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RELAZIONE ANNUALE SULLO STATO DELLA

GIUSTIZIA

L’ATTUAZIONE DELLA VII DISPOSIZIONE TRANSITORIA DELLA COSTITUZIONE.

ORIENTAMENTI PER LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO.

(1991)

C.S.M.

55

QUADERNI DEL

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 1992, Numero 55

Pubblicazione interna per l’Ordine Giudiziario curata dall’ufficio Studi e Documentazione.

Finito di stampare nel mese di giugno 1992 presso la International Publishing Enterprises S.r.l.

RELAZIONE ANNUALE SULLO STATO DELLA GIUSTIZIA

RELAZIONE ANNUALE SULLO STATO DELLA GIUSTIZIA

RELAZIONE ANNUALE SULLO STATO DELLA GIUSTIZIA (1991)

RELAZIONE ANNUALE SULLO STATO DELLA GIUSTIZIA (1991)

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INDICE

PARTE I

1.1.- Ragioni e struttura della presente relazione. . . .

1.2.- L’attesa della legge sull’ordinamento giudiziario dalla Costituzione ai nostri giorni.. . . .

1.3.- Il modello italiano di ordinamento giudiziario.. . . .

1.4.- La legge sull’ordinamento giudiziario nel sistema delle fonti del diritto.. . . .

1.5.- I possibili contenuti della legge generale sull’ordinamento giudiziario. . . .

1.6.- Analisi delle disposizioni costituzionali in tema di or- dinamento giudiziario. . . .

1.6.1.- Premessa. . . . 1.6.2.- Il ruolo del potere giudiziario nel sistema costi-

tuzionale italiano. . . . 1.6.3.- La subordinazione alla legge e il sistema delle fonti

del diritto.. . . .

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1.6.4.- La capac tà del g ud ce: a) la qual f caz one generale all’esercizio di funzioni giurisdizionali. . . . 1.6.5.- Segue: b) composizione dell’ufficio giudicante e

titolarità dell’affare. . . . 1.6.6.- Il ruolo del pubblico ministero.. . . . 1.6.7.- Il principio costituzionale del decentramento e

l’organizzazione giudiziaria.. . . . 1.6.8.- Il “buon andamento” degli uffici giudiziari.. . . . 1.6.9.- Giudice ordinario e giudici speciali. . . . 1.6.10.- La giurisdizione disciplinare per i magistrati. . . .

1.7.- Analisi dei testi legislativi vigenti.

1.7.1.- Il r.d. 30 gennaio 1941, n.12. . . . 1.7.2.- Il r.d.lgs. 31 maggio 1946, n.511. . . . 1.7.3.- La legislazione sul CSM. e sui consigli giudiziari. . 1.7.4.- Le leggi di riforma della “carriera” dei magistrati. . 1.7.5.- Le leggi di riforma degli organi giudiziari e delle

circoscrizioni. . . . 1.7.6.- Le leggi processuali. . . . 1.7.7.- Le leggi sulle strutture. . . .

1.8.- La disciplina derivante da atti di normazione secondaria.

1.9.- Le modificazioni derivanti da sentenze della Corte co- stituzionale. . . .

1.10.- I progetti di riforma dell’ordinamento giudiziario. . . .

PARTE II

2.1.- La soggezione del giudice alla legge.. . . .

2.2.- Il governo della mag stratura. . . . 2.2.1.- Premessa. . . . 2.2.2.- Il Consiglio superiore della magistratura. . . . 2.2.3.- Il CSM, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici.

. . . 2.2.4.- La rappresentanza del potere giudiziario.

2.2.5.- Il regime degli atti del CSM. . . . 2.2.6.- L’organizzazione del CSM.. . . . 2.2.7.- L’organizzazione dei consigli giudiziari.. . . . 2.2.8.- La disciplina degli uffici direttivi. . . .

2.3.- Gli organi giudicanti. . . . 2.3.1.- Premessa. . . . 2.3.2.- Il giudice di pace. . . . 2.3.3.- Il pretore. . . . 2.3.4.- Il tribunale e la corte d’appello. . . . 2.3.5.- La Corte suprema di cassazione. . . . 2.3.6.- La corte di assise e di assise di appello. . . . 2.3.7.- Il tribunale per i minorenni e il tribunale di

sorveglianza. . . . 2.3.8.- Le sezioni specializzate.. . . . 2.3.9.- Le sezioni distaccate. . . .

2.4.- Gli organi requirenti. . . .

2.5.- Gli organi ausiliari della magistratura. . . .

2.6.- Il funzionamento degli organi giudiziari. . . . 2.6.1.- L’anno giudiziario e le ferie. . . . 2.6.2.- Le circoscrizioni giudiziarie e la determinazione degli

organici dei vari uffici. . . . 2.6.3.- L’organizzazione degli uffici. . . . 2.6.4.- Il conferimento delle funzioni ai singoli magistrati.

2.6.5.- L’assegnazione degli affari ai singoli organi giu- dicanti. . . . 32

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2.6.6.- Le funz on amm n strat ve degl organ g ud z ar . 2.7.- Lo stato giuridico dei magistrati ordinari. . . . 2.7.1.- Premessa . . . . 2.7.2.- Linee di una riforma del sistema vigente. . . . 2.7.3.- La portata attuale del principio di inamovibilità. . 2.7.4.- L’accesso alla magistratura di merito ed a quella di

legittimità. . . . 2.7.5.- La progressione economica e di carriera.. . . . 2.7.6.- I criteri di valutazione dei magistrati. . . . 2.7.7.- Le incompatibilità e gli incarichi extragiudiziari.. . 2.7.8.- La responsabilità civile e disciplinare. . . . 2.7.9.- Le procedure paradisciplinari. . . .

2.8.- Lo stato giuridico dei magistrati onorari, degli esperti che esercitano funzioni giudiziarie e dei giudici popolari. . . .

2.9.- I collaboratori dei titolari degli organi giudiziari.. . . . . 2.9.1.- I cancellieri ed i collaboratori di cancelleria. . . . 2.9.2.- Gli ufficiali giudiziari.. . . . 2.9.3.- I periti. . . . 2.9.4.- La polizia giudiziaria. . . . 2.9.5.- Il personale esecutivo.. . . .

2.10.- Disposizioni transitorie e finali. . . .

L nee fondamental della relaz one

La relazione del CSM per il 1991 è dedicata all’esame dei principali problemi che dovrebbe affrontare il legislatore per adempiere all’impegno, assunto con la VII disposizione transitoria della Costituzione, di dare al paese una “una nuova legge sull’ordinamento giudiziario” che sia “in conformità della Costituzione” (come si esprime la disposizione citata). Il perseguimento di un tale obiettivo non può limitarsi - secondo il CSM - alla redazione di un

“testo unico” delle sparse e disorganiche disposizioni legislative vigenti, nè ad un aggiornamento del regio decreto n.12 del 1941 (generalmente indicato come “decreto Grandi”

dal nome del ministro fascista che ne fu il promotore) il quale tuttora in qualche modo rappresenta il tessuto connettivo di tali disposizioni. Occorre invece ripensare la funzione dei diversi istituti alla luce dei principi costituzionali e dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che essi hanno ricevuto nei passati quaranta anni.

Tale ripensamento deve muovere dalla determinazione del modello di ordinamento giudiziario attualmente operante in Italia ed avente i suoi connotati essenziali nell’attribuzione al CSM delle funzioni amministrative strumentali rispetto all’esercizio delle funzioni giurisdizionali e nel principio di precostituzione del giudice, dai quali deriva, tra l’altro, l’applicazione del principio pluralistico all’organizzazione giudiziaria. Tali orientamenti innovatori, che traggono origine dalle scelte dei costituenti, vanno peraltro contemperati con una serie di principi tradizionali, a cominciare dal principio di legalità, nei suoi diversi aspetti, e dal principio d’indipendenza esterna ed 123

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nterna del g ud ce. D etro l modello d ord namento giudiziario che ne deriva, viene così in evidenza un modello di giudice (e di pubblico ministero) conforme alle esigenze della società italiana contemporanea.

Fra i principali argomenti che vengono discussi ed analizzati nella relazione sono particolarmente da segnalare: a) l’attribuzione alla legge sull’ordinamento giudiziario della qualifica di “legge generale” o di “legge organica”, nei vari significati tecnici che queste espressioni possono assumere;

b) l’esplicitazione delle conseguenze del principio costituzionale di subordinazione del giudice alla legge (e la determinazione di che cosa si intenda per “legge” nel precetto costituzionale di cui all’art.101, 2° comma); c) l’individuazione del ruolo e della struttura del potere giudiziario nel sistema costituzionale italiano; d) i problemi di capacità del giudice; e) i problemi inerenti al ruolo del pubblico ministero; f) il problema del decentramento delle attività amministrative strumentali rispetto all’esercizio delle funzioni giurisdizionali; g) i problemi di attuazione del principio costituzionale del “buon andamento” nel settore della giustizia; h) i problemi di organizzazione del CSM, dei consigli giudiziari e della dirigenza degli uffici giudiziari;

i) i problemi della “carriera” dei magistrati; l) l’assetto degli organi giudiziari giudicanti e requirenti; m) i problemi di spazio e di tempo dell’attività giurisdizionale (anno giudiziario, circoscrizioni giudiziarie, ecc.); n) le funzioni non giudiziarie degli uffici giudiziari e dei singoli magistrati;

o) la selezione e la formazione professionale del personale della magistratura; p) la responsabilità civile e disciplinare dei magistrati.

I verbali delle sedute del CSM del 16 e 17 ottobre 1991 e del 26 e 27 maggio 1992, nelle parti in cui si riferi- scono alla discussione della presente relazione, saranno pubblicati in un prossimo numero dei “Quaderni del

C.S.M.”

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PARTE PRIMA

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1.1.- Ragioni e struttura della presente relazione.

Le relazioni del C.S.M. sullo stato della giustizia, ora previste dall’art.28 del regolamento del Consiglio stesso, traggono origine da un invito, che a provvedere annualmente alla loro redazione, fu rivolto al Consiglio dal Senato con l’ordine del giorno del 29 gennaio 1969.

Per la predisposizione delle relazioni il Consiglio si è dato un’apposita struttura, denominata “Commissione per la riforma giudiziaria e l’amministrazione della giustizia”, ma non sempre il termine annuale ha potuto essere rispettato. Fino ad oggi, infatti, in circa venti anni, il Consiglio ha adottato soltanto sei relazioni, approvate negli anni 1970, 1971, 1976, 1980, 1985 e 1990.

Nell’ottava legislatura del Consiglio, attualmente in corso, la Commissione Riforma ha posto all’ordine del giorno la preparazione della relazione sullo stato della giustizia per il 1991 fin dalla sua prima seduta del 17 settembre 1990, contestualmente deliberando che

essa ven sse ded cata all nd v duaz one d un complesso d or en- tamenti per la riforma dell’ordinamento giudiziario in attuazione della VII disposizione transitoria della Costituzione, onde consentire al Con- siglio - se lo riterrà opportuno - di proseguire il lavoro nei successivi tre anni in modo da mettere a disposizione del Governo e del Parla- mento, al termine del suo mandato, un vero e proprio schema di dise- gno di legge, potenzialmente idoneo a colmare questa grave lacuna della legislazione vigente.

Questa scelta nasce dalla convinzione - che le vicende degli ul- timi mesi hanno dimostrato essere largamente condivisa (1) - secondo la quale una parte cospicua delle difficoltà di funzionamento della giustizia italiana, non escluse talune difficoltà di funzionamento del C.S.M., nascono da una serie di difetti della disciplina legislativa vigente e principalmente dalla sovrapposizione di una serie di principi innovativi ispirati alle scelte compiute dall’Assemblea costituente - e degli approfondimenti cui in base ad essi sono pervenute dottrina e giurisprudenza - ai residui di una legislazione elaborata sulla base di principi del tutto diversi quali erano quelli che ispirarono le tre leggi sull’«ordinamento giudiziario»

che furono emanate durante il primo secolo di vita dello Stato ita- liano (1865, 1923, 1941). Sembra perciò opportuno ripensare l’intera regolamentazione della materia alla luce dei principi costituzionali, non soltanto per adeguare ad essi le singole discipline legislative, ma anche per sviluppare tali principi mediante regole nuove, concepite in funzione dell’attuazione di essi e non ricavate dalle norme anteriori mediante un semplice adattamento superficiale di esse, come purtroppo è quasi sempre accaduto negli ultimi quarant’anni.

Orientamento questo che ha trovato recentemente autorevole conferma in un passo del messaggio indirizzato al Parlamento dal Presidente della Repubblica il 26 giugno 1991, ove si legge che “la previsione contenuta nella VII disposizione transitoria della Costituzione è rimasta ancora inattuata, atteso che, se con leggi di settore sono state via via modificate molte parti dell’ordinamento giudiziario, è tuttavia

(1) Si vedano, in particolare, la relazione della Commissione nominata dal Presidente della Repubblica con suo decreto in data 26 luglio 1990 e presieduta dal prof.Livio Paladin ed il discorso pronunciato a Bologna dal vice-presidente del CSM, prof.Giovanni Galloni, il 9 febbraio 1991, nonchè G.ZAGREBELSKY, Colpevole è chi fa le leggi, non il Consiglio superiore, in La Stampa dell’8 febbraio 1991, e L.SCOTTI, Ruolo e funzioni del Consiglio superiore della magistratura nei lavori della Commissione Paladin, in Documenti Giustizia, 1991, n.3, p.7 ss.

(2) Analoghe considerazioni sono state svolte dal presidente nel messaggio con cui è stata rinviata alle camere la legge istitutiva del giudice di pace (in Corriere giur., 1991, p.1249-50), ed in altre occasioni

(3) Cfr. il volume contenente i relativi atti: Conferenza nazionale della Giustizia (Bologna, 28-30 novembre 1986), Rimini, Maggioli, 1987.

(4) Op.cit.

(5) Alcuni di tali elaborati sono stati utilizzati per la redazione della presente relazione. I testi originali di essi sono conservati presso la segreteria della Commissione Riforma del C.S.M.

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mancata quella r forma ntegrale che, con un tar a v s one de problem , potesse compiutamente realizzare e, se del caso, sviluppare i principi della Costituzione” (2).

In quest’opera sono di particolare aiuto i molti contributi di pensiero che sul tema sono stati forniti in varie sedi ed in particolare la pregevole relazione che il Consiglio ha approvato al termine della sue settima legislatura, nel luglio del 1990. Speciale attenzione meritano altresì gli atti della Conferenza sulla Giustizia che fu organizzata dal Ministero della giustizia nel 1986 (3) e la relazione presentata dalla Commissione nominata dal Presidente della Repub- blica nel 1990 e presieduta dal prof.Livio Paladin (4).

Il lavoro preparatorio si è svolto in tre fasi distinte: durante la prima fase il relatore ha distribuito ai componenti della Commissione Riforma dieci documenti di lavoro mediante i quali ha predisposto una traccia di quella che avrebbe potuto essere la relazione ed ha raccolto e distribuito una serie di materiali, comprendenti le principali proposte relative alla materia che sono state elaborate al livello ministeriale ovvero nell’ambito dell’Associazione nazionale magistrati e di altre istituzioni private, la documentazione legislativa relativa ai principali ordinamenti stranieri ed una serie di contributi dottrinali e giurisprudenziali.

Successivamente il Consiglio ha designato un’ampia rosa di con- sulenti cui è stato chiesto di formulare osservazioni e proposte sulla base dei materiali raccolti e loro distribuiti ed a seguito di ciò elaborati sono stati presentati dall’avv.Carlo Cacciapuoti, dai proff.

Elio Palombi, Stefano Sicardi e Vladimiro Zagrebelsky e dai dott.ri Gioacchino Izzo, Ubaldo Nannucci, Amos Pignatelli, Stefano Schirò, Franco Siena e Claudio Viazzi (5). Proposte ed emendamenti sono stati anche presentati da vari componenti del Consiglio. Completata la raccolta delle osservazioni, il relatore, prof. Alessandro Pizzorusso, ha provveduto a rivedere e completare la traccia predisposta, avva- lendosi della collaborazione di alcuni componenti del Consiglio e dei magistrati dell’Ufficio studi, dott.ri Domenico Carcano e Riccardo Fuzio, così da redigere una bozza di relazione che è stata discussa, emendata ed approvata dalla Commissione Riforma il 2 luglio 1991 e quindi dal Consiglio nelle sedute del 16 e 17 ottobre 1991 e 26 e 27 maggio 1992.

1.2.- L’attesa della legge sull’ord namento g ud z ar o dalla Co- stituzione ai giorni nostri.

Per un lungo periodo di tempo, chiunque si occupasse dei pro- blemi dell’ordinamento giudiziario cominciava col richiamare l’impegno assunto dai costituenti, con la VII disposizione transitoria, per l’emanazione di una nuova legge generale (che alcuni qualifica- vano come “legge organica”), la quale sostituisse il decreto Grandi del 1941 con una serie di regole sistematicamente ispirate ai nuovi principi introdotti dalla Costituzione del 1947. Tale disposizione esprimeva infatti, un chiaro giudizio d’incostituzionalità nei confronti dell’ordinamento anteriore considerato nel suo complesso e ne consentiva la conservazione in vigore solo in via transitoria, fino all’approvazione di un nuovo testo legislativo che, a differenza dell’altro, fosse - come veniva esplicitamente richiesto dalla VII disposizione transitoria - “in conformità con la Costituzione”.

In una fase successiva si era venuta tuttavia diffondendo la convinzione che, benchè l’impegno assunto dai costituenti non fosse stato onorato, il ciclo storico caratterizzato dall’attesa per la nuova legge organica dovesse considerarsi ormai chiuso, dato che un nuovo ordinamento giudiziario, conforme ad un modello molto più moderno di quello cui si erano ispirate le tre leggi di questo nome adottate sotto il precedente regime - e forse anche rispetto alle idee che circola- vano tra i costituenti - era ormai funzionante in Italia. Permaneva tuttavia l’insoddisfazione derivante dall’imperfetta corrispondenza a questo modello delle norme in vigore, non poche delle quali costi- tuivano dei residuati dell’ordinamento anteriore privi di coordinamento con i principi costituzionali.

(6) Questo complesso materiale normativo può vedersi ora utilmente raccolto in F.FIANDANESE, I.PARZIALE, Codice dell’ordinamento giudiziario, Milano, Giuffrè, 1991.

(7) Si fa qui riferimento al d.p.r. 22 settembre 1988, n.449, al d.legisl. 28 luglio 1989, n.273, alle leggi 1° febbraio 1989, n.30, e 21 febbraio 1989, n.58, ai decreti legge 15 maggio 1989, n.173, convertito nella legge 11 luglio 1989, n.251, 15 giugno 1989, n.232, convertito nella legge 25 luglio 1989, n.261, 25 settembre 1989, n.327, convertito nella legge 24 novembre 1989, n.380, e 9 settembre 1991, n.292, coonvertito nella legge 8 novembre 1991, n.356, alla legge 16 ottobre 1991, n.321, ed ancora ai decreti legge 20 novembre 1991, n.397, convertito nella legge 20 gennaio 1992, n.8; 31 dicembre 1991, n.418, convertito nella legge 24 febbraio 1992, n.173; 1° febbraio 1992, n.46, abrogato, con salvaguardia degli effetti, dal d.l. 4 marzo 1992, n.205, a sua volta abrogato dal decreto legge 30 aprile 1992, n.275, attualmente in corso di conversione;

nonchè alla legge 6 febbraio 1992, n.160.

(9)

Le v cende p ù recent hanno confermato, almeno n certa misura, la fondatezza di queste valutazioni ed hanno altresì messo in luce la fragilità di un sistema normativo che non ha alla sua base un compiuto testo legislativo, bensì un complesso di interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali fondate su un disorganico insieme di disposizioni provenienti dalle fonti più diverse, dalla Costituzione al decreto Grandi, dalle numerose leggi che l’hanno integrato o modifi- cato (spesso peraltro sotto la pressione di avvenimenti contingenti e senza alcuna visione sistematica dei problemi) alle sentenze della Corte costituzionale, dalle circolari interpretative emanate dal Con- siglio superiore ai precedenti fissati dai giudici ordinari ed am- ministrativi (6). Questa fragilità è apparsa particolarmente evidente in questi ultimi tempi, quando si sono manifestate tendenze volte a rimettere in discussione taluni punti-cardine del sistema che si era venuto realizzando.

In tale situazione, se non può certamente dirsi che l’esigenza di una legge organica, pienamente aderente ai principi costituzionali, non sia oggi avvertibile al pari di ieri, si deve tuttavia constatare una diffusa rassegnazione la quale ha condotto, tra l’altro, a formulare molte delle importanti norme di ordinamento giudiziario introdotte in vista dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale ed altre successive modifiche legislative (7) in forma di novellazione di quel decreto Grandi che pure non può non essere considerato, nel suo complesso, altro che come un testo sostanzialmente obsoleto.

Queste considerazioni inducono, da un lato, a riaffermare che l’attuale indirizzo evolutivo non può assolutamente essere limitato al restauro - o al semplice aggiornamento - dell’ordinamento anteriore alla Costituzione; ma inducono, dall’altro lato, a ritenere che sia ormai meno inconcepibile di quanto lo fosse in passato la realizzazione di una nuova legge generale in materia di ordinamento giudiziario.

Da qui la decisione di dedicare questa relazione ai problemi che si

pongono qualora s vogl a cercare d stab l re come potrebbe essere m- postato un disegno di legge che si proponga tale obiettivo, onde offrire agli organi costituzionali competenti ad esercitare i poteri d’iniziativa e di deliberazione un materiale più aggiornato di quello risultante dagli studi e dalle iniziative che a questo fine sono state svolte in passato.

Come è noto, dal 1948 ad oggi nessuna iniziativa legislativa tendente a realizzare una compiuta riforma dell’ordinamento giudi- ziario è mai stata presentata al Parlamento, nè dal Governo, nè in via di iniziativa parlamentare, e le attività preparatorie svolte per iniziativa del Ministero della giustizia hanno prodotto un compiuto progetto soltanto in occasione dell’attività della Commissione Mira- belli la quale, nel 1985, elaborò uno schema di disegno di legge accom- pagnato da una relazione.

Tale importante progetto, per la cui preparazione furono utiliz- zate una serie di approfondite ricerche storico-comparatistiche condotte da un gruppo di magistrati e studiosi operante presso l’Università di Perugia (8), costituisce indubbiamente il punto di ri- ferimento più sicuro di cui oggi disponiamo, ma appare peraltro per più versi superato, se non altro per effetto di tutta una serie di sviluppi che sono sopravvenuti successivamente e che si sono tradotti, in alcuni casi, anche in riforme legislative delle quali non sarebbe possibile non tenere conto. Anche l’attività di ricerca scientifica, del resto, ha prodotto in questi ultimi tempi ulteriori materiali, dei quali appare doveroso far tesoro (9).

L’iniziativa del C.S.M. non può risolversi, pertanto, in una mera opera di aggiornamento dello schema Mirabelli, ma deve partire da

(8) Cfr. N.PICARDI, A.GIULIANI (eds.), L’ordinamento giudiziario, Rimini, Maggioli, 1984-85. Il terzo volume di quest’opera contiene uno schema di disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario (p.373 ss.).

(9) Cfr. le indicazioni bibliografiche riportate in A.PIZZORUSSO, L’organizzazione della giustizia in Italia, nuova ediz., Torino, Einaudi, 1990, p.223 ss.

(10) Il termine “giudiziario” è qui usato nel senso impiegato dal legislatore nella legge 7 febbraio 1992, n.181, di modifica della legge 26 aprile 1990, n.86 (cfr. il resoconto sommario della seduta della Commissione Giustizia del Senato del 27 marzo 1990, pagg.15-16). Vedi inoltre il commento di P.SEVERINO DI BENEDETTO all’art.17 della legge 26 aprile 1990, n.86, in Legislaz.pen., 1990, pag.334.

(11) Cfr., da ultimo, A.PIZZORUSSO, in Commentario della Costituzione, Bologna- Roma, Zanichelli-Soc.ed. de “Il Foro italiano”, sub art.108, 1992, p.12 ss.

(12) Cfr., da ultimo, P.CARROZZA, Corti, voce del Digesto discipline privatistiche (sez.civ.), IV, Torino, Utet, 1989, p.430 ss, ed ivi ulteriori riferimenti.

(13) Il riconoscimento del “potere giudiziario” da parte della Costituzione italiana, in tendenziale applicazione della dottrina di Montesquieu, risulta, sia dal tenore letterale dell’art.104, comma 1, dove l’espressione “ordine” è impiegata come sinonimo di “potere” per evitare la ripetizione di questo termine: “La Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”), sia dalla previsione dei conflitti fra poteri, di cui all’art.134, essendo pacifico che la Magistratura costituisce uno di essi (salvo a vedere come essa debba essere rappresentata e salvo a stabilire se il potere giudiziario sia uno o plurimo).

(14) Anche se si tratta di un organo di democrazia “partecipativa” piuttosto che di democrazia “rappresentativa”.

(15) In base al sistema delle fonti attualmente in vigore, il “diritto” che i giudici italiani debbono applicare non risulta soltanto dalla legge in senso formale, ma comprende altresì il diritto comunitario (da applicare a preferenza del diritto nazio-

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un r pensamento generale della problemat ca dell ord namento giudiziario in vista dell’attuazione di quel modello di cui i costituenti avevano posto alcune basi fondamentali - a cominciare dalla configu- razione del Consiglio superiore come organo di raccordo con gli altri poteri dello Stato e come titolare delle funzioni amministrative che risultano strumentali rispetto all’esercizio delle funzioni giudiziarie (10) - e del quale i dibattiti svoltisi negli oltre quarant’anni decorsi dall’entrata in vigore della Costituzione ad oggi hanno consentito di precisare meglio i caratteri.

L’analisi comparatistica consente infatti di affermare che il modello di ordinamento giudiziario che si è venuto attuando in Italia, pur tra mille difficoltà, nel corso di questi ultimi decenni si è ormai irreversibilmente distaccato dal modello francese che fu adottato all’indomani dell’unificazione nazionale, senza per questo avvicinarsi ad alcun altro modello preesistente, e costituisce perciò ormai un modello nuovo, tanto da cominciare a costituire un punto di riferimento per i paesi che nell’epoca più recente hanno realizzato - o cercato di realizzare - riforme in questo campo.

1.3.- Il modello italiano di ordinamento giudiziario.

Il modello italiano di ordinamento giudiziario (11) si distingue da quelli che trovano attuazione negli altri paesi di analoga struttura politico-costituzionale (12) principalmente per il riconoscimento del potere giudiziario come autonomo ed indipendente da ogni altro (art.104, comma 1) (13), per la garanzia di tale autonomia ed indipendenza realizzata attraverso l’attribuzione delle funzioni amministrative ma strumentali all’esercizio della giurisdizione ad un organo a struttura democratica (14) e pluralistica quale è il Consi- glio superiore della magistratura (artt.104-106 e 110), per il riconoscimento del pluralismo nell’esercizio delle funzioni giudiziarie che è implicito nell’adozione del principio di “precostituzione” del

g ud ce (art.25, comma 1) e per l esclus one d ogn gerarch a d t po burocratico fra i “giudici” (art.107, comma 3) e di ogni dipendenza nei confronti di qualunque altra autorità che non sia quella della

“legge” (art.101, comma 2), ossia del diritto, in applicazione del principio dello “Stato di diritto” (15).

Di queste caratteristiche, quelle che maggiormente distinguono il modello italiano da quello francese (del quale storicamente esso rappresenta una derivazione) sono costituite dal sistema di raccordi con gli altri poteri dello Stato aventi il loro perno nel Consiglio superiore della magistratura ed il riconoscimento dell’applicabilità del principio pluralistico nell’ambito delle attività giudiziarie, mentre il principio di parità fra quanti esercitano funzioni di questo tipo, se implica un netto rifiuto del sistema gerarchico-burocratico ereditato dal modello francese, non esclude, nè la conservazione di una pluralità di “gradi” di giurisdizione aventi la loro ultima istanza nel giudizio di cassazione (esplicitamente richiamato nell’art.111), nè la ripar- tizione della funzione giurisdizionale fra un complesso di organi variamente differenziati.

Da quest’ultimo punto di vista, la Costituzione distingue i

“magistrati ordinari” (art.102, comma 1) dai “magistrati onorari”

(art.106, comma 2), dagli esperti che operano nelle “sezioni specializzate” (art.102, comma 2) e dai giudici popolari (art.102, comma 3). Dei magistrati ordinari viene inoltre individuata una particolare categoria, costituita dai “consiglieri di cassazione”

(art.106, comma 2), i quali possono anche venir nominati direttamente a tale carica.

Molte disposizioni costituzionali prevedono implicitamente ma

nale), la Costituzione, le altre leggi costituzionali ed il diritto internazionale generale (i quali possono determinare la sospensione dell’applicazione della legge ordinaria fino alla decisione della Corte costituzionale, sospensione che il giudice ha il potere-dovere di provocare anche d’ufficio), e molte altre fonti variamente raccordate alla legge approvata dal Parlamento.

(16) L’esempio più evidente è offerto dall’art.106, comma 2, Cost., il quale, ipotizzando la nomina a consiglieri di cassazione “per meriti insigni” di “professori ordinari di università in materie giuridiche” e di “avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori”

indubbiamente concorre a dare una certa configurazione del modello di soggetto che i costituenti consideravano adatto a svolgere le funzioni di consigliere di cassazione.

(17) All’individuazione del modello di giudice che è proprio di una certa società possono indubbiamente concorrere, oltre alle cronache dei comportamenti concretamente tenuti da coloro che esercitano le corrispondenti funzioni, anche opere letterarie. A titolo di esempio si può citare il famoso libro di P.CALAMANDREI, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 3^ ediz., con un’introduzione di P.BARILE, Firenze, Ponte alle Grazie, 1991, nel quale è implicita una certa polemica contro taluni atteggiamenti concretamente riscontrabili nei giudici ed ivi descritti e quindi la prefigurazione, quanto meno per antitesi, di un diverso modello di giudice.

(18) Cfr. infra, 2.6.2.

(11)

ch aramente la conservaz one dell attr buz one a mag strat delle funzioni proprie del “pubblico ministero”, organizzato secondo la tradizione francese; per i titolari di questa funzione è previsto un regime di indipendenza eventualmente differenziato da quello di cui fruiscono i magistrati giudicanti (art.107, comma 3), ma il principio di obbligatorietà dell’azione penale (stabilito esplicitamente dall’art.112) esclude che il pubblico ministero possa venir posto alle dipendenze del potere esecutivo, come avviene in altri paesi.

Nella configurazione di un modello di ordinamento giudiziario è intrinseca anche la configurazione di un modello di “giudice”, cioè l’identificazione del tipo di persona che appare idonea a ricoprire il corrispondente ruolo, sia sotto il profilo dell’idoneità professionale all’esercizio delle funzioni affidategli, sia sotto il profilo della sua attitudine ad esercitare nella società il corrispondente ruolo. L’identificazione del modello di giudice non è specificamente desumibile da norme costituzionali o legislative, anche se indubbiamente talune norme forniscono, sotto questo profilo, indicazioni più o meno precise (16), e risulta piuttosto dalle opinioni che in proposito si vengono a creare nella società nel corso degli anni o dei secoli, attraverso un’evoluzione difficilmente traducibile in dati obbiettivi (17).

E’ innegabile però che il modello di giudice concretamente operante in un determinato paese non dipende soltanto dalle norme ordinamentali e dai fattori culturali che in vario genere possono influire sulla sua selezione e sulla sua formazione professionale, ma risulta anche in notevole misura dalle norme processuali e dalle norme sostanziali che egli deve applicare. Per quanto riguarda le prime, è evidente, ad esempio, che il ruolo del giudice è indebolito dalla previsione di un sistema di impugnazioni delle sue decisioni

che svalut l att tud ne delle dec s on stesse a cost tu re g ud cato o da una disciplina delle udienze che aumenti i poteri accordati alle parti con pregiudizio di quelli accordati al giudice. Per quanto riguarda la legislazione sostanziale, poi, è evidente, ad esempio, che un uso misurato della sanzione penale rafforza il ruolo del giudice così come invece una banalizzazione di essa svaluta questo ruolo (18), ed analoghe considerazioni potrebbero farsi con riferimento alla materia civile o a qualunque altra.

1.4.- La legge sull’ordinamento giudiziario nel sistema delle fonti del diritto.

Il problema della collocazione della legge sull’ordinamento giudiziario nel sistema delle fonti del diritto è stato discusso in passato soprattutto con riferimento alla circostanza che la VII disposizione transitoria sembrava prevedere una sorta di ultrattività del r.d. 30 gennaio 1941, n.12, rispetto al momento di entrata in vigore della Costituzione, la quale conteneva regole palesemente incompatibili con quelle desumibili da quel testo.

Questa impostazione indusse qualche giudice (19), a dichiarare manifestamente infondata la questione di costituzionalità delle norme che escludevano l’accesso delle donne alla magistratura sul presup- posto, appunto, dell’ultrattività delle disposizioni contenute nel r.d.

n.12/1941 e la tesi fu poi per qualche tempo oggetto di discussione in sede dottrinale e giurisprudenziale, prima di essere definitivamente respinta dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (20) e della Corte di cassazione (21). Pertanto, è oggi pacifico che le disposizioni contenute nel r.d. n.12/1941 e le norme da esso desumibili possono

(19) Cons.Stato, sez.IV, 18 gennaio 1957, n.21, in Foro it., 1957, III, 42, con nota di V.CRISAFULLI; Trib.Trieste, 25 settembre 1969, in Giur.merito, 1970, III, 73, con nota di L.VECCHIONI. In dottrina, cfr. soprattutto P.GROSSI, Ordinamento giudiziario e Costituzione, in Giur.cost., 1960, p.285 ss.; Ancora sulla VII disposizione transitoria della Costituzione (a proposito di applicazioni e supplenze di magistrati), id., 1963, p.1569 ss.

(20) Corte cost., 13 dicembre 1963, n.156, in Foro it., 1964, I, 18; 3 giugno 1970, n.80, id., 1970, I, 1874; 28 dicembre 1970, n.194, id., 1971, I, 1.

(21) Cass. S.U., 17 novembre 1953, n.3524, in Foro it., 1954, I, 446; 20 aprile 1960, n.896, id., 1960, I, 1858.

(22) Cfr., ad esempio, S.BARTOLE, Autonomia e indipendenza dell’ordine giudizia- rio, 1964, pp.252-253.

(23) Simile a quello delle leggi organiche era anche il ruolo delle “leggi bicamerali”

previste nella relazione della Commissione parlamentare per riforme istituzionali che operò nella IX legislatura (Doc.XVI bis, n.3, I, p.26 ss.).

(24) Cfr. A. LA PERGOLA, Costituzione e adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, Milano, Giuffrè, 1961, p.275 ss.; E.SPAGNA MUSSO, Costituzione rigida e fonti atipiche, Napoli, Morano, 1966; M.PATRONO, Legge (vicende della), voce dell’Enc. del diritto, XXIII, Milano, Giuffrè, 1973, p.917-918.

(25) V.CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, in Riv.trim.dir.pubbl., 1960, p.775 ss., spec. p.791, nota 27.

(26) Altro esempio, peraltro non fondato su una specifica previsione costituzionale, è offerto dall’art.1, comma 2, della legge 12 gennaio 1991, n.13, con riferimento all’elencazione degli atti da emanarsi con decreto presidenziale ivi conte-

(12)

cost tu re oggetto d quest on d cost tuz onal tà e possono altresì essere ritenute abrogate per effetto di disposizioni o norme legislative o costituzionali ad esse sopravvenute.

Sotto altro profilo il r.d. n.12/1941 è stato spesso considerato come una “legge organica” (22), anche se tale espressione non assume in Italia (a differenza di quanto ora avviene in Francia ed in Spagna) un preciso significato tecnico, ma sta ad indicare soltanto una legge regolatrice di una materia ben definita, dotata di un carattere di sistematicità maggiore dell’ordinario.

Anche se il sistema delle fonti vigente in Italia non conosce le leggi organiche (almeno fino ad ora, dato che non sono mancati progetti di riforma costituzionale tendenti ad introdurle) (23), la dottrina ha avuto modo di discutere ampiamente delle “fonti atipiche”

(24), che assolvono una funzione in qualche misura simile, e, più specificamente, delle “leggi generali” (25) di cui costituisce ora esem- pio la recente legge 8 giugno 1990, n.142, di attuazione dell’art.128, Cost. (26).

La portata di quest’ultima disposizione costituzionale è apparsa consistere in una limitazione del potere legislativo realizzata a salvaguardia dell’autonomia degli enti locali e più specificamente da essa è stato dedotto che la legge ordinaria adottata dal Parlamento in applicazione della citata disposizione costituzionale fruisce di un particolare regime d’immodificabilità in virtù del quale essa non può costituire oggetto di abrogazione implicita (art.1, comma 3, legge 8 giugno 1990, n.142, il quale così dispone: “Ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione, le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi della presente legge se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”). Può infatti ritenersi che il carat- tere di necessaria generalità di una legge (in questo senso) sia incompatibile con deroghe implicite cui è intrinseco il carattere

dell as stemat c tà.

E’ chiaro d’altronde che una tale limitazione non avrebbe potuto essere imposta dal legislatore ordinario, dato che, come è noto, questi può sempre modificare le statuizioni che adotta. Diverso è tuttavia il caso se la disposizione adottata dal legislatore ordinario costituisce un’interpretazione dell’art.128, Cost., giacchè il potere costituente ha evidentemente l’autorità di limitare il legislatore futuro.

Sulla base di questo precedente, è da valutare se la categoria della

“legge generale” non possa essere considerata suscettibile di applicazione anche in casi diversi da quello previsto dall’art.128, Cost., con riferimento al quale essa è stata principalmente studiata, ed un’ipotesi che dovrebbe essere avanzata è quella di considerare come legge obbligatoriamente generale nel senso sopra descritto la legge sull’ordinamento giudiziario che la Costituzione menziona esplicitamente in numerosi articoli (102, comma 2; 105; 106, comma 2; 107, comma 4; 108, comma 1; VII disp.trans.). L’opportunità di impedire anche in questo caso la promulgazione di leggi prive del connotato della generalità - e comunque di impedire abrogazioni im- plicite prive del carattere della sistematicità - potrebbe essere ravvisata nella circostanza che anche con riferimento al potere giudiziario la Costituzione parla di “autonomia” (oltre che di “indipendenza”) nell’art.104, comma 1.

Ove si ritenesse di adottare tale linea interpretativa, nella legge sull’ordinamento giudiziario potrebbe essere inserita una disposizione analoga a quella di cui all’articolo sopra citato. E’ poi ovvio che nel caso in cui, attraverso una legge di riforma costituzionale, si dovesse introdurre anche in Italia una categoria delle leggi organiche aventi un regime simile a quello che esse hanno in Francia (27), oppure a quello - parzialmente diverso - che esse hanno in Spagna (28), la legge sull’ordinamento giudiziario dovrebbe inevitabilmente assumere un corrispondente rango, come avviene del resto sia in Francia (29) che in Spagna (30).

Allo stato attuale delle cose, nulla esclude che la materia dell’ordinamento giudiziario costituisca oggetto di disciplina ad opera di fonti primarie statali diverse dalla legge, quali il decreto legge (31) o il decreto legislativo. Qualora tuttavia si affermasse un’interpretazione della legge di ordinamento giudiziario come legge generale del tipo di quella qui proposta, ne risulterebbe evidentemente impedito anche il ricorso al decreto legge o al decreto legislativo, che

(27) Art.46 della Costituzione del 1958.

(28) Art.81 della Costituzione del 1978.

(29) Si vedano le tre ordonnances emanate in data 22 dicembre 1958 (nn.58-1270, 1271 e 1272), relative rispettivamente allo statuto della magistratura, al Consiglio superiore della magistratura ed all’organizzazione giudiziaria e le leggi che le hanno successivamente modificate, le une e le altre aventi valore di legge organica.

(30) Si veda la legge organica 6/1985 del 1° luglio 1985.

(31) Il ricorso al decreto legge per modificare la disciplina dell’ordinamento giudiziario, che si è fatto particolarmente frequente negli ultimi tempi, ha determinato inconvenienti notevolissimi nell’esercizio delle funzioni amministrative di competenza del Consiglio superiore della magistratura.

(13)

anche n passato s è r velato part colarmente nopportuno.

Considerazioni di altro genere inducono ad escludere che la materia dell’ordinamento giudiziario possa costituire oggetto di disciplina ad opera di legge regionali (cfr. infra, n.1.6.7).

1.5.- I possibili contenuti della legge generale sull’ordinamento giudiziario.

Per indagare quali materie debbano essere regolate dalla legge generale sull’ordinamento giudiziario varie indagini debbono essere compiute: le principali di esse sembrano essere le seguenti.

In primo luogo, occorre valutare la portata delle disposizioni costituzionali relative alla materia, che non sono soltanto quelle contenute nel titolo IV della parte II, ma anche alcuni articoli inseri- ti nella parte I, a cominciare dai basilari art.24 e 25, ed alcuni dei

“principi fondamentali” posti in apertura del testo costituzionale che si ripercuotono anche su questa materia. Le disposizioni attuative di tali regole costituzionali debbono evidentemente costituire il nucleo centrale della legge di cui ci occupiamo.

In secondo luogo, occorre ovviamente far riferimento alle leggi vigenti e, in certa misura almeno, anche a quelle anteriormente vigenti. Delle disposizioni vigenti si tratta ovviamente di valutare, oltre alla non contraddittorietà con le regole costituzionali, intesa in senso stretto, la perdurante compatibilità con i principi propri dell’ordinamento giudiziario attualmente vigente (inclusi anche quelli non costituzionalizzati). Nei limiti in cui si ritenga che la legge in progetto non debba costituire soltanto una sorta di testo unico, ma anche una vera e propria legge di riforma, si dovrà altresì valutare l’opportunità di conservare taluna o talaltra disposizione e l’opportunità di cambiarla invece con un’altra di diverso tenore.

L’esigenza di valutare soluzioni alternative rispetto al diritto vigente si impone invece di per sè nei casi in cui questo dà luogo ad

ncoerenze sotto l prof lo s stemat co.

Per quanto riguarda le leggi non più vigenti, invece, l’indagine dovrà rivolgersi soprattutto a comprendere le ragioni che hanno indotto al loro abbandono, soprattutto allo scopo di dedurne argo- menti di carattere sistematico ai fini dell’interpretazione del diritto vigente o dell’individuazione di soluzioni dotate di maggiore coerenza.

In terzo luogo, occorre tenere presenti i progetti di legge che sono stati formulati fino ad oggi, anche nei casi in cui essi non si sono tradotti in un atti normativi vigenti. Di essi presentano particolare importanza i progetti relativi ad argomenti particolari che già hanno ricevuto un apprezzamento positivo da parte di una camera o di una commissione parlamentare. Fra i progetti meno recenti sono da tenere presenti soprattutto quelli dotati di maggiore sistematicità ed il principale di essi appare essere quello che fu redatto dalla Com- missione ministeriale presieduta dal presidente Mirabelli, già ricordato.

E’ inoltre ovvio che il lavoro dovrà tenere conto dei risultati delle ricerche dottrinali e dell’elaborazione giurisprudenziale dei vari pro- blemi, nonchè delle prassi e degli atti di normazione secondaria adottati dal Consiglio superiore.

Infine, particolare attenzione dovrà essere dedicata alla legi- slazione straniera, soprattutto con riferimento a quella dei paesi che hanno istituzioni più simili alle nostre. Per orientarsi a questo proposito, occorre tenere presente che l’ordinamento giudiziario che fu adottato in Italia all’indomani dell’unificazione nazionale fu prati- camente recepito dalla Francia cosicchè, da un lato, vennero quasi completamente abbandonate le tradizioni formatesi nell’ambito degli stati preunitari e, dall’altro lato, le vicende sviluppatesi in Francia all’epoca della rivoluzione e dopo di essa assunsero anche per noi il ruolo di un precedente storico (più importante di quello dei prece- denti derivanti dalla nostra propria storia, alcuni dei quali avrebbero forse meritato maggiore considerazione).

Successivamente tuttavia, mentre (già prima dell’avvento del fascismo) veniva sviluppandosi una forte critica delle istituzioni giudiziarie di imitazione francese, sempre maggiore fu il prestigio che presso di noi acquistarono le istituzioni giudiziarie anglosassoni, la cui recezione risultò peraltro difficile a causa della grande differenza

(32) Cfr. R.DAVID, I grandi sistemi giuridici contemporanei, trad.it., Padova, Cedam, 1967; A.PIZZORUSSO, Corso di diritto comparato, Milano, Giuffrè, 1983;

G.LOMBARDI, Premesse al corso di diritto pubblico comparato. Problemi di metodo, Milano, Giuffrè, 1986; R.SACCO, La comparaison juridique au service de la connaissance du droit, Paris, Economica, 1991.

(33) Cfr., da ultimo, L.M.DIEZ-PICAZO, Régimen constitucional del Poder Judicial, Madrid, Civitas, 1991.

(14)

d trad z on e d struttura della soc età.

Ne deriva che l’utilità che può ricavarsi dal confronto delle nostre istituzioni giudiziarie con quelle di altri paesi va valutata alla luce dell’inquadramento degli ordinamenti propri di ciascuno di essi nei diversi sistemi (o “famiglie”) di diritti (32).

Fra gli ordinamenti di civil law il raffronto con il sistema francese presenta un interesse simile a quello che ha l’indagine dedicata alle fasi storiche anteriori del nostro diritto nazionale, giacchè l’ordinamento giudiziario attualmente vigente in Francia è in gran parte simile a quello che era vigente in Italia in un passato ormai nettamente superato. Non mancano tuttavia specifici settori con riferi- mento ai quali si riscontrano innovazioni interessanti, come soprat- tutto è il caso della scuola di Bordeaux.

Nel complesso, maggiore è però l’interesse del raffronto con il si- stema spagnolo, giacchè la riforma recentemente realizzata in questo paese (33) ha tenuto conto dell’esperienza italiana e costituisce un tentativo di razionalizzazione ed in parte di superamento del sistema vigente da noi.

Gli ordinamenti dei paesi di common law, per contro, possono difficilmente costituire fonte d’ispirazione sotto il profilo della ricostruzione della sistematica generale, giacchè essi sono informati a principi troppo diversi da quelli propri della nostra tradizione nazio- nale. Ciò non significa che essi non possano offrire delle soluzioni di problemi particolari suscettibili di presentare interesse anche per noi, nella misura in cui risultino compatibili con i principi generali del nostro sistema. A parte ciò, particolarmente rilevante appare la circostanza che gli Stati uniti sono il paese nel quale il principio della separazione dei poteri ha ricevuto le applicazioni più avanzate e nel quale il ruolo anche politico assunto dal potere giudiziario è stato maggiore che in ogni altro.

1.6.- Analisi delle disposizioni costituzionali in tema di ordina- mento giudiziario.

1.6.1.- Premessa.

La Costituzione italiana dedica alla disciplina de “la magistratura”

il titolo IV della parte seconda, il quale comprende una prima sezione concernente l’”ordinamento giurisdizionale” (rectius, giudiziario) ed una seconda sezione nella quale sono incluse alcune “norme sulla giurisdizione”. Sarebbe tuttavia evidentemente erroneo ritenere che gli articoli inseriti in tale titolo esauriscano il contenuto precettivo che la Costituzione esprime in relazione a questa materia e ciò, sia perchè esistono alcune disposizioni della prima parte che appaiono molto importanti anche da questo punto di vista - come soprattutto è il caso degli articoli da 13 a 28 -, sia perchè molti dei principi fondamentali cui la Costituzione si ispira appaiono capaci di riflettersi in vario modo su questa materia, come è evidente quanto meno per ciò che concerne il principio pluralistico ed il principio di eguaglianza.

Nè sono da trascurare i riflessi che anche sull’ordinamento giudiziario hanno le disposizioni costituzionali le quali stabiliscono il principio di rigidità della Costituzione ed il controllo di costituzionalità delle leggi (artt.134-138), quelle che dettano una serie di regole sulla pro- duzione normativa (artt.70 e segg.) e le disposizioni transitorie VI e VII (34).

1.6.2.- Il ruolo del potere giudiziario nel sistema costituzionale italiano.

Dalle disposizioni contenute nella Costituzione emerge innanzi tutto il riconoscimento del potere giudiziario come di uno dei poteri dello Stato (35) - come già si è visto supra, n.1.3 - anche se meno evidente risulta quale debba essere l’assetto di questo potere.

(34) Cfr. F.RIGANO, Costituzione e potere giudiziario, Padova, Cedam, 1982.

(35) Cfr. F.BASSI, Contributo alla teoria delle funzioni dello Stato, Milano, Giuffrè, 1969; F.MODUGNO, Poteri (divisione dei), voce del Noviss.dig.it., XIII, Torino, Utet, 1966, p.472 ss.; M.MAZZIOTTI, I conflitti di attribuzioni fra i poteri dello Stato, Mi- lano, Giuffrè, 1972, I, pp.147-148, 189 ss.; F.SORRENTINO, in Commentario della Costituzione, sub art.135, cit., 1981, p.443 ss.; G.SILVESTRI, La separazione dei po- teri, II, Milano, Giuffrè, 1984, p.233 ss.

(36) E.CAPACCIOLI, Forma e sostanza dei provvedimenti relativi ai magistrati ordinari, in Riv.it.dir. proc.pen., 1964, pp.272-276.

37 In passato, come è noto, l’attribuzione al procuratore generale della titolarità dell’azione disciplinare aveva determinato dubbi di costituzionalità.

38 Corte cost., 14 gennaio 1986, n.4, in Giur.cost., 1986, I, p.31, ha qualificato il Consiglio superiore come la “pietra angolare” dell’ordinamento giudiziario disegnato dalla Costituzione.

(15)

Le pr nc pal d ff coltà nterpretat ve nascono dal fatto che l potere giudiziario presenta caratteri molto diversi da quelli che sono propri degli altri poteri tradizionali ed in particolare dal fatto che l’esercizio della funzione giurisdizionale è necessariamente “diffuso”

(36) fra una pluralità di giudici i quali sono reciprocamente indipen- denti (e questa indipendenza non è in alcun modo attenuata dalla circostanza che ad alcuni di essi è conferito il compito di riesaminare le decisioni di altri). La nostra Costituzione complica inoltre con- siderevolmente il problema laddove prevede una pluralità di giurisdi- zioni (ordinaria, costituzionale, amministrativa, contabile, militare, cui altre sono state aggiunte sulla base di interpretazioni più o meno controverse).

Almeno con riferimento alla giurisdizione ordinaria, tuttavia, il problema di conciliare l’esigenza di salvaguardare il carattere diffuso della funzione giurisdizionale con l’esigenza di assicurare l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario “da ogni altro potere” (per usare le parole dell’art.104, comma 1) ha trovato una soluzione dotata di grande portata sistematica nell’assegnazione ad un organo non giurisdizionale, ma nettamente separato dall’organizzazione che fa capo al potere esecutivo, della generalità delle funzioni amministrative capaci di influire sullo status del giudice o del pubblico ministero e pertanto strumentali rispetto all’esercizio della giurisdizione, che in precedenza erano assegnate al Ministro della giustizia (cui la Costituzione ha comunque conferito - forse non in via esclusiva (37) - la titolarità dell’azione disciplinare, insieme con il compito, la cui importanza viene spesso sottovalutata, di assicurare “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”: artt.107, comma 2, e 110) (38).

La complessa struttura pluralistica che la Costituzione ha previsto per il Consiglio superiore della magistratura assicura, da un lato, che quest’organo possa garantire ai giudici il libero esercizio delle loro funzioni e sia in grado di difenderli da eventuali minacce provenienti da altri poteri e garantisce, dall’altro lato, un raccordo fra il potere

g ud z ar o e gl altr poter . Ne consegue che, n base alla Cost tuz one italiana, tutti i giudici ordinari sono indipendenti dagli altri poteri dello Stato grazie all’attribuzione al Consiglio superiore delle fun- zioni, materialmente amministrative, che potrebbero essere utilizzate per minacciare la loro indipendenza, e che nessun giudice ha motivo di temere che l’attività del Consiglio superiore possa risultare peri- colosa per la sua indipendenza perchè l’attività del Consiglio è soggetta alla legge - ed anzi l’intera materia dell’ordinamento giudiziario è

“riservata” alla legge: art.108, comma 1 (39) - e perchè la struttura pluralistica e la trasparenza che di esso è propria offre a tutti il massimo possibile di tutela.

Anche se l’attuazione di questa soluzione ha incontrato resistenze e difficoltà di vario genere, la validità della scelta compiuta dai co- stituenti sembra confermata dalle prime esperienze fatte in questi decenni di pur contrastato funzionamento dell’organo: spetta perciò alla nuova legge sull’ordinamento giudiziario realizzare un’attuazione equilibrata e razionale delle regole costituzionali che la esprimono.

1.6.3.- La subordinazione del giudice alla legge e il sistema delle fonti del diritto.

La posizione d’indipendenza che la Costituzione riconosce ad ogni soggetto che eserciti funzioni giurisdizionali non esclude tuttavia che il giudice si presenti anche nell’ordinamento italiano come “soggetto alla legge” secondo la formula tradizionalmente impiegata dalle costituzioni europee per esprimere il “principio di legalità” (40).

L’indipendenza del giudice non comporta infatti per esso la libertà di determinare a suo arbitrio il contenuto dei propri provvedimenti, bensì la libertà di interpretazione dei testi normativi ai fini dell’individuazione delle norme da applicare ai casi concreti che giungono al suo esame (41).

(39) Sulla portata di questa riserva cfr. Corte cost., 28 gennaio 1991, n.72, in Gazz.uff., 1^ s.s., n.7/1991, p.93, nonchè la relazione della Commissione Paladin, cit.

(40) S.FOIS, Legalità (principio di), voce dell’Enc.del diritto, Milano, Giuffrè, XXIII, 1973, p.659 ss.; L.CARLASSARE, Legalità (principio di), in Enc.giur.Treccani, XVIII, 1990.

(41) M.CAPPELLETTI, Giudici legislatori?, Milano, Giuffrè, 1984.

42 Cfr., da ultimo, A.PIZZORUSSO, Certezza del diritto (profili applicativi), voce dell’Enc.giur.Treccani, vol.VI, ed ivi ulteriori riferimenti.

43 Cfr. P.CALAMANDREI, La Cassazione civile, Torino, Bocca, 1920, nonchè, da ultimo, V.DENTI, in Commentario della Costituzione, cit., sub art.111, 1987, p.1 ss.

Sul ruolo della cassazione cfr. infra, n.2.3.5.

44 G.GORLA, Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, Giuffrè, 1981,p.261 ss.; U.MATTEI,”Stare decisis”. Il valore del precedente giudiziario negli Stati uniti d’America, Milano, Giuffrè, 1988.

(16)

Se l g ud ce fosse l bero d determ nare a suo arb tr o l contenuto dei propri provvedimenti, come pretendeva il famoso Presidente Magnaud, non soltanto esso si trasformerebbe indebitamente in legislatore - invadendo il campo proprio di un diverso potere dello Stato - ma farebbe venir meno alla radice quella “certezza” del diritto, della quale nessuno nega la funzione di garantire a tutti i cittadini, quale che sia la loro condizione giuridica e sociale, la pari fruibilità dei diritti e dei doveri, in attuazione del principio costituzionale di eguaglianza (42). Ne consegue che, anche nei limitati casi in cui è prevista dalla legge una qualche forma di discrezionalità del giudice, oppure è stabilito che il giudice decida secondo equità, i poteri che egli esercita debbono comunque trovare un parametro obiettivo in criteri suscettibili di trovare riscontro in argomentazioni razionali.

Ma la soggezione del giudice alla legge non può significare eliminazione di quel potere di interpretazione dei testi normativi che la storia ha dimostrato costituire un insopprimibile compito dei giuristi, inscindibilmente proprio di tutte le componenti di questa categoria, dagli appartenenti alle diverse professioni che implicano una preparazione giuridica (giudici, avvocati, notai, funzionari, ecc.) a coloro che studiano il diritto da un punto di vista essenzialmente teorico. Ad eliminare tale potere non sono bastate infatti, nè la codificazione di Giustiniano, nè quella di Napoleone, nonostante i propositi che furono esplicitamente enunciati da costoro.

Nè la libertà d’interpretazione di ciascun giudice può ritenersi attenuata dalla previsione del ricorso per cassazione (art.111, comma 2) come mezzo d’impugnazione tendenzialmente utilizzabile nei confronti di qualunque pronuncia giurisdizionale. Questo precetto costituzionale, dietro il quale si indovina un richiamo alla concezione della Cassazione come organo di nomofilachia elaborata da una grande dottrina italiana (43), implica accettazione del ruolo di unificazione delle interpretazioni giurisprudenziali che del resto è proprio di qualunque “corte suprema” - e quindi l’attribuzione ai precedenti stabiliti dalla cassazione di una forte efficacia “persuasiva”

- ma non determina alcuna innovazione rispetto alla tradizione italiana che non accetta il principio del precedente “vincolante” (44).

Affermare la soggezione del giudice alla legge non significa

peraltro dare per scontato che cosa debba ntenders per legge. In una società laica, quale è la nostra, l’individuazione delle regole che debbono essere osservate come diritto dello Stato costituisce anch’essa un’attività regolata dal diritto e precisamente da quella particolare categoria di norme le quali disciplinano il sistema delle fonti del diritto vigente nel nostro paese (45). Il fatto che un certo numero di norme di questo tipo siano contenute nella Costituzione non signi- fica che disposizioni integrative ed attuative di esse non possano venir poste dalla legge ordinaria o da altre fonti (entro i limiti di compe- tenza e con la forza normativa propria di ciascuna di esse). In particolare, non sembra inopportuno che la legge sull’ordinamento giudiziario possa contribuire all’attuazione dell’art.101, comma 2, della Costituzione mediante l’esplicitazione delle regole che il giudice deve osservare nella ricerca e nell’applicazione della legge (46).

1.6.4.- La capacità del giudice: a) la qualificazione generale all’esercizio di funzioni giurisdizionali.

Ponendo la regola generale secondo la quale “le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”, l’art.106, comma 1, esprime una precisa scelta a favore di una magistratura professionale, in conformità del resto alla tradizione nazionale. Tale scelta trova con- ferma in altre prescrizioni costituzionali, le quali chiaramente presuppongono l’appartenenza dei magistrati ad un corpo di fun- zionari, anche se per vari aspetti separato e differenziato rispetto alle varie burocrazie che compongono la Pubblica Amministrazione.

Eccezioni a questa regola generale sono offerte dalla conser- vazione dei “magistrati onorari” (art.106, comma 2), seppur con compiti limitati, dall’eventuale inserimento di “cittadini idonei estra- nei alla magistratura” nelle “sezioni specializzate per determinate materie” (art.102, comma 2) e dalla previsione della “partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia” (art.103, comma 3). Non costituisce invece eccezione la previsione dell’art.106, comma 3, fi- nora inapplicata, che consente un diverso sistema di nomina in magistratura, in un ruolo particolare, per giuristi già professionalmente qualificati come tali dall’esercizio di altre attività.

(45) V.CRISAFULLI, Fonti del diritto, voce dell’Enc. del diritto, XVII, Milano, Giuffrè, 1968, p.925 ss.

(46) Cfr. infra, n.2.1.

(47) Corte cost., 10 maggio 1982, n.86, in Foro it., 1982, I, 1495.

(48) Cfr., da ultimo, l’art.5, legge 12 aprile 1990, 74..

(17)

Tranne, qu nd , che n cas relat vamente eccez onal , la condizione generale di qualificazione all’esercizio delle funzioni giurisdizionali è rappresentata dall’inserimento in un particolare ruolo del personale dello Stato, il quale rappresenta la conseguenza di un provvedimento di nomina regolato - almeno nelle linee generali - da norme simili a quelle che disciplinano la generalità delle nomine degli impiegati dello Stato e conseguentemente all’accertamento di una professionalità specificamente (anche se non esclusivamente) fondata sulla preparazione tipicamente propria dei giuristi. Questo ruolo può essere distinto in una pluralità di “categorie”, come si desume dal riferimento contenuto nell’art.104, comma 4, ma la Costituzione non ha certamente prescritto la conservazione dei gradi preesistenti ed anzi, all’art.107, comma 3, ha dettato una regola tendenzialmente contraria alla distinzione per gradi laddove ha stabilito che “i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”.

Queste indicazioni - forse non perfettamente coordinate tra loro - hanno dato luogo nei passati quarant’anni a prolungati dibattiti e ad incerti tentativi di contemperamento. Nonostante l’introduzione della progressione a ruoli aperti, poi limitata - tranne che per gli effetti economici - alla soglia dell’accesso alla Cassazione (47), l’antico sistema che ripartiva i magistrati in una serie di gradi e che stabiliva tutta una serie di collegamenti fra gradi e funzioni, in conformità alla concezione gerarchica cui era ispirato il modello francese recepito in Italia dopo l’Unità, ne è risultato non soltanto conservato, ma altresì inopportunamente complicato.

A conclusione di questo ciclo di sperimentazioni, tuttavia, appare ormai dominante una lettura delle disposizioni costituzionali in base alla quale le sole categorie di magistrati che trovano fondamento in esse sono quella dei magistrati destinati a svolgere funzioni di

“legittimità” e quella dei magistrati destinati a svolgere funzioni di

“merito” (48), mentre tutte le altre distinzioni tuttora utilizzate, anche se con denominazioni in parte nuove, risultano non necessarie e verosimilmente contrastanti con la prescrizione costituzionale che riferisce alle funzioni, e non ai gradi o alle qualifiche professionali, la differenziazione dei ruoli che i magistrati possono esercitare. In ogni caso, il confuso intreccio di funzioni e qualifiche che pe- santemente condiziona l’efficienza di un’organizzazione la quale

d altro canto trova nsoppr m b l fattor d appesant mento nella pre- visione dell’inamovibilità (art.107, comma 1) e nella garanzia di precostituzione degli organi giudicanti (art.25, comma 1), appare incompatibile con le esigenze di funzionalità che devono essere tenute presenti per assicurare il “buon andamento” (art.97, comma 1) di que- sto importante comparto dell’organizzazione dei pubblici poteri (49).

La realizzazione di una semplificazione delle regole attualmente in vigore che dia finalmente attuazione alla chiara prescrizione dell’art.107, comma 3, appare perciò un obiettivo primario della nuova legge sull’ordinamento giudiziario (50).

1.6.5.- La capacità del giudice: b) composizione dell’ufficio giudicante e titolarità dell’affare.

A fianco della qualificazione generale all’esercizio delle funzioni giurisdizionali che deriva dall’assunzione della qualità di “magistrato ordinario”, l’art.25, comma 1, ha attribuito rilevanza costituzionale alle regole che consentono l’identificazione di ciascun soggetto che deve esercitare la funzione giurisdizionale con riferimento a ciascun singolo affare, prescrivendo che tali regole debbano uniformarsi al principio di precostituzione, il quale ha come conseguenza che l’individuazione del giudice non possa dipendere da valutazione discrezionali dello stesso giudice, di altri soggetti pubblici o delle parti. Tale principio ha assunto notevole importanza ai fini della determinazione del modello italiano di ordinamento giudiziario soprattutto a mano a mano che lo si è posto in collegamento con la regola dell’imparzialità.

Se infatti è ovvio che il giudice deve essere - ed altresì apparire - quanto più è possibile imparziale nella sua opera di accertamento dei fatti e di costruzione delle norme da applicare ad essi, non è men vero che l’esigenza dell’imparzialità si manifesta soprattutto come un’esigenza di omogeneità di orientamenti, la quale consenta

(49) Corte cost., 10 maggio 1982, n.86, cit.

(50) Cfr. in proposito, infra, n.2.7.

(51) Sul principio del giudice naturale cfr. soprattutto, M.NOBILI, in Commentario della Costituzione, cit., sub art.25, comma 1, 1981, p.135 ss.; R.ROMBOLI, Il giudice naturale, Milano, Giuffrè, 1981; I.DIEZ-PICAZO, El derecho fundamental al juez ordinario predeterminado por la ley, in Rev.esp.der.const., 1991, p.75 ss. Nei giorni 14 e 15 febbraio 1992 il problema della precostituzione del giudice ha costituito oggetto di un convegno internazionale di studi, organizzato dal CSM in collaborazione con l’Associazione “Vittorio Bachelet”, i cui atti sono in corso di pubblicazione.

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