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(1)CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA SEDUTA ANTIMERIDIANA DELL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL 15 FEBBRAIO 2012 Sono intervenuti alla seduta: VICE PRESIDENTE Cons

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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA SEDUTA ANTIMERIDIANA DELL’ASSEMBLEA PLENARIA

DEL 15 FEBBRAIO 2012

Sono intervenuti alla seduta:

VICE PRESIDENTE

Cons. Michele VIETTI

COMPONENTI DI DIRITTO Primo Presidente Cassazione Ernesto LUPO Procuratore Generale Cassazione Vitaliano ESPOSITO

COMPONENTI ELETTI DAI MAGISTRATI E DAL PARLAMENTO

Cons. Ettore Adalberto ALBERTONI

Cons. Guido CALVI

Cons. Vittorio BORRACCETTI

Cons. Annibale MARINI

Cons. Aniello NAPPI

Cons. Riccardo FUZIO

Cons. Glauco GIOSTRA

Cons. Tommaso VIRGA

Cons. Paolo Enrico CARFI’

Cons. Francesco CASSANO

Cons. Francesco VIGORITO

Cons. Paolo CORDER

Cons.. Paolo AURIEMMA

Cons. Giuseppina CASELLA

Cons. Nicolò ZANON

Cons. Giovanna DI ROSA

Cons. Roberto ROSSI

Cons. Alberto LIGUORI

Cons. Angelantonio RACANELLI

Cons. Bartolomeo ROMANO

Cons. Alessandro PEPE

S E G R E T A R I O

Dott. Giulio ADILARDI

Sono assenti i Consiglieri Filiberto PALUMBO e Mariano SCIACCA

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Il cons. ZANON, intervenendo sull’ordine dei lavori, chiede di anticipare la trattazione della seguente pratica di PRIMA COMMISSIONE:

- 486/RR/2011 - Delibera in data 8 novembre 2011 con la quale il Comitato di Presidenza autorizza l'apertura di una pratica, richiesta con nota in data 4 novembre 2011 dai Consiglieri Nicolò ZANON e Guido CALVI, avente ad oggetto “la partecipazione del dott. Antonio INGROIA, Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Palermo, al congresso Pdci e le dichiarazioni dallo stesse rese nel corso del suo intervento.”

Proposta “A”

Legenda :

in neretto: parti aggiunte oggetto degli emendamenti presentati alla seduta dell’8 febbraio 2012 dai Consiglieri Fuzio e Nappi, fatti propri dai relatori;

tra parentesi quadre : parti eliminate a seguito degli emendamenti presentati alla seduta dell’8 febbraio 2012 dal Cons. Fuzio, fatti propri dai relatori.

La Prima Commissione, con tre voti favorevoli, 2 voti contrari ed una astensione, propone l’adozione della seguente delibera:

“Con delibera dell’8 novembre 2011 il Comitato di Presidenza, “vista la nota in data 4 novembre 2011 con la quale i Consiglieri Nicolò Zanon e Guido Calvi chiedono l’autorizzazione all’apertura di una pratica avente ad oggetto la partecipazione del dott. Antonio Ingroia, procuratore aggiunto presso il Tribunale di Palermo, al congresso Pdci e le dichiarazioni dallo stesso rese nel corso del suo intervento”, deliberava di autorizzare l’apertura della presente pratica.

Nella seduta del 15 novembre 2011 la Commissione disponeva la trascrizione delle dichiarazioni rese dal dott. Ingroia.

1. Risulta, dunque, agli atti che il dott. Ingroia, procuratore aggiunto presso il Tribunale di Palermo, in data 30 ottobre 2011, ha partecipato a Rimini al congresso di un partito politico (Partito dei Comunisti italiani – PDCI), prendendo in tale circostanza la parola e svolgendo un ampio discorso con contenuti politici.

Nel suo intervento, il dott. Ingroia, pur riconoscendo la ge nerica necessità, in quanto magistrato, di essere imparziale, affermava di non poterlo essere – e di sentire anzi la necessità di schierarsi in senso nettamente contrario (“so da che parte stare”) – nei confronti di forze che, a suo dire, cercano

“quotidianamente” di introdurre “privilegi e immunità” a vantaggio di pochi, in spregio al principio

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di uguaglianza, oppure intendono “distruggere il senso di giustizia dei cittadini con leggi come quelle sulla prescrizione breve e sul processo lungo”, ovvero ancora “negano il diritto al lavoro e allo studio” attraverso le “controriforme della scuola e del lavoro”.

Esaltata l’esigenza della difesa della Costituzione repubblicana, della quale il dott. Ingroia dichiarava di sentirsi “partigiano”, e affermata la necessità di promuovere un “costituzionalismo progressivo”, appare evidente che il discorso del dott. Ingroia si caratterizza, in sintesi, per accenti di forte polemica nei confronti di programmi, di leggi o proposte di legge avanzate nel corso di questi ultimi anni da forze politiche, non direttamente citate ma facilmente riconoscibili.

In definitiva, l’intervento del dott. Ingroia - soprattutto per l'occasione in cui è avvenuto: il congresso di un partito politico - si è palesato quale presa di posizione assai vistosa, tanto più significativa in quanto proveniente da un autorevole magistrato di una importante Procura.

Per queste ragioni, e per diversi giorni, l'intervento del dott. Ingroia ha formato oggetto di ampia attenzione sui mezzi di comunicazione ed ha suscitato notevoli reazioni in sede parlamentare.

2. Va immediatamente precisato che, in questa sede, non è in discussione l'esercizio da parte del dott. Ingroia del diritto di manifestare il proprio pensiero.

E’ di tutta evidenza, che anche ai magistrati, come agli altri cittadini, appartiene il diritto costituzionale di manifestare le proprie opinioni in pubblico, e naturalmente anche quello di esporre pubblicamente le proprie critiche rispetto a orientamenti politico- istituzionali o legislativi, indipendentemente dal fatto che essi provengano da forze collocate nell’area di governo o di opposizione. Ma è anche altrettanto evidente che tale diritto fondamentale, per quanto riguarda il cittadino- magistrato, deve essere bilanciato con i principi costituzionali di indipendenza e imparzialità (e di apparenza di indipendenza e imparzialità, come peraltro autorevolmente affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 100 del 1981), e cioè con i valori essenziali che caratterizzano lo status costituziona le degli appartenenti all'ordine giudiziario.

Inoltre, non appare fuori luogo ricordare che i magistrati, nelle occasioni di esternazione pubblica, devono tenere conto che la loro posizione istituzionale accentua i doveri di correttezza espositiva, compostezza e sobrietà, rispetto agli standard di diligenza che possono essere richiesti al cittadino che non ricopra analogo status.

Alla luce di tali considerazioni, la Prima Commissione ritiene che la fattispecie in questione presenti due elementi degni di esame: da un lato, il contesto nel quale l’esternazione si è verificata, ovvero il congresso di un partito politico, dall’altro, il contenuto del discorso pronunciato in quella sede.

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Per quanto riguarda il contenuto, è ben vero che, in generale, un intervento attinente ai temi della giustizia, provenendo da un magistrato, non solleva di per sé osservazioni, ben potendosi considerare un contributo, da parte di un esperto, al dibattito pubblico sul tema. [Ed è ben vero che]

Parimenti anche le citate osservazioni relative ai temi della scuola e del lavoro, pur avendo contribuito a colorare il discorso in questione di accenti politico-polemici assai forti, sono da considerarsi un legittimo contributo critico, espressione del diritto fondamentale già ricordato.

Ma proprio in relazione al contenuto, trattandosi di esternazione proveniente da un autorevole magistrato di un’importante Procura (spesso in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata e come tale oggetto di forte attenzione mediatica), è lecito ritenere che la soglia sulla base della quale valutare il rispetto dei ricordati doveri di correttezza espositiva, compostezza e sobrietà, risulti, nel caso in esame, collocata a un livello più elevato di quanto possa normalmente accadere, laddove si tratti di valutare interventi di non “addetti ai lavori”.

Come già accennato, è poi, soprattutto, l’occasione specifica dell’esternazione – [si ripete:] il congresso ufficiale di un partito politico – a colorare di una luce particolare l’intero intervento. Ed è in conclusione proprio la combinazione dei due elementi ricordati – a) esternazione “vistosa” su temi di grande rilievo politico, b) nel contesto del congresso ufficiale di un partito – a determinare la peculiarità della situazione in esame.

Tralasciando qualsivoglia giudizio in ordine al fatto in sé che un magistrato partecipi alla manifestazione ufficiale di un partito, è indispensabile interrogarsi sulla delicata questione relativa alla circostanza che tale partecipazione avvenga attraverso una presa di posizione ufficiale e, come detto, assai “vistosa”, che rischia di ingenerare nella pubblica opinione l’idea - certamente sbagliata, ma comunque esiziale per l’immagine della magistratura - di una sorta di collateralismo nel perseguimento di finalità di parte, anche nel campo della giustizia.

Spetta, dunque, alla Prima Commissione verificare, nel solco della prassi e giurisprudenza consiliare consolidatasi, se gli elementi appena menzionati possano astrattamente integrare una situazione in virtù della quale, indipendentemente da sua colpa, il dott. Ingroia non possa più svolgere, nella sede occupata, le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità (art. 2 r. d.

lgs. 31 maggio 1946, n. 511, come modificato dal comma 1 dell’art. 26 d. lgs. 23 febbraio 2006, n.

109).

Del resto – come conferma la giurisprudenza amministrativa – una condotta consistente nel rendere dichiarazioni pubbliche, riguardata in sé come mero fatto materiale e indipendentemente da qualsiasi giudizio che se ne dia (di liceità o di illiceità, di apprezzamento o riprovazione), può in astratto essere suscettibile di integrare il presupposto fattuale per l’applicazione della procedura di

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trasferimento per incompatibilità ambientale (cfr. Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza n.

3587/2011).

3. Ciò posto, pare opportuno precisare - dal punto di vista delle competenze e dell’attività della Prima commissione - alcuni aspetti del rapporto intercorrente tra i presupposti che legittimano il ricorso al trasferimento d’ufficio, disposto dal C.S.M. in via amministrativa ex art. 2 della legge delle guarentigie (come modificato nel 2006), e quelli che invece danno fondamento alle attribuzioni di carattere disciplinare spettanti, in primo luogo, ai titolari dell’azione disciplinare (Ministro della Giustizia e Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione), e poi alla Sezione Disciplinare dello stesso C.S.M.

Come ha stabilito la Risoluzione consiliare del 6 dicembre 2006 (“Problematiche relative alla nuova formulazione dell’art. 2 Legge Guarentigie. Interpretazione del nuovo testo dell’art. 2 l.g.

come modificato dal D. L.vo n. 109/2006”), il presupposto del trasferimento d’ufficio ex art. 2 l. g.

ricorre quando la situazione comportante l’impossibilità di svolgere le funzioni giudiziarie con piena indipendenza e imparzialità non risulti sussumibile in alcuna delle fattispecie disciplinari delineate dal decreto legislativo n. 109 del 2006 (oppure non sia riconducibile a comportamenti del magistrato, situazione che per definizione non pone problemi di rapporto con la procedura disciplinare).

Se tale sussumibilità invece risulti, la Prima Commissione deve arrestare la propria attività e trasmettere gli atti ai titolari dell’azione disciplinare, ai quali comunque spetta in via esclusiva l’apprezzamento del rilievo disciplinare della situazione in esame (cfr. anche quanto disposto, in via generale, dall’art. 27 del Regolamento Interno del C.S.M.).

In concreto, tuttavia, si tratta di precisare quale e quanto spazio di accertamento istruttorio possegga la Prima Commissione in ordine ai fatti giunti al suo esame, senza violare le attribuzioni che spettano ai titolari dell’azione disciplinare, ma appunto allo scopo di verificare i presupposti per l’attivazione della propria competenza.

Sul punto, non può ovviamente spettare alla Commissione un pieno e approfondito esame circa la configurabilità, nei comportamenti presi in esame, di illeciti disciplinari tipizzati nel d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109. Sembra potersi aggiungere che ad essa spetti invece il compito, più limitato, di delibare preliminarmente se i comportamenti alla sua attenzione risultino astrattamente sussumibili in alcuna delle fattispecie disciplinari tipiche delineate dal d. lgs. n. 109 del 2006. Come ricorda la citata Risoluzione consiliare del 6 dicembre 2006, un’indicazione normativa a favore della possibilità, per la Prima commissione, di espletare questa limitata attività di accertamento, deriva da quanto disposto dall’art. 26, comma 2, del d. lgs. n. 109 del 2006: tale norma disciplina

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bensì il regime transitorio dei procedimenti amministrativi di trasferimento d’ufficio pendenti alla data di entrata in vigore della riforma del 2006, ma da essa sembra ricavabile un principio permanente.

E’ importante notare che l’attività istruttoria necessaria alla preliminare delibazione sulla natura dei fatti sottoposti all’esame della Prima Commissione dovrebbe essere necessariamente congrua e proporzionata a questo limitato scopo, e non estendersi oltre. Per restare al caso qui in esame, accertamento istruttorio sufficiente appare l’acquisizione della trascrizione del discorso pronunciato dal dott. Ingroia a Rimini il 30 ottobre 2011, senza ulteriori adempimenti.

A questo punto, sembra possibile affermare che se, all’esito di un accertamento contenuto nei termini affermati, un’astratta sussumibilità dei fatti al suo esame in una fattispecie disciplinare tipica non risultasse prima facie inverosimile, la Commissione dovrebbe arrestare il proprio esame e trasmettere gli atti ai titolari dell’azione disciplinare. Simmetricamente, se tale astratta sussumibilità risultasse invece prima facie non sostenibile, la Commissione potrebbe proseguire i propri accertamenti istruttori.

Questa prima acquisizione necessita però di un importante correttivo. Nella seconda ipotesi (cioè in caso di delibazione che concluda per la non sussumibilità dei fatti in alcun illecito tipico e consenta il proseguimento dell’istruttoria), ferma restando l’ovvia libertà di valutazione dei titolari dell’azione disciplinare – che non viene scalfita, né lo potrebbe essere, dalla sommaria valutazione della Prima Commissione – è da precisare che nell’ipotesi in cui, in qualunque momento, la Commissione abbia notizia della pendenza di un procedimento disciplinare per quei medesimi fatti, essa deve ugualmente arrestare la propria attività e archiviare la pratica, salva la necessità – da valutarsi caso per caso - di compiere accertamenti indifferibili e urgenti, [sempre] ai soli fini delle valutazioni ex art. 2 l.g.. [Ciò in virtù dell’ovvia considerazione che, per definizione, fatti suscettibili di essere fonte di responsabilità disciplinare - non più in astratto, ma proprio nella valutazione in concreto degli organi a ciò competenti - non possono essere “incolpevoli” ai sensi della nuova versione dell’art. 2 l.g. e pertanto non integrano una competenza della Commissione.]

In tal caso si ha una seconda e diversa ipotesi di arresto dei lavori della Prima Commissione: non più sulla base dell’autonomo apprezzamento circa la astratta sussumibilità dei fatti al suo esame in una fattispecie disciplinare, ma sulla base di un’attività [dovuta ai] dei titolari dell’azione disciplinare.

Si tratta, in questa seconda ipotesi, di comprendere cosa si intenda con l’espressione “pendenza del procedimento disciplinare”. La questione, particolarmente delicata, deve tenere conto della circostanza che si tratta qui di evitare, per quanto possibile, sovrapposizioni istruttorie che potrebbero essere assai dannose, soprattutto per la procedura disciplinare. Per questa ragione, pare

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opportuno considerare, in linea di principio, che pendenza del procedimento disciplinare, ai limitati fini qui di interesse, si abbia allorquando - ai sensi dell’art. 14, commi 2 e 3, del d. lgs. n. 109 del 2006 - il Ministro della Giustizia fa richiesta d’indagine al Procuratore Generale presso la Cassazione, dando comunicazione al C.S.M. con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede, ovvero, analogamente, quando è il Procuratore Generale ad assumere l’iniziativa, dandone notizia al C.S.M. e al Ministro, sempre con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede.

[E’ consapevole la Commissione che ad altri fini, diversi da quelli ora in considerazione, laddove ad esempio si tratti di valutare se la pendenza del procedimento disciplinare sia o meno preclusiva all’assunzione di determinati compiti, il C.S.M. ha assunto una diversa nozione di “pendenza”, molto più oggettiva e “garantista”, facendo riferimento al momento in cui, al termine delle indagini, non ritenendo di dover chiedere la declaratoria di non luogo a procedere, il Procuratore Generale formula l’incolpazione e chiede al Presidente della Sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale (un momento in cui vi è cioè stata una prima attenta valutazione del fumus in ordine all’illecito disciplinare: cfr., ad esempio, delibera n. 143/UD/2011 del 21 dicembre 2011, in tema di nomina del magistrato affidatario e/o collaboratore per il tirocinio dei magistrati ordinari).]

[Ma,] Come si accennava, nel caso qui in questione si tratta soprattutto di evitare sovrapposizioni di accertamenti e audizioni, e di evitare che un’istruttoria in Prima Commissione abbia l’effetto di interferire con strategie d’indagine disciplinare, o addirittura di violare le garanzie sia di riservatezza che di contraddittorio, presenti nel procedimento disciplinare ma non allo stesso modo assicurate in quello amministrativo ex art. 2 l.g.

Quanto fin qui detto vale per l’ipotesi in cui fra i fatti suscettibili di essere sussunti in una fattispecie disciplinare tipica e quelli da valutarsi ai fini del trasferimento d’ufficio vi siano coincidenza e sovrapponibilità totali, di modo che l’esame in sede disciplinare esaurisca, senza residui, ogni elemento della situazione. Se così non sia, se cioè restino parti o aspetti della situazione palesemente non rilevanti ai fini disciplinari, ma invece di interesse ai fini della valutazione ex art. 2 l. g., si pone la questione se abbia la Prima Commissione un autonomo (e parallelo a quello dei titolari dell’azione disciplinare) potere d’accertamento istruttorio.

Pur molto dipendendo dal grado di connessione, o invece di separatezza, degli elementi di fatto in questione, l’inevitabile favor per il procedimento disciplinare consiglia in line a di principio alla Commissione un certo self-restraint, dovuto non solo alle ragioni di carattere pratico già accennate (si pensi alla ricordata opportunità di evitare sovrapposizioni di accertamenti e audizioni) ma anche e soprattutto alla già sottolineata necessità che pare qui sempre prevalente, ovvero quella di non interferire con strategie d’indagine disciplinare e di non violare le garanzie di riservatezza e di contraddittorio tipiche del procedimento disciplinare.

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“Tuttavia, quando la connessione no n sia di carattere pregiudiziale (nel senso che l’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del trasferimento amministrativo d’ufficio non presuppongano l’accertamento dei fatti rilevanti ai fini disciplinari), la Prima Commissione potrà proseguire nelle sue indagini e il Consiglio potrà deliberare a norma dell’art. 2 r.d. lgs.

N. 511/1946”.

4. Se [, in base alla sequenza logica accennata,] la delibazione preliminare più sopra descritta viene applicata al caso in esame, sulla base del limitato accertamento istruttorio compiuto, pare potersi sostenere che l’intervento del dott. Ingroia al [Congresso] congresso di partito, avvenuto in data 30 ottobre 2011, non è astrattamente sussumibile in alcun illecito tipizzato dal d. lgs. n. 109 del 2006, che di consegue nza non debba essere disposta la trasmissione degli atti ai titolari dell'azione disciplinare, e che la Commissione possa perciò verificare se la situazione in esame integri gli estremi previsti dall’art. 2 l. g.

[Sul presupposto che trattasi di delibazione “allo stato”, sempre suscettibile di essere contraddetta da iniziative dei titolari dell’azione disciplinare, idonee a far arrestare i suoi lavori, ] La Commissione osserva infatti che il legislatore, con la legge n. 269 del 2006, ha provveduto ad abrogare una fattispecie di illecito – originariamente inserita nella riforma dell’ordinamento giudiziario – che sarebbe stata astrattamente pertinente al caso in esame (art. 1, comma 2 d. lgs.

109/2006: “Il magistrato, anche fuori dell’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria”).

Altre due norme, che invece permangono nel d. lgs. n. 109 del 2006 (l’art. 1, comma 1: “Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con ….riserbo ed equilibrio”; l’art. 3, comma 1, lett. h, che prevede quale illecito disciplinare extrafunzionale “l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici”), paiono palesemente inconferenti nel caso in esame: la prima perché il comportamento in questione è extrafunzionale, la seconda perché, all’evidenza, non si ragiona qui né dell’iscrizione, né della partecipazione “sistematica e continuativa” all’attività di un partito politico, ma invece della singola partecipazione ad una manifestazione partitica:

partecipazione che in sé stessa – pur particolarmente “vistosa”, come già detto, e pur potendo dare l’impressione di un certo “collateralismo” all’attività di un determinato movimento politico - pare a prima vista molto lontana dall’essere sussumibile sotto la fattispecie disciplinare richiamata.

5. Ciò premesso, passandosi alla valutazione circa l’esistenza di elementi che eventualmente integrino i presupposti di cui all’art. 2 l.g., si è già osservato che una condotta consistente nel

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rendere dichiarazioni pubbliche, esclusa la sua rilevanza disciplinare, riguardata in sé come mero fatto materiale e indipendentemente da qualsiasi giudizio che se ne dia (di liceità o di illiceità, di apprezzamento o riprovazione), può in astratto essere suscettibile di integrare il presupposto fattuale per l’applicazione della procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale o funzionale soltanto quando si sia determinata

[Ora, il riferimento, contenuto nell’art. 2 l.g., al]l’impossibilità, per il magistrato, di svolgere le proprie funzioni, nella sede occupata, con piena indipendenza e imparzialità [, attiene a situazioni nelle quali – quale conseguenza del comportamento tenuto – i beni protetti dalla norma (indipendenza e imparzialità) siano stati posti in concreto pericolo ]. L’art. 2 l.g., in altre parole, contiene un assai significativo riferimento agli effetti del comportamento del magistrato su due beni di valore inestimabile per il suo status: indipendenza ed imparzialità.

Osserva la Commissione che sotto questo specifico profilo, una singola esternazione, come quella del dott. Ingroia al congresso del partito prima citato, pur particolarmente vistosa e inopportuna, non può di per sé integrare gli effetti descritti e richiesti dalla disposizione di legge. E’ in altre parole l’episodicità del comportamento a far ritenere che, nel caso in questione, non siano integrati i presupposti per l’applicazione della procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale o funzionale.

Alla medesima conclusione può giungersi sotto altro angolo visuale. Anche ad ammettere che un’esternazione come quella ora in esame possa ledere soprattutto l’immagine di professionalità e l’apparenza di indipendenza e imparzialità del magistrato, un trasferimento per incompatibilità ambientale non potrebbe raggiungere gli obbiettivi di tutela che l’art. 2 l.g. si prefigge. Tanto più nell’epoca della comunicazione globale, che annulla confini e distanze, il magistrato si porta infatti dietro, in ogni sede, l'immagine pubblica che ha saputo costruire di sé stesso (anche attraverso la propria “esposizione” mediatica), e questa immagine non potrebbe certo cambiare in seguito ad un trasferimento d'ufficio. In questo senso, il mutamento “forzoso” dell’ambito territoriale entro il quale le funzioni giurisdizionali sono svolte non avrebbe alcun significato, se non in casi peculiari.

Ma se questo è vero, sarebbe necessario ragionare, in casi del genere, non già di una incompatibilità ambientale, legata a uno specifico territorio, ma di una vera e propria incompatibilità funzionale, che dall’ambito territoriale prescinda del tutto. Conseguenza, come ognuno vede, ancor più estrema e seria, che con ogni evidenza sarebbe irragionevole far derivare da un unico, a quanto risulta isolato, episodio di esternazione, per quanta risonanza possa aver prodotto.

Per queste ragioni, la Prima Commissione non ha ritenuto quindi integrate le condizioni per poter aprire un procedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale o funzionale.

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6. Ha ritenuto in conclusione la Prima Commissione che, non essendo integrati i presupposti richiesti dall’art. 2 l.g., residuino nel comportamento in esame solo questioni di natura deontologica e professionale, eventualmente da affrontarsi nelle sedi competenti.

Il Consiglio non può esimersi dal ricordare che, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 224 del 2009, “i magistrati, per dettato costituzionale (art. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.) debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica17 da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza e imparzialità”.

Nella stessa sentenza, la Corte costituzionale ricorda che dalla Costituzione discende “l’esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati ed anche l’immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo”.

Per parte sua, il Presidente della Repubblica – da ultimo nel discorso del 21 luglio 2011 in occasione dell’incontro con i magistrati in tirocinio - ha più volte invitato “i magistrati a ispirare le proprie condotte a criteri di misura e riservatezza, a non cedere a fuorvianti esposizioni mediatiche, a non sentirsi investiti di improprie ed esorbitanti missioni, a non indulgere in atteggiamenti protagonistici e personalistici che possono mettere in discussione la imparzialità dei singoli, dell’ufficio giudiziario cui appartengono, della magistratura in generale.”

I beni ora in considerazione, com’è ovvio, assumono notevole rilievo per qualificare il ruolo e la legittimazione della figura del magistrato nella società contemporanea: anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha più volte avuto modo di sottolineare come, in particolare, l'apparenza d'imparzialità sia assai importante, perché essa mette in gioco la fiducia che un magistrato deve ispirare, in una società democratica, nella generalità dei consociati (e soprattutto, laddove si versi in un procedimento penale, nell'imputato: cfr., ad esempio, Corte Europea, Grande Chambre, sentenza 15 dicembre 2005, Kyprianou c. Cipro).

Per questi motivi, il Consiglio

17 Può ricordarsi che il “codice etico”, approvato in data 13 novembre 2010 dal Comitato direttivo centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati, stabilisce, all’art. 6, che “fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato si ispira a criteri di equilibrio, dignità e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e a gli altri mezzi di comunicazione di massa, così come in ogni scritto e in ogni dichiarazione destinati alla diffusione”.

Si può osservare che tale art. 6 riprende in parte i contenuti delle regole disciplinari abrogate dalla legge

“Mastella” del 2006, con ciò mostrando che le esigenze del legislatore di allora possono trovare più opportuna soddisfazione, anziché in precetti disciplinari assistititi da sanzione giuridica, in una soft law, quale può definirsi il codice etico dell'A.N.M., della cui violazione potrebbe, con le dovute accortezze del caso, eventualmente tenersi conto in sede di valutazione della professionalità del magistrato o di conferma nell’incarico direttivo o semi -direttivo

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delibera

l'archiviazione della pratica e la trasmissione della presente delibera alla IV Commissione, affinché valuti l’avvio della procedura garantita di inserimento della stessa nel fascicolo personale del magistrato, ai sensi della Circolare consiliare n. P. 4718/09 del 7 febbraio 2009 (artt. 6 e 9).”

EMENDAMENTI PRESENTATI DAL CONSIGLIERE FUZIO ALLA PROPOSTA ZANON-CALVI NELLA SEDUTA DELL’8 FEBBRAIO 2012.

Legenda :

in neretto: emendamenti con parere negativo dei relatori e pertanto oggetto di votazione separata

- Alla pag. 3 in basso dell’Odg di Plenum, al rigo n. 16, dopo le parole “…al dibattito pubblico sul tema.” SOPPRIMERE le parole “Ed è ben vero che”.

A capo iniziare il rigo 17 con le parole “ Parimenti anche”.

- Dopo il rigo n. 20, SOPPRIMERE tutto il 3° capoverso, da <Ma proprio in relazione……>

fino a <…non “addetti ai lavori”.>

Al rigo n. 27, dopo le parole “…l’occasione specifica dell’esternazione –“ SOPPRIMERE le parole

“si ripete:”

- Alla Pag. 4 dal rigo n. 1, SOPPRIMERE tutto il 5° capoverso, da “Tralasciando qualsivoglia…” a “….anche nel campo della giustizia.”

Alla pag. 5 in basso dell’Odg di Plenum, al rigo 13, SOPPRIMERE dopo le parole “d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109.”, le parole che vanno da “Sembra potersi aggiungere….” fino a “… un principio permanente.”

Alla pag. 6 in basso dell’Odg. di Plenum, al rigo 11, dopo le parole “..indifferibili e urgenti,”

SOPPRIMERE la parola “sempre” ed AGGIUNGERE dopo la parola “ai” la parola “soli”

- Al rigo n. 11 , dopo le parole “valutazioni ex art. 2 l.g..”, SOPPRIMERE le parole che vanno da

“Ciò in virtù dell’ovvia…” fino a “….competenza della Commissione.”

- Al rigo n. 18, dopo le parole “..di una attività”, SOSTITUIRE le parole “dovuta ai” con la parola

“dei”

- Dopo il rigo n. 30, SOPPRIMERE tutto il 2° capoverso, da “E’ consapevole la Commissione….”

fino a “…dei magistrati ordinari).”

Alla pag. 8 in basso dell’Odg di Plenum, al rigo n. 3 dopo le parole “4. Se” SOPPRIMERE le parole “, in base alla sequenza logica accennata,”

- Al rigo n. 5, dopo le parole “pare potersi sostenere che l’intervento del dott. Ingroia al”

SOSTITUIRE la parola “Congresso” con la parola “congresso”

Dopo il rigo n.9, SOPPRIMERE le parole che vanno da “Sul presupposto….. fino a “…i suoi lavori”

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Alla pag. 8 in basso dell’Odg di Plenum, al rigo n. 25, dopo le pa role <- pur particolarmente

“vistosa”>, SOPPRIMERE le parole <, come già detto, e pur potendo dare l’impressione di un certo “collateralismo” all’attività di un determinato movimento politico>

- Alla pag. 9, rigo n. 5 , dopo le parole “ambientale e funzionale.”, AGGIUNGERE le parole “, soltanto quando si sia determinata” e SOPPRIMERE le parole, al rigo n. 6, “Ora, il riferimento, contenuto nell’art. 2 l.g., al” e PROSEGUIRE con il testo “ l’impossibilità …..”

- Al rigo n. 7 , dopo le parole “…con piena indipendenza e imparzialità” SOPPRIMERE le parole “, attiene a situazioni nelle quali – quale conseguenza del comportamento tenuto – i beni protetti dalla norma (indipendenza e imparzialità) siano stati posti in concreto pericolo”

- Al rigo n. 11, dopo le parole “…di valore inestimabile per il suo status” AGGIUNGERE le parole

“ : indipendenza ed imparzialità.”

- Alla pag. 9 in basso dell’Odg di Plenum, al rigo n. 27, dopo le parole “…non avrebbe alcun significato”, AGGIUNGERE le parole “, se non in casi peculiari”.

- Alla pag. 10, rigo n. 7, dopo le parole “nel comportamento in esame” AGGIUNGERE la parola

“solo”

- Al rigo n. 8 , dopo la parola “deontologica” SOPPRIMERE le parole “e professionale”

Proposta “B” presentata al Plenum dell’8 febbraio 2012 (relatore Consigliere Carfì)

Legenda :

in neretto: parti aggiunte oggetto dell’ emendamento presentato al Plenum dell’8 febbraio 2012 dal Consigliere Giostra, fatto proprio dal relatore;

tra parentesi quadre: parte eliminata a seguito dell’emendamento presentato al Plenum dell’8 febbraio 2012 dal Consigliere Giostra, fatto proprio dal relatore.

<Con delibera dell’8 novembre 2011 il Comitato di Presidenza su richiesta 4.11.2011 dei Consiglieri Nicolò Zanon e Guido Calvi ha autorizzato l’apertura di una pratica avente ad oggetto

“la partecipazione del dott. Antonio Ingroia, Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Palermo, al congresso Pdci e le dichiarazioni dallo stesso rese nel corso del suo intervento”.

Nella seduta del 15 novembre 2011 la Commissione disponeva la trascrizione delle dichiarazioni rese in quel contesto dal dott. Ingroia .

1. Risulta, dunque, agli atti che il dott. Ingroia, Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Palermo, in data 30 ottobre 2011, ha partecipato a Rimini al congresso di un partito politico (Partito dei Comunisti italiani – PDCI) ove svolgeva un ampio intervento nel corso del quale, dopo aver esaltato l’esigenza morale di difendere la Costituzione repubblicana (in tal senso va pacificamente letta l’espressione dallo stesso pronunciata, ovvero di sentirsi partigiano della Costituzione”)

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manifestava poi il suo disaccordo nei confronti di quella rappresentanza politica che, a suo parere, tenta “quotidianamente”, in spregio al principio di uguaglianza, di introdurre “privilegi e immunità” a vantaggio di pochi, oppure contribuisce a “distruggere il senso di giustizia dei cittadini con leggi come quelle sulla prescrizione breve e sul processo lungo” ovvero ancora “nega il diritto al lavoro e allo studio” attraverso le “controriforme della scuola e del lavoro”. Non vi è dubbio che il discorso del dott. Ingroia si caratterizza, in sintesi, per accenti di forte critica – anche sotto il profilo della compatibilità con i principi costituzionali - nei confronti di programmi, di leggi o proposte di legge avanzate nel corso di questi ultimi anni da forze politiche non direttamente citate ma facilmente riconoscibili.

L’intervento del dott. Ingroia, soprattutto per il contesto in cui è avvenuto, ha formato oggetto di ampia attenzione sui mezzi di comunicazione suscitando notevoli reazioni in sede parlamentare.

2- Non è questa la sede per elaborare una nuova risoluzione organica in ordine all’ art. 2 l.g come modificato dal d.lvo 109/2006. Sul tema il Consiglio Superiore della Magistratura è già intervenuto con la risoluzione P27793 del 13.12.2006 ed una eventuale rivisitazione complessiva della materia, anche con riferimento al dibattuto tema circa i limiti dell’accertamento istruttorio attribuibile alla Prima Commissione in ordine ai fatti giunti al suo esame, non potrebbe che essere oggetto di un provvedimento specifico esitato a seguito di eventuale formale richiesta di apertura della relativa pratica.

Qui, per quanto è di stretto interesse per la vicenda in esame, basterà ricordare come il decreto legislativo 23 febbraio 2006 n. 109 ha profondamente modificato l’istituto del trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale o funzionale. L’ art. 2 secondo comma del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 nell’attuale formulazione recita infatti che il trasferimento d’ufficio è disposto quando i magistrati “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”.

Con riferimento in particolare al requisito della condotta rilevante ai fini della applicazione dell’ art.

2 L.G la risoluzione P27793/2006 ha ritenuto che la fattispecie fosse anzitutto integrata quando il comportamento tenuto dal magistrato“non risulti inquadrabile in alcuna delle fattispecie disciplinari (tipiche) delineate dal decreto legislativo n. 109/2006”.

Quindi la riforma del 2006, proprio al fine di separare in maniera più marcata le competenze giurisdizionali da quelle amministrative in tema di trasferimento d’ufficio e nell’ottica di giurisdizionalizzare, quanto più possibile, una procedura che incide fortemente sulla garanzia costituzionale dell’inamovibilità, ha per un verso codificato e circoscritto le ipotesi di trasferimento

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d’ufficio in sede disciplinare, estendendole anche in sede cautelare (art. 13 d.lgs. n. 109/2006) e, per altro verso, ha ridefinito l’ambito di applicazione dall’art. 2 L.G.

L’obiettivo perseguito dalla norma è, dunque, quello di creare un confine netto e senza possibili duplicazioni fra la procedura paradisciplinare e quella disciplinare.

Con la risoluzione del 2006 il Csm ha ribadito la piena attualità della delibera 18 Dicembre 1991 anche nella parte, dunque, che prevede la possibilità di svolgere una pre- istruttoria finalizzata a valutare la “ sussistenza di elementi idonei a giustificare l’ apertura del procedimento” .

A ciò si aggiunga che l’ art. 14 co. 4 del decreto legislativo n. 109/2006 prevede l’obbligo per il Consiglio Superiore della Magistratura di comunicare al Ministro della Giustizia e al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione “ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare”. Da ciò si può ricavare una indicazione a favore della possibilità della I commissione di espletare l’attività di accertamento necessaria alla delibazione dei fatti (anche oggetto di esposto o rapporto). Qualora l'accertamento consenta di ritenere plausibile l'ipotesi disciplinare la pratica andrà archiviata e andrà contestualmente effettuata la segnalazione ai titolari dell’ azione ai quali comunque compete ovviamente in via esclusiva l’ apprezzamento conclusivo di tale rilevanza.

Laddove all’esito si accerti invece che una determinata vicenda non integri i presupposti di cui all’art. 2 legge guarentigie e, allo stesso tempo, non risulti riconducibile ad una delle figure di illecito disciplinare delineate dal decreto legislativo 109/2006, la proposta da inoltrare al plenum dovrà invece essere di archiviazione non essendovi provvedimenti di competenza del Consiglio da adottare perché non si ravvisano condotte idonee ad impedire lo svolgimento delle “proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità” .

Da ultimo va sottolineato che, come richiamato dalla risoluzione 6 dicembre 2006, indipendentemente dalle determinazioni finali che la I commissione è tenuta ad assumere sulla singola pratica (e dunque anche nel caso di archiviazione) “l’ esame dei rapporti, esposti, ricorsi e doglianze concernenti magistrati è sempre funzionale non solo agli accertamenti rientranti nell’ambito dei provvedimenti adottabili su proposta della I commissione che, in relazione ad una determinata vicenda , può ritenere di dover investire un’ altra commissione consiliare “ laddove gli elementi raccolti possano essere ritenuti di interesse per le competenze di altra commissione (ad esempio sotto il profilo della organizzazione dell’ ufficio , della valutazione di professionalità, della conferma quadriennale per gli incarichi semidirettivi o direttivi). Ciò comporta che nel caso di archiviazione si debba comunque valutare se formulare o meno la proposta di inserimento del provvedimento nel fascicolo personale del magistrato da effettuarsi secondo la procedura prevista dall'art. 9 della circolare P/4718 del 27 febbraio 2009.

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3- Così ricostruiti i fatti e ribaditi i rapporti intercorrenti fra l’art. 2 l.g. e la condotta disciplinarmente rilevante, va ribadito anche in questa sede l’ovvio principio che i magistrati, come qualsiasi altro cittadino, sono destinatari, ex art. 21 della Costituzione, del diritto di manifestare liberamente in pubblico il proprio pensiero anche con toni critici rispetto a orientamenti politico- istituzionali o provvedimenti legislativi. E’ anche altrettanto evidente che tale diritto fondamentale, per quanto riguarda il cittadino-magistrato, deve essere esercitato in modo da non collidere con i principi costituzionali di indipendenza e imparzialità e cioè con i valori essenziali che caratterizzano lo status costituzionale degli appartenenti all'ordine giudiziario.

Ciò premesso occorre allora valutare se nella condotta posta in essere dal dr. Ingroia sia rinvenibile il “fumus” di una situazione disciplinarmente rilevante (con conseguente archiviazione e contestuale trasmissione degli atti agli organi competenti) ovvero – in caso di risposta negativa – sia configurabile una condotta “incolpevole” ma rilevante ai fini della apertura della procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale o funzionale ex art. 2 l.g.

Nessuna delle due ipotesi pacificamente ricorre con riferimento alla vicenda che qui occupa . La fattispecie in questione deve infatti essere esaminata sotto un duplice profilo:

- il contenuto dell’ intervento pronunciato dal dott. Ingroia ;

- il contesto nel quale l’esternazione si è verificata, ovvero il congresso di un partito politico.

Quanto al contenuto va subito rilevato come il dott. Ingroia non abbia in alcun modo collegato il suo intervento critico a casi giudiziari specifici delle cui indagini egli sia attualmente titolare. Ciò sottolineato, va osservato come il corretto esercizio del diritto di manifestazione del pensiero e di critica non può essere messo in discussione essendo pacifico che sussistesse allora, e sussista oggi, un rilevante interesse da parte dell’opinione pubblica a conoscere opinioni diverse, obiezioni e critiche alle riforme proposte dal Governo e dai Ministri in materia di Giustizia, vieppiù se esposte da soggetto sicuramente esperto della materia, quale è un magistrato . Anche le citate osservazioni relative ai temi della scuola e del lavoro, pur particolarmente critiche circa le scelte della maggioranza politica, sono da considerarsi un legittimo contributo conoscitivo su temi di particolare interesse e, dunque, legittima espressione del diritto fondamentale già ricordato.

Vale ovviamente in questo campo anche per i magistrati il principio generale secondo il quale contenuto e toni non possano valicare i limiti della continenza espressiva e a questo proposito è altrettanto pacifico, nella costante giurisprudenza della Suprema Corte, che la critica possa anche essere particolarmente aspra purché non trasmodi in frasi ed epiteti particolarmente offensivi, in attacchi personali lesivi della altrui sfera privata al di fuori di qualunque finalità di pubblico interesse o ancora si concretizzi in espressioni inutilmente denigratorie e sovrabbondanti rispetto alle finalità di informazione e di critica.

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A questo proposito la lettura integrale dell’ intervento del dott. Ingroia conferma che detto limite di continenza non può in alcun modo dirsi superato pur nell’asprezza delle critiche formulate.

Dunque, sulla base dell’accertamento istruttorio compiuto, appare del tutto evidente come l’intervento del dott. Ingroia, avvenuto nel corretto esercizio del diritto costituzionale di libera manifestazione del proprio pensiero, non è astrattamente sussumibile in alcuno degli illeciti per condotta extrafunziona le come tipizzati dal d. lgs. n. 109 del 2006. E neppure lo è sotto l’aspetto della occasionale partecipazione al congresso di un legittimo partito politico atteso che l’art. 3, comma 1, lett. h prevede quale illecito disciplinare extrafunzionale “l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici”, difettandone all’evidenza, nel caso concreto, i requisiti oggettivi e soggettivi.

Occorre allora verificare, a questo punto, se la condotta in esame, come detto pacificamente

“incolpevole”, possa o meno integrare gli estremi previsti dall’art. 2 l.g.. Anche in tal caso la conclusione non può che essere negativa.

Come noto e sopra sottolineato, l’“interesse tutelato” dall’ art. 2 l.g. come modificato, non coincide più con “il prestigio dell’ordine giudiziario”, ma con la “piena indipendenza e imparzialità nell’esercizio delle funzioni” . Occorre cioè che la condotta “incolpevole” comporti una lesione dell’ indipendenza (che significa svolgere le proprie funzioni con piena libertà da condizionamenti) e/o dell’ imparzialità (ovverosia lo svolgimento delle funzioni qualificato da una assoluta obiettività rispetto agli affari da trattare).

Invero è del tutto ovvio che i fondamentali requisiti di cui sopra possono essere messi in discussione, più che dal luogo, dal contenuto di un intervento, di uno scritto, di una intervista dal quale si possa in concreto supporre che quel magistrato possa essere soggetto, nell’ esercizio delle sue funzioni, a condizionamenti interni o esterni. Il luogo e il contesto ove l’ intervento si svolge potrà avere al più un valore “rafforzativo” laddove sia idoneo, unitamente ai contenuti specifici delle esternazioni, ad ingenerare nella pubblica opinione l’idea di una sorta di collateralismo nel perseguimento di finalità di parte. In questo senso è noto come la stessa Corte Costituzionale nella sentenza 224 del 2009 abbia rammentato come dalla Costituzione discenda “l’esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati ed anche l’immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo” laddove il concetto di “interesse” va ovviamente letto come non coincidente con quello di “condivisione di valori”.

Questo non può certo dirsi realizzato nel caso di specie in considerazione princ ipalmente dei più volte ricordati contenuti dell’intervento del dott. Ingroia, tutto incentrato su temi di carattere generale nel campo della giustizia e non solo, contenuti che non possono in alcun modo aver comportato alcuna lesione ai valori della “indipendenza e della imparzialità” sol perché espressi nel

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corso di un congresso di un partito nazionale ove di quei temi generali si discuteva e al quale il magistrato ha una tantum attivamente partecipato .

[Non può infine qui che condividersi l’ invito più volte reiterato dal Presidente della Repubblica ai magistrati di “ispirare le proprie condotte a criteri di misura e riservatezza e a non cedere a fuorvianti esposizioni mediatiche” ma richiamato quanto sopra esposto in ordine alla non individuazione, nell’ intervento del dott. Ingroia come trascritto in atti, di eccessi non in linea con il dovere di moderazione e continenza che incombe su ciascun magistrato, va qui sottolineato come non sia questa la sede ove emettere un giudizio di “opportunità” o meno circa il fatto che un magistrato occasionalmente accetti di effettuare un intervento di carattere generale su temi di indubbio interesse nel corso di una manifestazione ufficiale di un qualsiasi partito politico. Si tratta di un giudizio che indiscutibilmente non può che essere lasciato alla sensibilità individuale di ciascuno e che eventualmente potrà essere oggetto di valutazione in altra sede diversa dal Consiglio Superiore della Magistratura . ] Da ultimo non si ritiene che ricorrano, per quanto fin qui detto, gli estremi per richiedere alla competente IV commissione l’inserimento della presente delibera nel fascicolo personale del dott. Ingroia a fini di valutazione professionale. Non è ravvisabile in concreto, per quanto detto, alcun profilo rilevante, alla luce della normazione primaria e secondaria, in tema di conferma degli incarichi dirigenziali. Quanto alla valutazione di professionalità, premesso che assai opportunamente la circolare n. P20691 dell’ 8.10.2007 rammenta, al capo II punto 6, che “gli orientamenti politici , ideologici o religiosi del magistrato non possono costituire elementi rilevanti ai fini della valutazione di professionalità”, nel caso concreto, esclusa la possibilità di ipotizzare rilievi disciplinari o condotte rilevanti ex art. 2 l.g., non residua, a norma dell’ art. 11 D.lvo 160/2006 e della circolare citata, alcun fatto suscettibile di valutazione sotto il profilo professionale con particolare riferimento ai parametri della capacità, impegno, laboriosità, diligenza e ai relativi indicatori . Va infine escluso che, per quanto sopra detto, la condotta del dott.

Ingroia qui esaminata, peraltro di natura extrafunzionale, abbia intaccato i prerequisiti di equilibrio, indipendenza ed imparzialità richiamati dal capo III punto 1 della citata circolare.

Si deve infine pienamente condividere l’invito più volte reiterato dal Presidente della Repubblica ai magistrati di “ispirare le proprie condotte a criteri di misura e riservatezza e a non cedere a fuorvianti esposizioni mediatiche”. Escluso, peraltro, che nella condotta del dott.

Ingroia possano individuarsi elementi rilevanti ai fini di qualsiasi provvedimento di competenza consiliare, non è questa la sede in cui esprimere un giudizio di “opportunità” in ordine al fatto che un magistrato occasionalmente accetti di effettuare un intervento di carattere generale su temi di indubbio interesse nel corso di una manifestazione ufficiale di un qualsiasi partito politico, Si tratta di un giudizio che non può che essere lasciato alla

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sensibilità individuale e che eventualmente potrà essere oggetto di valutazione in sede diversa dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Per questi motivi, il Consiglio

delibera l'archiviazione della pratica.>

Il PRESIDENTE ricorda che la discussione si è conclusa nella precedente seduta e che sono ammessi soltanto interventi per dichiarazioni di voto.

Il cons. CASELLA dà lettura del seguente intervento:

“Cari colleghi in questa sede non dobbiamo stabilire se la pratica ex art. 2 l.g. in discussione vada o meno archiviata; si tratta di decidere con quale motivazione essa vada archiviata e se sussistano o meno gli estremi per trasmettere la delibera alla Quarta Commissione consiliare, nei limiti indicati nella relazione ZANON – CALVI.

Tutti i consiglieri che mi hanno preceduto, anche coloro che sono culturalmente vicini alle posizioni del dott. Ingroia, hanno convenuto sull’inopportunità delle dichiarazioni da lui rese in un congresso di partito sul finire dello scorso ottobre.

Mi piace in particolare richiamare l’intervento del Primo Presidente , il quale ha rammentato, nello scorso plenum, che la formula con cui tutti noi intestiamo le sentenze: In nome del popolo italiano, non ha un significato puramente formale, frutto di un mero maquillage legislativo,con cui si è adeguata la previsione previgente dell’art. 68[1][1] dello statuto albertino al mutato assetto istituzionale.

Essa ha bensì un significato ben più profondo; nel nostro sistema ordinamentale il giudice, al pari del magistrato del pubblico ministero, non è né elettivo, né politicamente responsabile, ed è estraneo al circuito di produzione di norme giuridiche, ma pur tuttavia è chiamato alla interpretazione ed applicazione della legge senza che sia consentito ad alcuno, soggetto od autorità che sia, di interferire, in qualsivoglia modo, nella decisione del caso concreto.

E proprio siffatto ampio potere implica una pari grande responsabilità: tutti i magistrati devono essere credibili di fronte all’intera collettività con la propria professionalità e la propria condotta anche al di fuori delle aule di giustizia. Noi dobbiamo apparire, quanto essere indipendenti ed imparziali.

Ora dobbiamo qui tutti domandarci, analizzando i fatti nella loro concreta oggettività, se sia opportuno che un magistrato, che esercita funzioni semidirettive; che ha svolto e sta svolgendo indagini particolarmente complesse ed aventi ampia eco sui media nazionali; che proprio per

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questo, volente o non, spesso si trova alla ribalta della cronaca nazionale, parli nella sessione finale di un congresso politico, peraltro poco prima dell’intervento conclusivo del segretario generale dello stesso ed intervenga, si badi bene (ho avuto cura di non solo di leggere, ma di ascoltare viva vox più volte l’intervento sul web) non su temi strettamente tecnico giuridici, bensì con un discorso avente oggettivamente un connotato latamente politico.

D’altro canto lo stesso dott. Ingroia appare essere ben conscio dell’inopportunità di tale suo intervento; delle polemiche che esso può suscitare: di tanto ne è testimonianza il riferimento iniziale al suo precedente intervento a Piazza del Popolo in difesa della Costituzione, ma ciò nonostante, sfida ogni possibile resistenza, affermando: di non sentirsi del tutto imparziale; di esser partigiano della Costituzione; che occorre, anche se non è sufficiente, una resistenza costituzionale, considerato lo stato di assedio cui la Costituzione è posta nonché il pervicace attacco al diritto al lavoro e alla scuola.

Personalmente non mi ritrovo né nel modello di magistrato che si sente esso solo unico paladino della giustizia, unico difensore delle libertà repubblicana; né nel magistrato timido: forte con i deboli e debole con i forti, usando le parole sempre del dott. Ingroia; né nel magistrato collaterale a gruppi di interesse o di potere

Non resta, per l’ennesima volta, che ricordare le parole più volte pronunciate dal PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, il quale ha rammentato, anche nei momenti in cui era davvero forte il confronto frontale fra certa politica e magistratura, che “la politica e la giustizia non possono e non debbono percepirsi come "mondi ostili guidati dal reciproco sospetto". Deve prevalere in tutti il senso della misura,del rispetto e, infine, della comune responsabilità istituzionale, nella consapevolezza di essere chiamati solidalmente a prestare un servizio efficiente, a garantire un diritto fondamentale ai cittadini.”

Ci ritroviamo, dunque, nel modello di magistrato delineato dal PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, che, nel Palazzo del Quirinale, il 27 aprile 2010, ha rivolto un indirizzo di saluto ai magistrati in tirocinio, dal seguente tenore: “Fate attenzione a non cedere a "esposizioni mediatiche" o a sentirvi investiti – come ho detto più volte in questi anni - di missioni improprie ed esorbitanti oppure ancora a indulgere ad atteggiamenti impropriamente protagonistici e personalistici che possono offuscare e mettere in discussione la imparzialità dei singoli magistrati, dell'ufficio giudiziario cui appartengono, della magistratura in generale.”

E non v’è dubbio che il dott. Ingroia, per i tempi, per il luogo e per le modalità espressive dell’intervento, ha consapevolmente ed inopportunamente ceduto a sterili narcisismi, offrendo il destro a critiche all’intero corpo magistratuale violente quanto in veritiere, non necessarie ed evitabili.

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Attenzione, so che alcuni potranno obiettare che, così opinando, ci si incammina su una strada pericolosa che può condurre anche ad un improprio sindacato del Consiglio Superiore della Magistratura limitativo della libera manifestazione del proprio pensiero da parte del magistrato.

Penso che tale pericolo sia solo paventato e non reale proprio per la singolarità del caso di cui discutiamo.

Qui, condivido quanto detto dal cons. NAPPI, non è in discussione il merito delle dichiarazioni, sulla maggior parte delle quali possiamo tutti, in ultima analisi, convenire (la scelta di svolgere questo lavoro sottintende un’opzione valoriale di vita che coincide con gli ideali di libertà, giustizia ed eguaglianza scolpiti nella Costituzione Repubblicana) ma piuttosto è in discussione l’esigibilità o meno che un magistrato, particolarmente noto ed impegnato in indagini complesse, si astenga dal compiere un gesto in qualche modo “provocatorio” ed, in fin dei conti, gratuito.

Ritengo che la misura del prestigio e della capacità del magistrato di mantenere la stessa linea di condotta con i forti e con i deboli si misuri non con le dichiarazioni pubbliche che si rendono ad un congresso di partito, bensì con il quotidiano indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giurisdizionali e in una pratica di vita al pari sobria e disinteressata.

Nulla di scandaloso dunque nel richiamo al codice deontologico dell’Anm, che ritengo coerente sia con quanto statuito nella sentenza della Corte Costituzionale n. 224 del 17.07.2009,secondo cui i valori di imparzialità ed indipendenza della funzione giudiziaria vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente venir meno la fiducia del loro effettivo rispetto, sia con l’auspicio espresso dal PRESIDENTE della REPUBBLICA, in sede di insediamento della scuo la della Magistratura, circa la “cruciale importanza della trasmissione di un valido codice deontologico nel costume e nei comportamenti del magistrato .”

Né mi sembra impropria od illegittima la trasmissione degli atti alla Quarta Commissione consiliare, al solo fine di valutare l’avvio della procedura garantita di inserimento della delibera nel fascicolo personale, atteso che ciò non può in sé significare un’anticipazione di giudizio o di decisione, che sarà presa nei tempi e modi dovuti.”

Il cons. VIRGA, osservando che si tratta di una delibera ex articolo 2 che ha posto numerosi problemi, rileva che il dibattito ha però evidenziato una piena concordanza circa l'inopportunità dei comportamenti tenuti dal dottor Ingroia e che tutti hanno concordato sull'archiviazione del procedimento, sul rilievo che si tratta di un unico e isolato episodio di esternazione. Sotto questo profilo non ci sono quindi differenze reali fra le diverse proposte e ve ne sono invece sotto il profilo dei percorsi argomentativi. Il consigliere rileva che una questione controversa attiene invece al

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punto 6, poiché da taluno si fa notare come il Consiglio non possa dare una valutazione morale e deontologica perché in tal modo si uscirebbe fuori dai limiti dall'articolo 2. Il punto 6, tuttavia, si limita a dire che non c'è alcuna possibilità di applicare l'articolo 2 e possono residuare nel comportamento che viene all'esame del Consiglio solo questioni di natura deontologica e professionale. Non si formula quindi nessun giudizio di certezza in merito, ma si ipotizza la semplice possibilità della sussistenza di circostanze suscettibili di eventuale valutazione da trattarsi tuttavia nella sede competente individuata nella Quarta Commissione. La delibera pertanto non appare censurare alcun comportamento sotto il profilo deontologico o professionale, timore che invece induce qualcuno a non condividere il contenuto della delibera, laddove essa si limita a dire che al più possono residuare questioni da esaminare in altra sede, tenuto conto delle circolari e con una procedura garantita per l'eventuale inserimento nel fascicolo del magistrato. Stando così le cose e non ravvisandosi elementi di differenziazione sulle valutazioni di opportunità e sulla richiesta di archiviazione, il consigliere preannuncia il proprio voto a favore della Proposta A.

Il PRESIDENTE domanda al cons. FUZIO se insiste per l’inserimento dei suoi emendamenti.

Il cons. FUZIO dichiara di essere disponibile a ritirarli con una precisazione. Il Consiglio non può sostituirsi al codice deontologico né può invadere il campo della materia disciplinare, deve quindi attenersi allo specifico intervento in materia di trasferimento per incompatibilità. Tanto premesso, spetta al Consiglio nelle attribuzioni generali di tutela della indipendenza ed imparzialità dell'ordine giudiziario approvare anche risoluzioni di carattere generale finora adottate con decisioni prese anche alla presenza del Capo dello Stato, con le quali richiamare i magistrati all'adempimento delle proprie funzioni in maniera tale da non pregiudicare l'immagine dell'istituzione magistratura nella percezione che di essa ha la pubblica opinione. In questi casi non spetta al Consiglio fissare limiti effettivi e concreti alle cosiddette esternazioni dei magistrati ma, nel difendere il loro diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, spetta al Consiglio ricordare e richiamare anche nel rispetto delle numerose sollecitazioni ed affermazioni del Capo dello Stato il rispetto dei limiti coessenziali alla funzione esercitata, come ribadito da molte decisioni della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite. Il consigliere, apprezzando la disponibilità del relatore ZANON, si dice disponibile a ritirare gli emendamenti purché sia chiaro che il Consiglio non sta esitando una risoluzione di carattere generale sulle esternazioni dei magistrati, ma si limita in questa sede soltanto a richiamare i doveri dei magistrati che ciascun giudice interpreta nella sua autonomia.

Il relatore della Proposta A, cons. ZANON, in adesione a quanto appena detto dal collega FUZIO, precisa che quella in oggetto non è una delibera generale che si occupa dei confini della libertà di manifestazione del pensiero. Ricorda inoltre che l'unico vincolo che l'eventuale approvazione della proposta porrebbe a carico della Quarta Commissione sarebbe quello di

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prendere in considerazione quanto oggi deciso, la Quarta Commissione potrà poi in assoluta autonomia decidere se, come e quando procedere all'inserimento nel fascicolo del magistrato.

Il relatore della Proposta B, cons. CARFI’, manifesta perplessità circa le dichiarazioni di voto appena svolte. Osserva infatti che alcuni interventi oltre che avere durata prolungata hanno riguardato tutti gli argomenti della pratica.

Il relatore inoltre ritiene che, diversamente da quanto sostenuto dal cons. ZANON, sia oggi in discussione proprio la libera manifestazione del pensiero da parte del magistrato, per come è impostata la Proposta A. Per quanto riguarda invece l'invio degli atti alla Quarta Commissione, questa saprà fare il suo lavoro e deciderà in ordine all'inserimento nel fascicolo. Il plenum deve però decidere se l'intervento del dottor Ingroia comporti o meno la necessità di inviare gli atti alla Quarta Commissione.

Il PRESIDENTE precisa che le dichiarazioni di voto, della durata di 5 minuti, sono previste dal Regolamento e ovviamente il loro contenuto è totalmente insindacabile dalla Presidenza.

Riferisce poi che il cons. CASELLA ha parlato per sette minuti invece che per i cinque consentiti, e ciò può essere ascritto alla delicatezza della questione che deve consentire una certa tolleranza, il cons. VIRGA ha parlato per 4 minuti così come il cons. FUZIO.

Il PRESIDENTE, su richiesta dei consiglieri, dispone la votazione per ballottaggio. La votazione riporta il seguente esito: Proposta A 16 voti (ALBERTONI, CALVI, CASELLA, CORDER, DI ROSA, ESPOSITO, FUZIO, LIGUORI, LUPO, MARINI, NAPPI, PEPE, ROMANO, VIRGA, ZANON e il PRESIDENTE); Proposta B voti 6 (BORRACCETTI, CARFÌ, CASSANO, GIOSTRA, ROSSI, VIGORITO); si registrano 2 astensioni (AURIEMMA, RACANELLI). E’ approvata la Proposta A.

Il PRESIDENTE dispone la trattazione delle pratiche di competenza della SECONDA COMMISSIONE iniziando dalla seguente:

- Delibera del Comitato di Presidenza in data 1 dicembre 2010, in ordine alla nota trasmessa dalla Settima Commissione in data 30 novembre 2010 concernente la richiesta di apertura di una pratica presso la Commissione Regolamento (Seconda) finalizzata ad individuare l'esatta attribuzione di competenza per proposte relative a circolari,pareri e risposte a quesiti sulle materie attribuite alla Settima Commissione.

La Commissione propone al Plenum di adottare la seguente delibera:

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