo infermieristico. La gestione autonoma del paziente ha arricchito professionalmente gli infermieri e si è potuto assistere ad un aumento della motivazione e della responsabilità professionali derivante dall’acquisizione di una mentalità di “risolutori di problemi” e non più di meri esecutori di compiti. Il gruppo infermieristico ha dimostrato competenza e professionalità nella gestione degli eventi critici e, grazie al target di patologie trattate, ha potuto acquisire una esperienza pluriassistenziale. Si è assistito ad un aumento della soddisfazione degli utenti e ad un miglioramento della qualità delle cure, frutto di un assistenza personalizzata più vicina e attenta alla persona e alla famiglia.

CONCLUSIONI

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infermieristico”. In realtà le domande cui abbiamo voluto rispondere sono semplici e concrete, e come tali, possono costituire una base di partenza per studi più ampi e meto-dologicamente più complessi. Lo scopo è di far conoscere l’aspetto attuale della base operativa (ICM) e quello che può o potrebbe essere in un prossimo futuro.

Se dovessimo riassumere brevemente le risposte alle domande precedentemente espres-se sottolineeremmo questi aspetti:

. l’ICM è prevalentemente un infermiere con esperienza (dai dieci ai vent’anni lavorativi), di sesso femminile, con un’età compresa tra i 36 e i 45 anni, presta servizio in un’azienda ospedaliera e prevalentemente in ambito ospedaliero rispetto a quello territoriale; è inquadrato contrattualmente in categoria D e solo alcuni rivestono una posizione organizzativa.

. l’ICM è un infermiere specializzato clinico con enfasi sul cliente\paziente (educazione e informazione)

. l’ICM ha un percorso formativo di medio livello (diploma di scuola superiore e master ) ma non uniforme

. l’ICM ha richieste formative in campo legislativo, relazionale, manageriale e assistenziale

. l’ICM non ha un ruolo regolamentato e riconosciuto

. l’ICM ha nell’espressione della propria autonomia e nella riconoscenza del paziente la maggiore soddisfazione

Il case management è un’esperienza professionale che personalmente ritengo fra le più complete e soddisfacenti che si possano vivere. Sono trascorsi cinque anni da quando “mi sono inventata” un percorso, quello senologico, da accompagnare e governare. Cin-que anni di sfide professionali e personali che ho cercato di trasformare in esperienza da agire e da raccontare. E’ stato inevitabile, così, arrivare alla necessità di conoscere e quindi condividere con gli altri colleghi case manager questa esperienza.

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Coloro che si occupano di formazione, i coordinatori e i dirigenti infermieristici posso-no trarre utili informazioni su chi e su cosa investire nei prossimi anni per accrescere e migliorare la qualità dell’assistenza nel nostro paese.

Gli ICM non hanno un percorso formativo condiviso, non hanno un riconoscimento pro-fessionale formale ma hanno autonomia e competenza specialistica e se è vero che nei prossimi cinque anni mancherà il 40% dei medici che ora sono in corsia (fonte: Corriere della Sera, 20 aprile 2011), agli infermieri sarà richiesto non solo un job enrichment ma anche e soprattutto un job enlargement di tipo specialistico clinico (orizzontale), manageriale (verticale), formativo e di ricerca (trasversale).

Gli infermieri, i coordinatori e soprattutto, gli ICM sono pronti ad affrontare anche questa sfida.

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Organizzazione Aziendae , Facoltà di Economia, Università Cattolica del Sacro Cuore. “Su cortese disponibilità di Cerismas”

CO M P ET EN Z E

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