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" Il paradosso di Achille e la tartaruga " Ludovica Gamba

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Academic year: 2022

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“Ludo sveglia sono le 7.20”

Io sono immersa nel mare limpido, nuoto e non sento la fatica, non ho bisogno di respirare, mi fondo con l’acqua e ondeggio con lei aspettando che la corrente mi mostri la via.

Sotto i miei occhi, un universo sotterraneo si propaga nell’orizzonte marino: è una città immensa, una Roma subacquea. Vedo la mia scuola cosparsa di alghe rampicanti che circondano le colonne dell’ingresso e inghiottiscono il cortile.

Vedo Benny in lontananza che lega il motorino con la catena, si gira verso di me ed è una sirena, ha i capelli rossi e il corpo di un blu intenso, quasi accecante. Io non sono sorpresa, la saluto. Davanti scuola c’è il mio professore di matematica, è enorme, mi fa paura: è un pescecane con i denti che sono delle spade affilate, mi rincorre, io scappo e lui urla “Ludovicaaa”.

“Ludovica ti alzi, Ludovica è tardi!”

“Sì ecco un minuto e arrivo”

“Ma non hai il compito di matematica in prima ora?”

“Sì il compito di matema… oddio oddio papà ma me lo potevi ricordare prima cavolo non riuscirò mai ad arrivare in tempo”

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Papà mi guarda sorridendo “ma come, io te lo dovevo ricordare?”

“evita di fare colazione e sbrigati dai”

Sono ancora tra le coperte calde ma appena sento la parola

“colazione” mi fiondo in cucina con una velocità che solitamente non mi appartiene e in due minuti e mezzo mi bevo una bella tazza abbondante di latte bianco gelato di frigorifero e mangio cinque, sei…

dai facciamo sette biscotti al cioccolato.

Mi lavo, mi vesto e mi trucco… o almeno ci provo.

“Sei pronta” mi chiede papà che indossa già le scarpe

“Ehm mi pare di sì, credo di aver preso tutto”

“Anzi no aspetta ho dimenticato la calcolatrice”

“Allora io ti aspetto giù ma fai presto che sono quasi le 8”

Penso a quanto siano brutti i sabato a scuola, per di più con un compito di matematica in prima ora. Penso che non ho studiato abbastanza e che se mi scrivo le formule sulle mani sicuramente l’inchiostro, con il sudore, si scioglierà.

Corro, prendo la calcolatrice, sbatto la porta dietro di me e volo sul motorino di papà, in tre minuti e mezzo siamo di fronte scuola.

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“In bocca al lupo e fammi sapere come va!”

“Viva il lupooo” urlo io correndo verso il cancello.

Mi guardo intorno sorpresa e cerco di ricordarmi la scuola come mi è apparsa nel sogno ma la fantasia dura poco, mi rendo conto di perdere tempo quindi mi fiondo in portineria e chiedo a Rossella un foglio protocollo a quadretti, Ross si accorge di quanto io sia di fretta e mentre tento di cercare 10 centesimi sparsi nelle tasche della borsa mi caccia dicendo di non preoccuparmi per i soldi; mi fa gli in bocca al lupo per il compito che io accetto volentieri nella speranza che una potenza trascendente possa realmente in qualche modo aiutarmi a prendere una sufficienza.

La porta della classe è chiusa.

Maledizione ho fatto tardi.

Busso e mi scuso per il ritardo, il professore ha le stesse sembianze del sogno, è uno squalo viscido con i denti affilati, mi separa da Bea e mi fa sedere al primo banco.

“Ludo, hai la maglietta al contrario” urla Marco ridendo dal fondo dell’aula.

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Mi guardo la maglia, che imbarazzo ha ragione, ho infilato la maglietta al contrario ma giuro che in questo momento non ha l’aria di essere un problema, guardo Marco, alzo le spalle e mi metto a ridere.

“Ragazzi ho deciso di fare tre file diverse di compiti così questa volta evitate di fare i furbi e non copiate”

Il suono delle parole del professore mi dà alla testa, ho un problema con lui e con la sua materia, non mi piace e non mi piacerà mai. Tutti questi numeri di prima mattina mi danno la nausea. Ho voglia di ragionare, di pensare, di argomentare, parlare. Ho voglia di discutere non di risolvere problemi di matematica.

Giocherello con la penna, ho inventato un gioco divertente: la penna deve passarmi il più velocemente possibile tra le dita ad eccezione del pollice, non è così semplice come sembra e infatti la penna mi sfugge dalla mano e cade esattamente ai piedi del professor Zanni.

Chiudo gli occhi come quando in televisione compare una scena che mi fa paura.

“Gamba, ha voglia di giocare questa mattina? Per favore, un po' di serietà, lo sa che quest’anno dovrà affrontare la maturità?”

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Apro gli occhi fingo un sorriso circostanziale, il professore si abbassa e raccoglie la penna, si avvicina a me e mi dice “si concentri, dai”.

“Concentrati” mi ripeto, penso che se bastasse solo questo potrei riuscirci.

Per un secondo covo un sentimento di ottimismo, sono quasi curiosa di leggere il compito.

Il professore inizia a consegnare i test dalla fila accanto alla mia, sarò l’ultima a riceverlo.

Mi giro verso Chiara e noto un’espressione non proprio entusiasta, ha l’aria di chi ha appena ricevuto una multa e non ha il coraggio di dirlo ai genitori.

“Bene” penso dentro di me.

L’espressione di Benny al contrario mi dà conforto: legge il compito con aria compiaciuta, non alza nemmeno un secondo lo sguardo prima di cominciare a risolvere gli esercizi.

“Professore mi scusi ma aveva detto che non faceva domande di teoria, qui ce ne saranno almeno 3”

Urla Domitilla dal secondo banco, con voce stridula e provocatoria.

“Si vede che ho cambiato idea, a volte capita, a te non capita mai?”

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risponde Zanni nascondendo un ghigno ironico che Domitilla non coglie ma che a me fa sorridere.

Aspetto con ansia che finalmente arrivi il mio foglio.

“Oggi alzataccia eh” mi dice il professore lasciando il compito sul mio banco, fissa la mia maglietta e si allontana, appena volta le spalle gli faccio il verso bisbigliando, poi sposto l’attenzione sul foglio.

Do una rapida letta a tutte le domande.

” Questa non la saprò mai e vale due punti quindi è importante …”

“Questa potrei saperla … ma vale 0,5 cavolo” gli unici calcoli matematici che la mia testa risolve sono quelli che mi servono per scoprire orientativamente che voto potrei arrivare a prendere.

“Ok posso arrivare al 6 se mi ci impegno”.

Mi lego i capelli e mi concentro.

Se fossi il professore solo studiando gli sguardi e le azioni mie e dei miei compagni capirei chi è preparato e chi no, allora decido di far finta di essere preparata, devo atteggiarmi come se avessi studiato tutta la settimana per poter andare bene a questo test, ma poi riflettendoci su mi rendo conto che il professore mi conosce e non sarà un’espressione a convincerlo.

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Ho un problema di concentrazione, mentre tento di risolvere gli esercizi mi viene voglia di fare tutt’altro.

“Se fingessi di stare male?” confabulo tra me e me.

“psss Ludo” provo a girarmi senza farmi notare, Rebbi mi chiama dal secondo banco

“Ti serve qualche esercizio?”

“Mi servono un po' tutti gli esercizi in realtà” rispondo impaziente e preoccupata.

“Allora aspetta, fai finta di niente mentre ti scrivo su un biglietto i primi tre”

Annuisco e riporto l’attenzione sul foglio.

Rossella e papà forse mi hanno portato fortuna.

Ormai ho perso la concentrazione, mi sono aggrappata all’ancora di salvezza che mi ha lanciato Rebbi.

Faccio finta di scrivere poi guardo il soffitto come se fossi assorta da chissà quali folli ragionamenti.

In realtà sto pensando a come prendere il bigliettino da Reb senza farmi notare.

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“Ci sono”

Mi sussurra lei avvicinandosi il più possibile al mio orecchio.

“Rebecca lavori da sola, un’altra parola e la sposto alla cattedra”

“Ma no professore mi scusi è colpa mia, le avevo chiesto l’orario”

rispondo prontamente io, coprendo Reb con la speranza che Zanni non si accorga del bigliettino.

“Gamba sono lieto di darle una buona notizia, sulla parete proprio davanti ai suoi occhi c’è un grande orologio bianco, è lì da cinque anni, non l’ha mai notato?”

“Grazie mille ma sono miope, proprio da cinque anni” rispondo io, cercando di rubargli dalla bocca l’ultima parola.

Il professore ha incisa sulle labbra una smorfia irritata ma in una manciata di secondi la nasconde, poi prende il libro che stringeva tra le dita e continua la sua lettura dal punto in cui io e Reb lo avevamo interrotto.

“Bene” penso dentro di me, “un altro passo falso e questo ci becca sicuramente”

Giocherello ancora con la penna, le mani sudano e sento come un morso allo stomaco.

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“psss Ludo, allora?” sento bisbigliare dietro di me

Faccio cenno a Reb con la mano di aspettare. Mi sta salendo l’ansia e il professore è ancora troppo preso da noi, non possiamo rischiare.

Provo a risolvere il primo esercizio.

Sono in una bolla di concentrazione, una bolla di plastica. Non sento i rumori. Mi sto impegnando davvero, come aveva detto Zanni a inizio lezione, mi sto concentrando.

Solo che nella testa è appena partita una canzoncina che non riesco a cacciare via, un grillo nella mente che balla e canta questo motivetto e ogni minuto che passa diventa più assordante e fastidioso.

Ho il ballerino dello spot della Tim nella testa, ecco cos’è.

Quello che balla in giro per la strada con le persone che lo fissano, le signore lo guardano e si abbassano gli occhiali incredule.

“Then let’s ride Yeah gonna ride”

canta il ragazzo con il cappello nella mia mente che in questo momento dovrebbe solo cercare di risolvere il primo problema di matematica.

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Ok mi sto rendendo conto che da sola non posso farcela, sono passati quarantacinque minuti e a malapena ho impostato due esercizi.

Devo cercare di farmi passare il bigliettino altrimenti non arriverò a prendere nemmeno 4 a questo maledetto test.

Se solo avessi gli occhi sul collo, se solo avessi un terzo braccio che possa allungarsi fino al banco di Reb.

Se solo avessi studiato.

Il risentimento autoinflitto dura il tempo di qualche “tic” dell’orologio bianco appeso alla parete.

Ho un’idea, mi alzo e vado a parlare con Zanni, in questo modo Reb può appoggiarmi il bigliettino sul banco e lui non se ne accorgerà.

Perfetto, allora tento di far capire a gesti in modo sconclusionato e molto poco chiaro il mio piano a Reb sperando che qualche sorta di telepatia possa sincronizzarci le menti.

“E io a quello che gli dico adesso”. Mi chiedo.

Mi alzo dalla sedia e con una camminata incerta arrivo alla cattedra di Zanni, nemmeno mi guarda, ha il libro davanti agli occhi.

“Che c’è” dice lui senza abbassare il libro

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“Come ha fatto a vedermi arrivare?” rispondo io stupita.

“Allora che c’è” ripete lui. Sembra non aver voglia di parlare.

Tra le mani tiene un libro blu, con un triangolo dorato al centro. Il libro si chiama “Un’eterna ghirlanda brillante” l’edizione è Adelphi.

“Parla di matematica?” gli chiedo esitando.

In realtà la copertina mi ha attirato davvero e sono curiosa di sapere di cosa tratti il libro.

“Parla di tutto e di niente” mi risponde lui “ti invita a percepire la realtà al di là dei normali confini delle esperienze personali e accettare domande paradossali rifiutando la premessa.”

Non mi aspettavo una risposta seria, volevo solo distrarlo per lasciare Rebbi tranquilla di mettere il bigliettino sul mio banco, ma ora il professore mi ha incuriosito ancora di più di quanto non lo avesse fatto la copertina del libro che tiene tra le mani.

“Sta cercando di distrarmi?” mi dice abbassando il libro e tenendolo chiuso nella mano destra con il pollice a mo di segnalibro. “L’ho vista poco concentrata, vuole distrarmi?” mi ripete insistente.

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Le mie guance stanno diventando rosse e non so cosa rispondere.

Alzo gli occhi e l’orologio segna le “8.55” cavolo mancano pochissimi minuti e metà del mio compito è ancora in bianco.

“No … io ero solo venuta a chiederle se è possibile utilizzare un altro foglio per i calcoli” rispondo cercando vagamente lo sguardo di Reb, lei mi fa cenno con il pollice in su e mi indica il biglietto che ha appena poggiato sul mio banco.

Mi sento sollevata così lascio correre un respiro di sollievo.

“Sì certo può utilizzare un foglio per i calcoli, basta che poi me lo consegna insieme al compito”

“Perfetto grazie mille” rispondo io mentre mi allontano dalla cattedra per raggiungere il banco.

“Accettare domande paradossali rifiutando la premessa …” mi ripeto mentre tengo tra le dita umide di sudore e ansia il biglietto di Reb.

Chissà che vuol dire.

Manca così poco al suono della campanella che le mie dita si fondono con la penna e danzano insieme sul foglio sporco di inchiostro.

Finisco tutti gli esercizi in tempo ma la mano mi fa male, è dura.

“driiiin”

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Suona la campanella.

Mi giro verso di Reb e con un sorriso a 32 denti stampato sulle labbra le mando un bacio.

Scrivo il nome sul foglio e la data di oggi “23 novembre 2018”

Zanni passa tra i banchi e ritira i fogli, quando arriva finalmente da me guarda il banco, poi guarda me.

“Oddio che ha visto” penso dentro di me cercando di non far trapelare dal mio sguardo neanche un pizzico di preoccupazione.

“Il foglio dei calcoli?” mi chiede lui, con fare ironico come quando prima ha risposto a Domitilla.

“Ehm, no alla fine ero di fretta ho preferito non usarlo” replico io il più velocemente possibile per evitare che il professore potesse nutrire pensieri maliziosi.

Afferra il mio compito e in questo momento esatto sento il morso allo stomaco allentarsi un po'.

Raggiungo le altre in corridoio per commentare il compito e comprare qualcosa da mangiare alle macchinette.

“So che in qualche modo ha copiato Gamba” sento la voce di Zanni dietro di me e il cuore mi si gela nel petto.

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Mi giro e mostrando un’espressione serena, controbatto “io non ho copiato nulla, perché lo pensa?”

“Ha presente il paradosso di Achille e la tartaruga?”

“Se la tartaruga parte prima di Achille, e quindi ha un vantaggio, non verrà mai raggiunta da lui, giusto?” Mi domanda incuriosito.

“Immagino di sì” rispondo disorientata.

“Invece no, Gamba, è qui che sbaglia, invece no. Aristotele pensava di sì, credeva che il più lento dato il vantaggio stesse sempre un po' più avanti, ma invece no. Perché per la legge oraria del moto rettilineo uniforme, Achille raggiunge la tartaruga”

“Ha capito?”

“Penso di sì” rispondo io ancora più disorientata di prima.

“Sono io Achille, e lei, Tartaruga, ha dimenticato il bigliettino con gli esercizi scritti sotto il banco”

Le mie mani ricominciano a sudare e ciò che mi esce dalla bocca è un balbettante “b-b-bigliettino?”

Zanni cammina, sorride e si allontana.

Più veloce di me, più avanti di me, anche se avevo un vantaggio.

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