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[in "S/pagine", 29 giugno 2016]

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[in "S/pagine", 29 giugno 2016]

   

“E quanti altri imbroglioni e millantatori criminali travestiti da predicatori Sbucati da ogni angolo di strada o dalle fauci della televisione...

Però in nome della sacrosanta teoria di giudicare tutti con la stessa misura

o tutte le canaglie vadano in galera, oppure dentro nessuna!

E allora:

Wannamarkilibera! Wannamarkilibera!” Wannamarkilibera!”

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(“Wannamarkilibera!” –  Edoardo Bennato)

 

Da Mollaian all’Ikea. “Stromata” è il titolo di un’opera dello scrittore cristiano Clemente

Alessandrino, del II Secolo d.C.  Si tratta di un’opera in sette libri, una miscellanea, sostenuta dalla forte fede religiosa dell’autore.  Stromatain greco significa

“tappeti”, ad indicare l’estrema varietà di argomenti trattati. Infatti ai sette libri alcuni studiosi  hanno aggiunto un ottavo, fatto di 

excerpta

, cioè brani scelti tratti dall’opera. I tappeti dunque simboleggiavano nella letteratura greca la varietà di generi e l’eterogeneità degli scritti. Ma i tappeti ci fanno pensare ai complementi d’arredo che siamo abituati a vedere nelle nostre case. “Tappetì tappetì!”, gridava l’ambulante marocchino (che noi eravamo abituati a chiamare spregiativamente 

vu cumprà

), che passava sotto casa mia quasi ogni mattina d’estate, quando ero bambino. La sua voce roca tipicamente africana mi è rimasta nella memoria. Mai mia madre e nessuna delle vicine acquistava i suoi articoli, ma lui imperterrito ogni giorno faceva il giro del paese trascinando un grosso carrello di ferro semi arrugginito su cui era stesa la mercanzia. Proprio dal suo grido di battaglia, mia madre lo chiamava anche “tappetì” (“

na, sta passa u tappetì”

). E dal “tappetì” ai piazzisti delle televendite televisive il passo è breve. Ricordate la televisione privata Telemarket? Il titolo di questo articolo mi rimanda anche ai  “tappeti persiani” che mio padre portò un giorno a casa da un viaggio in Oriente. Erano favolosi, mi richiamavano alla mente davvero le magiche atmosfere da “Mille e una notte”.

Guarda caso, in quel periodo trasmettevano in tv un cartone dal titolo “Simbad il marinaio”, tratto da una antichissima favola persiana ( da cui venne tratto anche un film negli Anni

Quaranta),  e dunque tanto più  famigliari mi erano quegli ambienti da mirabilia orientali, quanto più affascinato fui dal fatto di ritrovarmi simili tappeti in casa. Nuovi nuovi, e scintillanti nei colori, facevano parte di uno stock che mio padre aveva acquistato a bassissimo prezzo, insomma un affare, e questi tappeti da allora impreziosiscono la casa dei miei genitori e da qualche anno anche la mia. Alcuni infatti rimasero custoditi nel cellophane fino a quando io li ho recati nella mia residenza da sposato. Un po’ la brillantezza dei colori è venuta meno con gli anni, la trama

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è ancora molto chiara e nitida, ma spesso, data la difficoltà e l’elevato costo della loro pulizia, sono ricoperti da una coltre di polvere a tutto danno dell’igiene e della salubrità della casa.

Rispetto a quegli antichi tappeti, i tappeti moderni non si possono proprio vedere. Di tanti design diversi, di pelo o di materiali sintetici, sono certamente più pratici e igienici ma i loro patchwork non sono equiparabili agli intricati orditi dei persiani. A pelo lungo o a pelo corto, di svariate grandezze e dalle innumerevoli fogge (quadrati, rotondi, rettangolari, triangolari), i tappeti dell’Ikea sono di grande successo soprattutto grazie alla loro tessitura piatta ed ai simpatici colori, ma  non sono così preziosi come quelli che si vendono da Mollaian, il più accreditato riveditore di tappeti orientali d’ Italia. “Tappeti” dunque, alla greca, sono anche i miei scritti, data la loro varietà e la difformità di stile e ispirazione, e per questo mi è piaciuto applicare ad essi la definizione coniata dal grande esponente della scuola di Alessandria, Clemente.

Il potere invisibile. Quando sono in giro per le città, mi rendo conto che fra telecamere di

sorveglianza di banche, agenzie cambi, alberghi e motel, scuole, questure, agenzie assicurative e abitazioni private, la nostra privacy è messa davvero a repentaglio. Viene monitorato ogni nostro movimento, scannerizzato, passato ai raggi x, ogni passaggio di denaro o acquisto che facciamo, sottoposto a screening ogni viaggio, ogni nostra abitudine. Satelliti controllano e indicano esattamente la nostra posizione in qualsiasi parte del globo. La metafora del Grande Fratello non ha mai colpito la mia fantasia come in questo momento. Mai, maggiori riscontri ho trovato alla suggestiva e complottistica tesi del “potere invisibile”, sorta di entità misteriosa e indecifrabile che controllerebbe i nostri vissuti, e di cui parla Vincenzo Sorrentino nel suo libro dal sottotitolo “Il segreto e la menzogna nella politica contemporanea”, edito da Dedalo nel 2012. La manipolazione della verità a tutti i livelli, i crimini e le stragi di stato, tutti i segreti custoditi dal potere e resi inaccessibili ai comuni cittadini, insomma il potere invisibile, secondo l’autore, mette seriamente in pericolo la qualità della vita dei cittadini e il futuro stesso della democrazia. Allora mi viene di pensare al  potere invisibile come un “Panopticon” (il carcere progettato nel Settecento dal giurista Jeremy Bentham che poi ha ispirato George Orwell per il suo “Grande Fratello”), che controlla e indirizza le scelte di tutti noi, attori inconsapevoli di questa sorta di prigione, come nel carcere dell’opera di  Michel Foucault“Sorv egliare e punire”, metafora di un potere ecatonchiro, occhiuto, onnisciente, pervadente, che plasma la vita dei cittadini non dall’alto ma dal basso. E proprio dal basso, secondo alcuni fantasiosi scrittori, proverrebbe la più antica religione del mondo e con essa la prima

organizzazione occulta: la religione di Agharti. La religione di Agharti sarebbe la prima forma del bisogno di spiritualità e di comunione con l’arcano manifestata dagli uomini sulla terra. La mitica Agharti è il Regno Sotterraneo, situato in quel territorio dell’Asia che va dal deserto del Gobi fino alle montagne del Tibet e del Nepal, e da qui si emanò la più primitiva forma di religione magica ed esoterica dell’antichità. Su svariati siti internet di mistero e esoterismo si trova menzionata Agharti. Su questa enorme rete di rapporti che collegano una vastissima parte del sottosuolo, secondo i seguaci di questa antica religione, regnerebbe il Re del Mondo, detto “Brahmatma” o

“Chakravarti”, nell’antico sanscrito. Il Re del Mondo sarebbe, infatti,  proprio un mediatore fra

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Dio e gli uomini. Renè Guenon dice che il termine “Manu” (“legislatore” e appunto mediatore fra l’uomo e la divinità), attribuito al Re del Mondo, si ritrova in forme diverse in tutte le antiche religioni: Mina o Menes per gli Egizi, Menw per i Celti e Minos per i Greci; per la Qabbalah è l’angelo Metatron, mentre nella religione cristiana è l’Arcangelo Michele. Ad Agharti è nata quindi la religione unica, primordiale dell’Età dell’Oro, in grado, per mezzo di pratiche mistiche, di mettere l’uomo in totale comunione con Dio. Durante l’Età dell’Oro, il Reame, che non era sotterraneo, portava il nome di “Paradesha” ( in sanscrito “Paese Supremo”, ossia Paradiso) e la sua capitale era “Shamballa”, detta anche “Città di smeraldo”. Il Re del Mondo, il Maestro Rama della religione degli Indù, che lo consideravano l’incarnazione del Dio Vishnù, diffuse questo credo per tutta l’Asia fino all’Europa, dando origine alla civiltà indo-europea. L’antico legame con Agharti si può riscontrare linguisticamente col termine “Asghard”, la città di Odino e degli dèi dei miti germanici: Adolf Hitler, grande appassionato di esoterismo, per questa ragione riteneva che i popoli nordici fossero i veri eredi spirituali del Regno Occulto. Tutte le religioni che noi conosciamo trarrebbero origine dalla mitica religione di Agharti, e i loro supremi

sacerdoti o iniziatori (Rama, Melchisedec, Buddha, Mosè) sarebbero dirette emanazioni del Re del Mondo. Nel corso dei millenni, le religioni si sono secolarizzate e conservano solo qualche pallida sopravvivenza della loro comune identità. All’inizio della cosiddetta “Età Nera”, cioè la nostra epoca, gli abitanti dell’antichissimo regno si dovettero nascondere per sfuggire al male e ad una terribile catastrofe che avrebbe distrutto tutto, e furono costretti a rifugiarsi nel

sottosuolo, in quello che sarebbe diventato Agharti, l’Inaccessibile. Renè Guenon fa rilevare che, nel corso del XIV secolo, ha cominciato a generarsi, fra Agharti e l’Occidente, una rottura, divenuta definitiva nel 1650, quando i rappresentanti della società esoterica di Rosacroce, depositari di questa tradizione, lasciarono l’Europa per ritirarsi in Asia. Da quell’epoca la conoscenza iniziatica non è più custodita da nessuna organizzazione occidentale e questa parola perduta va ormai cercata solo tra i saggi eremiti del Tibet. Il Re del Mondo però, secondo alcuni moderni seguaci di questa religione, sarebbe ancora in grado di influenzare il destino degli abitanti della superficie e dei loro governanti. Nella sua attività terrena, Brahmatma manifesterebbe la sua influenza attraverso gli insegnamenti occulti di alcuni spiriti superiori, potenti illuminati, mescolati tra la gente comune: i “Templari Confederati di Agharti”, società segreta, ramificata in tutto il mondo, di cavalieri- sacerdoti, presieduti da un consiglio supremo formato da 12 iniziati. Questa potente e pericolosa setta segreta deterrebbe quindi il potere invisibile su cui da sempre si interrogano  studiosi e 

cazzari.

 

I turbamenti del vecchio Ferrara.  Giuliano Ferrara è uno che è passato dalle lotte comuniste di gioventù al berlusconismo più duro e puro (quello dei cosiddetti falchi), dalla militanza nel Psi di Bettino Craxi a quella in Forza Italia, divenendo addirittura Ministro per i Rapporti col

Parlamento nel primo Governo Berlusconi (1994). Più volte parlamentare, è uno dei più noti giornalisti italiani. È stato un formidabile anchor man televisivo, ha inventato, con la

trasmissione “Il testimone”, il genere dell’ infoteinment, alcune

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sue trasmissioni (come “Radio Londra”, “L’istruttoria”, “Otto e mezzo”) fanno parte della storia della televisione italiana. È passato dalla battaglia per la grazia ad Adriano Sofri, leader di Lotta Continua, alla battaglia sulla difesa della vita contro l’aborto. Da comunista figlio di comunisti, a crocesignato difensore della Chiesa cattolica, contro l’estremismo islamico, contro i matrimoni gay e a difesa delle radici cristiane dell’Europa. Dunque, dalle posizioni di totale laicismo degli inizi, alla posizione di retrivo e anacronistico conservatorismo di oggi. Questo, per dire che certo Ferrara non ha fatto della coerenza il proprio vessillo. Ma tant’è. È tipico delle grandi personalità (in questo molto novecentesco) contraddirsi, cambiare idea, spesso anche con incredibili

piroette, cioè nella maniera più plateale e marchiana. Il massimo è che Ferrara continua a professarsi ateo (un “ateo devoto” lo ha definito Eugenio Scalfari), dunque vicino alle posizioni della chiesa, per motivazioni di carattere ideologico e filosofico, niente affatto spirituali. E le contraddizioni continuano. Attraverso “Il Foglio”, giornale da lui fondato, ha portato avanti molte battaglie che hanno  incontrato l’ostilità dei suoi colleghi-avversari politici e l’indifferenza degli elettori-lettori. Ora Ferrara, dalle pagine di “Panorama”(22 giugno 2016),  fa una disamina della situazione attuale del centro destra in Italia e afferma che bisogna ripartire proprio dal cavaliere Berlusconi, peraltro affetto da gravi problemi di salute. Bisogna ricreare le condizioni che vi furono nel 1994, cioè di quella grande rivoluzione liberale che, se non è più ripetibile

tel quel

,  nella forma, nei modi di allora, deve essere però almeno fonte di ispirazione per i partiti moderati di centro destra e che riconosca in Berlusconi il suo padre nobile. Va dato atto a Ferrara di avere quello che si dice il coraggio delle idee. E se pure ha preso tante cantonate, come questa ulteriore e nostalgica difesa del Berlusconi al declino politico, gli si deve

riconoscere ampiezza di vedute e solida cultura.

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