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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments       74 (4): 239‐249, 2019 

© 2019 Accademia Italiana di Scienze Forestali      doi: 10.4129/ifm.2019.4.04 

ALFONSO DE NARDO (*)(°) - ALESSIO DE DOMINICIS (*) ANTONINO NICOLACI (**) - FRANCESCO IOVINO (**)

LA “MENA DELLE BUFALE”: UNA PARTICOLARE MODALITÀ PER TENERE PULITI GLI ALVEI (

1

)

(*) CESBIM: Centro Studi sulle bonifiche nell’Italia meridionale, via Nuova Poggioreale, centro polifun- zionale, torre 7 - 80133 Napoli.

(**) CamiLab: Laboratorio di Cartografia Ambientale e Modellistica - DIMES, Università della Calabria, via P. Bucci, 87036 Arcavacata di Rende, CS.

(°) Autore corrispondente; denardoalfonso@gmail.com

La “pulizia” degli alvei è quel complesso di operazioni, riconducibili tutte alla manutenzione ordinaria del reticolo idrografico, che comprendono il taglio della vegetazione ripariale e la rimozione degli interrimenti. Si tratta di operazioni periodiche, essenziali per mantenere in efficienza le linee di deflusso contrastando le dinamiche naturali che determinano la perdita di officiosità delle sezioni idrauliche. Il ristabilimento della officiosità degli alvei è un tema da tempo affrontato nell’ambito delle azioni volte alla manutenzione del territorio. In merito a ciò assume particolare interesse la ricerca sulle origini, lo sviluppo e il declino del sistema tradizionale - in uso particolarmente nelle pianure campane - di utilizzazione di una pratica zoo- tecnica, propria dell’allevamento delle bufale, per finalità di manutenzione delle opere idrauliche: la ‘mena delle bufale’, praticata almeno dal ’600 all’800.

Sulla base della documentazione storica disponibile il lavoro fornisce un contributo alla gestione della vegetazione ripariale, illustrando la tecnica applicata in un particolare momento storico e in un peculiare contesto territoriale.

Parole chiave: gestione vegetazione ripariale; manutenzione del territorio; prevenzione del dissesto idrogeologico.

Key words: riparian vegetation management; land maintenance; prevention of hydrogeological instability.

Citazione: De Nardo A., De Dominicis A., Nicolaci A., Iovino F., 2019 - La “mena delle bufale”: una particolare modalità per tenere puliti gli alvei. L’Italia Forestale e Montana, 74 (4): 239-249.

https://doi.org/10.4129/ifm.2019.4.04

1. I

NTRODUZIONE

La “pulizia” degli alvei è quel complesso di operazioni, riconducibili tutte alla manutenzione ordinaria del reticolo idrografico, che comprendono il taglio della vegetazione ripariale e la rimozione degli interrimenti. Si tratta di operazioni

1 Il contributo è stato presentato nella sessione 3 - Selvicoltura e tutela del territorio forestale - del IV Congresso Nazionale di Selvicoltura, Torino, 5-9 novembre 2018.

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periodiche, essenziali per mantenere in efficienza le linee di deflusso contra- stando le dinamiche naturali che, in regime di corrente lenta, determinano nelle pianure la perdita di officiosità delle sezioni idrauliche. Operazioni rese sempre più difficili e costose dall’impatto antropico che, con l’apporto di materiali solidi, favorisce le strozzature negli alvei, produce con le immissioni reflue organiche eutrofizzazione delle acque (quindi maggior sviluppo delle specie vegetali negli alvei) e rende problematica la riutilizzazione dei sedimenti, accentua - con l’impermeabilizzazione dei suoli - il rischio di esondazione, rende di fatto impraticabili e perciò sottrae alla manutenzione gli ampi tratti di alveo tombinati nell’attraversamento delle aree urbanizzate.

Nella ricerca di un modello di uso del suolo che concorra positivamente alla manutenzione del territorio piuttosto che esserne antagonista, assume interesse la ricerca sulle origini, lo sviluppo e il declino del sistema tradizionale - in uso particolarmente nelle pianure campane - di utilizzazione di una pratica zootec- nica propria dell’allevamento delle bufale per finalità di manutenzione delle opere idrauliche: la cosiddetta ‘mena delle bufale’, praticata dal ‘600 all’800, quindi in epoca vicereale, francese e borbonica. Sulla base della documentazione storica disponibile, il lavoro fornisce un contributo al tema della gestione della vegetazione ripariale, quale attività di manutenzione dei corsi d’acqua per la pre- venzione contro i pericoli naturali e le piene, illustrando la tecnica applicata in un particolare momento storico e in un peculiare contesto territoriale.

2. L

E ORIGINI DELLA

MENA

DELLE BUFALE

L’allevamento bufalino nei terreni pianeggianti e paludosi campani e laziali, attestato fin dall’età angioina, è stato per secoli l’unica attività agricola in grado di trasformare le risorse foraggere degli acquitrini in un prodotto capace di pro- durre reddito. Già nel tardo Medioevo esso si era consolidato fino al punto di essere esportato nella stessa pianura padana.

2

A differenza del bovino il bufalo presenta pelo scarso e pelle (quasi nuda) più spessa e coriacea, più ricca di ghiandole sebacee (untuosa al tatto) e con limitate ghiandole sudoripare. Per quest’ultima particolarità i bufali si proteggono dalla calura sguazzando nell’acqua e coprendosi di fango. Gli zoccoli sono appiattiti e allargati alla base, il che facilita l’avanzamento nei terreni paludosi.

L’attitudine dei bufali a prestarsi come “pulitori” degli alvei è ben spiegata in una rivista d’epoca (citata da L. Zicarelli: L’impulso di Carlo III al rinnovamento alle attività agrozootecniche del Mezzogiorno, 2017):

2 Cfr. Diane Ghirardo: Le duchesse e le bufale e l’imprenditoria femminile nella Ferrara rinascimentale. Scaranari, 2009. Le protagoniste di quella start-up furono Eleonora d’Aragona e Lucrezia Borgia, la prima prove- niente dalla corte napoletana e la seconda da quella vaticana, consorti rispettivamente del duca Ercole I d’Este e di suo figlio Alfonso I. Oltre che per le bonifiche da loro avviate nella piana ferrarese, le due duchesse si distinsero per aver promosso e finanziato la massiccia importazione nei territori estensi di bufali provenienti dall’agro romano e campano, avviando una consistente attività imprenditoriale casea- ria e concedendo anche privative e contratti di affittanza ad agricoltori e allevatori della zona.

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I bufali incedono nuotando dove l’acqua è alta e camminando dove è bassa di guisa che le erbe fluviali e le alghe vengono completamente estirpate con l’avvi- lupparsi strettamente ai loro arti. Per tutto ciò non occorre che gli animali ven- gano domati giacché un tal genere di lavoro è nella loro natura e lo fanno assai volentieri. … dopo 24-30 ore dal passaggio delle bufale nei canali il livello delle acque si abbassa e i fiumi non straripano.

La pratica era sicuramente diffusa nella piana campana, come attestato già da un documento del 1777.

Si tratta dell’obbligazione assunta dagli acquirenti di una selva comunale che si impegnano a devolvere l’importo di acquisto a favore degli appaltatori della mena, che ogni tre anni conducono nei fiumi quaranta bufale per quaranta giorni acciò col moto di esse si rompeva il letto di essi e non impediva il corso dell’acqua.

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Il documento fornisce alcune preziose informazioni sulla periodicità della mena (tre anni), sul carico di bestiame occorrente (quaranta bufale per quaranta giorni), sulla forma del rapporto istauratosi tra Comuni e allevatori (appalti re- munerati con fondi comunali, recuperati magari dal taglio dei boschi). Infine sulle conseguenze derivanti dalla mancata utilizzazione delle bufale nei fiumi:

dopo sette anni trascorsi senza la mena per mancanza di fondi pubblici, l’acque cresciute oltremodo avevano inondati a segno tale i territori dall’escre- scenza di detta acqua che non potevano quelli coltivare per cui la gente tutta viveva miseramente.

Già all’epoca del citato atto notarile la pratica della mena rispondeva a regole stabilite ab antiquo, codificate da consuetudini secolari.

Ne è prova lo scritto di Nicol’Andrea Siani, canonico teologo della cattedrale di Sarno: “Memorie storico - critiche sullo stato fisico ed economico antico e mo- derno della città di Sarno e del suo circondario”, pubblicato a Napoli nel 1816.

Ma quando poi venne in testa sulle prime al Conte di Celano … d’innalzare quel parapetto alle acque del fiume Sarno, presso il luogo detto Bottaro, che dicesi di presente la Barra, per così restringere le acque suddette, e renderle atte a far la- vorare i loro molini fatti costruire in quel luogo; e poi … verso la fine del secolo XVI a Muzio Tuttavilla Conte di Sarno il fumo nel cerebro anche saltò di tra- sportare le acque di questo fiume dalla sua sorgente della foce nella Torre dell’An- nunciata, per animare con esse i molini … onde costretto fu ad incavare quell’al- veo sì celebre per la sua notabile profondità, e tanto famoso per la sua lunghezza, che il fiume del Conte perciò si appella, e per cui tanto la sua famiglia si indebitò:

allora fu che il fiume Sarno, parte per il libero suo corso impedito, e parte per la notabile diminuzione delle sue acque perdè la sua antica navigabilità: allor fu, che le acque superiori di questo fiume si vennero a restringere in tanti piccoli laghetti, e a ristagnare ne’ fossi; allora fu, che vi s’introdussero le fusare; ed allora anche fu, che l’aria di questo cratere cominciò a divenir malsana ne’ mesi estivi, per modo che, per apporvi qualche riparo, tutte le comuni d’intorno e disperse per le campagne, dove il fiume Sarno serpeggia, son costrette da lustro in lustro a purgar

3 Sarno, 18 luglio 1977. Atto in protocolli notarili. Notaio Fortunato Squillante di Sarno. Archivio di Stato di Salerno, B. 6597.

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le sue acque da tutte le immondezze, che da un tale ristagnamento risultano, e a dispendiarsi molto bene colla così detta mena delle bufole per il detto fiume.

Dunque nel Sarno la consuetudine risalirebbe alla fine del XVI secolo e sa- rebbe stata originata dall’impedimento del libero corso del fiume e dalla notevole diminuzione delle sue acque. E alle bufale sarebbe spettato così non solo il me- rito di restituire col loro calpestio l’officiosità ai corsi d’acqua, ma anche quello - ecologista ante litteram - di purgarli da tutte le immondezze.

3. P

RATICA CONSUETUDINARIA O PROCEDURA CODIFICATA

?

In tutta la corrispondenza d’archivio d’epoca si definisce la ‘mena delle bu- fale’ come antico solito o immemorabil solito, ove l’aggettivo sostantivato rende bene l’idea di una consuetudine diffusa e ormai remota. È certo tuttavia che all’inizio del XIX secolo, in età napoleonica, la pratica era assoggettata a un preciso rituale burocratico che coinvolgeva Sindaci, Intendente provinciale e Ministero degli Interni.

Una prova della complessità del percorso autorizzativo, ma pure delle compli- cazioni che nel suo attuarsi potevano insorgere, è nell’accorata missiva del Sindaco di Sarno all’Intendente della Provincia di Principato Citeriore del 15 maggio 1813.

Vi si legge che più di un anno prima, il 17 aprile 1812, il Sindaco aveva inviato un rapporto all’Intendente, dopo aver acquisito una perizia da due architetti del luogo nella quale essi dichiaravano:

di avere ocularmente osservato, che dopo il lasso di anni quattro, da che fu fatta l’altra mena delle bufale anno per anno è cresciuto notabilmente il letto del fiume

… ne avviene, che le sudette acque non scorrono liberamente; si arretrano; e riem- piendosi in tal modo i fossi intermedi tra i territorj di acque stagnanti, ne segue l’infertilità de’ territorj; e quel che è peggio l’infezione dell’aria in tempo estivo tanto nociva alla popolazione sarnese e dei paesi convicini. Quindi essi costituiti architetti han dichiarato alla presenza di esso sig. Sindaco di essere di somma necessità, che si faccia in quest’anno la mena di dette bufale.

Il 23 giugno successivo aveva trasmesso allo stesso Intendente le tre offerte ricevute dagli appaltatori della mena, da sceglierne la più vantaggiosa, e da ese- guirsi in luglio. Ma solo il 10 agosto il Ministro dell’Interno, pur tempestivamente interpellato dall’Intendente, aveva comunicato che la pratica era stata rimessa al Direttore Generale del neocostituito Corpo di Ponti e Strade

4

per un parere tec- nico, tant’è che la mena per quell’anno non aveva avuto più luogo. Sicché il Sin- daco, ormai che è avanzata la primavera del 1813, ha motivo di sbottare:

Quale che sia il modo da eseguirsi l’operazione della mena delle Bufale per lo spurgo dell’alveo del fiume Sarno, in quest’anno è necessarissima di porla in ef- fetto, correndo ormai il quinquennio, da che fu fatta l’altra mena; altrimenti ne avverrà l’insalubrità dell’aria, e l’infecondità de’ terreni.

4 Il Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade era stato costituito nel 1808.

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Tuttavia la supplica non valse a ottenere l’avvio della mena neanche nel 1813, benché gli appaltatori concorrenti avessero già dichiarato di voler mantenere le stesse condizioni dell’anno prima.

Dal racconto della mancata “mena” del 1812 si deduce che essa doveva essere finanziata dalle Autorità centrali del Regno; e infatti - riferisce il Sindaco:

Il Real Decreto del 18 dicembre 1812 approva l’esito per la sudetta partita della mena delle Bufale in lire 3520 da spendere dietro gli ordini del Sig. Ministro dell’Interno.

In una precedente missiva all’Intendente del luglio 1812 lo stesso Sindaco si era lanciato in un sollecito:

Fin’ora non mi avete, Sig. Intendente, mandati gli ordini per l’accenzione delle candele, malgrado d’esser prossima la mena delle bufale, la quale a tenor delle offerte dovrebbe cominciare a 22 dell’andante.

Dunque le offerte al ribasso venivano avanzate di fronte alla fiammella di una candela in una vera e propria asta pubblica, secondo una procedura - il metodo della candela vergine - utilizzata fino a pochi anni fa nella vendita dei boschi pubblici. Tutto ciò induce a ritenere che la “mena”, praticata da secoli in maniera consuetudinaria e sulla base di conoscenze empiriche, si sia istituzionalizzata, a cavallo tra Settecento e Ottocento. È stata codificata in un complesso iter pro- cedurale, dato l’ampio coinvolgimento di interessi (il Comune, gli appaltatori, i proprietari frontisti, i fornitori di erba, i macelli) ed è stata definitivamente in- quadrata nell’articolazione dei poteri locali e centrali.

4. L’

AREA DI ESPANSIONE DELLA

MENA

La più ampia documentazione d’archivio reperita si riferisce al fiume Sarno.

Tuttavia la mena doveva essere praticata in tutte le aree di pianura prossime alle plaghe paludose normalmente frequentate dalle bufale. Certamente in Terra di Lavoro, lungo il litorale domiziano, nell’area pontina e nella piana del Sele.

La pratica riguardava la stessa città capitale, come mostra l’invocazione al Re della regia camera della Sommaria del 16 ottobre 1747:

Essendo solito verso la fine del corrente mese di ottobre limpiarsi, ed espurgarsi

i fiumi delle paludi di questa fedelissima città acciò l’acque abbino libero il loro

corso, e non restino appantanate, e si eviti ogni infezzione d’aere in pregiudizio

della General salute di questo Pubblico. Perciò sta stabilito per antiche istruzzioni

di questa Regia Camera farsi la spurga sudetta con 60 bufale da padronali della

Provincia di Terra di Lavoro. Siamo per ciò remasti di comun voto, e parer umi-

liare il tutto alla M.V. affinché resti servita dar ordine al Regio Governatore della

città di Capua, che per tutto li 20 del corrente mese di ottobre faccia capitare nelle

paludi sudette le dette bufale sessanta, tutte unite, e condotte da loro bufalari,

senza eccezione in ciò di persona alcuna, acciò possa farsi la spurga sudetta, che

si riguarda alla conservazione della publica salute.

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Evidentemente qui, nelle paludi a est di Napoli, era consuetudine in quei tempi praticare la “mena” in autunno inoltrato, utilizzando bufale e mandriani provenienti dal bacino del Volturno.

Un documento citato da Vittorio Bracco si riferisce invece al fiume Tanagro:

si tratta di una supplica rivolta dall’università di Polla al Re il 15 novembre 1778 affinché le mandrie forastiere non risalissero più dai loro piani ad aggravare la già precaria situazione degli abitanti che nel non limpido fiume avevano finanche un alimento.

5

Anche qui è dunque attestata l’attività abituale di allevatori, provenienti stavolta dalla piana ebolitana, chiamati per effettuare con la mena bufalina la pulizia del Tanagro. E il ricorso alle bufale non doveva essere sempre pacifico, in ragione di effetti ‘secondari’ della mena come l’intorbidimento temporaneo delle acque, che - a dire dei supplicanti - rendeva inutilizzabile il fiume ai pescatori sottraendo ali- menti ai locali.

In un rapporto interno dell’Intendenza di Principato Citeriore del 10 giugno 1814

6

si parla infine dell’insuccesso dell’operazione di espurgo del fiume Sarno condotta nell’anno precedente; e tra i motivi dell’insuccesso si individua il fatto che il letto del fiume era duro e non fangoso, come quelli di Licola e Patria. Il che consente di desumere che anche nei corsi d’acqua costieri del litorale domiziano dovessero esistere analoghi problemi e che queste aree fossero addirittura considerate come luoghi elettivi delle attività tradizionali di espurgo degli alvei.

5. L

E MODALITÀ DELLA

MENA

NELLA DOCUMENTAZIONE DEL PRIMO

’800 Un documento d’archivio assai interessante è l’offerta formulata nel 1812 al Sindaco di Sarno da un appaltatore, tal Nicola Liguori. L’offerta segue uno schema consolidato, rinvenibile in un analogo documento, a firma di Nicola Un- garo e Paolo de Vivo, appaltatori della “mena” del 1808.

Nella parte del documento dedicata ai patti e alle condizioni dell’appalto si rin- vengono notizie utili a comprendere le modalità con cui la “mena” veniva eseguita.

È fatto inderogabile che essa abbia inizio non oltre il 24 luglio, in modo che con il decorrere dei 40 giorni non si incorra nelle prime piogge autunnali. Il Co- mune dovrà farsi carico della rimozione delle palizzate che sbarrano il letto e della vegetazione spondale infestante, ma anche di designare e pagare i mandriani, che avranno l’obbligo di spingere le bufale, senza maltrattarle, servendosi di una bac- chetta di orno (Fraxinus ornus) ben levigata della grossezza non più grande del dito pollice, e di vigilare perché a maltrattarle non siano i proprietari dei fondi limitrofi.

L’impegno assunto dall’appaltatore è di ‘menare’ nel fiume quaranta bufale, le quali dovranno faticare per sei ore al giorno, e per giorni quaranta, da contarsi dette ore con

5 V. Bracco: Polla - Linee di una storia. Salerno, 1976, pag. 63.

6 Salerno li 10 giugno 1814. Nota non indirizzata né firmata; probabilmente un rapporto interno all’In- tendente. Archivio di Stato di Salerno, Intendenza, B. 1320.

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l’ampollina, che dovrà tenere la persona destinata dalla Comune. Quindi al Comune è riservato il controllo sui tempi effettivi di impegno delle bufale, mentre restano a carico dell’appaltatore il mantenimento degli animali e la fornitura del foraggio.

E infine una clausola curiosa: al termine della “mena” le bufale dovranno essere macellate nel Comune di Sarno e vendute a prezzo maggiore di quello praticato nel Comune di Nocera, proibendosi espressamente ai macellai sarnesi di poter vendere altra carne bufalina, durante il consumo delle bufale della mena. Evidentemente l’appaltatore metteva a disposizione animali a fine carriera e si garantiva un gua- dagno sicuro anche con la macellazione e la vendita della carne.

Il ricorso alla “mena” viene invocato da tecnici e amministratori di Sarno sulla base di una interessante diagnosi delle cause che portano al periodico interri- mento dei corsi d’acqua cui seguono l’infertilità de’ territorj e l’infezione dell’aria in tempo estivo. Nella citata perizia degli architetti del 1812 si legge:

Dopo il lasso di anni quattro, da che fu fatta l’altra mena delle bufale anno per anno è cresciuto notabilmente il letto del fiume sì per l’erba detta Moglia, che le lame, ed alluvioni, che calano dalle montagne, che sovrastano, portando seco delle pietre, ed arene, che vanno a scaricarsi negli alvei di detto fiume; donde nasce l’interramento, che fa alzare il letto del fiume.

L’affermazione appare consona allo spirito dell’epoca in cui si sta acquistando graduale consapevolezza delle conseguenze prodotte sul regime delle acque in pianura dai dissennati diboscamenti e dissodamenti che dilagano sui versanti col- linari e montuosi: una piaga che continuerà ad affliggere i territori meridionali per più di un altro secolo, ma di cui si comincia proprio in quegli anni finalmente a comprendere la portata. Ad appena tre anni prima risale la prima lettura pub- blica del saggio di Teodoro Monticelli: Sulla Economia delle acque da ristabilirsi nel Regno di Napoli, che con grande lucidità connette alla cura dei boschi l’efficacia dei canali per lo scolo de’ terreni paludosi, l’arginamento necessario de’ fiumi, la direzione de’

torrenti e le altre operazioni, che la bonifica delle nostre pianure esige. Insomma si comin- ciava a conoscere la causa primaria degli interrimenti ai quali si cercava di rime- diare con il periodico intervento delle bufale e a capire che ben più efficace ri- medio sarebbe stata la limitazione dell’aggressione ai boschi.

6 . I

L DECLINO DELLA

MENA

L’impedimento nell’autorizzare la mena nel 1812, protrattosi nell’anno suc- cessivo, è giustificato da un documento della Direzione Generale di Ponti e Strade. Questa, interpellata dal Ministro dell’Interno, aveva evidentemente stu- diato a lungo la questione e il 20 settembre 1813 rassegnava all’Intendente di Salerno le sue conclusioni:

Dopo esame accurato mi è riuscito di raccoglier dati sufficienti ad emettere una

oppinione basata sull’esperienza, e sulla ragione. Il metodo di bufali è perfet-

tamente riprovabile, come quello che lungi dall’esser utile arreca danno alla pub-

blica salute smuovendo, e non espurgando quel limo principal causa di ogni male.

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Preferibile ad ogni altro si è rilevato l’uso de’ rampini, ed in parte delle palette oltre alla sua maggiore speditezza, e facilità, presenta una economia considerevole in paragone allo spurgo de’ bufali.

Sembrerebbe essere la certificazione di morte della mena delle bufale, redatta dal massimo organismo tecnico del Regno: in sintesi sosteneva che d’ora in avanti, piuttosto che sprecare danaro per peggiorare lo stato dei fiumi con il calpestio delle bufale, si sarebbe dovuto procedere al loro espurgo con pale e rastrelli. Resta tuttavia il dubbio che l’abbandono della pratica consuetudinaria non sia stato così repentino.

In una nota interna all’Intendenza del 10 giugno 1814 si trova un resoconto dei lavori eseguiti l’anno precedente, in conformità alle nuove direttive di Ponti e Strade:

Per l’anno 1813 l’appalto fu col metodo d’ordine e l’opera fu affidata a Celestino Pandolfi, come l’unico istruito di un tal travaglio. Landolfi si portò in Sarno. Dié principio all’opera, ma non poté perfezionarla dal perché il letto del fiume era duro e non fangoso, come quelli di Licola e Patria, e per l’altro ancora, che la sua larghezza non permetteva, che i rampini potessero agire, non giungendo, che alla mettà del letto.

Dunque nelle istituzioni locali c’era chi manifestava profondo scetticismo nelle innovazioni imposte dalla Direzione di Ponti e Strade e denunciava l’insuc- cesso delle loro applicazioni, cercando nel contempo di farsi interprete dei desi- derata delle comunità locali:

Ora il Sindaco, Decurioni e Cittadini di Sarno dimandono espurgarsi il fiume colla mena delle bufale per togliere l’interramento che prepara gli alluvioni, e di- mandono gli ordini opportuni.

E con sottile perfidia non mancava di far rilevare che le bufale “disoccupate”

avevano continuato a consumare foraggio senza alcun utile:

I ntanto la spesa fatta de’ mangimi nel 1813 come di sopra si è detto è ascesa a lire 1573,00, ed è da supporsi che nessun beneficio ha apportato.

Non sappiamo come e quando si sia conclusa la querelle. Ma di mena delle bufale si continua a parlare per decenni. Ancora nel 1838 i proprietari del Co- mune di Sarno chiedono all’Intendente della Provincia di Principato Citeriore di ripristinare la mena delle bufale nel letto del fiume omonimo

7

.

E di bufale che guadano i corsi d’acqua, pungolate da mandriani a cavallo e in barca, è ancora piena l’iconografia successiva, dalle incisioni e dai dipinti ot- tocenteschi (Figure 1, 2, 3), fino alle immagini fotografiche della prima metà del Novecento (Figure 4, 5, 6).

Ma ormai i tempi cambiavano rapidamente e non avrebbero consentito più a lungo la sopravvivenza dell’antico e immemorabil solito.

7 AS SA, Intendenza, b 1723, fasc. 4.

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Figura 1 - Mena delle bufale nei canali dell’agro Pontino. Incisione da un dipinto di Carlo Coleman del 1849.

Figura 2 - Dipinto di Girolamo Gianni, 1882.

Figura 3 - Campagna romana. Dipinto del 1907.

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Figura 4 - Mena delle bufale nell’agro romano. Primo Novecento.

Figura 5 - Bufale nel Sele anni ’30. Archivio fotografico Comune di Eboli - fondo Gallotta.

Figura 6 - Mena delle bufale nell’agro Pontino. 1940.

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SUMMARY

The “mena delle bufale” (buffalo grazing):

a particular approach for riverbed clearing and maintenance

Riverbed clearing is that complex of operations, all part of the ordinary maintenance of the hydrographic network, which includes cutting riparian vegetation and removal of silting. These are periodic operations, are essential to keep the outflow lines efficient, counteracting natural dynamics that can cause the loss of hydraulic functionality of the waterways. The restoration of the hydraulic functionality is a topic that has long been addressed in the context of land man- agement actions.

Here we describe the origins, development and decline of a traditional livestock system, based on buffalo breeding, used for the maintenance of the hydraulic network in the plains of the Campania region: the “mena delle bufale”, which has been practiced at least from the XVII to the XIX century. On the basis of the available historical documentation we illustrate the tech- nique applied in a particular historical moment and in a particular territorial context as an exam- ple of a sustainable approach for riparian vegetation management.

BIBLIOGRAFIA Bracco V., 1976 - Polla - Linee di una storia. Salerno, 1976.

Ghirardo D., 2009 - Le duchesse e le bufale e l’imprenditoria femminile nella Ferrara rinascimentale. Scaranari.

Siani N.A., 1816 - Memorie storico - critiche sullo stato fisico ed economico antico e moderno della città di Sarno e del suo circondario. Napoli, 1816.

Zicarelli L., 2017 - L’impulso di Carlo III al rinnovamento alle attività agrozootecniche del Mezzogiorno. Lectio magistralis del 19.12.2017. Università degli Studi di Napoli Federico II.

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