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Capitolo II : Socrate e la decadenza.

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Academic year: 2021

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Capitolo II : Socrate e la decadenza.

1. Nietzsche e i presocratici.

Con lo scritto La filosofia nell’età tragica dei greci Nietzsche ha delineato un abbozzo della storia del pensiero greco fino a Socrate. Pur presentando delle lacune ha un carattere unitario nella sua stesura: Nietzsche pone mano più di una volta ad essa fino al 1873 (dopo la pubblicazione di La nascita della tragedia), e in seguito ritorna sullo stesso scritto tra il 1875 e il 1876, abbandonandolo

definitivamente così com’è conservato adesso.

Dei filosofi presocratici sono trattati soltanto Talete, Anassimandro, Eraclito, Parmenide e Anassagora, soltanto loro meritano l’attenzione di Nietzsche. La filosofia greca è quella presocratica escludendo appunto Socrate perché con Socrate inizia la decadenza della grecità e il periodo considerato da Nietzsche, cioè quello presocratico è visto come una preparazione alla grande filosofia di Platone e Aristotele. Nietzsche identifica il periodo di massima espansione culturale greca in un arco di tempo che va da Talete alla morte di Eschilo, quando con esso muore anche la tragedia. Egli dichiara finita la filosofia greca a partire da Socrate in poi, colpa di quell’eroe anti- greco che con il suo metodo dialettico ha distrutto un’intera civiltà, ponendosi, come abbiamo visto nel capitolo precedente, in antitesi con il dionisiaco. La Grecità, secondo Nietzsche, viene

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espressa soltanto nell’età tragica, nel momento in cui il Greco sperimenta, vivendo ciò che impara e fa filosofia, impegnandosi subito a verificare, potenziare e purificare gli elementi acquisiti. Tutto questo è possibile perché il Greco sarebbe l’unico, nel suo tempo, a vivere di conoscenza.

Per Nietzsche il filosofo è reso possibile in Grecia, perché solo là le radici culturali vanno di pari passo con la speculazione del pensiero, perché non è accolta una richiesta artificiale, quale sarà la dialettica per Nietzsche, che miri alla spiegazione esauriente ed assoluta della realtà: lo stesso vivere è filosofia per i Greci.

Dopo Platone i filosofi saranno fondatori di sette in opposizione tra loro, che cercano i loro interlocutori non più nella città ma negli individui singoli o al più in una stretta cerchia di seguaci. In questo modo viene meno l’antico rapporto tra filosofo e la città, di cui appunto i presocratici presi in esame qui, erano dei grandi filosofi. Per quei Greci dell’età tragica, la filosofia ha trovato la sua legittimazione in quanto essa è stata espressione dell’anima di un popolo che ha imparato a filosofare in un’età vittoriosa. L’età tragica si struttura nell’esperienza del dionisiaco, della musica e della tragedia, in quella visione dionisiaca del mondo visto in un incessante divenire. Quando Nietzsche iniziò a lavorare a quest’opera, era ancora pregno di quel contrasto dionisiaco - apollineo della Nascita della tragedia ma il dionisiaco pervade di sé la civiltà greca e penetra anche la filosofia dell’età tragica. Ma, riprendendo la tematica fondamentale, da che cosa si origina una visione filosofica nella Grecia dell’età tragica?

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La filosofia greca sembra aver inizio con un’idea inconsistente, la proposizione che l’acqua è l’origine e il grembo materno di tutte le cose. È davvero necessario soffermarci su questo punto e prendere un serio atteggiamento? Si, e per tre motivi: primo, perché la frase asserisce qualcosa sull’origine delle cose; secondo, perché lo fa in guisa non immaginosa e senza favoleggiamenti; terzo, perché in essa, benché unicamente allo stato di metamorfosi larvale, è racchiuso il pensiero: tutto è uno.1

La storia greca inizia con Talete che pone al centro del mondo non l’uomo ma l’elemento primordiale, l’acqua. In poche e dense pagine Nietzsche tratteggia la grandezza di Talete.

Dopo Talete Nietzsche affronta Anassimandro di Mileto, il primo scrittore filosofico. Il tema centrale della filosofia di Anassimandro è l’arché, come in Talete, identificata nell’àpeiron inteso come ciò che origina il divenire e lo sovrasta consentendone il proprio corso ordinato. Nietzsche scorge nel divenire non solo la molteplicità delle cose, ma soprattutto una somma di ingiustizie da espiare, e quindi una primitiva questione etica. Giunto fin qui Anassimandro, secondo l’interpretazione nietzschiana, s’arresta nella sua speculazione, non risolvendo il problema del perché, per l’espiazione, dall’indeterminato scaturisce il determinato. Solo Eraclito a quanto pare, riesce a superare il dualismo in cui Anassimandro s’era imbattuto, l’efesino infatti giustifica il divenire e nega non solo l’esistenza di due mondi diversi, il fisico ed il metafisico, ma anche l’essere in generale.

1 F. Nietzsche, La filosofia nell’età tragica dei greci, trad. italiana di F. Masini, Newton, Roma, 1980, p.

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Il divenire nascerebbe dalla guerra dei contrari: la contesa manifesterebbe l'eterna giustizia. Nel mondo vi è colpa, ingiustizia, contraddizione solo per l'uomo, limitato, che vede per frammenti, parti staccate. Soprattutto in Eraclito Nietzsche trova la natura più profonda del tragico, del puro divenire che eternamente produce nuova vita distruggendo quella vecchia. Nietzsche torna su Eraclito ancora nei tardi scritti (Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo) per ribadirne la superiorità su tutti gli altri pensatori antichi e moderni, come il solo che abbia tematizzato correttamente il divenire cosmico, e come il teorico della sensibilità dionisiaca contrapposta al vuoto filosofare razionalistico.

Parmenide rappresenta quindi il vero antagonista di Eraclito, in quanto:

« (…)una figura antagonista, egualmente tipica nel senso di un profeta della verità, ma per così dire foggiata nel ghiaccio e non nel fuoco, dalla quale si effonde un cerchio di fredda luce pungente».2

Nietzsche identifica nel primo periodo speculativo di Parmenide un riallaccio soprattutto alle posizioni anassimandree, per quella vaghezza dei presupposti nel concetto di àpeiron come fermento della filosofia parmenidea dell’essere. Invece nell’età più avanzata Parmenide viene assalito «da quel gelido brivido d’astrazione e venne da lui stabilita la semplicissima proposizione che tratta

dell’essere e del non-essere».3

2 Ivi, p. 70.

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Parmenide rifiuterebbe in Anassimandro, in Eraclito, la visione tragica, l’esperienza dionisiaca nella filosofia, perché assolutizza l’intelletto e scinde l’intuizione dalla conoscenza, la sensazione dall’astrazione:

(…) ha polverizzato lo stesso intelletto e incoraggiato quella separazione, del tutto fallace, di “spirito” e “corpo”, che particolarmente a partire da Platone pesa sulla filosofia come una maledizione. Tutte le percezioni sensibili, a giudizio di Parmenide, procurano soltanto illusioni; e l’illusione principale sta appunto nel creare la falsa apparenza che anche il non-essente esiste e che anche il divenire ha un essere.4

Con Parmenide avrebbe avvio il processo di decadenza che porta necessariamente al socratismo: il filosofo eleatico si isola dalla realtà, rifiuta la vita e ricerca la “verità” nelle astrazioni. Soltanto Anassagora con il Nous riporta il divenire e la vita nell’immobile mondo parmenideo. Con l’esposizione delle proprie interpretazioni su Anassagora si conclude l’opera nietzschiana sulla filosofia presocratica.

Quali sono i motivi che hanno addotto lo stesso Nietzsche a scrivere questo libro? quel che impressiona il giovane Nietzsche è come sia possibile equiparare, sotto certi aspetti, la produzione artistica e quella filosofica nell’età tragica, dal momento che entrambe vivono e si sviluppano in un contesto sociale e politico particolare.

Che la filosofia sia tra il VI e il V secolo a.C. un tutt’uno con la visione artistica, o per meglio dire vi siano rapporti intensissimi tra i due generi, sembra essere una certezza per Nietzsche:

4 Ivi, p.79.

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«La filosofia presocratica è con l’arte, le sue soluzioni degli enigmi del mondo si sono lasciate ispirare più volte dall’arte.»5

La filosofia rientra in un momento particolare della vita dei Greci, in un momento tragico in cui la tragedia incorpora l’unità d’armonie e d’ebbrezze e la speculazione filosofica ha origine da questa posizione di valori vitali.

Dal momento in cui, secondo Nietzsche, la filosofia diventa dialettica, con Socrate e poi con Platone, il Greco non può più ricercare nella realtà la perfezione, né è in grado di sperimentare lui stesso concetti che appartengono ad entità sovrasensibili, razionali. Riporto un aforisma di Umano troppo umano 261, in cui è possibile scorgere il pensiero di Nietzsche sulla grandezza della Grecia e l’inizio della decadenza socratica:

Presso i greci si progredisce rapidamente, ma proprio perciò si regredisce così in fretta; il movimento di tutta la macchina è così accelerato che basta una pietra negli ingranaggi per farla saltare. Una pietra del genere fu ad esempio Socrate; in una notte fu distrutto lo sviluppo della scienza filosofica, sino allora così meravigliosamente regolare, benché certo moto rapido. Non è una domanda oziosa chiedersi se Platone, immune dall’incantesimo di Socrate, non avrebbe trovato un tipo ancora più alto di uomo filosofico, che per noi è perduto per sempre. (…) Il sesto e il quinto secolo, tuttavia, sembrano promettere ancor più, e ancor meglio, di quanto non abbiano prodotto: ma ci s fermò alle promesse, agli annunci. Eppure non esiste perdita più grave della perdita di un tipo, di una nuova, sino allora mai scoperta, altissima possibilità di vita filosofica. Persino dei tipi più antichi la maggior parte è male tramandata; tutti i filosofi da Talete a Democrito sono straordinariamente difficili a conoscersi; ma chi riesca a ricostruire queste figure, si aggira tra esemplari del tipo più possente e puro.6

5 F. Nietzsche, Frammenti postumi Estate 1875, in Opere, IV, 1, Adelphi, Milano 1973, p. 164.

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Ciò che colpisce in questo scritto è la totale condanna della filosofia greca da Socrate in poi. Il “socratismo” che si pone in antitesi al dionisiaco, un’antitesi diversa da quella vista nella Nascita della tragedia dove al dionisiaco si oppone l’apollineo, il contrasto tra “socratismo” e dionisiaco è totale e insanabile. La condanna di Socrate in Nietzsche è assoluta e irremissibile: condanna dell’anti-artista, del distruttore della scienza, del fondatore del predominio morale, distruttore della classe a cui Socrate apparteneva (la plebe), della dialettica in quanto strumento prevaricatore dell’affermarsi della plebe sui nobili, come sintomo anche questo di decadenza, fino ad arrivare a mettere in dubbio la grecità del maestro.

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