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Si può chiedere il risarcimento per lo stress?

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Si può chiedere il risarcimento per lo stress?

written by Redazione | 22/01/2017

Non sono risarcibili i disagi; il risarcimento del danno da stress va sempre motivato, provato e documentato e deve consistere nella lesione di interessi tutelati dalla costituzione.

Lo stress fa ormai parte del nostro vivere quotidiano, è il modo comune ormai a molti di affrontare le giornate, a volte anche quelle di riposo; così, consapevoli di ciò, anche i giudici tendono a considerare con molta prudenza le richieste di risarcimento del danno per eccessivo affaticamento, tensione emotiva ed esaurimento. Non basta sostenere che un determinato fatto è stato fonte di stress per ottenere il risarcimento: è necessario dimostrare l’effettiva sussistenza e l’entità di tale danno. Un onere che non può risolversi in semplici dichiarazioni – generiche, astratte o ipotetiche – ma va provato in modo circostanziato. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1].

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Immaginiamo di scoprire che il nostro datore di lavoro non ci ha pagato i contributi e di essere perciò costretti ad una serie di pratiche amministrative per regolarizzare la nostra posizione previdenziale e non perdere parte della pensione;

o ancora di subire, a seguito di una cartella esattoriale illegittima, il fermo auto e che, per sbloccarlo, ci tocchi combattere contro gli uffici dell’amministrazione.

Immaginiamo di avere un vicino di casa che ci costringa, per non subire il fumo del suo barbecue, a chiudere le finestre di casa; o un parente che, per ottenere una parte di un’eredità che non gli compete, ci trascini in una serie di cause che, però, perde sempre. In tutti questi casi, oltre al normale risarcimento del danno (economico e morale) previsto per legge, possiamo rivendicare anche il danno per lo stress procuratoci? Se, in linea teorica, è sempre possibile ottenere l’indennizzo per un pregiudizio, secondo però la giurisprudenza è necessario che, specie per il danno non patrimoniale, vi sia sempre una prova concreta: prova che riguardi non semplici disagi, ma vere e proprie sofferenze. La ragione di tale interpretazione restrittiva è semplice: serve per evitare una sovrapposizione e duplicazione delle voci di danno risarcite, con conseguente indebito arricchimento da parte del danneggiato.

Dunque, la generica ansia, il turbamento, la pressione psicologica, per quanto sensazioni sgradevoli e che, alla lunga, comprimono la qualità della vita, affinché possano essere risarcite devono consistere in vere e proprie lesioni alla salute, dimostrabili con documenti. Tali documenti dovranno essere portati innanzi al banco del giudice perché ne valuti l’attendibilità e, quindi, decida se concedere l’ulteriore risarcimento del danno da stress.

Sulla scorta di questo pensiero, la Cassazione ha ricordato che il danno non patrimoniale da stress si configura solo quando la condotta illecita abbia violato, in modo grave, i diritti della persona, concretizzandosi in una lesione degli interessi tutelati dalla costituzione. Tali interessi, per essere suscettibili di risarcimento, anche se non contemplati da specifiche norme di legge, vanno individuati caso per caso dal giudice, il quale, senza duplicare il risarcimento, dovrà discriminare i semplici pregiudizi – ossia i disagi o le lesioni di interessi privi di qualsiasi

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consistenza e gravità, come tali non risarcibili – dai danni veri e propri che invece vanno risarciti.

Per lo stress nessun risarcimento del danno senza prova

Non è la prima volta che la Suprema Corte arriva a questa conclusione. L’indirizzo è ormai costante e ha trovato, nel tempo, maggiore applicazione in tema di cause tra dipendenti e aziende. L’ambiente di lavoro è, infatti, tra tutti quello che maggiormente crea stress e usura psicofisica.

In tutti questi casi, le sentenze hanno sempre precisato che le prove necessarie per ottenere il risarcimento non possono limitarsi alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta. L’attore deve infatti consentire al convenuto di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento: ciò, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo. Né miglior sorte potrebbe avere la domanda di risarcimento, ove si lamenti un danno genericamente qualificato come non patrimoniale.

Ecco alcune delle principali massime sul tema:

«Il danno da stress, o usura psicofisica, si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici. Ne consegue che (…) il lavoratore è tenuto ad allegare e provare il tipo di danno specificamente sofferto ed il nesso eziologico con l’inadempimento del datore di lavoro [2]».

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«Il lavoratore che assume di aver subito un infortunio o una malattia riconducibili all’attività lavorativa svolta deve allegare e dimostrare l’esistenza del danno, nonché la violazione da parte del datore di lavoro delle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o delle norme inderogabili o delle regole generali di correttezza e buona fede o, ancora, delle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità psicofisica dei prestatori (respinta la richiesta di un bancario che aveva richiesto il risarcimento dei danni per un aggravamento di una patologia cardiaca a causa del grande stress lavorativo, degli orari prolungati, del luogo malavitoso e soggetto a rapine nel quale prestava la propria attività; il lavoratore non aveva né allegato, né provato la negligenza della banca nell’approntare le misure di sicurezza idonee ad evitare o scongiurare le rapine, né aveva allegato circostanze tali da evidenziare ritmi di lavoro insostenibili) [3]».

«Non sussiste diritto al risarcimento del danno sofferto per attività lavorativa svolta in ambiente insalubre ed in condizioni stressanti, tenuto conto della mole di lavoro affidata al lavoratore, in quanto costituisce un dato valevole in moltissime realtà lavorative che il lavoro generi stress, anche in ragione degli organici ridotti ed in presenza di ambienti di lavoro a volte non confortevoli [4]».

«In tema di risarcimento del danno alla salute del lavoratore, la relativa domanda va accolta qualora, sussistendo il nesso causale tra l’attività di straining ed il suddetto danno, risulti che il datore di lavoro ha consentito (…) che venissero attuate condotte riconducibili al concetto stesso di straining: situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima si trova per una durata costante in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua sempre in maniera discriminante lo straining [5]».

«Non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno da stress o comunque alla salute, in totale assenza di dimostrazione del pregiudizio subito, anche solo di un qualsiasi principio di prova, come da costante giurisprudenza

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civilistica in materia di danno biologico [6]».

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