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Roma, operazione centurione: La Raggi fa copia e incolla

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Academic year: 2022

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Roma, operazione centurione:

“La Raggi fa copia e incolla”

ROMA – Operazione “Centurione”, così era stato battezzato il progetto che il comitato cittadino S.O.S. sicurezza Roma ed il Laboratorio una donna per la tutela dei diritti dei deboli, avevano inviato con PEC in data 26 settembre 2017 alla Sindaca di Roma.

Tantissimi i cittadini che hanno firmato una petizione a supporto di questo progetto che chiede la militarizzazione dei punti sensibili nel comune di Roma. Questo chiedeva in sostanza il progetto “Centurione”.

Si leggono negli ultimi giorni comunicati da parte dell’amministrazione capitolina che chiede con forza che le strade di Roma vengano militarizzate, copiando o facendo suo, come meglio preferite, il progetto “Centurione”.

Peccato che i proponenti non siano stati convocati dall’amministrazione capitolina per elaborare insieme un percorso condiviso nell’attuazione di questo progetto. Troppe le esigenze ed i bisogni di una città ormai allo sbando.

Bambini, giovani donne, soggetti deboli riuniti nel chiedere

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più sicurezza e maggiore attenzione per le esigenze dei quartieri decentrati. Bisogno di vigilanza dei mercati, nelle scuole, davanti alle banche, vicino alle chiese. Quartieri ormai ridotti in ghetto come Torpignattara. Sono queste le v o c i c h e s i s o n o e l e v a t e n e l p r o p o r r e i l p r o g e t t o

“Centurione”.

Le associazioni tornano a scrivere alla Raggi inviando una nuova pec pur dicendosi felici della decisione del Sindaco di fare suo il progetto “centurione” chiedono l’immediata attuazione ed un tavolo di collaborazione con la città.

Simone Carabella

“Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi”:

attesissimo il nuovo libro

dell’avvocato Nicodemo

Gentile

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“Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi”:

questo il titolo del nuovo attesissimo libro dell’avvocato Nicodemo Gentile, l’illustre cassazionista natio di Cirò che da anni si occupa prevalentemente di diritto penale, disponibile dal prossimo 23 novembre in tutte le librerie

Nicodemo Gentile è ormai conosciutissimo per essersi occupato di vicende di rilevanza nazionale come il caso di Melania Rea o il delitto dell’Olgiata dove è stato legale degli imputati mentre come parte civile è stato difensore per l’omicidio della piccola Sarah Scazzi, per i fidanzati di Pordenone, Teresa e Trifone, per Guerrina Piscaglia e per Roberta

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Ragusa. Quest’ultimi processi tutt’ora in corso. Nicodemo Gentile rappresenta un punto di riferimento per molte associazioni che da anni, si impegnano quotidianamente nel sociale.

Il carcere è un argomento di cui si parla tanto, spesso anche troppo e invita gli individui a molteplici riflessioni sulla vita che si svolge dietro le grate a seguito di una condanna.

L’Avvocato Nicodemo non ha scritto “Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi” a scopo di lucro o per ottenere visibilità, ma lo ha fatto per pura passione, mettendo in calce le esperienze che lo hanno coinvolto direttamente o tramite colleghi, operatori di settore, cercando di descrivere quelle polaroid che la sua mente ha archiviato nel tempo, attraverso un percorso umano e professionale lungo e intenso. Un racconto fatto con la piena consapevolezza che quelle pareti bianche in cui si respira la sofferenza di una reclusione, quelle grate arrugginite e piene di dolore, quegli odori, quelle lacrime, quei rumori e quei giorni interminabili nell’attesa di una libertà possano essere descritti soltanto da chi li ha vissuti direttamente.

L’Avvocato ha deciso di raccontare questo aspetto così intimo e delicato attraverso gli scritti che negli anni ha custodito e catturato, tramite i lunghi colloqui, le sensazioni e il malessere di chi vive quotidianamente il carcere. Massimo Picozzi, noto psichiatra e criminologo, ha scritto la prefazione del libro “ogni istituto penitenziario è un microcosmo con i suoi riti, le sue gerarchie. Non puoi conoscerlo, e non puoi conoscere chi lo abita, se non entrandoci , passandoci del tempo. Con l’umiltà di ascoltare e l’intelligenza di sospendere i giudizi. Questo è riuscito a fare Nicodemo Gentile, e questo racconta nelle pagine del suo libro. Un libro speciale, perché è un libro vero”. Non vengono raccontate le vicende processuali, sicuramente già note, e neppure viene avvalorata una tesi piuttosto che un’atra; il

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libro racconta il sistema carcerario e il suo funzionamento, le condizioni dei detenuti, come si svolgono le loro giornate, come impiegano le ore e soprattutto quali sono le emozioni ed i sentimenti che travolgono la loro anima in un micro mondo fatto di incertezze e anime desiderose di tornare a casa, anime e corpi che gridano la loro innocenza, affiancate spesso da spietati killer senza scrupoli. Un viaggio materiale e introspettivo dove i ciceroni saranno di volta in volta i suoi assistiti, da Salvatore Parolisi, condannato per l’omicidio della moglie Melania Rea a Manuel Winston Reyes, condannato per l’omicidio della Contessa dell’Olgiata; da Angela Birkiukova, condannata per l’omicidio del marito a Carmelo Musimeci, ex ergastolano. Nei diciannove capitoli del libro si parla inoltre di suicidio, custodia cautelare, permessi premio, 41 bis, ergastolo, ergastolo ostativo, malattia mentale, dei reclusi senza famiglia, di sovraffollamento carcerario, di Dio, con l’importante testimonianza del cappellano di Perugia che da oltre 25 anni si occupa delle detenute del carcere di Capanne, delle vittime dei reati, dei loro familiari e di misure alternative alla detenzione.

Abbiamo intervistato l’avvocato Nicodemo Gentile, che in merito all’imminente uscita editoriale ha detto:

“In questo libro c’è l’uomo e il professionista: l’uomo contiene il giovane Avvocato, lo studente, contiene l’Avvocato maturo che si ritrova di colpo a contatto con il dolore perché il carcere è un’esperienza umanamente molto difficile; il professionista che vive con una lente d’ingrandimento particolare. Ho bisogno di parlarne perché del carcere se ne deve parlare. Lo faccio io ma lo faccio fare soprattutto a chi, purtroppo, il carcere lo vive in prima persona perché, per colpa o senza colpa, si ritrova dentro a vivere un percorso più o meno lungo di detenzione. Attraverso vissuti di vita, con questo libro, si cerca di parlare di suicidio, di 41bis, di ergastolo, di parlare di una sfida che va vissuta e

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combattuta. Non a caso Papa Francesco va spesso nei penitenziari, non a caso l’ex Presidente della Repubblica Napolitano ha parlato in più occasioni di carcere, ha stimolato ad una riflessione moderna ed evoluta sul carcere e misure alternative alla detenzione. Si parla di primi permessi, di un carcere che funziona, di un carcere che rieduca; dentro ci sono i contributi di Carmelo Musumeci, ex ergastolano entrato in carcere che aveva la quinta elementare e adesso ha tre lauree e scrive libri sul carcere. Si parla anche di vittime di chi è in carcere e si parla di un carcere che funziona attraverso la rieducazione, attraverso i primi permessi, attraverso meccanismi che consentono poi al detenuto di poter essere qualcosa e una persona nuova”

Lei ha raccolto le testimonianze, a livello umano e non prettamente giuridico, legate a casi di cronaca ben noti come il delitto Scazzi, Rea, Ragusa, Olgiata, Piscaglia e Pordenone: com’è stato unire esperienze così differenti?

“Il percorso è estremamente difficile e doloroso perché quando si abbassano i riflettori, ti ritrovi uomini che per la legge sono assassini ma ti rendi conto che hanno gli stessi occhi, gli stessi visi puliti di chi invece vive la sua vita ordinaria e ti rendi conto di come il percorso umano di questi soggetti sia conflittuale, di grande solitudine perché poi con il tempo la loro vita è una metamorfosi dal punto di vista sociale e familiare, man mano si perdono pezzi e spesso e volentieri l’Avvocato è l’unico soggetto che per un tratto di strada più o meno lungo sta li insieme a loro a sopportarne il peso umano, oltre a quello giuridico e processuale di questo percorso estremamente sfuggente. Spesso e volentieri si tratta di soggetti che vengono allontanati dai figli, dalle figlie, che hanno divieti di incontro, anche di natura epistolare, quindi è evidente che l’Avvocato rappresenta la finestra sul mondo, non solo l’aspetto tecnico quindi ma anche l’amico e la persona sulla quale poggiare la testa e sfogarsi. Spesso e

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volentieri anche i singoli istituti sono tra loro diversi, ciò che è possibile in un istituto spesso non è possibile in altri. In alcune carceri è più facile studiare, in altri no;

ho avuto contatti con gente che ha vissuto il 41Bis, che si tratta comunque di un regime carcerario particolare e unico dove anche avere un particolare cibo cotto può essere una grande affermazione, una grande battaglia vinta. Ci sono situazioni dove anche avere un po’ di aria fresca oppure avere una persona con la quale discutere può essere un momento di felicità. Ci si domanda se questo tipo di terapia è la terapia giusta per questi soggetti, il problema del carcere è che ancora oggi la cosiddetta istituzione totale, il percorso dove a soggetti con malattie diverse si somministra sempre la stessa cura. Il carcere è una istituzione che rende tutti uguali persone che non lo sono. Io ho cercato di descrivere questo mondo e la cosa che a me piace dire è che innanzitutto io non sono portatore di nessuna verità e di nessun concetto rivoluzionario sul carcere, racconto la mia esperienza attraverso chi la vive, dico le cose che ci sono, le cose che funzionano e le cose che non funzionano, le riforme inattuate, i buoni propositi rimasti solo propositi, ma tutto viene fatto, così come dice Massimo Picozzi nella sua prefazione, sospendendo giudizi e con l’umiltà di ascoltare. Quando si entra nel carcere bisogna sospendere ogni tipo di giudizio e bisogna avere l’umiltà di ascoltare”.

Ha dedicato il libro al suo Papà…

“E’ legato a mio padre perché se io sono Avvocato è grazie a lui e se io scrivo di carcere è perché lui mi ha sicuramente trasmesso l’assoluta forza nello stare vicino a chi ha bisogno, stare vicino nonostante le difficoltà. Una seconda chance la si deve a tutti. L’ho dedicato a mio padre perché mi ha insegnato ad essere onesto. Il libro è dedicato anche ad Enzo Fragalà, un penalista che io non ho conosciuto ma che ha sacrificato sull’altare dell’onestà la propria vita e a tutti

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i penalisti che pur di affermare la propria onestà hanno sacrificato la loro vita”.

Angelo Barraco

Bruno Contrada: un torto che resterà insanabile

Sulla vicenda del Prefetto Bruno Contrada ripresa dal programma di approfondimento giornalistico Officina Stampa condotto dal direttore responsabile di questo quotidiano Chiara Rai, nel corso di 7 puntate andate in onda tra il 28 settembre e il 16 novembre di quest’anno, dove sono intervenuti diversi rappresentanti delle Istituzioni, un prezioso contributo da parte del giornalista Giancarlo Perna, già penna dell’Ansa, de L’Europeo, di Panorama de il Giornale,

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allora diretto da Indro Montanelli, dove permane fino al 2014, di Libero e attualmente de La Verità diretto da Maurizio Belpietro.

Di seguito riceviamo e pubblichiamo da Giancarlo Perna

Il torto subito da Bruno Contrada resterà insanabile. Era giunto ai più alti gradi della Polizia e considerato il detective antimafia per eccellenza. Alla vigilia di Natale del 1992, la giustizia con cui collaborava lo ha arrestato. Passò 2 anni e sette mesi in carcere preventivo. Ha subito 4 processi. Assolto in uno e stato poi definitivamente condannato per mafiosità. Ha scontato altri 2 anni in una fortezza militare, 4 agli arresti domiciliari, 2 anni gli sono stati condonati per buona condotta.

Perché questo errore giudiziario? La magistratura ha preferito credere ai pentiti, fiori di mafiosi, alcuni arrestati da Bruno Contrada e assetati di vendetta, piuttosto che al capo della polizia in carica, a 4 ex capi della polizia, a capi del Sisde, generali e prefetti che testimoniarono sulla sua perfetta fedeltà ai propri doveri. Questo la dice lunga sulla fiducia reciproca tra corpi istituzionali in questo paese.

Vilipeso in Italia, Bruno Contrada è stato riabilitato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo al cui vaglio la nostra giustizia esce con le ossa rotte. La Corte con una prima sentenza ha condannato l’Italia a risarcire Bruno Contrada per violazione dei diritti umani avendolo tenuto in carcere malato. Con una seconda, perché il processo non doveva neanche svolgersi, mancando di sufficienti basi legali. Contrada riavrà i gradi, gli arretrati economici e gli avanzamenti di carriera negati.

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Resta che aveva 61 anni quando l’ingiustizia lo ha travolto e ne ha 87 ora che la giustizia ha ripreso il sopravvento. Gli rimane anche l’amarezza che solo nei tribunali esteri sono state capite le sue ragioni, alle quali i tribunali del proprio paese erano rimasti sordi.

Giancarlo Perna

Officina Stampa il programma condotto da Chiara Rai andato in onda lo scorso 16 novembre 2017

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Insomma, tornando al mio caso e alle ragioni per cui mi trovo su questo pianeta, mi chiedo chissà quante Scarlett Johansson ci sono sul vostro pianeta che nessuno