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I segreti dello zerbino

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Academic year: 2022

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Cecilia Pierami e Gian Luca Rocco

I segreti

dello zerbino

Copyright 2020 © Morellini Editore by Enzimi Srl

via Carlo Farini 70 - 20159 Milano tel. 02/87383764

www.morellinieditore.it facebook.com/morellinieditore instagram: @morellinieditore Progetto grafico: CreaLibro

Editing: Daniela Faggion ISBN: 978-88-6298-790-5

Data di pubblicazione: settembre 2020

Non è stato possibile rintracciare tutti i detentori dei diritti d’autore dell’immagine di copertina. Chiunque ritenga di poter rivendicare tali diritti è pregato di mettersi in contatto con l’editore.

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali.

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A chi c’è stato A chi c’è

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Prologo

Lo guardo e sento che potrei ucciderlo a mani nude. Ma sono, e decido di rimanere, una persona ragionevole. Così inspiro. Le mie narici si allargano. Poi espiro a lungo. Sen- to il karma che scorre forte dentro di me. Yoga, pilates, educazione cattolica, le botte delle suore, gli scapaccioni della nonna, Yoda e maestro Miyagi che si abbracciano mentre con la forza danno e tolgono la cera. Ci siamo: la calma scorre dentro di me, sono a un passo dal Nirvana.

Chiudo gli occhi. Mi sento e mi vedo potare bonsai in uno splendido giardino, mentre mi arriva l’aroma del tè preparato secondo i precisi dettami dell’antica cerimonia nipponica. Addirittura Buddha mi strizza l’occhio. Caz- zo, come sono zen. Inspiro. Trattengo. Espiro di nuovo.

Sono rilassata, davvero. Ora posso tornare a guardarlo.

E lui è ancora lì, davanti a me, i suoi occhi verdi pian- tati nei miei.

«Come siamo arrivati a questo punto?» mi chiede.

«Che cosa ci è successo? Dov’è finito tutto l’amore?»

Ci risiamo. Mi basta sentire la sua voce e tutta la mia calma tantrica svanisce. Avverto dei piccoli spilli nello stomaco: è un crampo di rabbia. Se non la smette subito, ne seguiranno altri.

«È inutile che fai quello sguardo intenso che pensi possa ribaltare l’utero di ogni donna che ti passa accan-

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to. Le tue sono domande retoriche: sai benissimo come, cosa e perché.»

Lui stringe le labbra, quasi le serra, e comincia a scuotere la testa. Al rallentatore. O almeno così mi ap- pare dalla nube vischiosa in cui ora, improvvisamente, si trova immersa la mia testa. Ogni suo movimento è enfatizzato: con la lentezza di una pellicola d’anima- zione degli anni Trenta, un fotogramma dietro l’altro, un sorriso ironico affiora sul suo volto regolare, den- ti bianchi spuntano come iceberg in mezzo al mare, i capelli e i loro ciuffi ribelli ondeggiano da una parte all’altra.

Io sono la spettatrice ebete della sua scena madre.

«Non capisci. Decisamente non capisci. È proprio questo il motivo per cui ti dico che siamo diversi. Hai preso tutta questa vicenda sul personale, come un torto che io avrei fatto a te, ma non è così.»

“Davvero lo ha detto? Forse no, forse mi sono distrat- ta mentre si passava le mani tra i capelli. Cazzo, mi sa che lo ha proprio detto, perché sta pure continuando.”

«Veramente non potevo immaginare che tu credessi che io rinunciassi. Alla fine è la mia famiglia. Cioè no, non fraintendermi, tu fai parte della famiglia. È la nostra famiglia, lo sai: mia madre ti adora, lo dice a tutte le sue amiche, e mio padre… mio padre ha molta stima di te, lo ha dimostrato in diverse occasioni, persino in questa, non credi? Magari con un altro ruolo, ma ti terrebbe, no- nostante tutto. Dai, alla fine è un riconoscimento anche a te, al tuo valore, al tuo lavoro. Non posso permettere che io perda… che noi, io e te, si perda tutto questo. Per me… cioè per noi, è una possibilità troppo importante.

Giorgia, noi ci amiamo.»

Stop. La nebbia sparisce in un attimo. Ora nella mia testa c’è solo luce.

Per un momento il suo perenne velo di ipocrisia è sci- volato via, sciolto come una maschera di cera gettata nel falò della verità. Ormai l’ho capito, la “nostra” storia era la sua storia, io un burattino nelle sue mani, legato da fili invisibili intessuti dalle sue menzogne. Quel “noi” era sempre stato un “io”. Lui è lì, a pochi centimetri da me.

Sento l’odore del suo profumo da trecento euro a boc- cetta, la fragranza che fa arrivare da Parigi e che, pensa, possa nascondere l’olezzo di ciò che è veramente.

Come ho potuto innamorarmi di lui? A fidarmi, a non capire… Queste sono le domande che avrei dovuto far- mi e che adesso mi assillano da giorni, ma ormai quel- lo che ho fatto, è fatto. Ripartiamo da qui. Devo restare calma. Sento di poter impostare una discussione nei toni che più mi si addicono e che prediligo: quelli di una donna intelligente, colta, ironica, pronta alla dialettica ma ferma nelle sue posizioni.

I fatti dimostrano che ho a che fare con un essere ele- mentare: deve ancora capire che essere riuscito a otte- nere un incarico sulla base di un concorso vinto grazie a un lavoro scritto da me e rubato dal mio computer non può essere considerato affatto un gesto d’amore. Nem- meno un po’. In un estremo slancio di generosità, potrei passare a spiegargli che la sua totale assenza di empatia nei miei confronti è l’ennesima dimostrazione della sua mancanza di sentimenti. Ma empatia, a questo punto capisco, potrebbe essere una parola veramente troppo difficile. Richiudo gli occhi cercando di trovare la calma e la concentrazione di cui ho bisogno per spiegarmi e farmi capire con termini semplici ma incisivi.

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«Vaffanculo» grido ficcandogli le unghie in faccia e ti- randogli una ginocchiata dritta nelle palle. All’istante, ruota i suoi occhioni verdi all’insù, mostrando il bian- co, ed emette un verso simile a un bollitore che sta per esplodere. Lo fa al rallentatore, ma stavolta non è un effetto scenico: è il dolore che arriva con una diabolica lentezza al suo cervellino.

Ho appena iniziato a godere delle mie capacità “di- dattiche” quando il suo sibilo si fa rapidamente più ovattato. No, non ha smesso di uggiolare. Sono io che, come al solito, svengo.

Uno

Ci aveva provato. Eccome se lo aveva fatto. Lasciare per- dere, non dargli importanza e aspettare che il tempo

“facesse il suo corso”.

Il risultato? Giorni, giorni e giorni di inesauribili so- spiri e interminabili mal di testa. Per un totale di mi- gliaia di ciuffi di capelli arrotolati tra le dita, altrettanti sguardi persi nel vuoto e momenti in cui, nel silenzio e nei luoghi meno appropriati (il tram, la cassa del su- permercato e la fila alle Poste), le labbra cominciavano a tremare per poi emettere un mugolio: «No no, non va bene per niente». Seguito da uno sbuffo poderoso e da una scrollata della testa.

Aveva contemplato senza successo l’idea di porgere l’altra guancia, fare finta di nulla ed essere superiore, e alla fine aveva compreso che per eliminare quel nodo allo stomaco, vendicare ogni singolo capello torturato e superare quel senso di ingiustizia planetaria, appena miscelato con un goccio di sano vittimismo, l’unica cosa da fare era schiacciarlo. Lui e i suoi modi di fare, lui e l’u- miliazione che le aveva inflitto, lui e l’enorme rottura di palle che le stava procurando tutto quel pensare. Certo non poteva sconfiggerlo sullo stesso piano. A livello di cattiveria, meschinità ed egoismo, la lotta sarebbe sem- pre e solo stata ad armi impari e credere di poter smuo-

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