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Hegel – Il reale è il razionale

Da “Lineamenti di filosofia del diritto”, Prefazione (1821)

Oggigiorno parrebbe assai radicata l’opinione che, per quanto riguarda lo Stato, la libertà di pensiero e di spirito possa presentarsi solo sotto forma di divergenza, o perfino di ostilità, nei confronti di ciò che comunemente si crede; il compito essenziale di una filosofia dello Stato, allora, parrebbe essere quello di trovare e pubblicare una teoria nuova e originale. Se si considera questa idea e il modo in cui essa viene messa in pratica, si dovrebbe quasi essere indotti a credere che non sia ancora mai esistito uno Stato o una costituzione; che si debba ricominciare da capo, e continuare a farlo per sempre; che lo stabilire un ordine sociale abbia dovuto dipendere da escogitazioni, investigazioni e creazioni compiute proprio or ora. Eppure, per quanto riguarda la natura, si ammette che la filosofia debba comprenderla così come è, e che la pietra filosofale debba starsene nascosta, per così dire, da qualche parte nella natura stessa, che sarebbe in sé razionale; il sapere, allora, dovrebbe ricercare e afferrare, intendendola, questa ragione reale presente nella natura, lasciando da parte gli aspetti e gli accidenti superficiali, badando solo alla sua eterna armonia, che ne è la legge ed essenza immanente. E invece, il mondo etico, lo Stato, che pure consiste nella ragione attualizzata in modo potente e permanente nell’autocoscienza, non deve godere in alcun modo della fortuna di essere razionale. L’universo spirituale, al contrario, dovrebbe essere lasciato in balìa del caso e dell’arbitrio, dovrebbe essere abbandonato da Dio. Secondo questo ateismo del mondo etico il vero dovrebbe essere cercato al di fuori di esso; e, dal momento che la ragione dovrebbe appartenere, e di fatto appartiene, al mondo etico, la verità, una volta che sia separata dalla ragione, sarebbe ridotta ad essere un mero problema. […]

È da considerare, quindi, come una fortuna per la scienza che quel genere di filosofare, che, come una scolasticheria, avrebbe potuto continuare a trarre da sé il filo delle nozioni da tessere, sia stata messa a contatto con la realtà. In effetti, un tale contatto, come si è detto, era inevitabile. Nella realtà i princìpi del diritto e del dovere sono cosa seria, ed essa vive nella luce della coscienza di tali princìpi. Con questa realtà si è apertamente scontrata questa filosofica tessitura di ragnatele. Per quanto riguarda l’autentica filosofia, è proprio il suo atteggiamento verso la realtà che è stato frainteso. La filosofia, come ho già avuto modo di osservare, in quanto consiste nel sondare ciò che è razionale, proprio per questo apprende ciò che è presente e reale, e non può essere la ricerca di un al di là, che non si sa bene dove dovrebbe essere, privo di qualsiasi esistenza tranne che nell’errore di un raziocinio unilaterale e vuoto.

[…]

Ciò che è razionale è reale E ciò che è reale è razionale.

Questa convinzione è propria non solo della filosofia ma anche di ogni coscienza non prevenuta, e da essa procede la considerazione sia dell’universo spirituale che di quello naturale.

Se la riflessione, il sentimento, o qualsiasi altro aspetto della coscienza soggettiva, considera il presente come cosa vana e, comportandosi da saccente, si proietta oltre, allora essa si ritrova nel vuoto e, poiché solo nel presente ha realtà, essa stessa non è altro che vanità. Per altro, qualora si pensasse che l’idea è soltanto un’idea, ossia una rappresentazione che costituisce un’opinione, la filosofia allora rende ben chiaro che nulla è reale se non l’idea. Si pone allora il compito di riconoscere, nell’apparenza del temporaneo e del transeunte, la sostanza immanente, l’eterno che è presente.

In effetti, il razionale, che è sinonimo di idea, allorché nel suo realizzarsi procede in pari tempo nell’esistenza esterna, si produce in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e configurazioni; esso circonda il suo nocciolo della scorza variegata nella quale in un primo momento la coscienza si sofferma, e che solo il concetto trapassa per ritrovare il polso interno e sentirlo ancora palpitante nelle configurazioni esterne. Mai i rapporti infinitamente molteplici che si formano in questa esteriorità, grazie all’apparire in essa dell’essenza, questo materiale infinito e il suo ordinamento non è oggetto della filosofia. Se così fosse, essa si immischierebbe in cose che non la riguardano; essa può risparmiarsi di dare in proposito buoni consigli. Platone poteva ben tralasciare di raccomandare alle nutrici di muoversi sempre coi bambini, di cullarli continuamente sulle braccia, e Fichte poteva fare a meno di specificare la forma del passaporto di polizia o, come si diceva, di cosruirla, fino a indicare che dell’individuo sospetto si debba non solo menzionare i connotati generali, ma dipingerne pure il ritratto. In questi particolari, non vi è traccia di filosofia; ad essa, anzi, sarebbe tanto più facile rinunciare a tale ultrasaggezza, in quanto deve mostrarsi liberale in massimo grado rispetto all’infinito numero di problemi di tal

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fatta. In questo modo la scienza resterà libera dall’odio che la vanità della saccenteria pretenziosa concepisce per una quantità di situazioni e di istituzioni, odio di cui si compiace soprattutto la miseria spirituale, giacché per esso giunge a sentirsi qualcosa.

Così dunque questo trattato, in quanto contiene la scienza dello Stato, non deve essere altro che il tentativo di comprendere e di esporre lo Stato come un qualcosa che ha una sua intrinseca razionalità. Come scritto filosofico, esso deve tenersi assolutamente lontano dal compito di costruire uno Stato come deve essere; l‘insegnamento che in tale scritto può trovarsi non è quello che prospetta come lo Stato deve essere, bensì come esso, l’universo etico, deve venire conosciuto.

Hic Rhodus, hic saltus.1

Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è è la ragione. Per quel che concerne l’individuo, del resto, ciascuno è figlio del suo tempo; così anche la filosofia è il proprio tempo appreso in pensieri. È altrettanto insensato figurarsi che una qualsiasi filosofia vada al di là del suo mondo presente, quanto che un individuo salti il suo tempo, salti al di là di Rodi. Se la sua teoria effettivamente lo oltrepassa, se si costruisce un mondo come deve essere, esso esiste sì, ma soltanto nelle sue opinioni – in un elemento duttile, nel quale si lascia imprimere l’immagine di tutto quel che si vuole.

Con una lieve variazione quella frase suonerebbe Qui è la rosa [rhodos], qui danza.2

Ciò che sta fra la ragione come spirito autocosciente e la ragione come realtà sussistente, ciò che separa quella ragione da questa e in essa non lascia trovar l’appagamento, è l’impaccio di una qualche astrazione, che non si è ancora liberata nella forma del concetto. Riconoscere la ragione come la rosa nella croce del presente e in tal modo godere di questo, questa intellezione razionale è la riconciliazione con la realtà, che la filosofia concede a coloro, nei quali una volta è affiorata l’intima esigenza di comprendere, come anche di mantenere la libertà soggettiva in ciò che è sostanziale, e di porre però la libertà soggettiva non in un qualcosa di particolare e accidentale, bensì in ciò che è in sé e per sé. […]

Per dire ancora una parola a proposito del dare insegnamenti su come deve essere il mondo, ebbene, per tali insegnamenti in ogni caso la filosofia giunge sempre troppo tardi. In quanto pensiero del mondo, essa appare soltanto dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è perfettamente costituita. La storia in tal modo corrobora l’insegnamento del concetto: che solo quando la realtà è completamente matura l’ideale appare come controparte del reale, e ricostruisce questo stesso mondo nella sua propria sostanza, dandogli la figura di un regno intellettuale. Quando la filosofia ci fornisce la sua plumbea raffigurazione, allora una figura della vita è invecchiata3 e con la tonalità plumbea essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la civetta di Minerva spicca il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.

Esercizi

Almeno 3 su 6. Quando opportuno, si possono integrare le risposte con citazioni

1. Fai delle ipotesi su cosa possano significare alcune espressioni particolari usate da Hegel:

“l’ateismo del mondo etico”, “scolasticheria”, “la rosa nella croce”, “la civetta di Minerva”.

2. Abbiamo visto come Hegel tenda a parlare della verità come di qualcosa che possa trovare una sua collocazione, più o meno adeguata. Considera per esempio la seguente espressione:

“la verità, una volta che sia separata dalla ragione, sarebbe ridotta ad essere un mero problema”; prova a dare significato ad essa mediante una parafrasi.

3. Hegel istituisce un confronto fra teoria della natura e teoria della società umana. A quali parti del sistema hegeliano esse appartengono? Basandoti sul senso generale delle parti in cui consta una triade dialettica, quale portata conoscitiva Hegel attribuisce a questi due generi di teoria sul mondo?

4. Abbiamo già considerato quanto la filosofia di Hegel, assai più di altre precedenti, abbia consentito ai fatti storici di irrompere nel suo mondo. Chiarisci quale, secondo Hegel, deve

1 “Qui è Rodi, qui avvenga il salto”. L’espressione usata da Hegel rimanda ad una favola di Esopo: di fronte alle vanterie di un atleta che narrava di un salto eccezionale da lui compiuto sull’isola di Rodi, qualcuno che lo ascoltava, evidentemente scettico, lo pregò di ripetere l’impresa davanti ai suoi occhi. In senso lato, è l’invito a dar prova delle proprie pretese entro il contesto (storico, culturale) in cui si vive, che determina ciò che è possibile e ciò che non lo è, e dal quale non si può evadere [Ndt].

2 Il termine latino “saltus” ha il significato secondario di “ballo, danza”.

3 Quando la filosofia riconosce un aspetto particolare della realtà, il processo reale si è già compiuto e questo aspetto è già superato [Ruffaldi].

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essere il ruolo della filosofia nei confronti delle vicende reali, che caratterizzano la vita di un popolo e in quale misura la storia effettiva possa condizionare la teoresi concettuale.

5. Ad un certo punto, Hegel tratta delle astrazioni, prospettando per esse un positivo compimento nella forma del concetto. Aiutandoti con il riferimento manualistico alla sezione pertinente della Scienza della logica (che in classe, però, non abbiamo preso in considerazione), chiarisci quale possa essere l’effettivo intendimento di Hegel.

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