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Academic year: 2021

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Quaderni

leif

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

Università di Catania

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Direttore

Maria Vita Romeo Redazione

Massimo Vittorio (coordinatore), Floriana Ferro, Antonio G. Pesce, Elisabetta Todaro, Daniela Vasta Segreteria di redazione

Manuela Finocchiaro, Cinzia Grazia Messina Comitato Scientifico

Paolo Amodio (Università «Federico II», Napoli)

Laura Berchielli (Université «Blaise Pascal», Clermont Fer- rand)

Domenico Bosco (Università di Chieti-Pescara) Calogero Caltagirone (Università LUMSA, Roma) Riccardo Caporali (Università di Bologna)

Carlo Carena (Casa editrice Einaudi)

Dominique Descotes (Université «Blaise Pascal», Clermont Ferrand)

Laurence Devillairs (Centre Sèvres et Institut catholique de Paris)

Gérard Ferreyrolles (Université Paris Sorbonne-Paris IV) Denis Kambouchner (Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne) Gordon Marino (St. Olaf College, Minnesota USA) Denis Moreau (Université de Nantes)

Giuseppe Pezzino (Università di Catania)

Philippe Sellier (Université Paris Sorbonne-Paris IV) Paolo Vincieri (Università di Bologna)

Direttore responsabile Giovanni Giammona

Direzione, redazione e amministrazione

Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università di Catania.

Piazza Dante, 32 - 95124 Catania.

Tel. 095 7102343 - Fax 095 7102566 Email: mariavitaromeo@unict.it ISSN 1970-7401

© 2014 - Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università di Catania

Registrazione presso il Tribunale di Catania, n. 25/06, del 29 settembre 2006

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica - Università di Catania

Impaginazione e stampa:

, grafica editoriale di Pietro Marletta,

via Delle Gardenie 3, Belsito, 95045 Misterbianco (CT), tel. 095 71 41 891,

e-mail: emmegrafed@tiscali.it

Quaderni

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Noterella redazionale 5

OmaggiO a PhiliPPe sellier Paolo Amodio Pascal, Port-Royal (e Montaigne): que sais-ye? Note in due tempi a margine di un libro e di un colloquio con Philippe Sellier 7

Domenico Bosco Un Pascal «gaudioso». Omaggio a Philippe Sellier 17

Hélène Bouchilloux Dieu sensible au cœur, ou la libido des philosophes 41

Carlo Carena Sul Pensiero 168 di Pascal 55

Roberto Osculati Attualità di Pascal 61

Antonio Giovanni Pesce La metafisica di Pascal e il sapere del profondo 67

Giuseppe Pezzino Pascal: un compagno di viaggio nel deserto 83

Philippe Sellier Sept empreintes pascaliennes 97

sPigOlature Antonio Giovanni Pesce Dio non esiste, dunque è reale 107

Sarah Eva Ravidà Fratello lupo e il Paradiso ritrovato 109

Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica

Anno VIII n. 12, luglio-dicembre 2014

Università di Catania

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eri dicebamus. RammentiamO due date: 2010 e 2012; ossia due importanti tappe nel cammino del «Centro di Studi Pascaliani» del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania: la prima è il Colloque International «Port-Royal et la philosophie» (Catania, 8, 9 e 10 novembre 2010); la seconda, dopo due anni, è l’«Omaggio a Jean Me- snard» (Catania, 19 gennaio 2012), con la presentazione del volume di J.

Mesnard, Sui “Pensieri” di Pascal (Brescia, Morcelliana, 2011, 431 p.), tra- dotto per la prima volta in italiano da Maria Vita Romeo.

Oggi, 2014, son trascorsi altri due anni; e il «Centro di Studi Pascalia- ni» – che attorno a Giuseppe Pezzino raccoglie studiosi di alto valore come Paolo Amodio, Domenico Bosco, Carlo Carena e Maria Vita Romeo – continua il suo cammino, conquistando un’altra importante tappa: la rea- lizzazione di un’intensa e proficua Giornata di studio, «Omaggio a Philip- pe Sellier: Etica e teologia a Port-Royal» (Catania, 21 gennaio 2014), con la presentazione del volume di Ph. Sellier, Pascal e Port-Royal (Brescia, Mor- celliana, 2013, 620 p.), tradotto per la prima volta in italiano da Maria Vita Romeo. Tappa altamente significativa, questa, sia perché, nel rendere omaggio a Sellier, si sono confrontati a Catania studiosi italiani e stranieri con contributi di alto livello; sia perché, con la traduzione di questo pon- deroso e affascinante volume di Sellier, si è approntato un utilissimo stru- mento di lavoro per gli studiosi italiani di cose pascaliane e non solo; sia perché il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania ha avuto ancora una volta il piacere e l’onore di ospitare Philippe Sellier, professore emerito all’Université Paris-Sorbonne, direttore di quattro col- lane presso l’editore Champion, autore di opere famose e fondamentali su sant’Agostino, su Pascal e su Port-Royal.

Ora, con comprensibile soddisfazione, noi di «Quaderni leif» pubbli- chiamo i lavori di questa Giornata di studio in onore di Philippe Sellier, si-

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curi non solo di rinnovare un piacevole ricordo in chi ha partecipato alle due sedute del 21 gennaio 2014, nella prestigiosa sala del Coro di Notte del Monastero dei Benedettini di Catania, ma anche di mettere «a portata di mano» le acute e profonde riflessioni che autorevoli studiosi hanno voluto presentare, stringendosi attorno a Philippe Sellier.

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Pascal, Port-Royal (e Montaigne): que sais-je?

Note in due tempi a margine

di un libro e di un colloquio con Philippe Sellier

L’aforisma non coincide mai con la verità:

o è una mezza verità o è una verità e mezza.

Karl Kraus

C

iò che il librO di PhiliPPe sellier,Pascal e Port-Royal1, è spieta- tamente (e salutarmente) in grado di fare è sospendere ogni pacifican- te certezza su un nostro presunto Pascal e invitare a rituffarsi nelle doman- de (o a cambiare ambito di studi). Innanzi tutto, occorrerebbe parlare di metodo Sellier: perché non si tratta solo di ricostruire attraverso documenti, testi, confronti, analisi critico-filologiche l’Universo Pascal e riceverlo – magari trasfigurato – nella regione di Port-Royal e degli «scritti spirituali»

(piuttosto che insistere sulle Provinciali o sulle Pensées).

Primo tempo: metodo Sellier

Il metodo Sellier trascina Pascal sui sentieri di diverse «attualità» (va da sé, non attraverso il solito e banale – perché sempre forzato – genere ritual- accademico «riattualizzazione»). Sellier lavora ai fianchi la storia del pen- siero e i modi e gli stili con i quali il meteorite Pascal ha così spesso colpito la vicenda intellettuale della modernità e della contemporaneità.

La retorica pascaliana, ad esempio, ci invita a riflettere Sellier, è qual- cosa di assai consapevole e persino di «studiato» anche secondo i canoni della comunicazione. Pascal domina il suo eventuale pubblico, quello più ostile e quello più disponibile, con un sapiente uso dei registri.

1 Ph. Sellier, Pascal e Port-Royal, introduzione, traduzione e note di Maria Vita Romeo, Bre- scia, Morcelliana, 2013.

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Nelle Provinciali si fa prima «reporter», ad esempio, per poi passare alla

«lettera aperta» per una politica cultural-religiosa più scaltra:

Quando Pascal si propone per difendere la teologia della grazia, nel gennaio 1656, a quale forma letteraria pensa? Va forse a riprendere quella del trattato, quella del- le lunghe lettere-dissertazioni di parecchi suoi amici? Per niente. Egli bada alla forma mobile di certi pamphlet, della Fronda, e più precisamente al medesimo formato e al numero pagine della «Gazette», creata da Renaudot nel 1631: otto pa- gine in quarto, ed eventualmente dodici. Per giunta, egli è in anticipo rispetto a questa stessa «Gazette», quando fa appello a tecniche giornalistiche come la «pic- cola posta» o la «Informazione breve» dell’ultima ora (alla fine della Quattordice- sima o della Sedicesima Provinciale). Pascal dona i suoi titoli nobiliari al giornali- smo teologico: con le prime dieci Provinciali, si atteggia a corrispondente giorna- listico; moltiplicando le interviste, passando al grande reportage, egli informa i provinciali degli avvenimenti del momento. Di lì, una delle particolarità di nu- merosi inizi di lettere e talvolta della loro fine, che consiste nel collegare: annun- cio della prossima ripresa del tema, o di un mutamento dell’argomento; richiamo di ciò che era stato precedentemente trattato. Cogliamo qui un fondamentale modo di procedere della scrittura pascaliana: affinare forme brevi, discontinue, marcando fortemente che tale frammentazione in “lettere” separate si concilia con l’unità un disegno d’insieme. Può darsi che lo scrittore abbia scoperto a poi a poco, col procedere della controversia del 1656-1657, l’efficacia la vivacità di una tale disposizione, che affinerà e teorizzerà per la sua Apologia sotto il nome di «or- dine del cuore». In ogni caso si spiega che la forma delle Lettere successive sia stata ritenuta di primo acchito come il progetto d’apologia, e che le Provinciali vi si trovino citate come uno dei modelli da imitare. Dopo un uso devastatore dell’in- tervista, il nostro teologo-giornalista cambia “genere giornalistico”: con l’Undice- sima Provinciale, egli mette in atto la “lettera aperta” (ai gesuiti, poi al solo padre Annat). È importante sottolineare le conseguenze di quest’affiatamento fra teolo- gia e pratiche giornalistiche. Come «Gazzetta», le Provinciali non si limitano a trasferire le controversie religiose sulla pubblica piazza – il che non sarebbe nuovo – esse mirano a far giocare a pieno un potere che si limita a iniziare ad affermarsi:

quello della stampa2.

O ancora, per viaggiare velocissimi: la letteratura critica non ha man- cato di segnalare la presenza pascaliana, per poi più o meno ridiscuterla, in Baudelaire? Sellier non ha dubbi: «il vero lavoro su Baudelaire e Pascal ri-

2 Ivi, pp. 281-2.

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mane da scrivere»3. Ma non ne sarei certo: il misurato titolo del capitolo se- sto «Per un Baudelaire e Pascal» vale molto più di una serie di suggerimenti e possibilità di nuove letture critiche. Certo, il contenitore Pascal-Baude- laire potrà essere riempito di nuove citazioni più o meno colte o esplicite, di acute e zelanti intuizioni critiche e filologiche, ma la strada è già decisa- mente segnata e la prudenza iniziale di Sellier è dovuta all’invidiabile equi- librio dell’autore.

Di fatto non c’è prudenza che tenga, né atto di umiltà che convinca là dove si va ad apprendere:

l’insistenza sulla presenza di Pascal nell’autore dei Fiori del male non può occul- tare la ricchezza e la complessità degli scambi fra la creazione baudelairiana e ogni specie di universi artistici. Come Racine, Baudelaire ricorre continuamente alla sovrimpressione: svelare l’azione di un testo pascaliano non significa che questo testo sia il solo ad agitare tale poesia o tale verso dei Fiori. Non cediamo dunque a quella che Jean-Pierre Richard ha chiamato «l’allucinazione critica», che aumen- terebbe il rapporto a Pascal. In compenso, diffidiamo della relativa discrezione del poeta a proposito dell’apologista. Capita che gli artisti tendano a cancellare i le- gami che li uniscono a coloro di cui sono i più vicini […] Iniziamo dunque con lo stabilire l’insistenza della presenza di Pascal in tutta l’opera. L’abbozzo che se- guirà, dedicato ai temi religiosi, cesserà allora di apparire come un mero parallelo retorico. Tutto il periodo creativo di Baudelaire è stato accompagnato da una ve- ra e propria effervescenza di studi pascaliani. A partire dal 1779 si erano moltipli- cate le riprese dell’edizione Bossut dei Pensieri, che me scolava all’apologia ogni specie di altre opere di Pascal, e forniva un testo sostanzialmente manomesso. Nel 1842, Victor Cousin lancia un appello alla sistemazione del testo autentico dei Pensieri. Sin dal 1844 Prosper Faugère risponde a questo voto e pubblica, secondo gli originali, i Pensieri, frammenti e lettere. Nel 1852 esce la celebre edizione Havet:

pur conservando all’incirca l’ordine di Bossut, essa riprende il testo di Faugère.

Diversi indizi suggeriscono che Baudelaire ha posseduto prima un’edizione se- condo Bossut, poi – volendo disporre del testo stesso di Pascal – l’edizione Ha- vet2. D’altra parte, ammiratore di Sainte-Beuve, il poeta non poteva non interes- sarsi al Port-Royal, la cui pubblicazione si estende dal 1840 al 1859 e di cui un’am- pia parte è riservata a Pascal. Una rapida lettura delle Œuvres complètes di Baude- laire rivela la sua eccellente conoscenza di Pascal. Come un dandy prova ripu- gnanza a citare, e non s’abbassa alle meschinità della verifica dei testi, si tratta

3 Ivi, p. 523.

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quasi sempre di riprese non segnalate. Così le prime parole del Salon de 1846 fan- no eco alla celebre opposizione pascaliana tra «giustizia» e «forza»:

«ai borghesi. Voi siete la maggioranza, – numero e intelligenza; – dunque siete la forza, – che è la giustizia. Voi detenete il governo della città, ed è giusto perché siete la forza».

Pascal si manifesta in ogni genere letterario e in ogni periodo: ne La Fanfarlo (1847), ne L’Ecole paíenne (1852), nella poesia in prosa La Solitude (1855), nelle no- te su Les Liaisons dangereuses (1856-1857), nel Salon de 1859, in certe lettere come quella del 20 aprile 1860 a Poulet-Malassis, Les Paradis artificiels (1860); nelle Ré- flexions sur quelques-uns de mes contemporains, a proposito di Victor Hugo (15 giu- gno 1861); nei diari intimi4.

E di qui un’analisi magnifica, dotta, suggestiva. Se non è l’ultima paro- la su Baudelaire e Pascal, ci manca davvero poco.

Metodo Sellier, ancora. Il lettore di Pascal e Port-Royal ha come tutti, d’altronde, alcune passioni letterarie personali, dove Pascal non c’entra, ov- viamente. C’è chi, come me, ha dei riferimenti classici quali Dostoevskij e Kafka, e poi da Proust a Joyce fino a Virginia Woolf, ha amato e ama par- ticolarmente (non sempre corrisposto da altri lettori con i medesimi riferi- menti classici) Nathalie Sarraute. Ebbene, quasi a rapirmi definitivamente, Philippe Sellier, inaspettatamente per me, dedica alla Sarraute in dialogo con Pascal delle pagine acutissime. Allucinazione critica? Niente affatto: in un gioco di magiche sovrapposizioni e ideali o diretti colloqui Valéry-Sar- raute sul terreno esplicitamente pascaliano, Sellier apre una bellissima pa- gina di ricerca letteraria, assai poco di genere e perciò ancora più persuasi- va. Sia sufficiente qui ricordare l’epilogo:

Come se lo era imposto per Valéry, Nathalie Sarraute è stata sola di fronte al te- sto di Pascal, spazzando via l’accumulazione critica: «Quanta gente fra il testo e me!». Ma quale differenza di reazione! Il fatto è che i due scrittori rappresentano per lei, a un punto estremo, uno l’ingegnoso e il sofisticato, l’altro la magia di un’elaborazione letteraria che cattura nelle sue reti il quasi indicibile, l’innomina- to e li tira verso la luce, ancora vibranti di quella vita segreta in cui erano nascosti.

Come diceva Montaigne, noi ci chiariamo tanto per «fuga» che per «seguito»: re- spingendo violentemente Valéry, con la complicità di Pascal, la romanziera illu- stra, grazie a loro, l’intuizione centrale della sua poetica. Così raggiunge una delle

4 Ivi, pp. 523-5.

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sue eroine preferite, Clarissa Dalloway, che Virginia Woolf, nell’Attraversamento delle apparenze (1920), aveva fatto apparire una prima volta, mentre riflette, «col suo piccolo volume bianco di Pascal che non la lasciava mai»5.

Che dire ancora, a questo punto, se non professare la propria inadegua- tezza? Ma siamo studiosi e lettori di Pascal, ergo l’alibi dell’apologia sellie- rana non regge, occorre esporsi e affidarsi alle attenuanti generiche, provan- do magari a sedare l’evidente excusatio non petita.

Secondo tempo, ovvero culpa manifesta: Montaigne e Pascal. Que sais-je?

Procedo dunque un po’ a macchia di leopardo (so che il libro non lo merita, poiché possiede una linearità e una coerenza imprescindibili, ma ri- tengo che sia l’unica strada per me percorribile a questo punto) in ordine alla mia particolare e sicuramente pallida sensibilità pascaliana.

Vale forse la pena soffermarsi un istante sulla questione Agostino-Mon- taigne-Pascal-Port-Royal a proposito della «libido sciendi» e della sua me- tamorfosi in seno alla cultura seicentesca tra i libertinismi, Pascal e talune esperienze tra il religioso e il mistico, di contro al veto agostiniano dei tre modi della «libido» come molla del pensare e del vivere.

«Vulgata» vuole che se in Agostino – ma la cosa diviene persino più ri- gida a Port-Royal – la «curiosità» fosse il peccato che conduceva al sapere inautentico (e Bossuet vorrà ribadirlo con vigore nel suo Trattato della con- cupiscenza), nella cultura libertina, sulla scia di Montaigne e del suo «es- sayer» il mondo nel senso del vero e proprio «gustare», non si trattava neanche più di un eventuale punto di partenza di un sapere, bensì di un vero e proprio compito e di un diletto: ancor più che plaisir de connaître,

«libido sciendi» si ritraduceva in bonheur de connaître. Molla del pensare e dell’indagare, insomma; di più, ciò che stuzzicava le «curiosità» della libido sciendi era proprio la possibilità di squadernare l’atmosfera di favola e di impostura che produce ogni credenza e ogni dottrina (o anche il clima po- litico-ideologico che l’ha imposta).

5 Ivi, p. 549.

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Nei miei studi ho spesso ribadito la questione, anche e soprattutto quando si trattava di ricordare la linea che da Montaigne va ai libertini e a Pascal per capire poi la querelle su Agostino tra XVII e XVIII secolo con l’incomodo Tommaso: ma qui, sembra ammonirmi Sellier, occorre stabi- lire assai più accuratamente il terreno di gioco, sottolineare innanzi tutto il filtro agostiniano tra Montaigne e Pascal, e dunque puntualizzare subito:

Esistono alcune opere e una folla di articoli sui rapporti fra Pascal e Montaigne.

Molto meno numerosi sono i lavori che hanno affrontato la questione di un ago- stinismo di Montaigne, e gran parte di loro sono posteriori al 1960. Rispetto a questi ultimi, ci proponiamo un modo di procedere del tutto differente: lavorare sull’ipotesi di un Pascal teolo go, che entra nei Saggi in possesso di schemi e di te- mi di pensiero in funzione dei quali assume o respinge le trattazioni formicolanti del suo predecessore6.

Qui le mie vecchie convinzioni sono obbligate a trasformarsi in nuove domande dal sapore persino naïf.

È davvero così netta la distanza che separerebbe il libero pensiero di ispirazione montaigniana dall’esperienza spirituale e religiosa, che so, tra Pa- scal e Fénelon? Sicuri, ad esempio, e per restare nell’esempio, che Fénelon sia davvero l’Anti-Pascal?7. Di qui un capitolo nuovo che non oso aprire.

È davvero così facile tagliare in due l’esperire umano della sensibilità moderna tra libertà e peccato, tra libido e concupiscenza? Cosa ha signifi- cato davvero Agostino o, se si preferisce, come ha funzionato Agostino nel- la forma mentis moderna?

Ma anche più in generale, si ammiri l’equilibrio del pascaliano Sellier quando si trova di fronte Michel de Montaigne:

Se si vuol ampliare l’argomento, è necessario constatare che Pascal sintetizza – alla sua maniera – l’universo dei Saggi. Egli si propone di liberare ciò che – in termini di analisi editoriale – si chiama “il messaggio residuo”, ossia la risultante di un brulichio di affermazioni. Egli trascura dunque ogni considerazione di una evo- luzione. Si appoggia poco ai Saggi brevi dell’inizio, ma in compenso vede l’essen-

6 Ivi, p. 469.

7 È l’opinione, a mio parere discutibile, ad esempio, di L. Devillairs, Fénelon. Une philosophie de l’Infini, Paris, Cerf, 2007. Ringrazio l’amico Domenico Bosco per il decisivo suggerimento.

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za di Montaigne nell’Apologia di Sebond e nel libro III. La sua diagnosi è di una splendida acutezza: i Saggi gli appaiono come una grande opera pagana, e persino come la più brillante opera pagana esistente. Più chiaramente dei Pensieri, il Col- loquio definisce questo paganesimo di fondo: «Egli si comporta da pagano», e conclude che si «deve restare nel frattempo in riposo, cullandosi leggermente su- gli argomenti, per paura di affondarvi appoggiandovisi». Definizione già moderna del paganesimo come decisione di limitarsi alla superficie delle cose, convinzione che bisogna essere superficiali [appunto] per profondità e disinteressarsi del retro- mondo metafisico. A una tale diagnosi si possono opporre due critiche: innanzi- tutto Montaigne non espelle affatto l’universo cristiano, e Pascal – prima di Frie- drich – riduce la complessità sconcertante dei Saggi. Non è sorprendente che tan- te belle formule di fede siano passate sotto silenzio e che l’esigente Saggio dal ti- tolo Delle preghiere (I, 56) non sia mai ricordato né citato nell’opera pascaliana?

Si rimane tanto più sorpresi che il futuro apologista – se si crede a sua sorella Gil- berte – aveva ricevuto dal padre la massima più montaigniana che ci sia: «Tutto ciò che è oggetto della fede non può esserlo della ragione» (Vita di Pascal, § 23).

In secondo luogo, Pascal non sembra avere percepito completa mente l’ecceziona- le energia morale che ha consacrato Montaigne alla pratica appassionata dei «Co- nosci te stesso», né un impulso etico pur percettibile tante volte: «Ho dedicato tutti i miei sforzi a formare la mia vita. Ecco il mio mestiere e la mia opera» (Del- la rassomiglianza dei figli ai padri, II, 37); «Preferisco forgiare la mia anima piut- tosto che arredarla» (Di tre commerci, III, 3). Brunschvicg ha ben scrutato questa tensione, nei Saggi, tra l’abbandono impressionista al riverbero del reale e la cura dello scultore che lavora una materia resistente8.

E allora, tra Montaigne e Pascal il punto di partenza (e simultaneamen- te d’incrocio) è l’indagine circa la miseria dell’uomo e delle possibilità di riscatto esistenzial-religioso sul piano mondano. Pascal, scrive Sellier nel punto dirimente della sua splendida interpretazione, non en passant ma a mo’ di vera e propria sezione aurea, va a cercare Montaigne sui sentieri agostiniani degli attacchi agli stoici. Che cosa significa precisamente?

Lo stoicismo, nella sua veste classica così come nella sua variante mo- derna, mirava alla sconfessione del mondo come dominio dell’umano per trasferire l’uomo nelle maglie del concetto e dell’autocoscienza (e poi sem- mai nella religione) contro ogni residuo di felicità terrena, secondo un mo- vimento che dalla Stoà a Seneca a Epittèto fino a Hegel propone una feno-

8 Ph. Sellier, Pascal e Port-Royal, cit., pp. 480-1.

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menologia dell’umano che è fenomenologia dello spirito – in cui la filosofia per non esporsi alla vanità diviene persino medicina animi contro le frustra- zioni del mondano – coscienza narrata dalla ragione che ha sintetizzato, su- perando ogni infelicità, tutti i modi del mondano tra certezza sensibile e percezione.

Ora, il neo-stoicismo cristianizzato dei tempi di Pascal, che celebrava Epittèto contro Seneca e Marco Aurelio, produceva un effetto contraddit- torio: se da un lato si prestava alla traduzione troppo simultanea della «sag- gezza» e della «virtù» in Sommo Bene, dall’altro non riusciva a eludere l’au- tarchia morale iscritta in quel pensiero e in quella ortoprassi. Se le sferza- te agostiniane agli Stoici sembrano prevedere questo sviluppo secentesco dello stoicismo, in Pascal la cosa si gioca in mirabile equilibrio tra Agostino e Montaigne, tra cuore e volontà, tra insensatezza dell’uomo e vanità dei filosofi.

E allora, Montaigne e Pascal (filtrati da Agostino): non tanto dei due l’uno o delle due l’una, o di un tertium finalmente datur sembra suggerire Sellier: non mera contrapposizione scetticismo/fede (fede filosofica o reli- giosa non importa), piuttosto gioco sofferto e spesso irrisolvibile non già tra concetti o paradigmi metafisici, piuttosto tra due gesti: accettare/com- battere.

Orgoglio / curiosità / ricerca dei piaceri. Il re di concupiscenza, per ci- tare il bel libro di Maria Vita Romeo9, compie sì una virata politica, perché il «politico» è già immediatamente il mondano, e qui si gioca una partita tragica tra la miseria dell’io e un’ingiustizia del noi, schizofrenie di attori e spettatori sempre a disagio tra una Città di Dio e il cosmopolitismo del piacere e del sorriso beffardo a zonzo nella comédie humaine.

Ha dunque ragione Sellier: Pascal non è un collezionista di farfalle montaigneane, il suo problema non è il gusto del collezionista di aforismi – che per dirla con Karl Krauss non funzionano mai perfettamente perché non dicono mai una verità dal momento che o sono una mezza verità o una verità e mezza – per Pascal si tratta di ripetere il coraggioso gesto scet- tico del perigordino e di riconvertirlo nella dismisura della fede non solo

9 M. V. Romeo, Il re di concupiscenza. Saggio su Pascal etico-politico, Milano, Vita e Pensiero, 2009.

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contro ogni bonheur ma anche contro ogni liturgia, di resettare l’origine comune e trasvalutare accidia e indifferenza, che sono gli «effetti», mi si scusi il gioco di parole, della contemplazione degli effetti là dove non si vo- gliono vedere le cause.

Trasvalutare accidia e indifferenza in fede, nel Cristo, nel fuoco, nel ro- veto ardente e nella luce del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che quasi diventano una sorta di idea regolativa della ragione (ad usum hominis, deo gratias) dal momento che, cito il celebre passo di Pascal «l’uomo senza Dio si trova nell’ignoranza su tutto ed in una inevitabile felicità» per il semplice motivo che ignorando la ragione degli effetti «non può né cono- scere né non desiderare di conoscere. Non può nemmeno dubitare».

Tra Montaigne e Pascal si inserisce, come un cuneo che tagliando ospi- ta più vie, l’Agostino dell’«aversio a creaturis / conversio ad Deum», e con Agostino si dettano i tempi della scansione del sentire mistico à la Giovan- ni della Croce: il Pascal di Philippe Sellier è lì, tra ammirazione e reticenza, tanto nei confronti del misticismo di san Giovanni della Croce o Teresa d’Avila quanto nello scetticismo di Michel de Montaigne. E se i primi sembrano sconfiggere il secondo, per quanto «formicolante» – uso il termi- ne di Philippe Sellier – Montaigne, per Pascal, invita a vedere, a guardare con un’arroganza e una mancanza di pietas per troppi, troppi versi condi- visibile e imprescindibile.

E Montaigne funziona per Pascal contro l’inaccettabile presunzione di Cartesio e della filosofia di sottrarre l’esistente all’incalzare del tempo per trasmutarlo in una sorta di principio assoluto, di sciogliere l’io psicologico nell’io trascendentale. Non è insomma possibile neutralizzare il mondo e dissolvere l’affettività con un gioco di prestigio filosofico.

Nessun Pascal versus o pro Montaigne allora, nessun pirronismo versus o pro fede e certezza, ma Pascal lettore inquieto di Montaigne.

Inutile provare a sfidare il perigordino condividendone la convinzione circa la debolezza della ragione a indicare vere e proprie opzioni esistenziali e spirituali, per poi magari opporgli la volontà e la buona volontà. Anche qui non c’è storia: che l’uomo lo sappia o meno, ogni volizione non riesce a eludere l’impulso (biologico ed esistenziale) e si attesta sui sentieri della vanità della vita quotidiana alla ricerca della felicità, pura energia vitale che tende inesorabilmente alla dissipazione. All’uomo manca, ha ragione Mon-

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taigne, un vero e proprio centro per potersi orientare verso un fine. Se Dio non c’è, la singola vita che si affaccia sul mondo è destinata alle vertigini.

E se Dio è nascosto, queste vertigini, questo assordante silenzio di spazi in- finiti, riappaiono in una veste ancora più spaventosa.

Pascal lettore inquieto di Montaigne, altro non si dà: al cospetto del più sincero e geniale dei pagani moderni – e perciò destabilizzante – Pascal sfi- da il disagio accettando di procedere sul filo del rasoio: sa che quel volto sorridente e simultaneamente tragico di una scepsi perplessa ed errabonda – che è tale perché non solo non trova Dio nel mondo ma neanche la pos- sibilità di una fede nella ragione – nel dissolvere tutto ciò che gli capita di incontrare emette segnali di disperazione.

Pascal lettore inquieto di Montaigne, appunto perché tragicamente di- sponibile alla disperazione e alla speranza di un Dio sempre caché: «nasco- sto» agli occhi infantili della singola vita umana, vita sospesa e offesa da ogni conatus essendi, sospesa tra grazia e disgrazia, offesa e illusa dai suoi stessi modi di raccontarsi, condannata dalla presunzione dell’io, della scien- za, della filosofia e della storia.

C’è poi la fede: eccedente, lacera, intatta, impetuosa, implacabile, in- flessibile, irriducibile, indescrivibile, extra-ordinaria, ineffabile, immobile, inadeguata, preziosa, annientante, sproporzionata, espressionista, inscruta- bile, inconfessabile ai più, inoppugnabile ai pochi, muta, sempre dolorosa come una madre dolorosa e asfissiante come un padre ignorante, persino ansiogena. Giammai equivoca, eppure senza comunione.

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Un Pascal «gaudioso». Omaggio a Philippe Sellier

B

isOgna essere grati a PhiliPPe sellier.La sua lunga consuetudine con Pascal, espressasi con il magistrale Pascal et Saint Augustin, ma già ricca nell’innovativo contributo Pascal et la liturgie, confermatasi con le dotte edizioni della seconde copie delle Pensées pascaliane e, volta a volta, ac- cresciutasi, nel corso ormai di più un quarantennio, con interventi sempre illuminanti e tali da fornire un ordito finissimo di rimandi dentro i quali leggere la sfaccettata figura dell’uomo (e del cristiano) Pascal sullo sfondo di Port-Royal e del Seicento, ha indubbiamente consentito di leggerne con maggiore accuratezza anche la più complessiva esperienza spirituale, to- gliendo dall’ombra e riarticolando prospettive che han portato ad avvicinar- ci meglio anche al Pascal delle «vie dell’interiore» e du côté de la mystique1.

I. Una pista promettente…

Ed il metodo, annunciato ancora ai tempi della sua tesi, presentata al- lora non senza modestia come una «panoramica» intorno alla galassia ago- stiniana2, era tutto un invito ad allargare orizzonti, consapevole che avvici-

1 Ph. Sellier, Pascal et saint Augustin, Paris 1970 (poi 1995); Pascal et la liturgie, Paris 1966; Port- Royal et la littérature, Paris 1999-2001; Essais sur l’imaginaire classique. Pascal, Racine, Précieuses et moralistes, Fénelon, Paris 2003; Port-Royal et la litterature. Pascal, Paris 2010 (tradotto ora in italiano a cura di Maria Vita Romeo, con il titolo Pascal e Port-Royal, Brescia, Morcelliana, 2013). Quanto al lavoro sulle Pensées, editando la seconde copie, ricorderemmo Pascal, Pensées. Nouvelle édition éta- blie pour la première fois d’après la Copie de référence de Gilberte Pascal, Paris, Mercure de France, 1976; Pensées, Paris, Bordas, 1991 (mise à jour 1999); Pascal, Pensées, selon l’ordre de Pascal, Pocket 2003. Quanto a Port-Royal, ricorderemmo più in specifico Port-Royal et la littérature, II, Paris 2000, tra i quali in particolare Port-Royal: littérature et théologie, pp. 11-30; Port-Royal: un emblème de la Réforme catholique, pp. 31-40; ma anche Qu’est-ce que le jansénisme (1640-1713), pp. 43-76.

2 Ph. Sellier, Pascal et saint Augustin, cit., p. 7.

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narsi e riscoprire le fonti ed i contesti era far meglio risuonare gli accenti di un pensiero che non era nato come una Minerva del tutto armata, ma si era venuto costituendo, almeno per la teologia3, rivivendo e ripensando il depositum, quel che insomma è un dato da custodire, approfondire e «ru- minare» perché divenga sostanza vitale. E scriveva allora Sellier:

Per comprendere questo pensiero ritenuto difficile, il miglior metodo è dunque sug- gerito dall’autore stesso. Lungi dall’essere apparsa immediatamente tutta armata e con il casco, come la Minerva della leggenda, la visione pascaliana del mondo si è costituita poco a poco, nella fedeltà alla Tradizione evangelica. La ricchezza di questa Tradizione potrebbe sicuramente inquietare, ma a Port-Royal, verso il 1646-1662, tre “documenti” tendevano ad eclissare gli altri: la Bibbia, sant’Ago- stino, la liturgia (in virtù dell’adagio Lex orandi, lex credendi). Se bisogna aggiun- gere a queste tre fonti la tradizione cistercense, è troppo presto per dirlo4.

Sull’intuizione della fonte cistercense, anche altri avrebbero lavorato portando a frutto il richiamo ad un san Bernardo, maestro del monastero, ma egualmente dottore ed «ultimo Padre»5, ma è indubbio che grazie a quelle intuizioni ci si veniva a ritrovare in un clima ben diverso da quello che discende – nell’immaginario e nella volgata – da un Port-Royal ridotto alle cinque proposizioni di Giansenio o alla questione della firma del For- mulario6. Perché si fosse stati magari anche affascinati dall’immagine, tutto

3 Il richiamo va alla celebre prefazione pascaliana al Trattato sul vuoto (OC, II, pp. 777-85), per la quale è stata ribadita la formula di un Pascal «antimodernista, senza essere anti-moderno» (H.

Gouhier, Blaise Pascal, Conversion et apologétique, Paris 1986).

4 Ph. Sellier, Pascal et saint Augustin, cit., pp. 5-6.

5 Ricorderemmo almeno S. Icard, Port-Royal et Saint-Bernard de Clairvaux (1608-1709), Saint- Cyran, Jansénius, Arnauld, Pascal, Nicole, Angélique de Saint-Jean, Paris 2010.

6 È stato notato (R. Aubert) che la definizione teologica, un tempo classica, del giansenismo come «dottrina di Giansenio contenuta nell’Augustinus e riassunta nelle cinque proposizioni con- dannate dalla Chiesa» non può completamente soddisfare lo storico. Un opportuno aggiornamento sul tema e sugli orientamenti storiografici più recenti in Dictionnaire de spiritualité ( Jansénisme, VIII, col. 102-48 J.-R. Armogathe, per la storiografa e M. Dupuy per la dottrina spirituale) e del Dictionnaire d’Histoire et géographie écclesiatique (fasc. 152-3, col. 911-32; 932-42; 947-53 ad opera ri- spettivamente a proposito di Jansénisme, Janséniste, Eglise d’Utrecht e Jansénius, R. Aubert, M. G.

Spiertz, L. Ceyssens); ma ancora nella nostra voce Giansenio e il giansenismo, in Enciclopedia filoso- fica, dir. V. Melchiorre, Milano 2006, t. V, pp. 4725-30. Di grande efficacia rimane comunque la sintesi di L. Cognet, Le jansénisme, Paris 1961, e più recentemente P. Chantin, Le jansénisme entre hérésie imaginaire et résistance catholique, XVIIe-XIX siècle, Paris 1996.

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vigore e coscienza, di Sr. Jacqueline de Sainte-Euphémie Pascal e delle sue celebri espressioni non prive di forza a difesa di un Port-Royal «fermo e combattente»7, oppure si fosse stati, per converso, colpiti, come lo era stato Antoine Adam, da una qualche pagina nella quale il rigore della punizione (divina) sembrava quasi impedire una qualsiasi distinzione tra «innocenti oppressi» e «colpevoli puniti»8, non ci si potrà sottrarre all’impressione che, nella ricchezza di tutto un registro spirituale, era bello pensarsi insieme sull’onda di Bernardo ed Agostino, dove la grazia attira, affascina e dà il suo tocco: salutare!

Come, del resto, si leggeva in un testo illuminante in cui Nicolas Fon- taine, segretario di Sacy e che noi conosciamo meglio perché ci ha conse- gnato di Pascal l’Entretien avec Sacy sur Epictète et Montaigne, ricreava il Port-Royal spirituale andando a quelle che erano le sue fonti ispiratrici:

Sant’Agostino è il primo dei padri latini. Tutte le sue parole sono effusioni della sua virtù. Ci sono dei libri che nascono dal suo calore. Unde ardet, inde lucet. Co-

7 Jacqueline Pascal, Lettre a Sœur Angélique de Saint-Jean, 23 juin 1661, in Œuvres complètes, éd. M. Le Guern, I, p. 39: «So bene che non sta a giovani donne difendere la verità; per quanto si possa dire, per una triste circostanza dei tempi e dello sconvolgimento in cui ci troviamo, che poiché i vescovi non hanno il coraggio di donne, donne devono avere coraggio di vescovi. Ma se non sta a noi difendere la verità, sta a noi morire per la verità, e soffrire ogni cosa piuttosto che far credere che la rinneghiamo». La circostanza era quella legata alla firma del Formulario. Un utile sussidio nelle testimonianze riportate in Port-Royal, Une anthologie présentée par L. Plazenet, Paris 2012: Port-Royal dans la bataille.

8 A. Adam, Histoire de la littérature française au XVIIesiècle, Paris 1958, IV, p. 119. La pagina in questione era tratta da P. Nicole, De la soumission à la volonté de Dieu, in Essais de morale, Pre- mier volume, cit., IIepartie, ch. 2, p. 118 (ci riferiremo all’edizione settecentesca di Desprez, 25 voll.

(1733-1771), riproposta recentemente da Slatkine reprint, Genève 1971 in 4 voll.): «Se tenessimo gli occhi del nostro spirito fermi su questa prima e sovrana causa degli avvenimenti, cambierebbe in qualche modo la faccia del mondo nei nostri confronti […]. Non vedremmo più innocenti oppres- si, non vedremmo che colpevoli puniti. La terra non sarebbe per noi un luogo di tumulto e di di- sordine, sarebbe un luogo di equità e di giustizia. Riconosceremmo che non si toglie a qualcuno se non quello che ha meritato di perdere; che nessuno vi soffre se non quello che merita di soffrire; che giustizia e forza vi sono unite insieme; che l’ingiustizia vi è sempre impotente; che non vi è né di- sgrazia, né infortunio, ma solamente dei giusti castighi per i peccati degli uomini… Che cos’è un’ar- mata secondo questa idea? È una truppa di esecutori della giustizia di Dio che egli invia per far mo- rire delle persone che hanno meritato la morte e che egli ha condannato a questo supplizio». Come ha notato M. Dupuy, Jansénisme, Doctrine spirituelle, in Dictionnaire de spiritualité, VIII, col. 141, un tale tipo di linguaggio, che tendeva peraltro a sottolineare la trascendenza divina, non sembra es- sere specifico al solo giansenismo, ma rispecchia fraseggi del tempo.

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me Apelle e gli altri grandi pittori hanno fatto molte opere comuni di cui non si parla ed altre che sono inimitabili, così Dio ha fatto opere minori, cioè uomini a cui dà meno grazie e ve ne sono di incomparabili come sant’Agostino e alcuni al- tri […]. San Bernardo è l’ultimo dei padri. È uno spirito di fuoco, un vero genti- luomo cristiano e come un filosofo della grazia. Ciò che è ammirabile in lui è che essendogli la scienza stata data come per infusione, non ha voluto scrivere né dire nulla che non abbia trovato nella Tradizione: così che dividendo la sua dottrina in tanti capitoli, la si troverebbe in sant’Agostino, sant’Ambrogio e san Gregorio che erano i suoi autori ordinari9.

E, d’altra parte, non dovevano essere privi d’attrazione, né quel tipo di serietà priva di maniera, facilmente assimilabile ad uno «stile gallicano»10, né il richiamo ad una riforma interiore di cui Le cœur nouveau saint-cyra- niano costituiva un modello, mentre invitava a trasformare il cuore di pie- tra in un cuore di carne (Ez 16, 26): attenti alle piccole come a cose più grandi e, consapevoli dell’importanza del non fidarsi di sé, ma piuttosto confidare in Dio, in un gioco costante di purificazione, meditazione e pa- ziente esercizio, si trattava di lasciarsi aperti alle sollecitazioni dello Spirito11.

19 N. Fontaine, Mémoires pour servir à l’histoire de Port-Royal, II, 177, ed. Slatkine reprints, Genève 1970, p. 71.

10 M. Fumaroli L’âge de l’éloquence, Genève 1980; Pascal et la tradition rhétorique gallicane, in Méthodes chez Pascal, Actes du colloque tenu à Clermont-Ferrand, 10-13 juin 1976, Paris 1979, pp.

359-70.

11 Saint-Cyran, Le cœur nouveau, ou exercice pour une personne engagée dans le monde et dans le mariage, et nouvellement convertie à Dieu, in Œuvres chrétiennes et spirituelles de Messire Jean du Ver- ger de Hauranne, abbé de S. Cyran, nouvelle édition, tome quatrième, Lyon (chez Laurent Aubin) 1679, pp. 77-88. Ma alcuni altri testi di questa raccolta presentano in filigrana quel che potrebbe dir- si lo stile del Saint-Cyran spirituale, relativamente all’analisi interiore e alla vittoria su quanto di ce- lato agli stessi occhi interiori, oppure di inerziale e/o abitudinario poteva tarpare le ali ad un effet- tivo progresso spirituale. Tali ad esempio, nel t. II: Lettre XCIII: A une jeune princesse élevée dans un Monastère, qui lui avait communiqué le désir qu’elle avait d’y être Religieuse, chap. XX. Que les plus grands empêchements d’une vraie conversion sont certains désirs cachés, que l’âme ne connaît pas: et que le meilleur moyen pour les détruire est la prière, pp. 321-6; nel tome III, Lettre CXXXVIII, A une mê- me Dame. Du respect que l’on doit aux Prêtres. Des communions par accoûtumance et par attache, et des peines d’esprits, et des tentations que Dieu permet pour nous humilier et faire rentrer en nous-mêmes, pp. 175 ss.; chap. V: Que pour faire une fois en sa vie un parfait renouvellement, il ne faut pas seulement s’examiner sur les péchés grossiers, mais aussi sur les spirituels, qui sont souvent les plus dangereux, pp.

194-7; chap. VI: Qu’on ne sauroit acquerir la charité sans la vérité, ni la vérité sans l’humilité, et le dé- gagement des passions, pp. 197-200. Né si dimenticherà una annotazione che figura tra le sue massime e dà conto di quel che potrebbe dirsi l’interno motore della preghiera che è desiderio del cuore: «La

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Come suggeriva una icastica affermazione del De la vocation, sempre di Saint-Cyran, un testo che lo stesso Pascal ebbe a leggere12:

Nessuna buona opera comandata da Dio può essere ben fatta, e nessuna parola scritta dallo Spirito di Dio può essere ben compresa senza l’infusione dello Spirito di Dio che solo è capace di farci compiere ciò che comanda, e di farci intendere quel cha ha fatto scrivere per nostra istruzione13.

Aveva visto giusto su questo punto Henri Bremond quando affermava:

«le due virtù essenziali del cristiano interiore non sono, come si è creduto, il timore e la penitenza, ma piuttosto il silenzio e la flessibilità, vale a dire la souplesse alle ispirazioni divine»14.

Con particolare finezza Henri Gouhier aveva richiamato un tempo l’at- tenzione sull’importanza del ricreare i contesti per lasciar meglio intendere le voci che giungono da lontano, eppure sono voci di chi rimane ancora nostro contemporaneo. Al «massiccio Port-Royal» ricostruito da Sainte- Beuve in tutta la sua esemplarità di simbolo del Grand Siècle, si era affian- cata l’immagine più mossa di un secolo che Bremond nella sua Histoire littéraire du sentiment religieux aveva figurato come un insieme di monti, di vallate e di balzi, dove a far da contrappunto a Port-Royal stavano la

«mistica», l’umanesimo devoto, la scuola francese dei Bérulle, Condren e Olier, i gesuiti, ma ancora Fénelon: variazioni diverse su temi che mante- nevano una loro sostanziale unità d’ispirazione pur differenziandosi con ac- centi e sottolineature specifiche, come potevano esserlo la «spiritualità del - l’adorazione» e la «spiritualità della salvezza», distinte certo, ma forse solo come lo può essere, per noi che viviamo nel mondo, il pensare oranti alla prima parte del Pater noster immersi nel Fiat voluntas tua15, oppure alla se-

preghiera, secondo sant’Agostino, consiste nel desiderio del cuore. Era quella del profeta di cui dice Domine ante te omne desiderium meum (Sal 37, 10) è dal desiderio che nascono i pensieri e le parole che si indirizzano a Dio, ed è per mezzo di tale desiderio che la preghiera può essere continua, come nostro Signore ci comanda dicendo di pregare senza interruzione (I Tess 5, 17) (J. Orcibal, La spi- ritualité de Saint-Cyran avec ses écrits de piété inédits, Paris 1962, p. 491).

12 Lettre de Blaise et Jacqueline Pascal à G. Périer, 1 avril 1648 (OC, II, p. 581).

13 Saint-Cyran, De la Vocation, in Œuvres chrétiennes et spirituelles de Messire Jean du Verger de Hauranne, III, p. 422.

14 H. Bremond, Histoire littéraire du sentiment religieux, IV, Paris 1925, p. 166.

15 H. Gouhier, Blaise Pascal. Conversion et apologétique, cit., pp. 7-12 (Note préliminaire).

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conda parte, nell’invocazione del Libera nos a malo, oppure come può es- serlo il richiamarsi, dentro un comune orizzonte cristiano, a categorie quali umanesimo ed anti-umanesimo oppure teocentrismo, indicative, certo, di un orientamento, ma in una definizione dai quanto mai incerti confini16. E se, come osservava Jean Orcibal, «quasi tutte le parole caratteristiche del- la spiritualità sono garantite e, in qualche modo spiegate, da un piccolo numero di passaggi della Scrittura, talvolta da uno solo»17 e se, forti della sua lezione, avremo modo di riscoprire stratificazioni, ed ancora tentativi di sintesi capaci di meglio rispondere a nuove istanze dei tempi18, ma for- s’anche alle questioni del cosiddetto «croyable disponible», non manchere- mo di trovarci attrezzati per cogliere quel che Philippe Sellier presentava come uno dei frutti della sua ricerca: «farla finita con almeno due precon- cetti: la tristezza giansenista e Port-Royal anti-mistico»: ideale premessa con cogliere con più ricchezza le molte sfumature pascaliane19.

A proposito di conversione

Annotava Jean Mesnard che il termine «conversione» non figura tra le testimonianze delle diverse biografie a proposito di quella che è stata detta la «prima» e, poi ancora, la «seconda» «conversione» di Pascal20. Lo si può forse comprendere:

16 Su alcune di queste «categorie», ma sulla stessa loro fluidità, si veda H. Gouhier, L’anti-hu- manisme au XVIIesiècle, Paris 1987, nonché J. Mesnard, Humanisme et Christianisme chez Pascal, in Abraham: individualità e Assoluto, Atti delle Giornate Pascal 2004, a cura di M. V. Romeo, Catania 2006, pp. 131-68.

17 J. Orcibal, Histoire du Catholicisme moderne et contemporaine, in Problèmes et méthodes d’hi- stoire des religions, Section des sciences religieuses, Ecole des Hautes Etudes, Paris 1968, p. 256.

18 Per quel che qui ci riguarda più direttamente ricorderemmo almeno J. Orcibal, Saint-Cyran et le jansénisme, Paris 1961; La spiritualité de Saint-Cyran avec ses écrits de piété inédits, Paris 1962; Le cardinal de Bérulle. Évolution d’une spiritualité, Paris 1965. Ma sul clima generale rimanderemmo an- che al nostro Filosofia e ascesi nel Seicento. Il caso francese, «Rivista di filosofia neo-scolastica» (1990), pp. 3-45.

19 Ph. Sellier, Pascal e Port-Royal, a cura di M. V. Romeo, Brescia, Morcelliana, 2013, p. 570.

20 J. Mesnard, Les conversions de Pascal, in Blaise Pascal. L’homme et l’œuvre, Cahier de Royau- mont, Paris 1956, pp. 46-7. Il primo ad utilizzarlo, nel senso con cui oggi diciamo «prima » e «se- conda conversione» è, al dire di Mesnard, Sainte-Beuve (p. 47).

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Conversion f. f. – annotava il Furetière – Trasmutazione, cambiamento di natura.

I pagani hanno creduto le conversioni, le metamorfosi di uomini in alberi, in fontane, in pietre, in uccelli, ecc. I chimisti cercano la conversione dei metalli in oro e in argento. Conversione in morale, significa anche l’azione attraverso cui una cosa o una persona si mette in un altro stato o si vede in un altro senso. Dio non vuole la morte del peccatore, ma la sua conversione. L’eloquenza e lo zelo di questi missionari hanno fatto un gran numero di conversioni. La Chiesa prega per la conversione degli infedeli21.

La parola era presumibilmente troppo forte, quanto al «morale», per si- gnificare ciò che si intendeva descrivere, trattandosi allora per Pascal non già, né di un repentino passaggio dal peccato alla grazia, né di un muta- mento di confessione religiosa, né ancora del caso di un infedele che giun- ge alla Chiesa. Eppure se nelle biografie non appariva precisamente la pa- rola, sembrava comunque attestato un ri-orientamento che diceva quanto meno del prodursi di ideali priorità.

Sulle modalità con cui Pascal avrebbe mantenuto i suoi rapporti con la scienza, bisognerà magari correggere una qualche (troppo) perentoria di- chiarazione di Gilberte22, ma quel che suggerisce la sorella è particolarmen- te prezioso: il giovane Blaise che, fino ad allora, si era distinto soprattutto nell’ambito delle scienze, iniziava un suo personale itinerario che ne avreb- be fatto una illuminante «icona» del cristiano23. La Vita, scritta dalla stessa sorella a modo di una legenda e secondo una struttura compositiva di cui Philippe Sellier ha puntualmente determinato gli itus et reditus fino a offri- re un autoritratto pascaliano che ne illumina retrospettivamente tutta l’e- sistenza24, prospetta un esemplare percorso spirituale di quel che potrebbe

21 Le Dictionnaire universel d’Antoine Furetière (1690), Préfacé par Pierre Bayle, Le Robert, Pa- ris 1978: sub voce.

22 G. Périer, Vie de Pascal, & 22, in Pascal, Œuvres complètes, éd. J. Mesnard, I, Paris 1964 , p.

577 (d’ora in avanti OC): «…in modo che da allora, rinunciò a tutte le altre conoscenze per appli- carsi unicamente a l’unica cosa che Gesù Cristo chiama necessaria», su cui si veda J. Mesnard, Pa- scal, nouvelle édition revue et corrigée, Paris 1962, pp. 5-6.

23 Su alcune di queste suggestioni, J. Mesnard, Pascal, témoin moderne du christianisme, in Ré- lire l’apologie pascalienne, 350° anniversaire de la mort de Blaise Pascal, Paris 3-5 oct. 2012, Chronique de Port-Royal, Paris 2013, pp. 15-27.

24 Ph. Sellier, Pour une poétique de la légende: La Vie de M. Pascal, «Chroniques de Port-Ro - yal» (1982), riedito in Port-Royal et la littérature, I, Paris Champion 1999, pp. 29-45 (ora anche in

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descriversi come una conversione che dura tutta una vita – è stato detto be- ne: «in una adesione sempre rinnovabile e rinnovata al mistero cristiano»25.

Scriveva dunque Madame Périer:

Quando non aveva ancora ventiquattro anni, la Provvidenza di Dio, avendogli fatto nascere un’occasione che lo obbligò a leggere degli scritti di pietà, Dio lo il- luminò in tal modo da questa santa lettura che comprese perfettamente che la re- ligione cristiana non ci obbliga a vivere se non per Dio e a non avere altro ogget- to che lui26.

Quanto a Marguerite, la nipote, la formula relativa alla «conversione»

era ancor più generica: «… Conobbe il bene, lo sentì, l’amò e lo abbrac- ciò»… con ulteriori aggiunte: «Fu guadagnato a Dio» o ancora: « cominciò a gustare Dio»27.

La vicenda è nota: essendosi nel gennaio del 1646 il padre di Pascal, Étienne, infortunato per una caduta, la conoscenza di due gentiluomini della Normandia (M. Deslandes e M. de la Bouteillerie) che lo ebbero a curare, provocò un primo incontro con la spiritualità port-royalista, grazie alla loro familiarità con Guillebert, allora parroco di Rouville e seguace di Saint-Cyran; da qui, il prodursi di un rinnovato fervore che, tramite Blaise, contagiò l’intera famiglia e non doveva risultare senza effetti nel portare le esigenze religiose anche al centro della vita ordinaria: se potevano supporsi l’esistenza di una sorta di compartimento stagno tra gli ambiti ed almeno un implicito «separatismo» nell’ambivalenza stessa della formula appresa

edizione italiana, pp. 63-81). L’autoritratto è celebre: « Amo la povertà, perché Gesù Cristo l’ha ama- ta. Amo i beni, perché danno il mezzo di assistere i miserabili. Mantengo la fedeltà con tutti. Non rendo il male a coloro che me ne fanno, ma auguro loro una condizione simile alla mia, in cui non si riceve né male né bene da parte degli uomini. Cerco di essere sempre veritiero, sincero, fedele a tutti gli uomini e ho una tenerezza di cuore per coloro a cui Dio mi ha unito più strettamente;

sia solo o alla vista degli uomini, ho in tutte le mie azioni lo sguardo di Dio che deve giudicarle e a cui le ho tutte consacrate» (G. Périer, La vie de Pascal, (A) & 68, p. 595) (Pensées, Sellier 759) Uti- lizzeremo la numerazione della seconde copie, nella edizione di Philippe Sellier, d’ora in poi con la sigla S.

25 Ch. Belin, La conversation intérieure, La méditation en France au XVIIesiècle, Paris 2002, p. 227.

26 G. Périer, Vie de Pascal, in Pascal, & 22, p. 577.

27 M. Périer, Mémoire sur Pascal et sa famille (OC, I), p. 1099 (corsivo nostro). E, si badi, il ri- chiamo al «gustare Dio» non è senza una inflessione sapienziale, «mistica», appunto.

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dal padre «l’oggetto della fede non potrebbe essere oggetto della ragione»28, da allora non sarebbe stato più così; un inciso di Marguerite lo lasciava in- tuire per quanto poteva essere allora avvenuto per lo zio (e per gli stessi suoi genitori):

Aveva della pietà, ma non era abbastanza illuminata. Non conosceva ancora in tutta la loro estensione i doveri della vita cristiana. Simile a tanti honnêtes hom- mes secondo il mondo, pensava di poter alleare sguardo alla fortuna e pratica del Vangelo29.

Riassume bene Henri Gouhier passando in rassegna vicende e testimo- nianze di quel va sotto il nome di «prima conversione»:

Non si trattava di increduli che trovano o ritrovano la fede ma di cristiani che ri- scoprivano le esigenze della fede. I Pascal credevano di essere dei buoni cattolici, adempivano i loro doveri religiosi e vivevano onestamente, si illudevano di rispet- tare i comandamenti di Dio: ora non vedevano quale riforma radicale implicava tale rispetto30.

Riforma interiore e conversione, nella radicalità di uno spirito e di at- teggiamenti, era quanto suggerivano invece Port-Royal e i suoi libri; Port- Royal, centro di aggregazione delle forze vive della Riforma cattolica, vole- va riannodare l’unità spezzata tra pensiero e vita, recuperando Tradizione, Padri ed una teologia semplice ed efficace, densa di una sostanza spiritua- le31; ed i “suoi libri”– nell’aurora del “primo Port-Royal spirituale” – sem- bravano del tutto votati a questo, fossero essi le Lettres … spirituelles di Saint-Cyran, oppure il De la fréquente communion dell’Arnauld, il Discours de la réformation de l’homme intérieur di Giansenio, ma anche qualche bel capitolo del liber proemialis, dell’Augustinus, ad esempio i capp. IV e VII, dove, se si puntualizzava sul discrimen tra teologia e filosofia, si affermava quanto fosse invece la carità la via privilegiata al mistero: Non intratur in

28 G. Périer, Vie de Pascal, & 23, p. 578.

29 M. Périer, Mémoire sur sa famille (OC, I), p. 1078.

30 H. Gouhier, Blaise Pascal. Commentaires, Paris 1966, p. 102.

31 Sul tema della teologia semplice ed efficace rimane ancora illuminante la riflessione di H.

Gouhier, La crise de la théologie au temps de Descartes, «Revue de philosophie et de théologie» (1954), pp. 19-54.

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veritatem nisi per caritatem, aveva detto Agostino (Contra Faustum XXXII, 18)32. Ed Agostino era, d’altra parte, di casa a Port-Royal per alcuni suoi tratti distintivi e in quel suo tipico «chiaroscuro», così ben isolato da Sel- lier33: se vi erano insistenza sul peccato originale e rilievo della debolezza e della corruzione umana successiva al peccato, nel risuonare stesso del «felix culpa» (Exultet pasquale) si riscopriva in azione la sovrabbondanza di una grazia che sanava ed elevava: la grazia di Cristo34. Agostino era tutto que- sto: «Tutta la fede consiste in Gesù Cristo e in Adamo e tutta la morale nella concupiscenza e la grazia», avrebbe riconosciuto lo stesso Pascal35.

Clima agonale, dunque, ma in cui si rimarca anche il rimando ad un inizio sempre rinnovato, ben illustrato dalle stesse analisi pascaliane del Sur la conversion du pécheur: l’anima che si converte «comincia a considerare come un niente tutto ciò che deve tornare al niente […]. Comincia a stu- pirsi della cecità in cui è vissuta […]. Comincia a elevarsi al di sopra del comune degli uomini […]. Comincia a trovare il proprio riposo»36. Una serie di incominciamenti che non sembrano mai dover aver fine perché una lettera pascaliana del ’48 lo attestava, attratti come si doveva essere dal

«Siate dunque perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto» (Mt 5, 48)37.

32 H. Gouhier, Blaise Pascal. Commentaires, cit., pp. 98 ss.: Retour en arrière: «La première con- version».

33 La formula «chiaroscuro del mondo» è di Ph. Sellier, Pascal et saint Augustin, cit., pp. 19 ss.

Ma il dettagliato confronto Pascal-Agostino di tutta l’opera illumina nel suo complesso quello che è stato chiamato «cristianesimo agostiniano».

34 Riassume sinteticamente J. Chevalier, Histoire de la pensée, vol. II, Paris 1956, pp. 112-3, al- cuni caratteri: «una tradizione che in tutti si traduce in una certa idea dell’impotenza dell’uomo ab- bandonato a se stesso; dell’insufficienza di una filosofia come tale, della preminenza in Dio, come nell’uomo, del bene sul vero e della volontà sull’intelligenza, della necessità della fede per salvare la ragione dal dubbio e produrre l’intelligenza immediata e illuminatrice, della necessità della grazia per affrancare la libertà dal peccato e per darle la luce del bene e la forza di compierlo; infine, tutto in due parole, di una spiritualità basata sulla relazione dell’anima con Dio riassunta nell’espressione dei Soliloquia: “Noverim te, noverim me”». Rimanderemmo comunque per una prima caratteriz- zazione anche al nostro Agostino, i moralisti e l’arte di conversare. A zig-zag per il Seicento, «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica» (2008), pp. 231-82.

35 Pascal, Pensées, S 258.

36 Pascal, Sur la conversion du pécheur (OC, IV, 42).

37 Pascal, Lettre de Blaise et Jacqueline à leur sœur Gilberte (OC, II, 583): «… i figli di Dio non devono porre limiti alla loro purezza e perfezione perché fanno parte di un corpo tutto divino e in- finitamente perfetto: come si vede che Gesù Cristo non limita il comandamento della perfezione e

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