• Non ci sono risultati.

Dall’osservazione alla cosmologia classificatoria.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Dall’osservazione alla cosmologia classificatoria."

Copied!
44
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 3

Dall’osservazione

alla cosmologia classificatoria.

Nelle pagine precedenti abbiamo cercato di fornire una rassegna delle vicende biografiche, delle opere e non ultima un’indicazione di come si svolgesse l’attività di osservazione di Herschel. In questo terzo capitolo intendo dimostrare che le osservazioni fornirono quella quantità di esemplari che gli permise la compilazione di un vasto numero di cataloghi che trattarono, fra gli altri argomenti, di stelle doppie, e di nebulose. L’organizzazione di questa sezione sarà basata sulla rassegna dei cataloghi presentati alla Royal Society e su quei punti delle altre comunicazioni in cui emergono motivazioni storico- naturalistiche.

Normalmente si dividono gli scritti cosmologici di Herschel in tre fasi, la prima, che coincide con la comunicazione del 1784 in cui si ammetteva l’esistenza sia di strati nebulosi che di strati stellari, la seconda, compresa fra il 1785 e il 1790, in cui s’ipotizzava che le nebulose non fossero altro che agglomerati stellari la cui luminosità fosse affievolita dalla lontananza, ed infine una terza fase dove non solo si ammetteva l’esistenza di una materia nebulosa ma in cui si descrivevano anche le trasformazioni cui essa era sottoposta. Conseguentemente sono generalmente sottolineati i punti di rottura fra le tre fasi. In questo capitolo e nel prossimo, intendo invece, evidenziare le continuità fra queste teorie, pur essendo consapevole delle differenze che innegabilmente ci sono. Ciò che mi propongo di dimostrare è che:

• Si può parlare in Herschel di una cosmologia classificatoria, che fu seguita dalla formulazione di una teoria cosmologica che prevedeva la genesi e lo sviluppo degli esemplari catalogati.

• Quest’ultima fase riassume e integra tutte le osservazioni che Herschel aveva presentato nel corso degli anni alla Royal Society.

(2)

• Infine, alcuni degli elementi attraverso i quali è descritto lo sviluppo degli esemplari sono presenti anche in quegli scritti in cui si articolava l’attività di classificazione.

In questo capitolo mi concentrerò, soprattutto, sulle comunicazioni presentate prima del 1811: i cataloghi di stelle doppie, alcune parti degli studi sulla natura del sole, gli scritti sulla “Construction of the Heavens” ed infine i cataloghi di nebulose; saranno inoltre considerati gli appunti delle osservazioni contenuti nei Journal, e nelle Review. Considero elementi della fase classificatoria sia i cataloghi propriamente detti sia le varie descrizioni di esemplari che possiamo trovare negli articoli presentati nel corso degli anni, anche perché quest’attività è spesso consistita nella ridenominazione di fenomeni conosciuti da tempo. Ad esempio, espressioni come “faculae” e “macchie” furono giudicate non descrittive di quanto era stato visto dall’astronomo sulla superficie solare234. Il prossimo capitolo sarà, invece, dedicato al commento della formulazione

della teoria cosmologica, che, di fatto, coronò l’opera astronomica del nostro autore.

Osservazioni e cataloghi.

Herschel si interessò all’osservazione dei corpi celesti anche perché da subito si era convinto che ciò potesse aiutarlo nello studio della loro natura. Già dalla seconda metà degli anni settanta del settecento egli intraprese l’ispezione delle superfici planetarie, del disco lunare e delle stelle, che fino ad allora erano state spesso trascurate perché considerate semplicemente uno sfondo su cui rilevare i moti planetari. Altrettanto precocemente egli dovette fronteggiare quella che si sarebbe rivelata la maggiore difficoltà di questo genere d’approccio: i corpi celesti sono generalmente inaccessibili all’esperienza dell’osservatore che per questo motivo deve accontentarsi di un’immagine confusa a causa di fattori come la lontananza dell’oggetto, le condizioni atmosferiche del

234 A questo proposito nel 1801 Herschel scrisse:

it will be necessary, before I can enter into a detail of the observations, to give notice that, from an improved knowledge of the physical construction of the sun, I have found it convenient to lay aside the old names of spots, nuclei, penumbrae, faculae, and loculi, which can only be looked upon as figurative expressions that may lead to error.

in corsivo nel testo.

(3)

momento ed i difetti degli strumenti impiegati. Non si può osservare, maneggiare, sezionare una stella, mentre ciò è senz’altro possibile per i minerali, e le piante. Certamente le condizioni osservative sono perfezionabili attraverso l’esercizio, e il possesso di strumenti migliori, anche se nuovi elementi di disturbo continueranno a frapporsi fra l’osservatore e l’osservato. Herschel era, ovviamente, consapevole di questo ostacolo, e più volte cercò di superarlo ricorrendo ad analogie, a dire il vero non sempre convincenti, con oggetti più familiari. Un tale approccio era reso possibile da un’impareggiabile attività di osservazione, che ebbe come risultati la raccolta di specimen e la loro descrizione. La creazione di serie in cui erano inseriti esemplari che condividevano caratteri simili permetteva la loro declinazione secondo la proporzione in cui essi possedevano le proprietà comuni. In questo modo Herschel poté estendere le qualità proprie degli oggetti conosciuti a oggetti meno familiari attraverso analogie, e affermazioni come “le stelle hanno dimensioni analoghe perché sono membri di una stessa specie”235, oppure, “il Sole è abitato da popolazioni adatte a quelle condizioni

come sul nostro pianeta esistono specie animali che prosperano in condizioni ambientali completamente diverse l’una dall’altra, i pesci nuotano, gli uccelli volano”236. La

pignoleria con cui le osservazioni erano condotte rese spesso inaccettabili ai suoi occhi nomi e categorizzazione ritenute valide e consolidate dai più, e ciò gli costò spesso il biasimo dei contemporanei. Le recensioni di Brougham apparse sulle Edinburgh Review del 1803 e citate nel primo capitolo237 furono solamente il colmo di una serie di episodi.

Il primo dei cataloghi presentato alla Royal Society fu il “Catalogue of Double stars”, letto il 10 gennaio del 1782. La presentazione di quest’opera seguì di poco più di un mese “On the Parallax of the fixed stars” comunicato il 6 dicembre 1781, lo stesso giorno in cui era avvenuta l’elezione di Herschel a fellow di quella Society. La successione delle comunicazioni non fu affatto casuale poiché era proprio la misurazione della parallasse la finalità che l’osservazione di stelle doppie avrebbe dovuto soddisfare.

235Si veda, ancora una volta la lettera di Herschel a Maskelyne, 28 aprile 1782

RAS MS Herschel W. 1/1 pp. 39- 40.

236W. Herschel (1795) in HSP (2003), vol. 1, p. 481. 237 H. Brougham (1803) citato in C. Lubbock (1933), p. 282

(4)

Affinché ciò potesse realizzarsi erano necessarie coppie di stelle i cui componenti fossero molto vicini l’uno all’altro, mentre quelle coppie che fossero apparse separate da una maggiore distanza angolare si sarebbero comunque dimostrate utili per la determinazione del moto del sistema solare238. In entrambi i casi si trattava di

individuare gli effetti parallattici causati dallo spostamento dell’osservatore. La fiducia nell’utilità di quegli esemplari era basata sull’assunzione che tutte quelle stelle possedessero caratteri comuni la cui gradazione avrebbe permesso la corretta interpretazione delle osservazioni. Queste ultime furono condotte durante una rassegna che si svolse principalmente fra il 1779 e il 1781 e come sappiamo la scoperta di Urano non fu altro che una loro conseguenza non prevista. Quanto interessa in queste pagine è il modo in cui i risultati furono resi noti. Il fenomeno delle stelle doppie era conosciuto già da tempo e anche se esse non erano state ancora catalogate erano già state avanzate alcune ipotesi sulle loro cause, su tutte quella presentata nel 1767 da Michell che su basi probabilistiche negava che si trattasse di un fenomeno puramente ottico e ipotizzava che quelle coppie fossero legate da veri e propri vincoli fisici. Lo scritto di Michell fu sottoposto a Herschel da Maskelyne, e sarà interessante evidenziare, brevemente, le diverse implicazioni dei punti di vista di questi due autori. Anche Michell prevedeva l’esistenza di uno standard medio di grandezza delle stelle, d’altro canto lo stesso Herschel ammetteva variazioni nelle loro dimensioni. Ciò che emerge è che in Michell i componenti della coppia, o di un gruppo, sono attratti da una stella dotata di massa superiore rispetto alle altre. Coppie, raggruppamenti e clusters di stelle corrispondono quindi a legami fisici, e le stesse nebulose non sarebbero altro che aggregati stellari lontani; il nostro sistema solare è anch’esso inserito in una formazione di stelle più grande. Molti anni prima di Herschel, Michell era dunque convinto, su argomentazioni probabilistiche, della composizione stellare delle nebulose, dell’esistenza di universi isola, e infine della natura fisica delle stelle doppie che, come previde nel 1784, avrebbero mostrato l’esintenza di un legame fisico fra i loro componenti attraverso le

(5)

rivoluzioni reciproche239. Anni dopo Herschel osservò realmente quelle rivoluzioni240. Il

legame che egli sembra avere con Michell non si limitò a questa scoperta ma riguardò buona parte della sua cosmologia. Almeno nell’immediato la fiducia nei presupposti teorici da lui adottati mantenne in Herschel la convinzione che le stelle doppie non fossero altro che illusioni ottiche dovute ad allineamenti casuali, e che quantomeno fosse troppo presto per considerarle compagne, “comites”, l’una dell’altra, come invece aveva fatto in precedenza Flamsteed, poiché con questa parola si indicava l’unione reale all’interno della coppia241 anche se nelle sue prime annotazioni a riguardo lo stesso

Herschel non aveva disdegnato di usare proprio quel termine per indicare i componenti della coppia242.

Questa divagazione sul problema delle stelle doppie, ci porta a considerare una lettera scritta da Herschel a Maskelyne in risposta alle critiche fatte da quest’ultimo allo scritto sulla stima della parallasse delle stelle. Nel rispondere al Royal Astronomer, Herschel affermò che le stelle, ed in generale i diversi rappresentanti di una stessa specie, dovessero possedere caratteri comuni. Torneremo a parlare di questa lettera, e delle riflessioni in essa contenute, anche nei prossimi capitoli, per adesso mi limiterò a considerare le diverse interpretazioni del fenomeno delle stelle doppie di Herschel e Michell. Partendo da presupposti comuni furono raggiunte conclusioni molto diverse: Michell ammise che nell’universo le stelle potessero legarsi l’una all’altra attraverso il vincolo della gravità, mentre l’altro concluse che quelle coppie non fossero altro che semplici apparenze: effetti ottici di un allineamento casuale. Di conseguenza non condividendo la spiegazione del fenomeno i due proposero anche applicazioni diverse:

239 J. Michell, Philosophical Transactions of the Royal Society of London, Vol. lxxiv. (1784), pp. 56- 7. 240 Anche se le prime annotazioni in merito all’avvistamento di movimenti reciproci all’interno di una

stella doppia risalgono al 1780 a proposito di ! Lyrae e di ! Bootis si veda ad esempio, RAS MS Herschel W. 2/1. 2, p. 18, Herschel riuscì a percepire il movimento degli elementi di alcune stelle doppie solamente all’inizio del XIX° secolo e comunicò questo risultato nel 1803 in “Account of the Changes That Have Happened, during the Last Twenty-Five Years, in the Relative Situation of Double-Stars; With an Investigation of the Cause to Which They Are Owing”in W. Herschel (1803) in HSP (2003), vol. 2, pp. 250- 176

e in “Continuation of an Account of the Changes That Have Happened in the Relative Situation of Double Stars”,W. Herschel (1804b) in HSP (2003), vol. 2, pp. 277- 296

241W. Herschel (1782b) in HSP (2003), vol. 1,p. 90. 242 RAS MS Herschel W. 2/1.3 p. 33.

(6)

per il primo la forza attrattiva avrebbe potuto interferire con l’emissione della luce243, in

Herschel la stella apparentemente più piccola, e quindi più lontana, avrebbe fornito un punto di riferimento per identificare il moto parallattico dell’altra.

Abbiamo già accennato ai presupposti teorici che animarono i cataloghi di stelle doppie, e alle contraddizioni che li accompagnarono nel corso degli anni, ciò che nell’immediato ci interessa mettere in rilievo è l’aspetto tecnico della catalogazione degli esemplari al loro interno. La collezione fu organizzata in sei classi in cui dalla sesta alla prima diminuiva progressivamente la distanza angolare fra i componenti delle coppie244.

Quelle coppie apparentemente separate da una minore distanza ma i cui componenti fossero stati di magnitudini molto diverse erano da considerarsi le migliori candidate alla risoluzione del problema della parallasse, anche se allo stesso tempo esse erano le più difficili da osservare. La piccola distanza angolare avrebbe assicurato l’irrilevanza delle varie aberrazioni, perché comuni ad entrambi i componenti, mentre la differente grandezza avrebbe testimoniato le loro diverse distanze dall’osservatore, e garantito la possibilità di prendere la stella più piccola come un punto di riferimento. Data la difficoltà legata alla loro osservazione, la classificazione adottata da Herschel avrebbe dovuto fornire una sorta di algoritmo per gli aspiranti osservatori di questo genere di fenomeni: dopo aver esaminato gli elementi della terza categoria si sarebbe potuti passare a quelli della seconda e soltanto alla fine, dopo aver compiuto questo esercizio si sarebbe potuto puntare il telescopio sugli esemplari della prima classe. Si tratta sostanzialmente di una catalogazione basata sulla descrizione degli esemplari, resa possibile dall’idea che si trattasse di oggetti appartenenti a una stessa specie. Probabilmente già da questi primi anni il principio della uniformità dei caratteri fisici delle stelle serviva a Herschel come strumento euristico, sia per le supposizioni riguardanti la loro distanza dall’osservatore, sia per garantire la fondatezza delle analogie formulate. Possiamo, infatti, ipotizzare che il ricorso a caratteri specifici avesse fornito un mezzo per ovviare a quelle difficoltà derivanti dalla irraggiungibilità dei corpi celesti. Sullo stesso presupposto sono basati i cataloghi di comparazione della luminosità

243 J. Michell, Philosophical Transactions of the Royal Society of London, Vol. 74. (1784), p. 50. 244 Un ruolo importante nella classificazione aveva anche la differenza delle loro magnitudini apparenti.

(7)

delle stelle che saranno comunicati alla Royal Society a partire dal 1796. Le osservazioni relative a questo aspetto dell’astronomia comparvero negli appunti a partire dal 1780245, e derivavano dalle tante situazioni in cui quanto era stato visto si discostava

da quanto era riportato nei cataloghi di Flamsteed, Bode e di altri. L’essersi trovato più volte davanti a stelle nuove (non incluse negli atlanti precedenti), a cambiamenti di magnitudini, o a stelle perdute246 convinse Herschel dell’opportunità di determinare

l’esistenza e l’entità del moto solare, di redigere un indice all’Atlas Coelestis di Flamsteed, e infine di confrontare la luminosità delle stelle. I cataloghi di comparazione della luminosità delle stelle erano organizzati per costellazioni i cui componenti erano ordinati per magnitudine decrescente. Herschel biasimava i propri predecessori per aver attribuito alle stelle lettere che non ne rispecchiavano affatto la magnitudine, ma che rispondevano soltanto alla loro volontà di riconoscerle fra le altre. In questo modo essi avevano adottato delle classificazioni che rendevano difficile l’individuazione dei cambiamenti proprio perché le magnitudini delle stelle non erano state considerate adeguatamente. Al contrario, in un ordine in cui queste ultime fossero state inserite in una successione, eventuali mutamenti si sarebbero mostrati attraverso l’alterazione della sequenza. Tacitamente il nostro astronomo mantenne in questi cataloghi l’ideale uniformità delle dimensioni degli individui di una stessa specie. Era cosa nota che le costellazioni non fossero altro che raggruppamenti puramente arbitrari, e lui stesso si era lamentato della mancanza di uno standard naturale su cui organizzare la catalogazione delle stelle in magnitudini247. Herschel aveva in più occasioni avvertito della necessità di

introdurre nell’astronomia la dimensione della profondità, poiché senza di essa

245 RAS MS Herschel W. 2/1.2 p. 6.

246 In proposito si veda ad esempio l’annotazione del 7 febbraio 1782

The 3d ! Cancri is lost. The place in the Heaven is so remarkable that there can be no mistake for the other two !’s are there to point it out

RAS MS Herschel W. 2/1.4 p.2 e l’annotazione del 5 marzo 1782

56 Cancri is lost or at least so changed as not to be known, there is not far from the place where it should be a very obscure telescopic star not visible in the finder but with the compound piece.

RAS MS Herschel W. 2/1.4 p. 6. Nel primo caso abbiamo un esempio di stella perduta, nell’altro di un cambiamento di magnitudine talmente importante da far supporre che quella stella fosse anch’essa scomparsa se non fosse per la presenza nelle vicinanze di una stella molto più piccola.

(8)

diventava impossibile stabilire la reale natura dei corpi celesti. Questa presa di posizione fu espressa chiaramente già nel 1784, quando nel primo scritto dedicato alla Construction of the Heavens egli scrisse:

Hitherto the sidereal Heavens have, not inadequately for the purpose designed, been represented by the concave surface of a sphere, in the center of which the eye of an observer might be supposed to be placed. It is true, the various magnitudes of the fixed stars even then plainly suggested to us and would have better suited the idea of an expanded firmament of three dimensions; but the observations upon which I am now going to enter still farther illustrate and enforce the necessity of considering the heavens in this point of view. 248

Dunque l’astronomia da lui praticata richiedeva non soltanto la collocazione dell’oggetto all’interno della griglia fornita dalle due coordinate di ascensione retta e declinazione polare, ma aveva bisogno anche della stima della reale distanza dei corpi celesti dall’osservatore. Data per scontata l’esistenza di uno standard medio di grandezza rispettato dai membri di una stessa specie, si potrà, quindi, dedurre dall’osservazione la distanza della stella considerata, classificare gli esemplari in ordini di magnitudini apparenti, cercare quegli individui il cui moto fosse più facilmente individuabile, oppure, nel caso di altre tipologie di oggetti, comprenderne la natura e infine stabilire l’avanzamento del processo di formazione cui quegli esemplari erano sottoposti. Ciò è quello che Herschel ha fatto nel corso degli anni. Quello che vorrei evidenziare in queste righe è che l’individuazione di un carattere comune ha probabilmente svolto un ruolo importante nella stesura dei tanti cataloghi presentati alla Royal Society, permettendo di declinare gli esemplari raccolti secondo una gradazione. La presunzione che all’interno di una stessa specie gli elementi si conformino a caratteristiche comuni permise la collezione di stelle doppie, la comparazione della luminosità delle stelle, i cataloghi di nebulose, e soprattutto rese possibile una loro applicazione pratica che fosse comprensibile alla luce dell’agenda seguita dalla comunità astronomica di quel periodo.

(9)

Senza questa premessa Herschel molto probabilmente si sarebbe dovuto accontentare della sola osservazione rinunciando alla possibilità di interpretare i fenomeni, senza cioè poter giungere alla fine della propria carriera a una teoria cosmologica che interessasse la forma della Via Lattea, le stelle variabili, le manifestazioni sulla superficie solare, la formazione delle nebulose, delle stelle e delle galassie, le comete e gli oggetti ambigui. Nel secondo scritto dedicato alla “Construction of the Heavens”, del 1785, Herschel confessò che preferiva peccare di troppa astrazione, piuttosto che accontentarsi di un’osservazione sterile perché non accompagnata da una teorizzazione fondata sui dati raccolti249. Si potrebbe pensare che per buona parte della vita il nostro astronomo abbia

contraddetto le sue stesse dichiarazioni, limitandosi a organizzare gli esemplari, e rimandando la loro interpretazione ad un momento successivo. Certamente nel momento in cui faceva quelle asserzioni Herschel non poteva sapere che anni dopo avrebbe parlato dei cataloghi di nebulose da lui redatti paragonandoli a una biblioteca in cui regnasse un ordine del tutto arbitrario250, e che tuttavia avrebbe mantenuto quella stessa

organizzazione anche nell’ultimo catalogo. La realizzazione di quella teorizzazione senza la quale l’osservazione sarebbe stata inutile, fu apparentemente procrastinata fino al 1811, vale a dire per venti anni dopo che la scoperta di un esemplare oggi conosciuto come NGC1514 aveva determinato il rifiuto delle teorie precedenti. L’osservazione e la descrizione degli oggetti lo dotarono dei dati necessari alle sue speculazioni, ma senza una base teorica adeguata Herschel non avrebbe saputo intraprendere una corretta attività di catalogazione. I cataloghi astronomici non sono nati con le sue osservazioni: persino le nebulose, cui egli dedicò gran parte delle proprie riflessioni, erano già state osservate, e classificate. Questo esempio può, anzi, aiutarci a chiarire il nostro punto di vista: nel 1780 e nel 1781 Messier e Mechain pubblicarono le Connoissances des temps in cui erano contenuti 103 esemplari, ancora oggi noti con il suffisso M (Messier) e fu proprio l’opera dei due francesi a spingere Herschel a interessarsi a questo genere di oggetti, anche se aveva già osservato alcuni esemplari. Ciononostante quel catalogo non era altro che una mappatura delle nebulose ed era finalizzato soprattutto ad aiutare i

249 W. Herschel (1785b) in HSP (2003), vol. 1, p. 223. 250 W. Herschel (1802b) in HSP (2003), vol. 2, p. 199.

(10)

cercatori di comete a distinguere fra le due tipologie di oggetti. Allo stesso modo in passato erano già state avanzate alcune ipotesi sulla reale natura delle nebulose; da un lato alcuni, come Halley, credevano che esse fossero formate da un fluido, mentre altri partendo dalla natura stellare della Via Lattea, erano convinti di poter stabilire un’identità fra le nebulose e gli ammassi di stelle251. In un primo tempo Herschel si

limitò a osservare le 103 nebulose contenute nelle Connoissances, confrontando le descrizioni che vi erano riportate con ciò che lui stesso riusciva a vedere. Presto si accorse che molti di quegli esemplari definiti “Nébuleuses sans étoiles”, in realtà contenevano stelle, ed in un primo momento ipotizzò la coesistenza di nebulose vere e proprie, e ammassi di stelle. I cambiamenti teorici del 1785 e del 1790 si ebbero in seguito a osservazioni di esemplari che mostravano, ovviamente in maniera diversa, la connessione fra una parte risolvibile in stelle e una non risolvibile. Se Herschel non fosse stato convinto dell’uniformità delle dimensioni di questo genere di oggetti non avrebbe potuto concludere alcunché sulla risolvibilità o meno delle nebulose. Come sarebbe altrimenti possibile stabilire se una macchia nebulosa intorno a una stella sia composta da stelle o se invece sia un fluido che circonda una stella? Questa alternativa fu proposta dallo stesso Herschel di fronte alla nebulous star osservata nel 1790. Allo stesso modo come sarebbe possibile stabilire che all’interno di una coppia di stelle la minore è anche la più lontana? Senza questo principio teorico le tante coppie di stelle sarebbero state inservibili. Il fatto che esso sia stato così centrale nell’opera di Herschel spiega l’atteggiamento ambiguo con cui fu trattato: in alcune circostanze fu affermato con forza, in altre vennero ammesse delle eccezioni, infine negli ultimi scritti tornò a essere sostenuto, anche se talvolta con minore convinzione rispetto al passato. Al di là della necessità di trovare un modo per interpretare i fenomeni osservati, l’assunzione che elementi della stessa specie potessero rispondere a caratteristiche comuni fu estesa anche alla classe di nebulose. Questo principio, insieme alla convinzione che queste ultime fossero destinate ad acquisire con il tempo una figura globulare permise di calcolare la

251 Ad esempio Michell nel 1767, pur non nominando la Via Lattea, affermò che le nebulose che non

mostravano stelle al loro interno non erano altro che aggregati stellari resi fievoli dalla distanza. J. Michell, Philosophical Transactions of the Royal Society of London, Vol. 57. (1767), p. 251.

(11)

distanza di questi oggetti (sulla base delle loro dimensioni apparenti), e di misurare l’avanzamento del processo di formazione (stimando la sfericità della loro forma). Herschel investì tanto in questa ipotesi da paragonare la stima dell’avanzamento della condensazione delle nebulose alla nozione di età. Se si considerano omogenee le caratteristiche delle nebulose potremo riconoscere i passi in cui la condensazione si è attuata. Nel caso dei cluster, la forma più o meno globulare testimonierà della reale attuazione del processo, mentre la conoscenza delle condizioni iniziali permetterà la misurazione del tempo d’azione della forza aggregante. Inoltre la presenza all’interno di alcune nebulose risolvibili di stelle dalle magnitudini determinabili aiuterà a valutare la loro distanza dall’osservatore. Ad esempio, se in un agglomerato sono presenti stelle dell’ottava magnitudine, mentre in un altro sono distinguibili soltanto elementi della dodicesima, si potrà ipotizzare che il primo è più vicino dell’altro. Questa conclusione è valida, ovviamente, soltanto se si pensa che l’apparenza nebulosa sia dovuta alla presenza di stelle condensate molto lontane dall’osservatore mentre sarebbe destinata a cadere se si ipotizzasse la coesistenza di stelle e materia nebulosa all’interno di quell’esemplare. In generale se si stabiliscono caratteristiche simili sarà possibile ragionare per analogia, ed estendere qualità osservabili in un oggetto anche agli altri appartenenti alla stessa classe. Ad esempio, nel caso delle stelle e del sole si potrà ipotizzare, da quanto sappiamo di quest’ultimo, che anche le prime abbiano una rotazione intorno al proprio asse, oppure che anche esse siano il centro attrattivo di un proprio sistema planetario. Viceversa da quanto osserviamo nelle stelle possiamo ipotizzare che anche il Sole abbia un moto proprio e che possa attraversare momenti di variabilità della luminosità. Se ricordiamo la preoccupazione di Herschel verso i due possibili errori, e consideriamo la distinzione all’interno della sua cosmologia in due momenti distinti, allora quel brano non sembra essere stato contraddetto dal suo comportamento. Nel corso dell’osservazione cos’altro è la teorizzazione se non la descrizione degli esemplari seguita dalla loro interpretazione, e infine dal loro inserimento in classi adeguate? Il fatto che una teoria cosmologica completa sia arrivata soltanto successivamente, quando già le osservazioni e i cataloghi erano ormai finiti, testimonia, e non contraddice, quanto affermato riguardo la necessità di unire la pratica

(12)

osservativa alla speculazione. Ripercorrendo l’alternarsi delle sue asserzioni a riguardo incontriamo inizialmente252 la volontà di evitare un elenco di osservazioni sterile perché

non sorretto dalla riflessione del gentleman of science, successivamente253ci viene

confidato che i cataloghi da lui presentati non rispecchiano la reale natura degli esemplari. Tutto ciò non esclude la possibilità che Herschel sia successivamente tornato a organizzare gli esemplari, in una serie di classi che non solo fosse maggiormente rispettosa della loro natura ma che ne mostrasse il processo di sviluppo; cosa che egli fece realmente. I due scritti del 1811254 e del 1814255, infatti, non sono altro che una

nuova sistematizzazione degli esemplari contenuti nei tre cataloghi di nebulose presentati precedentemente (1786256, 1789257; 1802258). La differenza rispetto alle tre

collezioni era che questa volta, la presentazione degli specimen era accompagnata dalla spiegazione delle singole fasi del processo cosmologico, ed i vari individui non erano altro che modelli dei diversi istanti di sviluppo. Una suggestione simile era contenuta nel catalogo del 1789 quando Herschel paragonò l’universo ad un giardino in cui fosse possibile raccogliere diversi esemplari per ognuna delle fasi di crescita di una stessa pianta259. Quella volta l’idea era stata solamente suggerita, negli ultimi anni di vita

dell’astronomo essa trovò finalmente un’attuazione. Assistiamo, quindi, ad un continuo

252W. Herschel (1780) in HSP (2003), vol. 1, p. LXXXII.

W. Herschel (1785b) in HSP (2003), vol. 1, p..223.

253 W. Herschel (1802b) in HSP (2003), vol. 2, p. 199.

254“Astronomical Observations Relating to the Construction of the Heavens, Arranged for the Purpose of a

Critical Examination, the Result of Which Appears to Throw Some New Light upon the Organization of the Celestial Bodies” W. Herschel (1811) in HSP (2003), vol. 2, pp. 459- 497

255 “Astronomical Observations Relating to the Sidereal Part of the Heavens, and Its Connection with the

Nebulous Part; Arranged for the Purpose of a Critical Examination” W. Herschel (1814) in HSP (2003), vol. 2, pp.520- 541

256 “Catalogue of One Thousand New Nebulae and Clusters of Stars”.

W. Herschel (1786) in HSP (2003), vol. 1, pp. 260- 303.

257 “Catalogue of a Second Thousand of New Nebulae and Clusters of Stars; With a Few Introductory

Remarks on the Construction of the Heavens”.

W. Herschel (1789b) in HSP (2003), vol. 2, pp.329- 369.

258 “Catalogue of 500 New Nebulae, Nebulous Stars, Planetary Nebulae, and Clusters of Stars; With

Remarks on the Construction of the Heavens”.

W. Herschel (1802b) in HSP (2003), vol. 2, pp.199- 237.

(13)

impegno teorico che si rivelò necessario all’interpretazione delle osservazioni e che riguardava non soltanto ciò che l’astronomo aveva visto ma anche le conclusioni che egli era disposto ad adottare. Nel succedersi delle diverse fasi cosmologiche troviamo la realizzazione di quelle stesse affermazioni metodologiche attraverso l’osservazione e l’organizzazione degli esemplari in un ordine provvisorio, che viene ripreso e modificato a distanza di tempo, una volta terminata la fase osservativa.

All’inizio del capitolo abbiamo parlato della pignoleria di Herschel come osservatore. Non è altrimenti definibile il modo in cui nel corso degli anni egli tornò sugli oggetti problematici che si offrivano ad interpretazioni diverse. Proprio quegli oggetti furono la causa determinante dell’abbandono di teorie fino a allora considerate vere, e se non bastarono da soli a confutarle furono comunque tenuti in considerazione come elementi di dubbio su cui il nostro autore riteneva opportuno tornare più di una volta260, oppure

che richiedevano la formulazione di nuovi termini in grado di descriverli nel migliore dei modi possibili. Proprio sull’importanza della terminologia nella cosmologia herscheliana verterà la prossima sezione, in cui descriveremo alcuni casi in cui egli propose nuovi termini per nuovi oggetti, oppure creò neologismi per indicare fenomeni conosciuti da tempo. A ogni nuova definizione corrispose un rompicapo per Herschel e noi faremo tesoro proprio di alcuni di questi momenti di crisi perché questi episodi mostrano la connessione fra osservazione, descrizione, e catalogazione degli esemplari meglio di ogni altra citazione che si possa ricavare dai testi. La stessa diffidenza con cui spesso vennero accolti questi cambiamenti terminologici ci aiuterà a capire quanto questi aspetti fossero importanti nell’opera di Herschel e quanto abbiano influenzato la sua cosmologia.

La denominazione come interpretazione degli esemplari.

Come abbiamo visto nelle pagine precedenti l’interpretazione dei dati raccolti comportava in Herschel un tentativo di denominazione che richiedeva la descrizione

260 Si consideri come esempio la regola di prudenza esposta in

(14)

dell’esemplare, nel caso in cui il termine avesse riguardato una sua caratteristica, oppure il suo inserimento in nuove classi o specie appositamente create, quando l’oggetto si fosse presentato con aspetti non coerenti con le spiegazioni offerte dalla teoria astronomica. La lettura degli appunti presi durante le osservazioni può offrire un’ampia gamma di esempi in cui la ricerca del termine più adatto impegnò seriamente l’astronomo. Ritengo che la soluzione migliore sia per noi scegliere alcuni casi rappresentativi e vedere come egli avesse affrontato i problemi che quegli esemplari comportavano: la nebulosa in Orione (M42), l’adozione dei termini che in quelle pagine indicavano i diversi tipi di nebulose, i fenomeni osservabili sulla superficie solare e infine il rompicapo offerto dalla scoperta di Ceres e Pallas.

• La nebulosa in Orione.

Il caso della nebulosa in Orione è particolarmente significativo, sia per le diverse interpretazioni che di questo esemplare furono date sia perché essa catturò da subito l’attenzione dell’astronomo, che più volte tornò a raffigurarla nel corso degli anni.

Un’immagine di questa nebulosa comparve già nella prima pagina del primo giornale astronomico di Herschel quando all’inizio del marzo 1774 egli si accorse di alcune differenze nella sua forma rispetto al disegno che Smith ne aveva tracciato nell’Optiks. In ciò egli vide la dimostrazione che fra i corpi celesti avvenivano realmente dei cambiamenti, e comprese la necessità di osservare costantemente l’esemplare, con particolare attenzione per la sua forma e la sua posizione rispetto alle stelle della costellazione di Orione poiché solamente un esame prolungato nel tempo avrebbe potuto evidenziare le diversità rispetto alle figure del passato.

(15)

Figura 9 primo disegno di M42 del 1 marzo 1774261

Stando alle raffigurazioni sembra che nei primi anni Herschel abbia rispettato l’impegno che si era preso disegnandola nel 1774, nel 1776 e nel 1777, successivamente tornò a dipingerne la figura nel 1783 e nel 1811. Pur essendo conosciuto da tempo questo esemplare non fu subito chiamato Nebula, ma fu inizialmente indicato come macchia lucida: “Lucid Spot”. Nelle prime osservazioni, infatti, la parola Nebula non fu mai usata e comparve negli appunti soltanto all’inizio del 1777 in corrispondenza della terza figura della nebulosa; da quel momento la dizione “Lucid Spot” che era stata usata in precedenza per registrare le osservazioni venne abbandonata definitivamente.

La M42 richiamò l‘attenzione di Herschel in misura pressoché costante. Oltre alle cinque immagini elencate, gli appunti ne registrarono in varie occasioni la figura e la sua collocazione rispetto alle stelle. Contrariamente alle aspettative a mutare furono soprattutto le conclusioni raggiunte. Alla percezione di un’iniziale diversità rispetto alle immagini contenute nell’Opticks di Smith, seguì una fase di apparente staticità e più

(16)

volte le annotazioni registrarono una ricerca di alterazioni che restava puntualmente infruttuosa. Quello che in una delle comunicazioni alla Royal Society è definito uno dei più begli oggetti dell’universo262 può rivelarci come mutarono le considerazioni di

Herschel a proposito della natura delle nebulose. Questo esemplare continuò a apparire occasionalmente nei registri delle osservazioni, anche in quei periodi in cui le nebulose non erano più al centro dell’attenzione. Come abbiamo visto, da subito il suo aspetto, oltre al fatto che fossero reperibili sue descrizioni del passato, avevano convinto Herschel dell’utilità di un’osservazione regolare per dimostrare che il cielo fosse teatro di cambiamenti. Proprio in cerca di alterazioni il telescopio fu più volte puntato nella sua direzione. Questa ricerca sembrò trovare finalmente un riscontro l’8 gennaio 1783 quando in un’annotazione leggiamo:

! Orionis the Nebula quite different from what it was last year.263

Successivamente, quando la convinzione della composizione stellare delle nebulose rendeva inverosimile il riuscire a osservarvi delle alterazioni, la nebulosa in Orione tornò a essere osservata nel tentativo di stabilire se esistesse una connessione fra l’aurea nebulosa e le stelle. Nel corso degli anni l’oggetto fu quindi classificato sia come nebulosa composta da una qualche materia fluida sia come cluster composto da stelle particolarmente compresse e distanti.

Nel 1810 Herschel esaminò sia la M42 che l’esemplare più piccolo M43 che le era vicino. A suo avviso quest’ultimo non doveva essere considerato una nebulous star, non essendo altro che una stella allineata con la nebulosità lattea senza essere legata a essa da nessuna connessione fisica, infatti non era percepibile né una condensazione verso la

262 W. Herschel (1784b) in HSP (2003), vol. 1, p. 160.

Nella stessa descrizione Herschel parlava della M42 sottolineandone anche l’inesplicabilità.

263 RAS MS Herschel W. 2/1.5 p. 29.

Qualche mese dopo Herschel parlò di cambiamenti sorprendenti avvenuti nella M42, RAS MS Herschel W. 2/1.7 p. 4.

Altri cambiamenti furono percepiti da Herschel nella posizione della nebulosità rispetto alle stelle vicine nel 1803

(17)

stella né, tanto meno, quest’ultima era situata in una posizione centrale264. Nel 1810

stava ormai maturando la teoria che prevedeva la formazione delle stelle dalla condensazione del fluido nebuloso, e non è quindi un caso che fra i caratteri distintivi delle nebulous stars egli avesse considerato proprio la condensazione della materia nebulosa che desse l’apparenza di una stella posta in posizione centrale. L’importanza data a questo esemplare fece sì che ad esso fosse riservato un ruolo chiave all’interno di ciascuna delle fasi cosmologiche: paradigma delle nebulosità lattea (milky nebulosity) nella prima, rompicapo che mal si adattava alla classificazione adottata265, e infine uno

degli esemplari della specie nebulosità estesa (unita a nebulosità di dimensioni più limitate)266, o meglio, uno degli estremi della serie di oggetti celesti da lui organizzata

attraverso gli scritti del 1811 e del 1814.

• I tipi di nebulose.

In un’annotazione del 1780 era riferita la necessità di osservare alcune nebulose, di delinearne la forma e di contare le stelle individuabili al loro interno. Prima di allora solamente la nebulosa in Orione aveva ricevuto l’attenzione dell’astronomo, che segnalava la possibilità di individuare dei cambiamenti in essa. Le altre, forse per mancanza di una letteratura adeguata, non gli avevano suggerito la stessa idea, ma da subito lo incuriosirono e lo forzarono a porsi il quesito riguardo la loro natura. La composizione stellare della Via Lattea era nota ormai da tempo, e anche molte delle altre nebulose offrivano al telescopio la visione di innumerevoli stelle altrimenti invisibili a occhio nudo; ciò avrebbe potuto bastare a convincere l’osservatore che quelle macchie lucide non fossero altro che distanti insiemi di stelle. Tuttavia altri esemplari resistevano all’osservazione, non mostrando stelle, né nient’altro che potesse farne sospettare la presenza, allo stesso tempo erano riconoscibili alcuni tipi di nebulose che mostravano

264 Un appunto simile si trova anche nelle annotazioni del 16 ottobre 1784 quando Herschel scrisse che The 43d is not a nebulous star; the star not being at all in the center of it my little one is near it makes a part of it. It is altogether the most wonderful object in the heavens.

RAS MS Herschel W. 2/1.10 p. 38.

265 Si tratta di un commento a posteriori contenuto in W. Herschel (1791) in HSP (2003), vol. 1, p. 423

Si può anche vedere la descrizione contenuta in W. Herschel (1785b) in HSP (2003), vol. 1, p. 256.

(18)

caratteri diversi rispetto a quelli osservabili negli altri esemplari. Queste difficoltà portarono alla formulazione, e al successivo abbandono di teorie che ora ammettevano, ora negavano l’esistenza della vera nebulosità. Il fatto che nel corso degli anni si fossero presentati alcuni esemplari inseribili in alcune tipologie riconoscibili, e denominati con termini che senza spiegarne la natura, ne descrivevano perfettamente l’aspetto ci mostra come Herschel avesse tentato di superare gli ostacoli rappresentati dagli esemplari problematici. Questi termini non gli permisero di formulare da subito una classificazione corretta, ma resero possibile il riconoscimento e l’indicazione degli oggetti, sveltendo la registrazione delle osservazioni senza rinunciare a una loro completa descrizione. In queste pagine mi occuperò della formulazione di alcuni di questi termini, in seguito tornerò sulle difficoltà relative alla classificazione delle nebulose considerando i casi in cui l’esame di oggetti dalle caratteristiche particolari (m27 e NGC 1514) determinò la successione delle teorie.

Termini come Cometic o Planetary nebulae avevano senza alcun dubbio l’enorme merito di esprimere con il minor numero possibile di parole i tratti caratterizzanti degli oggetti osservati: la loro somiglianza con comete o pianeti relativamente ad alcune qualità che rientravano nella definizione di quella categoria. In realtà la terminologia usata per indicare le nebulose non interessò soltanto la somiglianza con altre tipologie di corpi celesti. La prima distinzione riguardò gli esemplari risolvibili in stelle e quelli che mostravano una nebulosità lattea non risolvibile (Milky Kind), come quella della M42. Successivamente negli appunti comparvero termini come “miniatures” e denominazioni che indicavano le diverse forme degli oggetti. La dizione “miniature” doveva indicare che l’oggetto considerato mostrava proprietà molto simili a quelle possedute da altri esemplari cui era stato confrontato, pur essendo molto più piccolo rispetto ad essi, una miniatura appunto, probabilmente a causa della sua maggiore distanza. Al contrario, l’uso di nuove dizioni, ad esempio le già citate cometic e planetary nebulae permetteva di rivelare una somiglianza evidente con altre categorie di oggetti, ma che, altrimenti, sarebbe stata esprimibile solamente attraverso una lunga perifrasi. Il fatto che questi nomi fossero puramente descrittivi si dimostra aggiungendo che, ad esempio, le nebulose planetarie subirono nel corso degli anni uno stravolgimento della loro

(19)

spiegazione e del loro inserimento all’interno della teoria cosmologica, anche se quella denominazione continuò a essere usata per indicare la classe di quegli oggetti che mostrassero sotto certi caratteri una forte somiglianza con i dischi planetari. La storia dell’utilizzo di alcuni di questi termini potrà servire, quindi, a dimostrare che la cosmologia di Herschel ha realmente attraversato anche una fase classificatoria.

Il termine “Nebulous Star” comparve piuttosto precocemente negli appunti. Esso fu usato già nel 1781, al momento della scoperta di Urano, quando Herschel non sapeva decidere se considerare il nuovo oggetto una nebulous star oppure una cometa. In realtà malgrado questa precocità il termine non fu da subito usato uniformemente, visto che in quei primi anni sembrava essere interscambiabile con un altro termine: cloudy star. Un’eventuale caratterizzazione riguardava semmai quest’ultimo poiché sembrava indicare quegli esemplari in cui fosse più evidente la somiglianza con le comete. Leggendo quanto scritto negli appunti gli oggetti per cui il termine nebulous star era usato, come la M43, potevano essere, perfino negli anni dei suoi ultimi scritti, nient’altro che stelle casualmente avvolte dalla nebulosità circostante. Quando, però, nel 1790 Herschel vide un esemplare in cui era evidente la connessione fra la materia nebulosa e il corpo centrale fu pronto a cambiare l’interpretazione del fenomeno pur mantenendo la stessa denominazione: le nebulous stars, cui aggiunse, nel titolo della comunicazione, la dizione “properly so called”267 divennero un passo intermedio del processo che dalla

nebulosità sparsa portava alla formazione delle stelle.

Una storia ancora più interessante riguarda il termine “planetary”, che da subito fu utilizzato per indicare una forte rassomiglianza con i dischi planetari. Esso fece la propria comparsa negli appunti nel 1783 e inizialmente venne riferito anche alle stelle, ad esempio la 19 Canis Majoris era detta avere una “planetary appearance”268. Nel

settembre del 1782 Herschel vide uno strano oggetto vicino a ! Aquarii. Inizialmente la definì come una “Curious nebula”269 anche se da subito indicò una sua somiglianza con

267 W. Herschel (1791) in HSP (2003), vol. 1, p. 415. 268 RAS MS Herschel W. 2/1.7 p. 24.

(20)

un disco planetario270, soltanto in un secondo momento usò per questo esemplare il

termine Planetary nebula anziché “my curious Body”271, come in altre occasioni aveva

fatto. Nel novembre del 1784 questo strano oggetto venne definitivamente chiamato “the planetary nebula near ! Aquarii”272. Da allora quel termine venne usato soltanto

nell’osservazione delle nebulose, descrivendo una vera e propria tipologia di specimen che presentassero caratteri definiti. Come emerge da quanto scritto nel corso degli anni questa classe di oggetti fu un vero e proprio enigma per Herschel che cambiò la loro interpretazione compatibilmente con la teoria cosmologica adottata. Nel 1785 essi furono considerati clusters di stelle al cui interno fosse in atto la più grande compressione, e che proprio per questo avrebbero dovuto essere prossimi a un collasso. In seguito, essi furono considerati un passo intermedio di quel processo di coagulazione che dalla materia nebulosa sparsa avrebbe portato, grazie all’azione della forza di gravità, alla formazione delle stelle. Come è evidente il loro posto all’interno della serie cambiò completamente, ma in un certo senso essi mantennero quel ruolo di laboratori dell’universo che Herschel aveva affidato loro in precedenza. Non è forse un caso che ancora nel 1799 egli stesse valutando quale incredibile grado di compressione dovesse esserci all’interno di una planetary nebula per spiegarne l’aspetto, nell’eventualità che essa fosse composta da stelle. Vale la pena riportare il brano:

the planetary nebula, a little south preceding µ Hydra is a little oval, and very bright. With 240 it is of the same figure and proportionally magnified. There is a possibility of its consisting of stars; but in that case they must be united so as to make a very capital center

270

So that its appearance seems to follow the law of magnifying, from whence it is clear that it is of some real magnitude of the heavens and not a glare of light. The brightness in all the powers does not differ so much as if it were of a planetary nature, but seems to be of the starry kind thro’ no star is visible with any power. RAS MS Herschel W. 4/1.3 p. 231.

271L’appunto del 14 novembre 1783 recita così:

The appearance of my curious body in Aq. is very uncommon; it seems like a planetary but ill defined disk, very bright & nearly circular

RAS MS Herschel W. 2/1.7 p. 22

272 RAS MS Herschel W. 2/1.10 p. 48.

In precedenza Herschel aveva riconosciuto la natura nebulosa dell’oggetto ad esempio in un appunto del 15 luglio 1784 possiamo leggere:

My nebula with a disk resembling a little planet. It precedes ! Aquarii. RAS MS Herschel W. 2/1.9 p. 26

(21)

for attracting other celestial bodies. Their union in this manner cannot be accounted for by attraction only which would bring on destruction without projectile motion273.

La citazione evidenzia come l’aspetto di questo genere di nebulose fosse compatibile con una formazione stellare caratterizzata da un’enorme compressione, tanto da giustificare l’aggiunta riguardante il modo in cui altre forze debbano sommarsi alla gravità per ritardare la distruzione dell’agglomerato. Quest’affermazione è del resto particolarmente simile a quanto scritto nel brano senza data dal titolo “On central powers”, in cui si rifletteva sulle differenze e sulla possibile interazione di forze centrifughe e centripete concludendo che:

For if the great bodies of the universe by their mutual and contrary attractions keep each other partly in a state of rest, the moderating principle ought to be less powerful”274.

Il fatto che le forze che si oppongono all’attrazione abbiano un’intensità minore, serve probabilmente, a garantire che la forza di gravità finisca per prevalere. In questo modo continueranno a esistere i laboratori dell’universo, luoghi dove, sottoposti alle leggi naturali, gli oggetti subiscano le più grandi trasformazioni, esattamente come avveniva per le planetary nebulae nel 1785, rendendo possibili la rigenerazione dei corpi celesti, e tutte le altre trasformazioni richieste dalla teoria cosmologica.

Negli appunti vengono nominate altre tipologie di nebulose: una prima divisione che possiamo fare è, come abbiamo visto, fra il tipo Milky kind ed il tipo risolvibile. Il primo ha come modello la nebulosa in Orione: si tratta di una nebulosità bianca, lattea appunto, che non si risolve in stelle né ne fa intuire la presenza. In molti altri casi, forse la maggioranza, Herschel non riusciva a vedere stelle all’interno della nebulosa ma ne sospettava comunque la presenza ipotizzando che migliori condizioni di osservazione avrebbero potuto risolvere l’esemplare in un aggregato. Il tipo risolvibile era appunto questo, un oggetto che in qualche modo facesse presumere all’astronomo una natura

273 RAS MS Herschel W. 2/1.13 p. 36.

(22)

stellare. In alcune occasioni, nel corso degli anni, Herschel cercò una connessione fra questi due tipi. Nel luglio del 1783, parlando della nebulosa M17, egli ipotizzò che questa potesse rappresentare un legame fra la nebulosità lattea e quella risolvibile, e accennò alla possibilità che strumenti migliori avrebbero potuto, una volta per tutte, spiegarne l’aspetto275. Nel caso delle nebulose risolvibili il concetto di sviluppo

comparve già nella teoria contenuta all’interno della pubblicazione del 1785, e venne suggerito anche in alcuni appunti dell’anno prima attraverso termini come “forming” o “gathering nebula”276. Dunque già nel 1784 comparve un accenno alla progressività

dell’aggregazione che si realizzava attraverso stati diversi raggiunti dagli esemplari. Negli scritti pubblicati questa suggestione sarà più volte resa attraverso il concetto di età. Se l’idea che una graduale compressione delle stelle sia all’origine della formazione di clusters comparve da subito negli scritti di Herschel, lo stesso non può essere detto della coagulazione della materia nebulosa. Anche se nei primissimi anni la sua esistenza veniva ammessa, si trattava comunque di una presenza statica, che non sembrava essere sottoposta a nessuna forza. Inoltre quegli esemplari che mostravano in maniera inscindibile caratteri stellari e caratteri propri di una vera nebulosità, su tutti M17 e M27, cui dedicheremo il prossimo paragrafo, furono spiegati come strati contenenti stelle che si estendevano a distanze tali da alternare la nebulosità risolvibile, delle zone più vicine all’osservatore, e quella irrisolvibile, delle zone più distanti. Quindi il legame fra nebulosità risolvibile e nebulosità lattea che avrebbe dovuto essere fornito dall’osservazione della M17, non era altro che una proporzione fra le distanze; la nebulosità lattea più lontana, quella risolvibile più prossima all’osservatore. dunque, la M17, a causa della grande estensione, alternava i due tipi di nebulosità: scomponibile in stelle e non.

Le ultime due tipologie che vorrei considerare sono le “Cometic Nebulae” e le “Stellar Nebulae”. Le prime raccoglievano quelle nebulose in cui fosse più evidente la somiglianza con le comete, attraverso caratteri come la forma globulare e una luminosità

275 RAS MS Herschel W. 2/1.9 p. 9. Questo brano verrà commentato più diffusamente nel prossimo

capitolo.

(23)

marcatamente più intensa nel centro tanto da somigliare a un nucleo solido. Le stellar nebulae, pur mostrando anche esse una luminosità particolarmente concentrata nel centro, erano caratterizzate da dimensioni ancora più piccole che rendevano il loro aspetto molto simile a quello delle stelle277.

È interessante ricordare come negli scritti del 1811 e del 1814 le Nebulous Stars e le Stellar Nebulae fossero inserite le prime nella parte nebulosa, le seconde nella parte stellare della serie, quasi che il primo termine ne indicasse il genere, e il secondo la specie.

• I fenomeni solari.

I fenomeni osservabili sul disco solare offrono uno spaccato particolarmente affascinante dell’attività di Herschel. Considerando che l’articolo in cui essi trovarono una denominazione e una spiegazione seguì di molti anni la prima osservazione di una macchia solare potremmo sentirci autorizzati a ipotizzare che nel corso degli anni l’argomento sia stato accantonato o che la teoria in merito abbia subito importanti cambiamenti. In realtà non avvenne niente di tutto questo. La lettura dei Journals astronomici ci permette di ricostruire le fasi che portarono alla classificazione dei fenomeni solari. Anche se dopo la prima osservazione del 1779 Herschel preferì concentrarsi su altri argomenti, le stelle doppie, le nebulose, i pianeti, dal 1791, quando di nuovo egli vide una grande macchia sul disco solare, le osservazioni divennero costanti e, da quel momento, sono rintracciabili alcune tracce della teoria che svilupperà successivamente. Già dall’agosto di quell’anno Herschel si era convinto che nel Sole fosse individuabile un corpo centrale opaco, circondato da un’atmosfera luminosa, che scostandosi, per un qualche motivo, lasciasse intravedere il corpo planetario. L’anno successivo, nel 1792, egli si imbatté in un altro fenomeno: oltre alle macchie, infatti,

277 Nello scritto del 1811 fu riferito il modo in cui questo termine venne coniato:

This classification was introduced in my sweeps where the objects to be recorded came in so uick a succession that I found it expedient to express as much as I could in as few words as possible, and by calling a nebula stellar, I intended to denote that the object to which I gave this name was in the first place as small, or almost as small, as a star, and in the next, that notwithstanding its smallness, and starlike appearance, it bore evident marks of not being one of those objects which we call stars, and of which I saw many at the same time in the telescope.

(24)

vide alcune zone più luminose ed elevate che si presentavano in varie figure. Senza indugio si risolse di chiamare questi oggetti “faculae”, seguendo l’esempio di Hevelius, pur riservandosi di cercare in futuro un termine migliore.

So far from resembling a torch they appear to me like shriveled elevations upon a dried apple extended in length and most of them are joined together, making waves, or waving lines278.

Nello scritto presentato nel 1794 quest’appunto venne citato in un contesto in cui veniva formulata una teoria che considerava le macchie e le faculae come effetti della decomposizione dell’atmosfera solare. A questa seguirono ipotesi relative all’abitabilità del sole e delle stelle che erano state argomentate attraverso una serie di ragionamenti analogici basati sulla somiglianza fra il sole, i pianeti, e le stelle. La comunicazione di queste riflessioni alla Royal Society non esaurì il suo interesse per i fenomeni solari, e le osservazioni continuarono a essere annotate nei Journals. Alle macchie, alle faculae e alle Penumbrae279 che comparivano già nei primi scritti si aggiunsero altri fenomeni che

per dimensioni o forma non potevano essere raccolti da quelle stesse denominazioni. Attraverso le loro descrizioni è possibile ricostruire la ricerca di una terminologia adeguata. Alla fine del 1799 gran parte della teoria solare era già stata sviluppata. Da anni Herschel aveva ipotizzato che i fenomeni osservati fossero causati da una qualche mutazione all’interno dell’atmosfera solare. Il 22 dicembre di quell’anno egli registrò sugli appunti un’idea che caratterizzerà il dibattito successivo alla pubblicazione dell’altro suo articolo dedicato alla natura solare. Alla ricerca di un corrispettivo terrestre per le attività che credeva di aver individuato nell’atmosfera solare scrisse:

Quere: Are not want of facula; and the coarsely mottled surface, connected with the more or less copious emission of light?280.

278 RAS MS Herschel W. 2/1.12 p. 80.

279 Le Penumbrae erano zone di depressione della superficie che circondavano le macchie solari; una loro

descrizione si ha in W. Herschel (1795) in HSP (2003), vol. 1, p. 476.

(25)

Con questa domanda Herschel presentava tutti gli elementi della teoria sulla natura del Sole, compresa la possibilità di trovare una connessione fra i fenomeni osservabili sulla sua superficie e il carattere delle stagioni sul nostro pianeta 281. Ciò che ancora gli

mancava era il conseguimento di un’adeguata terminologia per riferire le proprie osservazioni.

Un primo passo verso questo risultato si ebbe pochi giorni dopo nel gennaio del 1800:

The sun is evidently mottled. A better expression for this appearance is dimpled. The dimples are pretty large. There are no nodules. There are no ridges; this is a better term than facula. There are no penumbra a better term is flats. There are no spots. A better term is openings 282.

Prima di vedere quali di questi termini furono mantenuti e quali invece furono accantonati propongo di soffermarci sul cambiamento mottled- dimples. In un primo tempo Herschel aveva usato il termine mottled, chiazzato, per indicare quel fenomeno. La successiva preferenza per il termine dimples, che indica la presenza di increspature osservabili sul disco solare, ebbe vita breve poiché già l’anno successivo, nel gennaio 1801, rivedendo lo stesso fenomeno, questa volta, però, su più ampia scala, egli annotò:

There are three collections of openings in different parts of the disk. Many Ridges, Nodules &c. the general surface looks rich. The dimples as I have called them are so coarse, irregularly shaped and rich that they now require a different name; that of mottled appearance is more proper. For want of another term I may call it motling [sic], or the

281 Nello scritto del 1801 Herschel aveva proposto di confrontare le osservazioni dei fenomeni solari con il

prezzo del grano in modo di avere un corrispettivo terrestre a quanto osservato. Quest’idea fu introdotta citando La ricchezza delle nazioni di Adam Smith.

W. Herschel (1801) in HSP (2003), vol. 2, p. 177.

In precedenza Herschel aveva anche paragonato gli astronomi che si dedicavano alle osservazioni agli egiziani che tentavano di prevedere le piene e le secche del Nilo con l’osservazione

W. Herschel (1801) in HSP (2003), vol. 2, p. 147.

(26)

motles [sic]. The motling [sic] then is that variety of shape and light of the whole surface of the sun when it appears richly furnished with luminous matter.283

Dunque venne preferito il termine che già era stato impiegato per descrivere la nebulosità risolvibile284.

Infine nel maggio dello stesso anno una lettera di Banks285 lo informò dei commenti alla

bozza del suo scritto che era stata presentata al comitato della Royal Society per la pubblicazione. In particolare l’amico lo invitava a cambiare alcuni termini usati fino a quel momento. Purtroppo da questo scambio di lettere non possiamo risalire alle motivazioni di questa richiesta, né sappiamo quale sia stata la reazione di Herschel poiché probabilmente il loro confronto avvenne di persona e non ne sono rimaste altre testimonianze. Ciò che è rimasto sono le note prese negli appunti, insieme al fatto che, curiosamente Herschel abbia continuato a riportare lo stesso promemoria anche nei fascicoli successivi:

I have by the advice of Sr J. Banks and some other friends changed the names I use for the solar phenomena as follows:

For Openings read Openings ….. Flats………… Shallows …. Ridges………... Ridges …. Nodules………. Nodules ….. Crankles... Corrugations …. Shallows…. Indentations

…. Dimples………. Indentations or Corrugations …. Punctures………... pores286

L’annotazione presa da Herschel ci testimonia un ulteriore cambiamento terminologico, al di là della ricezione dei suggerimenti proposti dal comitato della Royal Sociey. Infatti, possiamo vedere come nel beve periodo che separa l’appunto citato in precedenza in cui

283 RAS MS Herschel W. 2/2.6 p. 11 (sottolineato nel testo ). 284 W. Herschel (1784b) in HSP (2003), vol. 1, p. 159. 285 RAS MS Herschel W. 1/1.13 B. 36.

(27)

Herschel era tornato ad usare il termine “Mottled appearance”, e l’appunto contenente i consigli di Banks, il nostro astronomo avesse cambiato idea ancora una volta tornando a preferire l’uso di Dimples. Nell’appunto in cui è registrata la terminologia definitiva da usare per i fenomeni solari, i termini Indentations e Corrugations vanno a sostituire questo nome e non Mottled appearance (o qualche suo derivato) come la precedente annotazione di Herschel avrebbe fatto supporre.

“Observations Tending to Investigate the Nature of the Sun, in Order to Find the Causes or Symptoms of Its Variable Emission of Light and Heat; With Remarks on the Use That May Possibly Be Drawn from Solar Observations”, fu letto alla Royal Society durante la seduta del 16 aprile 1801, l’appunto preso a proposito dei nomi da dare ai diversi fenomeni individuabili sul disco solare risale al 16 maggio. Che quei termini siano stati imposti oppure che egli abbia accettato di buon grado il suggerimento di Banks non è dato di saperlo. Ciò che possiamo ricavare da queste circostanze è che la ricerca di una definizione adeguata dei fenomeni, impegnò fortemente Herschel anche quando un abbozzo di teoria era già stato formulato, forse perché egli considerava la denominazione degli esemplari una parte importante del proprio lavoro di astronomo.

• Ceres e Pallas.

All’inizio del nuovo secolo furono avvistati in Sicilia da Piazzi e in Germania da Olbers due corpi celesti cui vennero dati, rispettivamente i nomi Ceres Ferdinandea, e Pallas; a queste scoperte seguirono quelle di Vesta sempre ad opera di Olbers e di Juno avvistata da Harding.

Ben presto Herschel si interessò ai due oggetti, ne misurò le dimensioni e cercò di calcolarne il percorso. In un primo momento questo suo interessamento lo portò a concludere che Ceres e Pallas fossero due nuovi componenti del sistema solare, nient’altro che due pianeti più piccoli rispetto agli altri. D’altro canto questa classificazione era stata subito adottata unanimemente. In un secondo tempo alcuni caratteri finirono ai suoi occhi per differenziare troppo questi corpi celesti dagli altri pianeti. La loro orbita troppo eccentrica, e i loro diametri apparenti troppo inferiori ai valori medi li allontanavano dalla classe di questi oggetti. Queste riflessioni furono

(28)

pubblicate in “Observations on the Two Lately Discovered Celestial Bodies” del 1802, mentre dagli appunti possiamo ricostruire la gestazione della perplessità che lo porterà a creare un nuovo termine corrispondente a una nuova categoria per questi corpi celesti. A distanza di un anno dalla scoperta di Piazzi, Herschel parlava di Ceres come di

Mr Piazzi’s planet rediscovered by Mr Olbers287

Ancora nei primi mesi dell’anno successivo al primo avvistamento la definizione era “New planet”288, e la loro osservazione consisteva in modo sostanziale nel confronto con

gli altri pianeti; ad esempio il colore di Ceres venne confrontato con quello di Urano, oppure ne vennero registrati gli eventuali caratteri fisici, vale a dire la forma, l’essere dotati o meno di anelli, o di satelliti.

I confronti e le osservazioni dovettero dare risultati diversi da quelli previsti, per i motivi cui abbiamo accennato nel primo capitolo, alla fine Herschel preferì creare una nuova classe di oggetti piuttosto che forzare i due esemplari in un raggruppamento cui non si conformavano a pieno. Nell’estate 1803 abbiamo la prima occorrenza negli appunti del termine asteroide. La scelta del termine non dovette essere del tutto indolore. In una lettera che ricevette da Giuseppe Piazzi il 4 luglio 1802, quest’ultimo gli comunicò il proprio disinteresse per le questioni riguardanti la denominazione di quegli oggetti, ma rimarcò che dal canto suo, avrebbe preferito classificarli come Planetoidi289. Molto più

caustica fu, invece, la reazione riportata in una lettera dello stesso Piazzi a Barnaba Oriani in cui era commentata la posizione di Herschel sulla faccenda. Nel rispondere alle obiezioni relative alla mancanza di quella che quest’ultimo chiamava nobiltà da parte di questi corpi celesti, ovvero le piccole dimensioni e le irregolarità del moto riscontrabili rispetto ai pianeti, Piazzi tornò a dichiarare il suo scarso interesse per la questione pur chiarendo di preferire termini come “planetoides”o “cometoides” e, soprattutto, obiettò

287 RAS MS Herschel W. 2/2.6 p. 42. 288 RAS MS Herschel W. 2/2.6 p. 43. 289 RAS MS Herschel W. 1/13 P. 20.

(29)

che stando a quelle riserve lo stesso Urano avrebbe dovuto essere considerato un asteroide290.

L’intenzione di Herschel come emerge in una lettera a Gauss del maggio 1802 era descrivere correttamente ciò che aveva visto, cioè in un modo che fosse conforme alla natura degli oggetti. In questo caso ciò sarebbe avvenuto se si fosse evitato di collocarli in una categoria impropria ricorrendo alla creazione di una nuova e più adeguata classe che raggruppasse appropriatamente quel genere di corpi celesti.

La nuova definizione proposta dal nostro astronomo era:

Asteroids are small celestial bodies, which move in orbits either of little or of considerable excentricity round the sun; the planes of which may be inclined to the ecliptic in any angle whatsoever. Their motion may be direct or retrograde, and they may or may not have considerable atmosphere, very small comas, disks or nuclei291.

Una tale presa di posizione portò Herschel a essere oggetto di critiche e scherno.

In particolare alcuni videro nella creazione di una classe ad hoc la volontà di impedire ad altri di replicare l’evento che lo aveva reso celebre: la scoperta di un pianeta. Siamo impossibilitati, ovviamente, ad escludere ogni malizia dalla condotta di Herschel, ciò che possiamo fare è semmai prendere atto delle affermazioni contenute nei suoi scritti. Basandoci su di esse possiamo offrigli il beneficio del dubbio e accettare che ancora una volta la volontà di ottenere un adeguato metro di classificazione avesse convinto il nostro astronomo a fornire una nuova definizione. In un altro brano, oltretutto, lui stesso aveva commentato che nessuna scoperta di un nuovo mondo avrebbe mai potuto eguagliare per portata la scoperta di esemplari appartenenti a specie del tutto nuove e sconosciute:

it will appear, that when I used the name asteroid to denote the condition of Ceres and Pallas, the definition I gave of this term will equally express the nature of Juno (….).

290 Lettera di Piazzi a Oriani, 4 luglio 1802. 291 RAS MS Herschel W. 1/6.13.(2).

Figura

Figura 9 primo disegno di M42 del 1 marzo 1774 261
Figura 10 raffigurazione di M27 19 luglio 1784 Herschel W. 2/1.9 p.29
Figure  11    e  12 Disegno  del  grafico  e  particolare  della  parte  centrale  rappresentativa  dell’estensione  della  visione naturale 309

Riferimenti

Documenti correlati

Seconda legge di Newton: L’accelerazione di un oggetto è uguale alla forza applicata, diviso per la sua massa.. Terza legge di Newton: Per ogni azione, c’è una reaction uguale

Dispersione della luce bianca produce uno spettro, questo succede perchè alcuni colori rifrangono più di

• Nota la nostra velocità (2 nda legge di Kepler) possiamo misurare la velocità orbitale delle altre stelle... • Secondo la 3° legge di Kepler più lontana è una stella dal

Da una survey a flusso limitato che campionano oggetti di tipo A,B,C sono interessato solo agli oggetti di tipo A. Completezza (C): numero di oggetti A inclusi nella survey

• Se le stelle binarie hanno masse leggermente diverse, la stella di massa superiore evolve in una Nana Bianca?. • Successivamente l’altra stella evolve in una

1 parsec (1pc) distanza alla quale il raggio dell’orbita (1pc) distanza alla quale il raggio dell’orbita terrestre intorno al Sole sottende un angolo di 1”. terrestre intorno

Esempio di spettro X di una Seyfert 2 (Mkn3) confrontato con lo spettro del quasar

Le WFC di BeppoSAX sono due, disposte in direzione perpendicolare rispetto alla direzione degli altri strumenti.. Con il loro grande campo di vista (circa 40 gradi x 40 Le WFC