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Capitolo 2 L’anestesia locoregionale

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Academic year: 2021

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Capitolo 2

L’anestesia locoregionale

Il termine anestesia loco-regionale indica che l’effetto analgesico/anestetico interessa solo una parte del corpo o una regione, diversamente da quanto accade nell’anestesia generale che coinvolge l’intero organismo. L’area interessata può essere molto limitata oppure ampia (Steffey, 1999). Lo stimolo nocicettivo proveniente dall'area interessata viene bloccato e non arriva ad integrarsi nel SNC, per questo motivo spesso il termine di blocco locoregionale viene usato per indicare questo tipo di anestesie, che vengono effettuate iniettando l'anestetico direttamente vicino ai nervi che portano la sensibilità dalla zona da anestetizzare (o dalla zona dell’intervento). Queste tecniche, se applicate correttamente, garantiscono una buona analgesia e limitano il fabbisogno di analgesici sistemici, riducendone pertanto gli effetti collaterali. Tuttavia le complicanze potenziali dell'anestesia loco-regionale, anche se minori e rare, possono essere altrettanto gravi di quelle da anestesia generale (De Nicola, 2005). L'utilizzo dell'anestesia regionale permette anche la mobilizzazione precoce del paziente nel post-operaorio, un

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paziente nell'ambiente domestico. Inoltre in pazienti sottoposti ad alcuni interventi di ortopedia la somministrazione continuata di analgesici attraverso un catetere epidurale permette di iniziare precocemente la fisioterapia in assenza di dolore, migliorando così il recupero funzionale.

2.1 Categorie di anestesie locoregionale

Le anestesie locoregionali (ALR) possono essere divise principalmente in due categorie, l’ALR periferica e l’ALR centrale (neuroassiale). Quest’ultima si differenzia dalla prima in quanto il farmaco viene depositato a livello del sistema nervoso centrale, in prossimità del midollo spinale, provocando un blocco nervoso prima che i nervi lascino lo speco vertebrale.

L’ALR neuroassiale comprende l’anestesia epidurale o peridurale e l’anestesia spinale o subaracnoidea.

Le anestesie locoregionali periferiche mirano invece a bloccare i nervi dopo che questi fuoriescono dal canale vertebrale. Queste ultime possono essere suddivise in diverse categorie a seconda dell’area anestetizzata, del punto di iniezione dell’anestetico locale o della tecnica utilizzata.

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2.1.1 ALR periferiche

Anestesia topica: detta anche anestesia di superficie, si instaura quando un farmaco viene applicato sulla cute o sulle mucose per provocare perdita di sensibilità mediante il blocco delle terminazioni nervose sensitive locali. Questo tipo di anestesia è usata per intervenire sulle mucose dell’occhio, del naso o della bocca, apparato urogenitale ecc. Molti anestetici locali se applicati sulla cute non risultano efficaci poiché la cheratinizzazione dell’epidermide ne ostacola la penetrazione.

Anestesia per infiltrazione locale: consiste nel depositare volumi adeguati di una soluzione anestetica con un numero sufficiente di iniezioni sottocutanee tali da isolare dal resto dell’organismo l’area che si intende desensibilizzare. In questo modo si impedisce la propagazione degli stimoli dolorifici. È importante la tricotomia e la disinfezione dell’area nei punti in cui vengono eseguite le punture per evitare ogni tipo di infezione. Questo tipo di anestesia in genere si applica quando si vuole intervenire sulla cute.

Anestesia regionale endovenosa: si effettua somministrando anestetici locali in una vena di un’estremità del corpo isolata dal resto del torrente circolatorio. È necessario inserire un catetere venoso nella parte più

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distale della zona da anestetizzare e quindi ischemizzare l’estremità con un bendaggio progressivamente compressivo partendo dalla parte più distale. Un laccio emostatico dovrà essere posizionato prossimalmente per evitare la perfusione della zona. Dopo aver rimosso la fascia si inietta lentamente nella cannula l’anestetico locale. L’azione dell’anestetico locale avviene per diffusione attraverso i vasi sulle terminazioni nervose locali. L’anestesia dell’estremità permane fino a quando con la riperfusione viene rimosso l’anestetico. La riperfusione deve avvenire gradualmente per evitare che un bolo di anestetico locale raggiunga il circolo e non prima di 20 minuti dalla somministrazione dell’anestetico. In questo intervallo infatti l’anestetico si lega ai tessuti diminuendo il rischio di effetti collaterali in caso di riperfusione. L’applicazione del laccio deve essere limitata fino a 60 – 90 minuti dopo i quali comincia a manifestarsi il dolore ed a causa del metabolismo anaerobio i tessuti possono produrre una quantità di cataboliti sufficiente a determinare effetti sistemici dopo la riperfusione della regione (Steffey, 1999; Corletto, 2004).

Anestesia intraarticolare: è una tecnica indicata per ottenere analgesia in caso di artrotomie o dolore articolare cronico. I punti di repere per l’introduzione dell’ago variano a seconda dell’articolazione.

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Si aspira un volume di liquido sinoviale pari a quello di farmaco che si deve iniettare. Una leggera distensione della capsula articolare indica che il volume iniettato è sufficiente. E’ possibile iniettare una soluzione anestetica o un gel anestetico (Otero, 2004).

Anestesia intrapleurica: è un metodo utilizzato soprattutto nel trattamento post operatorio dopo interventi di toracotomia. A questo scopo viene collocato un catetere nello spazio pleurale tramite un ago di Tuohy. Quest'ago possiede una punta arrotondata verso l'alto e poco tagliente per ridurre il rischio di lesioni al polmone e per facilitare la fuoriuscita del catetere. Se il paziente ha già collocato un catetere per il drenaggio si può utilizzare questo per veicolare l’anestetico.

L’anestetico più utilizzato per questo tipo di analgesia è la bupivacaina allo 0,5% ad un dosaggio da 1 a 2 mg/kg. L’iniezione si realizza dopo essersi assicurati della posizione nello spazio pleurico ed extravascolare del catetere, tramite aspirazione. Per 15-20 minuti dopo l’iniezione si posiziona il paziente nel decubito del lato che interessa desensibilizzare per favorirne il contatto con l’anestetico.

La biodisponibilità sistemica degli anestetici locali per questa via è molto elevata, per cui bisogna valutarne attentamente la dose massima per ogni specie (Otero, 2004).

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Anestesia intraperitoneale: è una tecnica che può aiutare nel trattamento del dolore addominale. Anche per questa via come per la via intrapleurica la biodisponibilità degli anestetici locali è elevata.

Per eseguire questa tecnica si pratica una laporocentesi che viene effettuata a livello dell’ombelico. La dose calcolata viene diluita in 10-20 ml di soluzione fisiologica per facilitare la diffusione dell’anestetico. Dopo l’iniezione si può cambiare più volte il decubito del paziente per aumentare la superficie di contatto con la soluzione anestetica (Otero, 2004).

Anestesia tronculare: detta anche blocco di conduzione, consiste nell’iniezione di anestetico locale nelle immediate vicinanze di un singolo nervo periferico (Steffey, 1999).

La deposizione di anestetico in sede perineurale determina il blocco della conduzione degli impulsi del nervo in questione. L'efficacia del blocco dipende dal volume e dalla concentrazione dell’anestetico locale, poiché è necessario che il farmaco entri all’interno del fascio nervoso per bloccare i canali del sodio e deve inoltre coprire una distanza minima di tre nodi di Ranvier consecutivi per bloccare completamente la conduzione nervosa (Otero, 2004).

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Le complicanze più frequenti in questo tipo di anestesia sono danni ai nervi provocati dalla punta dell’ago o da iniezioni intraneurali, ematomi perineurali ed effetti tossici sistemici dovuti ad iniezioni intravasali accidentali, degli anestetici utilizzati.

I nervi più comunemente anestetizzati sono quelli della testa, degli arti e i nervi intercostali (Corletto, 2004).

Per anestetizzare un nervo è indispensabile conoscere i punti di repere che consentono di identificarne il decorso, in modo da poter arrivare con un ago abbastanza vicini ad esso ed iniettare il farmaco in sede perineurale. Per fare ciò, di grande aiuto risulta essere il neurolocalizzatore, che consente di identificare il nervo ed avvicinarlo con la punta dell’ago quanto basta per eseguire il blocco ed eliminare completamente i rischi di un’inoculazione intraneurale con conseguente lesione.

In medicina umana in alternativa al neuro localizzatore, la corretta posizione dell’ago veniva accertata con la ricerca delle parestesie che vengono descritte come delle sensazioni spiacevoli provenienti dalla zona innervata. Esse sono avvertite quando un nervo è toccato con la punta dell’ago. Oltre a non essere molto affidabile con questo metodo si possono provocare delle lesioni al tronco nervoso (De Nicola).

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Come è comprensibile, in medicina veterinaria questo metodo è inapplicabile per l'impossibilità da parte del paziente di comunicare e descrivere sensazioni, per questo l’utilizzo del neurolocalizzatore assume ancora più importanza.

Anestesia paravertebrale: è un tipo di anestesia di conduzione in cui l’anestetico locale viene depositato in prossimità dei nervi spinali all’uscita dai forami intervertebrali (Steffey, 1999). A questo livello si possono anestetizzare i nervi che costituiscono il plesso brachiale desensibilizzando l’arto anteriore ed i nervi del plesso lombosacrale desensibilizzando l’arto posteriore.

Anche per questo tipo di anestesia come per le tronculari, l'utilizzo del neurolocalizzatore aumenta la sicurezza ed il successo della tecnica.

2.1.2 ALR centrali o neuroassiale

Sono tecniche che vengono spesso indicate per tutta la chirurgia maggiore dell’arto posteriore, del perineo e in alcuni casi per la chirurgia addominale (Waterman-Pearson, 2003).

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Più il volume di una data soluzione iniettata è grande, maggiore estensione avrà il blocco e quindi l’area desensibilizzata (De Nicola et al., 2005).

I farmaci usati per queste vie sono in genere anestetici locali, oppiodi e ά2agonisti o varie associazioni di questi. Le complicanze più frequenti in

questo tipo di anestesia sono le parestesie, quando l'ago spinge o punge un elemento della cauda equina, ematomi peridurali, depressione respiratoria per assorbimento del farmaco attraverso i vasi peridurali e danno diretto al sistema nervoso centrale o ai nervi della cauda equina. La somministrazione di anestetici locali per via epidurale/spinale induce il blocco del sistema nervoso simpatico provocando come effetto collaterale ipotensione. Inoltre se viene somministrata una dose eccessiva di anestetico il blocco può estendersi più cranialmente fino a compromettere la funzionalità dei muscoli respiratori e del nervo cardioacceleratore determinando ipotensione e bradicardia (Varassi, 2005; Corletto, 2004).

Questi effetti si possono prevenire con un dosaggio accurato del farmaco e si possono trattare somministrando fluidi e farmaci alfa agonisti (Casati, 2002).

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L’anestesia epidurale: consiste nell’iniezione di un farmaco analgesico nello spazio epidurale che è compreso fra la dura madre ed il canale vertebrale (Figura 2.1), (Klide, 1992; Steffey, 1999). I farmaci in questo caso giungono al midollo spinale dopo aver attraversato la duramadre per diffusione e attraverso i vasi comunicanti durali (Avril E. Waterman-Pearson, 2003).

Figura 2.1.: Punzione epidurale lombo-sacrale.

La comparsa del blocco varia a seconda del farmaco e indica il tempo necessario alla diffusione dallo spazio epidurale alle meningi per poi passare nel liquor e infine nel midollo spinale (McMurphy, 1993). Questa tecnica si esegue con l’animale in decubito sternale o laterale. Dopo aver preparato la cute in modo sterile si individua lo spazio

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lombosacrale, che si trova tra la sommità del processo spinoso della settima vertebra lombare (L7) e quello della prima sacrale (S1). Poco più caudalmente del punto di incrocio della linea immaginaria che congiunge le sommità delle creste iliache con quella passante per le apofisi spinose di L7 ed S1 si penetra l’ago perpendicolarmente alla cute e sulla linea mediana (Heath, 1992). Una volta attraversata la cute, il sottocute, le fasce e i muscoli si arriva sopra al legamento interarcuale, il cui attraversamento è caratterizzato da una improvvisa perdita di resistenza (Corletto, 2004).

La corretta collocazione dell’ago nello spazio epidurale può essere confermata dalla mancata resistenza all’inoculazione di una bolla d’aria, di soluzione fisiologica o di farmaco (Keegan et al., 1993).

La somministrazione di anestetici locali nello spazio epidurale può indurre paralisi motoria e sensitiva, o utilizzando anestetici con azione più selettiva (bupivacaina e ropivacaina) ed a basse concentrazioni si ha prevalentemente un blocco sensitivo.

Gli anestetici locali per via epidurale bloccano anche l’attività del sistema nervoso simpatico due neuromeri al di sopra del blocco sensitivo (Corletto, 2004). Il dosaggio calcolato di anestetico locale come la lidocaina cloridrato al 2% o la bupivacaina cloridrato allo 0,25% è di circa 0,1-0,2 ml/kg e viene somministrato nell’arco di 1 minuto per

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garantire una distribuzione più omogenea del farmaco all’interno del canale vertebrale. La lidocaina cloridrato al 2% garantisce circa 60 - 90 minuti di analgesia e l’effetto compare entro 5 minuti, mentre la bupivacaina cloridrato è più lenta e richiede da 20 a 30 minuti (Heath, 1992).

L'ago generalmente più usato per il blocco epidurale è l'ago di Tuohy. Quest'ago possiede una punta arrotondata verso l'alto e poco tagliente per ridurre il rischio di puntura durale e per facilitare la fuoriuscita di un eventuale catetere ed il suo direzionamento (Celleno et al.) L’introduzione di un catetere nello spazio epidurale permette di proseguire la terapia antalgica locale anche dopo un intervento chirurgico.

L’anestesia spinale: si ottiene iniettando una piccola quantità di anestetico nello spazio subaracnoideo ed ha un’azione immediata (Figura 2.2), (Steffey, 1999).

In genere l’iniezione viene praticata a livello del tratto lombare. Per queste anestesie si usano gli aghi spinali, essenzialmente sono degli aghi sottili per limitare il trauma alle meningi e provvisti di mandrino che evita l’occlusione del foro distale dell’ago e il passaggio di frammenti tissutali nel liquor, inoltre favorisce la rigidità e la maneggevolezza

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dell'ago. Per l’introduzione degli aghi più sottili si può usare un introduttore che facilita il passaggio dell’ago attraverso i tessuti sovrastanti il canale vertebrale. Per gli interventi sull’arto pelvico con l’anestesia spinale selettiva si può anestetizzare solo l’arto su cui si vuole intervenire orientando il foro dell’ago e convogliando l’anestetico su un emilato (De Nicola et al., 2005).

La dose di anestetico da utilizzare per questa anestesia può essere calcolata sulla base della dose epidurale riducendola dal 50% al 60% (Heath, 1992).

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2.2 ALR periferiche dell’arto pelvico nel cane

I nervi dell’arto pelvico derivano dal plesso lombosacrale il quale è formato dai rami ventrali dei nervi spinali lombari e sacrali. Questi nervi possono essere bloccati a livello paravertebrale o a livello periferico prossimale o distale. A seconda del nervo bloccato si può desensibilizzare una determinata zona dell’arto. Più il blocco sul nervo sarà prossimale, più ampia sarà l’area desensibilizzata.

2.2.1 Anatomia

Il plesso lombare. Nel cane il numero dei nervi lombari corrisponde a quello delle vertebre lombari. Questi nervi all’uscita dal canale vertebrale si dividono in un ramo dorsale e in uno ventrale. I rami dorsali innervano la regione lombare e quella della groppa. I rami ventrali sono collegati fra loro a grandi maglie e costituiscono il plesso lombare che è in rapporto di continuità con il plesso sacrale. Ai fini dell’ALR i nervi più importanti che originano dal plesso lombare e che innervano le relative zone dell’arto pelvico sono il n. ileoipogastrico, il n. ileoinguinale, il n. genitofemorale, il n. cutaneo laterale della coscia ed il n. femorale (Figura 2.3).

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Figura 2.3: plesso lombo sacrale e sue diramazioni

N. ileoipogastrico. origina dal ramo ventrale del primo nervo lombare (L1). La zona di innervazione sull’arto pelvico con il suo ramo cutaneo

laterale è la parte cranio-laterale della coscia fino all’articolazione del

ginocchio; con il suo ramo cutaneo ventrale innerva la parte mediale della coscia.

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N. ileoinguinale. origina dai rami ventrali del secondo nervo lombare (L2). Nel suo decorso si comporta come il n. ileoipogastrico. Anche questo nervo si divide in un ramo cutaneo laterale ed in un ramo

cutaneo ventrale. La zona di innervazione sull’arto pelvico è il

medesimo del n. ileoipogastrico.

N. genitofemorale. Origina dal terzo (L3) e dal quarto (L4) segmento lombare. La zona di innervazione sull’arto pelvico è la parte mediale della coscia.

N. cutaneo laterale della coscia. Origina da L3, L4 e dal ramo ventrale del quinto nervo lombare (L5). Questo nervo uscendo dalla cavità addominale si dirige distalmente e sulla faccia cranio-laterale della coscia. La zona di innervazione sull’arto pelvico è la parte cranio-mediale della coscia e del ginocchio.

N. femorale. Origina da L4, L5, e dal ramo ventrale del sesto nervo lombare (L6). È il più grosso nervo del plesso lombare, si accompagna all’arteria iliaca esterna fino al margine craniale del pube. Uscito dalla cavità addominale si continua medialmente alla coscia mediante il n.

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all’arteria e vena femorale. Uscito dal canale femorale, il n. safeno diventa sottocutaneo al centro della coscia, inviando rami che si distribuiscono all’articolazione del ginocchio. Le zone che innerva sull’arto pelvico sono l’articolazione del ginocchio, la parte mediale della gamba e dell’articolazione tibio-tarsica e la parte mediale del metatarso fino alla prima articolazione interfalangea.

Il plesso sacrale. Il numero dei nervi sacrali corrisponde al numero delle vertebre sacrali. Essi originano dall’estremità caudale del midollo spinale; inizialmente hanno un decorso parallelo al midollo all’interno del canale vertebrale contribuendo alla formazione della cauda equina. La loro suddivisione in rami dorsali e ventrali avviene all’interno del canale vertebrale. I rami dorsali escono dal canale vertebrale attraverso i fori sacrali dorsali e dal foro intervertebrale tra l’ultima vertebra sacrale e la prima coccigea ed innervano la regione della groppa e quella glutea. I rami ventrali escono dal canale vertebrale attraverso i fori ventrali sacrali e tra l’ultima vertebra sacrale e la prima coccigea e costituiscono insieme al ramo ventrale dell’ultimo nervo lombare il plesso sacrale. Ai fini dell’ ALR i nervi più importanti che originano dal plesso sacrale sono il n. cutaneo caudale del femore ed il n. ischiatico.

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N. cutaneo caudale della coscia. Questo nervo origina dal primo (S1), dal secondo (S2) e dal terzo (S3) nervo sacrale. Si dirige in senso caudo-ventrale verso l’arcata ischiatica. Il ramo principale di questo nervo diventa superficiale a livello della tuberosità ischiatica tra il muscolo bicipite femorale ed il muscolo semitendinoso per distribuirsi con diversi rami alla parte caudale e laterale della coscia fino all'articolazione del ginocchio.

N. ischiatico (sciatico). Esso proviene dai rami lombari L6 ed L7 e riceve rami sacrali da S1, S2 e avvolte anche da S3. È il più voluminoso nervo dell’organismo. Dalla cavità pelvica passando dalla grande incisura ischiatica arriva nella regione della coscia e si dirige caudalmente passando tra il grande trocantere e la spina ischiatica. Lungo il suo decorso emette rami per la capsula articolare dell’anca. A metà della coscia si divide nel n. peroneo e nel n. tibiale. Questi nervi decorrono accollati tra il muscolo bicipite femorale ed il muscolo semitendinoso dirigendosi al cavo popliteo dove si dividono. Il n.

peroneo fornisce il n. cutaneo laterale della sura, diventa superficiale a

livello della testa della fibula e si divide in questo punto nel n. peroneo

superficiale e nel n. peroneo profondo. Il n. tibiale percorre la faccia

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all’articolazione del ginocchio. Da esso originano il n. cutaneo caudale

della sura ed il n. cutaneo caudale laterale della sura, infine nella

parte distale della gamba esso si divide nel n. plantare laterale e nel n.

plantare mediale.

N. cutaneo laterale della sura. Passando tra il muscolo bicipite

femorale diventa superficiale e innerva la parte laterale del ginocchio e della gamba.

N. peroneo superficiale. Si dirige verso la parte dorsale

dell’articolazione del tarso dividendosi in questa zona in un ramo

laterale ed in un ramo mediale. La zona innervata è l’articolazione del

tarso, la superficie dorsolaterale del tarso, del metatarso e della parte dorsale delle dita.

N. peroneo profondo. Concorre insieme al n. peroneo superficiale

all’innervazione dell’articolazione tarsale e della parte dorsale delle dita.

N. cutaneo caudale della sura. Origina dal n. tibiale a metà della coscia

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gastrocnemio e il tendine calcaneale. La zona che innerva è la parte posteriore della gamba.

N. cutaneo caudale laterale della sura. È la continuazione del n.

cutaneo caudale della sura, decorre distalmente passando sulla superficie laterale del tarso e del metatarso. La zona che innerva è la parte laterale del tarso e del metatarso.

N. plantare laterale e mediale. Decorrono distalmente

dall’articolazione tarsale dando diversi rami fino alle dita. Le zone che innervano sono le articolazioni delle dita, e la superficie plantare del metatarso e delle dita.

2.2.2 Blocchi periferici prossimali sull’arto pelvico

I blocchi prossimali possono essere realizzati per produrre analgesia dell’arto posteriore distalmente al terzo medio della coscia.

Blocco del n. sciatico: per bloccare questo nervo sono sufficienti da 0,5 a 6 ml di volume della miscela di anestetico a seconda delle dimensioni del soggetto, dell’anestetico usato e della concentrazione impiegata.

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I punti di repere sono la tuberosità ischiatica ed il trocantere maggiore del femore. Si può apprezzare con un dito la depressione formata da queste due protuberanze ossee.

L’ago viene inserito leggermente al di sotto di questa depressione con direzione disto-prossimale obliquamente al piano della cute ad una profondità di 0,5-1 cm, secondo le dimensioni del soggetto (Foto 2.1).

Foto 2.1: punti di repere e sito di inoculo per il blocco del n. peroneo (Briganti et

al., 2005).

Blocco del n. safeno: per bloccare questo nervo sono sufficienti da 0,5 a 1,5 ml di anestetico. I punti di repere sono la depressione formata dai muscoli vasto mediale, muscolo semimembranoso ed il muscolo

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adduttore e le pulsazioni dell’arteria femorale nel terzo medio della coscia.

L’ago si inserisce per 0,5 cm a questo livello nel canale formato da detti muscoli dove scorre il n. safeno, cranialmente all’arteria femorale. La direzione dell’ago è disto-prossimale, leggermente obliqua rispetto al piano della cute (Foto 2.2).

Foto 2.2: punti di repere e sito di inoculo per il blocco del n. safeno (Briganti et al.,

2005).

Blocco del n. cutaneo laterale della coscia: per bloccare questo nervo bastano da 0,5 a 1,5 ml di anestetico. I punti di repere sono il muscolo

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sartorio, la tuberosità dell’anca ed il muscolo obliquo interno dell’addome.

L’ago deve essere inserito a livello sottocutaneo, distalmente alla tuberosità dell’anca, tra il muscolo sartorio ed il muscolo obliquo interno dell’addome, con direzione disto-prossimale (Foto 2.3).

Foto 2.3: punti di repere e sito di inoculo per il blocco del n. safeno (Briganti et al.,

2005).

Blocco del n. cutaneo caudale della coscia: per realizzare questo blocco si usano da 0,5 a 1,5 ml di anestetico. I punti di repere sono l’inserzione della coda e la tuberosità ischiatica. L’ago viene inserito a livello

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sottocutaneo, a metà percorso di una linea immaginaria che passa fra la tuberosità ischiatica e l’inserzione ventrale della coda (Foto 2.4).

Foto 2.4: punti di repere e sito di inoculo per il blocco del n. sciatico (Briganti et

al., 2005).

2.2.3 Blocchi periferici distali sull’arto pelvico

Con i blocchi distali possiamo ottenere l’analgesia dell’arto pelvico, distalmente all’articolazione del ginocchio. Aggiungendo il blocco del n. safeno si completa l’analgesia desensibilizzando la parte mediale del arto.

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Blocco del n. peroneo: per bloccare questo nervo sono sufficienti da 1 a 2 ml di anestetico. I punti di repere sono il capitello dell’osso peroneo e il muscolo gastrocnemio.

L’ago va inserito a livello sottocutaneo, nella depressione formata dal margine craniale del capo laterale del muscolo gastrocnemio e la testa della fibula. La direzione deve essere caudo-dorsale alla testa dell’osso peroneo (Foto 2.5).

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Blocco del n. tibiale: per eseguire questo blocco bastano da 1 a 2 ml di anestetico. Il punto di repere è la depressione formata dai due ventri del muscolo gastrocnemio. L’ago si inserisce in questa depressione all’altezza dell’articolazione del ginocchio ad una profondità da 1 a 1,5 cm perpendicolarmente al femore (Foto 2.6), (Otero, 2004; Briganti et al., 2005).

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Blocchi interdigitali: per bloccare questi nervi bastano da 0,2 a 0,5 ml di anestetico. I punti di repere per bloccare i nervi digitali sono gli spazzi interdigitali e le articolazioni metatarso-falangea del secondo e del quinto dito.

L’ago si inserisce in direzione disto-prossimale fino a raggiungere l’articolazione metatarso-falangea (Figura 2.4), (Corletto, 2004; Briganti et al., 2005).

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2.2.4 Blocchi paravertebrali lombari

Il blocco paravertebrale lombare è un blocco periferico in prossimità della colonna vertebrale che permette di bloccare le radici nervose da cui originano i nervi diretti all’arto pelvico.

A differenza dell’arto toracico in cui le radici che costituiscono il plesso brachiale si riuniscono in un punto superficiale prima di originare i nervi che raggiungono l’arto, le radici dei tronchi nervosi dell’arto inferiore sono ripartite su di un ampia superficie (dieci segmenti rachidei da L1 a S3) e non esiste nessun punto in cui si raggruppano abbastanza per essere raggiunti da una singola iniezione (De Nicola, 1992).

In medicina umana esistono diverse tecniche per il blocco del plesso lombare fra queste ricordiamo la tecnica classica; la tecnica

dell’infiltrazione della loggia dello psoas per via paravertebrale di Chayen e la tecnica con il neurolocalizzatore.

In medicina veterinaria il blocco paravertebrale è stato descritto nel bovino con la tecnica di Farquharson, Hall o di Cambridge; la tecnica

di Magda, Cakala o di Cornell e nel cane con la tecnica con neurolocalizzatore.

Per tutte queste tecniche oltre alle già descritte complicanze a cui si può andare incontro per le anestesie tronculari si aggiungono la possibilità di iniezione subaracnoidea e nei casi limite iniezione dell’anestetico locale

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in addome o punture di organi addominali (De Nicola, 1992; Thivierge, 1998; Drolet, 1998; Bertini). Un effetto collaterale può essere la diffusione epidurale del blocco (Bertini).

Tecnica classica in medicina umana: per eseguire questo blocco il paziente è in posizione laterale o ventrale. I punti di repere per eseguire il blocco lombare con questa tecnica sono le apofisi spinose delle vertebre lombari. Dopo aver segnato le apofisi spinose delle vertebre corrispondenti ai nervi che si intende bloccare, si traccia una linea orizzontale sulla parte cefalica di ogni apofisi spinosa e si prolunga questa linea dal lato in cui si vuole eseguire il blocco. Si traccia una linea verticale a 3,5-4 cm dalla linea mediana sul lato in cui si vuole eseguire il blocco. L’intersezione delle linee orizzontali e verticale sono i punti d’introduzione dell’ago.

La tecnica prevede l’introduzione di un ago di calibro 22 G e lungo 8 cm perpendicolarmente al piano della cute fino a realizzare un contatto osseo con l’apofisi trasversa della vertebra. Un marcatore viene posizionato a 2 cm dalla pelle. L’ago è allora ritirato e nuovamente diretto verso la regione sacrale, in modo da scivolare sotto la parte inferiore dell’apofisi trasversa; quando il marcatore è sulla pelle l’ago è in vicinanza del nervo. Dopo la prova di aspirazione si inietta

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l’anestetico locale. Si ripete lo stesso procedimento per ogni nervo da bloccare (Thivierge, 1998).

Tecnica di Chayen: descritta per la prima volta da Chayen nel 1976. Questa tecnica si basa sul principio anatomico dello “psoas compartment” nell’uomo definito così dallo stesso Chayen. Questa regione è delimitata dai corpi vertebrali, dalle apofisi trasverse, dalla fascia del psoas e dai capi dello stesso muscolo psoas.

La tecnica prevede la posizione laterale del paziente. Si congiungono idealmente le due creste iliache e si segna il punto d’iniezione a 4-5 cm dalla linea mediana a livello dello spazio interspinoso L4-L5. si punge la cute perpendicolarmente fino ad avvertire il contatto osseo con la quinta apofisi trasversa lombare. Si fa scivolare un marcatore sulla cute per per avere cognizione della profondità dell’apofisi. Si ritira l’ago fino al piano sottocutaneo e lo si reintroduce dirigendolo cranialmente. Appena il marcatore giunge sulla cute si innesta sull’ago una siringa, a basso attrito, da 10 ml riempita d’aria. Si procede in avanti con una tecnica simile a quella per il reperimento dello spazio peridurale, detta del “mandrino aereo” (De Nicola, 1992; Vaghadia, 1992). Si aspira quindi si va avanti esercitando una leggera pressione sul pistone. Contemporaneamente si fa progredire lentamente e gradualmente l’ago.

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Quando la punta dell’ago raggiunge la logia dello psoas si percepisce una netta e caratteristica perdita di resistenza sullo stantuffo. Si innesta, quindi, la siringa carica di anestetico e dopo aspirazione, per verificare sia l’assenza di liquor che di sangue, si inietta la soluzione anestetica (De Nicola, 1992; Bertini). Utilizzando appositi kit è possibile anche posizionare un catetere per effettuare un blocco continuo (Bertini).

Tecnica di Farquharson, Hall o di Cambridge: viene denominata anche come blocco paravertebrale prossimale, ed è stata descritta per il blocco paravertebrale dei nervi spinali nel bovino. Questa tecnica è indicata per la chirurgia laparotomia nel bovino, ruminotomie, ciecotomie, correzione di dislocazioni gastrointestinali, ostruzioni intestinali e volvoli. Questa tecnica consiste nell’inserire l’ago parallelamente al processo spinoso della vertebra corrispondente alla radice nervosa che si vuole bloccare (approccio dorsale). Dopo avere stabilito un contatto osseo tra la punta dell’ago ed il processo trasverso si retrae l’ago di qualche centimetro. L’ago viene diretto nuovamente in profondità con un’inclinazione di circa 20° in direzione caudo-distale così da scivolare dietro l’apofisi trasversa e raggiungere i nervi da bloccare (Figura 2.5). Dopo aspirazione si inietta la soluzione anestetica. La procedura viene ripetuta per ogni radice che si intende bloccare. Le complicanze a cui si

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può andare incontro con questa tecnica oltre a quelle già citate sono la penetrazione con l’ago di grossi vasi come l’aorta addominale sul lato sinistro e la vena cava caudale sul lato destro (Thurmon, 1996; Hall, 2000).

Tecnica di Magda, Cakala o di Cornell: viene chiamata anche blocco paravertebrale distale. Questa tecnica come la precedente è stata descritta per il bovino. In questo caso l’approccio sarà laterale. Infatti la tecnica consiste nell’inserire l’ago parallelamente ai processi trasversi delle vertebre lombari, iniettando l’anestetico a questo livello (Figura 2.5). I nervi bloccati saranno sia i rami dorsali che quelli ventrali dei nervi spinali lombari che passano dorsalmente e ventralmente ai processi trasversi. Con questa procedura la dose di anestetico utilizzata dovrà essere superiore rispetto all’approccio dorsale e l’efficienza del blocco sarà in relazione all’anatomia dei nervi di ogni singolo soggetto in quanto il loro tragitto può variare (Thurmon, 1996).

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Figura 2.5: siti di inoculo per i blocchi paravertebrali con le tecniche di

Farquharson e di Magda.

Tecnica con neurolocalizzatore nel cane: i punti di repere per eseguire questo blocco sono le apofisi spinose delle vertebre L4 e L5. L’ago elettrodo viene introdotto perpendicolarmente al piano della cute tra le apofisi spinose di L4-L5. Quando l’ago prende contatto con il processo trasverso di L5 si ridireziona cranialmente e si approfondisce nella muscolatura lombare cercando la contrazione del muscolo quadricipite femorale (estensione del ginocchio). Quando questa risposta è ottenuta con un’intensità di 1 mA, si avanza l’ago lentamente e si diminuisce l’intensità di corrente fino a 0,5 mA. Prima di iniettare l’anestetico locale ci si accerta dell’assenza di risposta motoria ad un’intensità di corrente di 0,2 mA, per evitare la somministrazione di anestetico nel foglietto

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durale con conseguente distribuzione dell’anestetico nello spazio epidurale o spinale. Si inietta 1 ml di anestetico a 0,5 mA di corrente, per verificare la sede extraneurale dell’ago, questa iniezione infatti dovrebbe allontanare il nervo dalla punta dell’ago facendo cessare la clonia muscolare. Inoltre non deve esserci nessuna resistenza all’iniezione dell’anestetico (Campoy, 2006).

In medicina veterinaria il volume di anestetico ottimale da somministrare non è stato ancora stabilito, tuttavia l’autore che ha descritto questa tecnica consiglia un dosaggio di 0,3-0,4 ml/kg (Campoy, 2006).

2.3 Il neurolocalizzatore

La prima dimostrazione di stimolazione elettrica del nervo fu descritta da Luigi Galvani nel 1780, utilizzando una rana. Galvani stimolò i nervi spinali di una rana con un elettrodo ed osservò come risposta la contrazione dei muscoli dell’arto pelvico (Campoy, 2006).

Nel 1912 Perthes fu il primo ad usare l'elettrolocalizzazione dei nervi come ausilio alla realizzazione dell'anestesia regionale. In seguito Pearson e Greenblatt descrissero un neurostimolatore calibrato in volts e che utilizzava un ago-elettodo elettricamente isolato (De Nicola).

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2.3.1 Il principio della neurostimolazione

Quando un nervo misto è stimolato la componente motoria, le fibre A, richiedono meno corrente per la depolarizzazione di quelle sensitive, le fibre A e C. La depolarizzazione di una fibra nervosa è all'origine del potenziale d'azione, fenomeno elettrico che, a seconda della fibra interessata, evoca una percezione sensitiva o una contrazione muscolare. Lo stimolo capace di provocare la depolarizzazione può essere anche originato da una scarica elettrica esterna. Questa può essere sfruttata per localizzare un nervo, lungo il suo decorso, quando si debba eseguire un'anestesia periferica. L'intensità dello stimolo elettrico capace di causare un potenziale d'azione è un elemento caratteristico per ciascun tipo di fibra. La reobase è l'intensità minima di corrente continua capace di evocare un potenziale d'azione in una fibra nervosa. Anche la durata dello stimolo elettrico è un fattore influente, il quale può essere misurato con la cronassia, che è il tempo minimo d'applicazione di corrente d'intensità doppia della reobase che fa insorgere il potenziale di azione. Dal punto di vista neurofisiologico la cronassia è inversamente proporzionale al grado di mielinizzazione della fibra: quanto maggiore è la mielinizzazione della fibra nervosa, tanto minore sarà la intensità di corrente necessaria per provocarne la depolarizzazione. Le fibre sensitive sono meno mielinizzate delle fibre motrici e la loro cronassia è pertanto

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più elevata. Pertanto, regolando con precisione l'intensità dello stimolo elettrico, si può provocare un potenziale d'azione essenzialmente a livello delle fibre motrici e provocare una contrazione muscolare, senza stimolare fibre sensitive e quindi senza provocare dolore o parestesia (De Nicola, 2005). Quando s'impiega il neurolocalizzatore per localizzare un nervo in pratica si connette un generatore di corrente continua ad un ago-elettrodo isolato la cui punta, scoperta, viene assimilata ad una sorgente elettrica catodica. scegliendo la giusta intensità emessa ed una distanza appropriata, si attiveranno potenziali d'azione che faranno apparire le contrazioni muscolari nell'area di pertinenza del nervo stimolato (De Nicola). L’intensità di corrente necessaria a produrre una risposta motoria è inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra la punta dell’ago ed il nervo (Campoy, 2006).

2.3.2 Lo strumento

il neurolocalizzatore deve essere fornito di un display numerico che indichi l’intensità di corrente erogata, di una spia di batterie scariche e di un segnale visivo e sonoro dell’emissione di ciascun impulso (Foto 2.7). Inoltre è essenziale che l’ago rappresenti il catodo e l’elettrodo cutaneo deve essere collegato all’anodo (De Nicola, 2005).

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Foto 2.7: Neurostimolatore Plexygon, Vygon.

2.3.3 L’ago elettrodo

È opportuno che l’ago sia isolato tranne che alla punta in modo che solo con questa si possa provocare la massima risposta motoria ed eliminare il rischio di trapassare il nervo (Foto 2.8 A). Gli aghi isolati permettono una localizzazione più accurata, con intensità elettrica moderata. Il materiale isolante dovrebbe essere preferibilmente il teflon, il bisello

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deve essere corto e poco tagliente per evitare traumatismi nervosi (Foto 2.8 C). Gli aghi elettrodo monouso devono prevedere una via elettrica (diretta allo stimolatore) e una prolunga iniettiva flessibile, morbida e trasparente in maniera da realizzare il cosiddetto "ago immobile" di Winnie (Foto 2.8 B). In questo modo non appena localizzato il nervo, l'anestesista può iniettare il farmaco senza ulteriori manovre (De Nicola).

Foto 2.8: aghi unipolari isolati per la neurostimolazione. A e B: Plexigon(Vygon); C:Stimuplex (Braun)

2.3.4 Funzionamento

Deve essere applicato l’elettrodo cutaneo non molto distante dal sito di puntura, per ridurre la resistenza elettrica dei tessuti. L'intensità della

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corrente deve essere elevata all'inizio (2 mA), poi diminuita mentre che ci si avvicina al tronco nervoso, fino a che non si raggiunge il valore minimo desiderato (0,5 mA); se a queste intensità si evocano le contrazioni muscolari si è certi di essere nell'immediata prossimità del nervo. È opportuno che l'iniezione sia realizzata in prossimità del nervo, ma a sufficiente distanza da esso per non lederlo. La distanza ideale teorica è di 1 mm circa: a questa distanza, uno stimolo continuo da 50 a 100 s e d'intensità da 0,5 a 1,5 mA scatena adeguati potenziali d'azione nelle fibre motrici. Solo le contrazioni muscolari che compaiono distalmente al sito di puntura hanno un significato. Appena posizionato l'ago si inietta una piccola dose-test di anestetico che, allontanando il nervo, farà scomparire all'istante le contrazioni, confermando l'esatta posizione (De Nicola).

Figura

Figura 2.1.: Punzione epidurale lombo-sacrale.
Figura 2.2: schema di punzione spinale
Figura 2.3: plesso lombo sacrale e sue diramazioni
Foto 2.1: punti di repere e sito di inoculo per il blocco del n. peroneo (Briganti et
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