INTRODUZIONE ... pag.1
1. Struttura del cervello, danni cerebrali e recupero ...
pag.21.1 Percorso di cura e processo riabilitativo ... pag.6
1.2 Coma e recupero della coscienza ... pag.10 1.3 Area competenze comunicativo - relazionali
e abilità cognitive ... pag.16
2. Disturbo delle funzioni cognitive localizzate: afasia ...
pag.202.1 Riabilitazione, ruolo del logopedista e prospettive di recupero... pag.25
3. Neuropsicologia clinica dell’identità
e psicologia della comunicazione ...
pag.313.1 Dalla neurolinguistica alla neuropragmatica ... pag.33 3.2 Funzionamento esecutivo e disordini della comunicazione ... pag.37
3.3 Livelli di analisi del discorso ... pag.39
4. Il potere della lingua: ripristino delle funzioni colpite da lesione cerebrale, apprendimento delle lingue e
relatività linguistica ...
pag.40CONCLUSIONE ... pag.46
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ... pag.47
INTRODUCTION... p 48
1. Brain structure, brain damage and recovery ...
p 491.1 Treatment and rehabilitation process ... p 52 1.2 Coma and the recovery of consciousness ... p 54 1.3 The areas of communicative-relational skills
and cognitive skills ... p 55
2. Localized cognitive function disorder: APHASIA ...
p 592.1 Rehabilitation, the role of the speech therapist
and the prospects of recovery ... p 63
3. Clinical neuropsychology of identity and
psychology of communication...
p 653.1 From neurolinguistic to neuropragmatic ... p 66
3.2 Communication disorders and
levels of speech analysis ... p 68
4. The power of language: restoration of functions affected by
brain injury, language learning and linguistic relativity ...
p 69CONCLUSION ... p 73
INTRODUCCIÓN ... p. 74
1. Estructura del cerebro, daño cerebral y recuperación ...
p. 751.1 Proceso de tratamiento y rehabilitación ... p. 78 1.2 Coma y recuperación de la conciencia ... p. 80 1.3 ¿Qué son los trastornos cognitivos? ... p. 81
2. Alteración de las funciones cognitivas: Afasia ...
p. 822.1 Rehabilitación, papel del logopeda
y prospectivas de recuperación ... p. 86
3. Neuropsicología clínica de identidad
y psicología de la comunicación ...
p. 873.1 Neurolingüística y neuropragmática ... p. 88 3.2 Funcionamiento ejecutivo y trastornos de comunicación ... p. 90
4. Recuperación de funciones afectadas por lesión cerebral,
aprendizaje de idiomas y relatividad lingüística ...
p. 91CONCLUSIÓN ... p. 94
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Introduzione
Questa tesi vuole portare in rilievo un problema che oggi è al corrente di poche persone: il trauma cranico, le difficoltà che può incontrare una persona colpita e in che modo si può recuperare per tornare a vivere una vita il più normale possibile.
Le motivazioni e gli obiettivi che mi hanno spinto a trattare un argomento del genere hanno principalmente un duplice scopo. In primo luogo in quanto voglio raccontare la mia storia da “miracolato” esponendo il calvario e la montagna che ho dovuto scalare, come tutte le persone che sono state nella mia stessa situazione.
In secondo luogo voglio invece descrivere l’importanza della riabilitazione che permette alla persona colpita dal trauma di tornare ad avere una vita accettabile.
La mia tesi è articolata in quattro capitoli: nel primo capitolo vengono fornite descrizioni generali sulla composizione del cervello e informazioni sulle lesioni cerebrali con conseguente coma e il successivo recupero. Nel secondo capitolo ci si occupa di sviluppare un resoconto di uno dei disturbi delle funzioni cognitive più frequenti per una persona colpita da lesione cerebrale. Nel terzo capitolo l’analisi si concentra sui vari deficit pragmatici che questa situazione porta al paziente: tratterà quindi di disordini di comunicazione, di neurolinguistica, neuropragmatica e di altre modalità linguistiche ed extra-linguistiche. Nel quarto capitolo, infine, si procede ad argomentare l’importanza dello studio di altre lingue (oltre a quella madre) per il ripristino delle funzioni colpite dal trauma e, con un esperimento eseguito dal CNRS, l’importante ruolo degli emisferi cerebrali nell’acquisizione delle lingue.
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1. Struttura del cervello, danni cerebrali e recupero
Per “lesione cerebrale acquisita” (cerebrolesione) si intende un danno al cervello insorto in seguito ad un evento traumatico o ad un’emorragia cerebrale.
Si definiscono gravi le cerebrolesioni in cui vi è una perdita di coscienza (coma) superiore alle 24 ore e che ottengono un punteggio inferiore o uguale a otto punti in uno strumento di misura del coma che si chiama Scala di Coma di Glasgow (GCS). Ovviamente è bene ricordare che da solo non ha un valore assoluto in quanto deve essere utilizzato insieme ad altri fattori sia di tipo clinico, cioè quello che si ricava visitando il paziente, sia di tipo strumentale, cioè quello che evidenziano gli esami (TAC e/o Risonanza Magnetica) effettuati al paziente.
Una grave cerebrolesione acquisita è più frequentemente causata da:
a) Un trauma cranio-encefalico
b) Un’emorragia cerebrale (fuoriuscita di una grande quantità di sangue all’interno della scatola cranica o del cervello)
c) Una anossia o ipossia cerebrale (mancanza e/o importante riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello)
Soffermandoci sul trauma cranio-encefalico si può affermare che quest’ultimo sia un colpo diretto o una forza applicata al capo, di entità tale da provocare un danno al cervello. Quello che ad esempio avviene in un incidente stradale è che il cervello, proiettato ad una certa velocità ed accelerazione, subisce un brusco arresto e quindi una decelerazione improvvisa, con conseguenti lesioni provocate dall’impatto interno del cervello stesso contro la scatola cranica. Naturalmente più
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elevata è la velocità a cui avviene l’impatto e maggiore sarà il danno cerebrale a cui si andrà incontro.
Il trauma cranio - encefalico si definisce aperto se il colpo causa fratture della scatola cranica e lede l’involucro meningeo più consistente e resistente, definito
“dura madre” e chiuso se il colpo danneggia il cervello senza rompere il cranio;
inoltre il danno provocato da una grande lesione cerebrale può essere di tipo focale, ovvero interessare una ben definita e delimitata zona del cervello, o di tipo diffuso, quando interessa in modo disseminato le strutture cerebrali.
Ma che funzioni ha principalmente il cervello?
Il cervello è il centro di comando e di controllo di tutte le funzioni del nostro corpo. Alcune di queste sono sotto il nostro diretto controllo volontario, come il movimento, il sentire, il parlare, altre invece non sono controllate dalla volontà e sono definite “autonome” come il respiro, il battito cardiaco o la pressione arteriosa. In altre parole è responsabile di tutta una serie di funzioni molto importanti come il movimento, le funzioni cognitive, l’emotività e i comportamenti.
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Il cervello, insieme al midollo spinale contenuto all’interno della colonna vertebrale, rappresenta il Sistema Nervoso Centrale, la cui caratteristica è che le principali cellule che lo costituiscono, i neuroni, se morti, non hanno la capacità di riprodursi durante il corso della vita. Questo significa che i neuroni distrutti da un evento traumatico non si possono riprodurre e sono quindi persi per sempre. Il nostro cervello può avere tuttavia la possibilità di compensare la perdita di neuroni, creando nuove connessioni tra le cellule rimaste in modo da realizzare nuove strade per sostituire le funzioni andate perdute.
Naturalmente, come sappiamo, il cervello è contenuto all’interno della scatola cranica ed è completamente avvolto da una serie di involucri, le meningi, la più esterna delle quali è dura come il cuoio e si chiama dura madre ed è suddiviso in due strutture principali denominati emisferi cerebrali ognuno dei quali svolge compiti diversi:
EMISFERO SINISTRO: (dominante in un soggetto destrimane)
controlla le funzioni del linguaggio come la comprensione e la produzione di parole e discorsi, la lettura e la scrittura.
EMISFERO DESTRO: controlla le funzioni visuo-spaziali e i movimenti.
5 Ogni emisfero è formato da quattro LOBI:
LOBO FRONTALE: deputato al controllo emotivo e alla produzione del linguaggio.
LOBO PARIETALE: deputato al funzionamento della memoria e alla comprensione del linguaggio (emisfero sinistro).
LOBO TEMPORALE: è il centro di controllo delle sensazioni.
LOBO OCCIPITALE: è sede delle percezioni delle immagini visive.
Così come gli emisferi anche i lobi cerebrali lavorano in modo sinergico e coordinato tra loro.
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1.1 Percorso di cura e processo riabilitativo
Le persone che presentano una grave cerebrolesione acquisita necessitano ovviamente di un percorso di cura specifico ed articolato che si sviluppa attraverso varie fasi, ognuna delle quali con obiettivi e scopi diversi, interessandosi di tutti gli aspetti di vita della persona colpita proprio perché un trauma così grande è un evento che ha ripercussioni su tutti gli aspetti di vita del paziente e della sua famiglia.
La riabilitazione è quindi un processo di “soluzione dei problemi” con cui si cerca di aiutare la persona che ha subito un danno cerebrale e la sua famiglia a raggiungere il maggior livello di autonomia, di inserimento sociale e la migliore qualità di vita possibile per entrambi.
La presa in carico riabilitativa di una persona con grave cerebrolesione è svolta da un gruppo di professionisti che lavorano in team; sono componenti essenziali di questa squadra il medico fisiatra, l’infermiere, il fisioterapista e il logopedista che, sulla base delle valutazioni effettuate al paziente nei giorni successivi all’ingresso in reparto, elabora per ogni persona una proposta di progetto riabilitativo individuale, che definisce ciò che il team pensa di raggiungere con il paziente al termine del percorso di cura. Gli obiettivi del progetto riabilitativo vengono perseguiti attraverso la formulazione e la messa in pratica di specifici programmi riabilitativi e ovviamente si diversificano a seconda delle problematiche e delle fasi del recupero del paziente: ad esempio non sarà possibile inserire programmi di rieducazione cognitiva finché non è presente un sufficiente livello di collaborazione da parte del paziente.
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In una prima fase, quando la persona viene accolta nell’Unità di Riabilitazione dopo la fase di coma, proveniente dalla Terapia Intensiva, i principali obiettivi riguardano principalmente:
Il raggiungimento di una soddisfacente stabilità clinica
Il recupero dell’autonomia nelle cosiddette funzioni vitali di base: la persona viene quindi riadattata gradualmente a respirare senza bisogno di alcuna macchina o ad alimentarsi per bocca senza bisogno del sondino
La prevenzione o la riduzione dei danni provocati dall’immobilità: il malato viene gradualmente riabituato a stare seduto e gli arti vengono mobilizzati regolarmente
La facilitazione del recupero della capacità di comunicare con l’ambiente:
la persona viene stimolata regolarmente in modo da offrirgli situazioni che sollecitino la sua capacità di rispondere agli stimoli. Ad esempio, viene invitata a muovere gli arti, a toccarsi il volto o le vengono presentati oggetti e figure.
In una fase successiva, se la persona ha raggiunto una soddisfacente stabilità clinica ed ha recuperato, anche parzialmente, una certa capacità di comunicare e collaborare, si cerca di:
Migliorare le sue capacità motorie cercando di muovere gli arti, riprendere la capacità di stare in piedi e camminare
Migliorare le sue capacità cognitive, cercando di favorire il recupero della capacità di prestare attenzione, di esprimersi correttamente e di ricordare
Migliorare le sue competenze comportamentali.
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Nei primi tempi il recupero avviene perché il cervello, sebbene danneggiato, riesce spontaneamente a “riorganizzarsi” e può riprendere a poco a poco una parte delle sue funzioni.
Questo recupero viene chiamato in gergo tecnico “recupero intrinseco” ed è dovuto ad una ripresa del funzionamento di neuroni danneggiati e ad un
“riassestamento” complessivo del cervello.
Il recupero intrinseco avviene nei primi mesi dopo il danno cerebrale e in questa fase la riabilitazione ha il ruolo di accompagnare e facilitare tale recupero.
Si ritiene che esso possa durare fino a circa dodici mesi nel caso di un danno cerebrale dovuto ad un trauma cranico; trascorsi questi mesi si pensa che le capacità di un ulteriore “ristoro” spontaneo del cervello siano estremamente limitate. Questo non significa che passati tali periodi il processo riabilitativo abbia termine, anche perché molto spesso quando il periodo di recupero spontaneo si completa la persona presenta ancora delle difficoltà motorie e cognitive che non potranno guarire ma per le quali è possibile trovare sistemi che le possono far migliorare e superare, almeno in parte. Ad esempio, se la persona presenta delle difficoltà di memoria è possibile insegnarle delle strategie alternative per fare in modo che possa organizzare ugualmente le sue attività.
Naturalmente c’è da ricordare che la riabilitazione NON agisce sul danno cerebrale ma sugli esiti di tale danno, ovvero non può far rinascere le cellule morte o ridurre la vastità di una lesione ma il suo compito è quello di accompagnare e facilitare il recupero cerebrale spontaneo.
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Tuttavia esistono vari sistemi per classificare il livello di recupero che una persona può raggiungere dopo un danno cerebrale; uno dei più semplici ed usati si chiama Scala degli esiti di Glasgow (Glasgow Outcome Scale, GOS).
Questo strumento classifica in tutto il mondo il livello di recupero in cinque categorie:
Buon recupero: la persona riesce sostanzialmente a riprendere il livello di autonomia e la vita di prima
Disabilità moderata: la persona riesce a recuperare una determinata autonomia ma presenta delle difficoltà cognitive, come ad esempio una evidente difficoltà nel linguaggio
Disabilità grave: la persona riesce a recuperare la capacità di comunicare con l’ambiente ma non è autonoma nelle attività quotidiane e necessita dell’aiuto di altre persone
Stato vegetativo: la persona è in una situazione di “veglia non responsiva”; mantiene gli occhi aperti ma non è in grado di comunicare con l’ambiente
Morte: si tratta purtroppo di un’evenienza possibile, anche a distanza di tempo dal danno cerebrale.
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1.2 Coma e recupero della coscienza
Il coma è uno stato di incoscienza che si manifesta con l’incapacità di avere contatti con l’ambiente e l’impossibilità di ottenere reazioni volontarie da parte della persona.
Le conseguenze del coma possono essere più o meno gravi, a seconda dell’età del paziente, dell’estensione delle lesioni, della durata del periodo d’incoscienza e dei tempi di recupero delle funzioni neurologiche.
La persona in coma ha gli occhi chiusi, non è in grado di parlare e di compiere movimenti su richiesta. Ma come si misura la gravità di un coma?
1. GCS (Glasgow Coma Scale – Scala del Coma di Glasgow): è la scala che viene utilizzata per valutare la gravità del coma durante il periodo della Rianimazione:
Un punteggio di 3-4 indica un danno gravissimo;
Un punteggio da 5 a 8 indica un danno grave;
Un punteggio da 9 a 12 indica un danno moderato;
Un punteggio da 13 a 15 indica un danno lieve.
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2. LCF (Levels of Cognitive Functioning – Livello di Funzionamento Cognitivo): si tratta di una scala in cui, sulla base dell’osservazione di un numero molto elevato di persone che hanno avuto un coma, sono stati individuati otto livelli che di norma caratterizzano il percorso che una persona segue dal momento in cui entra in coma per arrivare alla fase del completo recupero della coscienza.
LIVELLO 1) NESSUNA RISPOSTA
La persona è completamente non responsiva a qualsiasi stimolo LIVELLO 2) RISPOSTA GENERALIZZATA
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La persona reagisce agli stimoli ma in modo incostante e non finalizzato LIVELLO 3) RISPOSTA LOCALIZZATA
La persona reagisce agli stimoli in modo specifico ma non costante e può eseguire ordini semplici in modo non costante e ritardato
LIVELLO 4) CONFUSO - AGITATO La persona è in stato di iperattività
LIVELLO 5) CONFUSO - INAPPROPRIATO
La persona è vigile, attenta e in grado di rispondere a comandi semplici in modo abbastanza costante
LIVELLO 6) CONFUSO - APPROPRIATO
La persona mostra un comportamento finalizzato ma necessita ancora di stimoli e indicazioni esterne per indirizzarlo correttamente
LIVELLO 7) AUTOMATICO - APPROPRIATO
La persona è adeguata e orientata nell’ambiente del reparto e a casa, svolge le sue attività di vita quotidiana automaticamente ma in modo simile a quello di un robot. Si mostra via via consapevole della sua situazione
LIVELLO 8) FINALIZZATO - APPROPRIATO
La persona è vigile e orientata; è in grado di ricordare ed integrare eventi passati e recenti ed è consapevole della sua situazione. Inoltre si mostra indipendente nelle attività domestiche e sociali. Ovviamente può continuare a mostrare una certa diminuzione di capacità rispetto a prima del trauma, specie riguardo alla velocità e adeguatezza nell’analizzare le informazioni.
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MA COSA SUCCEDE REALMENTE QUANDO UNA PERSONA VA IN COMA PER UN DANNO CEREBRALE?
Immaginiamo che il nostro cervello sia come un paesino di montagna, dove la vita si svolge in maniera tranquilla
Il coma è per il nostro cervello come un improvviso alluvione per la vita del villaggio in cui vi è un black out di tutte le attività
Come non possiamo sapere con certezza quali parti del villaggio sono rimaste danneggiate finché l’acqua non inizia a ritirarsi, così anche durante il coma non possiamo sapere con esattezza quali funzioni del cervello resteranno più compromesse
Durante l’alluvione, i soccorritori cercano di salvare la vita degli abitanti e di provvedere ai loro bisogni primari
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Analogamente, le cure per le persone in coma hanno lo scopo di salvare la vita e sostenere le funzioni di base, come la respirazione e la nutrizione
E COSA SUCCEDE SE IL COMA SI PROLUNGA?
Come il villaggio resterà tanto più danneggiato quanto più a lungo resterà sotto le acque, così anche i danni al cervello saranno tanto più gravi quanto più lento sarà il recupero della coscienza dopo il coma
COME AVVIENE L’USCITA DAL COMA DOPO UN DANNO CEREBRALE?
A poco a poco le acque nel villaggio si ritirano e la vita riprende lentamente
In modo analogo, così come accade nel villaggio, anche la persona che sopravvive al coma riprende gradualmente l’autonomia nelle funzioni di base e manifesta i primi segni di vigilanza, cioè apre gli occhi e recupera il cosiddetto “ritmo sonno- veglia”
COME AVVIENE IL RECUPERO DELLE FUNZIONI DOPO IL COMA?
Così come, dopo l’alluvione, iniziano ad emergere alcune case del villaggio e si inizia a capire quali parti di esso sono più danneggiate, anche dopo il coma iniziano a manifestarsi i primi segni di contatto con l’ambiente: si inizia a capire quali funzioni del cervello sono più danneggiate e compromesse
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IN QUANTO SI RECUPERA DOPO UN GRAVE DANNO AL CERVELLO E IN CHE MODO LA RIABILITAZIONE AIUTA LA PERSONA?
Con il tempo la vita del villaggio riprende: si può iniziare a fare un primo bilancio delle parti che si possono restaurare e di quelle che sono andate perdute completamente. Con la ricostruzione, qualche attività nel villaggio potrà essere ripresa come prima, altre dovranno essere svolte in un’altra sede mentre altre non potranno più svolgersi
Analogamente, la riabilitazione dopo il coma potrà aiutare a recuperare alcune funzioni in modo che la persona possa svolgerle come prima oppure, cosa che accade più frequentemente, i logopedisti potranno insegnare e aiutare la persona a svolgere le attività utilizzando modalità diverse da prima (nello studio per esempio creando degli schemi di ciò che si sta studiando per ricorrere anche alla memoria visiva).
Cosi come dopo la catastrofe dell’alluvione la vita del villaggio riprende anche se modificata, anche per chi sopravvive al black out del coma la vita continua, anche se molte cose potranno essere diverse da prima.
QUANDO TERMINA LA FASE DI COMA?
Il coma propriamente detto termina quando la persona inizia ad aprire spontaneamente gli occhi. Di solito, a partire da questo momento, la persona ricomincia a presentare periodi di sonno e di veglia e può iniziare a respirare
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senza l’aiuto delle macchine. A partire da questa fase inizia un percorso di recupero della capacità di entrare in comunicazione con l’ambiente, che si può definire “periodo di risveglio”.
Tuttavia, in fatto di coma, ci sono dei luoghi comuni da sfatare. Soprattutto chi non è passato attraverso un’esperienza del genere, può pensare che il più sia fatto quando il coma si interrompe e la persona si risveglia. L’uscita dal coma apre invece un nuovo capitolo che impegnerà il paziente stesso e gli specialisti che si occuperanno di lui, per un tempo non preciso e con risultati che è difficile stabilire in anticipo.
1.3 Area competenze comunicativo – relazionali
&
Area abilità cognitive
L’area delle competenze comunicativo - relazionali include la valutazione del recupero del livello di responsività, di contatto con l’ambiente circostante, delle capacità di comunicative di base e dell’orientamento rispetto al tempo e allo spazio. È principalmente un’area riferita alla fase in cui il paziente recupera gradualmente la responsività e l’interazione con l’ambiente circostante attraverso alcune tappe rappresentate dallo strumento utilizzato proprio per identificare il livello di recupero della coscienza e delle abilità del comatoso: la scala LCF (Level of Cognitive Functioning – Livello di Funzionamento Cognitivo).
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Per le persone che sono ad un livello di LCF compreso tra 2 e 5 la valutazione delle abilità comunicativo e relazionali si può basare solo sull’osservazione del comportamento della persona nei diversi ambienti dell’ospedale (reparto, palestra, etc.) in quanto l’importante compromissione delle funzioni cognitive non rende possibile effettuare in questa fase valutazioni più specifiche, attraverso ad esempio l’uso di determinati test.
Solo quando la persona raggiunge un’attenzione e un orientamento più costante associati ad un comportamento più adeguato e ad una maggiore collaborazione (Livello scala LCF pari a 6, 7 o 8), può essere sottoposta a valutazioni con test specifici per individuare e quantificare gli eventuali disordini e disturbi cognitivi presenti e su questo impostare un trattamento riabilitativo specifico.
Ma cosa sono e soprattutto cosa rappresentano i disturbi cognitivi?
Quasi tutte le persone che hanno subito una grave lesione cerebrale, indipendentemente dalla presenza o meno di disturbi motori, sono affette da disturbi cognitivo – comportamentali che rappresentano gli esiti più disabilitanti del trauma cranico grave e del coma.
In particolare i disturbi cognitivi riguardano la capacità di apprendere, pensare, ricordare e programmare.
1) Disturbi cognitivi
Disturbi di memoria
Disturbi di apprendimento
Disturbi di attenzione
Disturbi del linguaggio
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Inoltre, ricordando che il cervello è l’organo responsabile dell’attività mentale, composta a sua volta da più funzioni, si sente spesso parlare, più che di disturbi cognitivi, di “alterazioni” delle funzioni cognitive diffuse e delle funzioni cognitive localizzate.
Funzioni diffuse sono, ad esempio, la memoria e l’attenzione: i disturbi di tali funzioni sono molto frequenti dopo un danno al cervello; funzioni localizzate sono rappresentate dal linguaggio, dalla capacità di calcolo e dalla capacità di esplorare lo spazio che ci circonda.
Ma come si manifestano i disturbi alla memoria (AMNESIE)?
La memoria non è un sistema unico, è infatti costituita da numerosi sottosistemi, per cui è forse più giusto parlare di “memorie”.
La prima suddivisione ci permette di distinguere una memoria a breve termine da una a lungo termine.
La memoria a breve termine viene anche chiamata “memoria di lavoro” in quanto ci consente di trattenere informazioni che occorrono per compiere altre funzioni mentre la memoria a lungo termine può essere considerata il nostro
“vissuto”, è il deposito dei nostri ricordi. Nell’ambito della memoria a lungo termine, per esempio, si distingue la memoria dichiarativa da quella procedurale.
La memoria dichiarativa comprende informazioni riguardanti specifici fatti ed episodi (memoria episodica) e conoscenze enciclopediche (memoria semantica).
Le informazioni contenute in questo tipo di memoria sono accessibili all’introspezione e possono essere verbalizzate. L’acquisizione di nuove informazioni di tipo episodico e semantico sembra legata all’ippocampo. La
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capacità di apprendere procedure che richiedono contemporaneamente un bagaglio di conoscenze e un’abilità motoria come, per esempio, il gioco del tennis, rappresenta un tipo di memoria che tipicamente si instaura tramite ripetizioni del compito e non richiede consapevolezza. Questo meccanismo implicito è probabilmente anche alla base dell’apprendimento della lingua materna.
Sempre riguardo la memoria a lungo termine distinguiamo inoltre:
1) La memoria retrograda: riguarda la nostra “storia personale”. I fatti inerenti ad amici, lavoro, famiglia, avvenuti prima del trauma;
2) La memoria anterograda: riguarda gli eventi susseguenti al trauma. Tale memoria è di solito la più colpita dopo un danno cerebrale tanto che la persona non ricorda nulla di ciò che le è accaduto e ha difficoltà ad apprendere ciò che le viene insegnato durante la riabilitazione e nelle attività di vita quotidiana.
Una particolare forma di amnesia è l’amnesia post - traumatica. Questa fase rappresenta quel periodo in cui la persona ha difficoltà a ricordare gli eventi che le sono successi dopo il danno cerebrale. Ad esempio può non ricordare che poco tempo prima ha ricevuto la visita di un amico o che il pomeriggio è andato in riabilitazione con il logopedista. È questo il motivo per cui le persone che hanno subito un trauma, non ricordano nulla dell’incidente o del periodo in cui erano in rianimazione, mentre in una minoranza dei casi possono esserci racconti di illusioni visive (luci forti, tunnel) o di un’attività simil - onirica, cioè simile al sogno. In molti casi l’amnesia post-traumatica si risolve gradualmente e, anche
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dopo alcuni anni, la persona riesce sempre meglio a ricordare ciò che le è accaduto. Si considera comunque finita la fase di amnesia post-traumatica quando si riesce a ricordare correttamente gli avvenimenti delle ultime 24 ore.
Ovviamente, quanto più lunga è la durata dell’amnesia tanto più gravi saranno le conseguenze sulla memoria, sull’attenzione e su altre funzioni cognitive.1
2. Disturbo delle funzioni cognitive localizzate:
AFASIA
Immaginate che improvvisamente tutte le persone intorno a voi si mettano a parlare una lingua a voi sconosciuta; non siete più in grado di capire cosa vi dicono e non riuscite a far loro capire quello che dite.
Siete spaventati, non sapete cosa fare e inoltre vi rendete conto di essere in ospedale. Si avvicina gente ignota (apparentemente un medico e infermieri), vi parlano ma non siete in grado di chiedere e di capire cosa stanno dicendo. Pian piano ci si rende conto che non è il mondo che è cambiato, siete voi ad essere cambiati. Non lo sapete, ma siete diventati afasici. Da quel momento in poi inizia una lunga strada in salita per riprendere a parlare.
Qualsiasi attività mentale, come parlare, ricordare un fatto appena avvenuto o riconoscere una persona, dipende dalla normale attività di parti più o meno delimitate e definite del cervello che entrano in funzione quando parliamo,
1 N. Basaglia, M. R. Magnarella, M. Cosma: Diario di bordo (2° edizione – 2008)
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ascoltiamo o ricordiamo un fatto. L’afasia è un disturbo del linguaggio dovuto alla lesione delle cosiddette “aree del linguaggio”.
La persona afasica è affetta dalle conseguenze di un danno cerebrale, generalmente localizzato nella metà sinistra del cervello.
Il linguaggio umano è il più raffinato e il più duttile sistema di comunicazione dell’uomo; ci permette di parlare di cose presenti, passate o future, di cose vere o inventate, utilizzando solo alcune decine di suoni coi quali vengono formate migliaia di parole collegate tra di loro da alcune regole grammaticali. Nelle nostre culture, accanto al linguaggio parlato si è sviluppato da secoli un linguaggio scritto che ci permette di trasmettere graficamente i segni linguistici. Proprio l’afasia, provoca disturbi più o meno gravi, a seconda della grandezza della lesione, nel parlare, nel capire, nel leggere e nello scrivere. Vi sono persone afasiche che non sono più in grado di leggere o di scrivere, di parlare o di capire, ma la vicinanza tra loro delle aree deputate a queste funzioni e i loro stretti rapporti funzionali fanno sì che nella maggior parte dei casi l’afasia si manifesti come un disturbo di tutte le funzioni linguistiche.
C’è inoltre da ricordare che l’afasia è SEMPRE il risultato di una lesione al cervello che provoca la morte delle cellule nervose nelle zone cerebrali danneggiate; questa lesione in genere, soprattutto nei ragazzi, è dovuta principalmente da un trauma cranico (causato da un incidente stradale).
Attualmente, in Italia, il numero di persone afasiche che presentano, come conseguenza, disturbi del linguaggio conseguenti a traumi cranici, è altissimo e questo problema tende, di anno in anno, ad aumentare sempre di più.
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L’afasia è quindi un disturbo relativamente frequente, più frequente addirittura di altre malattie molto più note come la sclerosi multipla o il morbo di Parkinson, ma di afasia non si parla quasi mai, in quanto è un disturbo delle volte ignoto al grande pubblico.
Non vi è oggi un unico modello di sistematizzazione dei disturbi afasici; la maggior parte dei medici e dei logopedisti fa comunque riferimento ad una classificazione dei disturbi afasici basata sugli errori che i soggetti compiono nei vari comportamenti verbali (parlare, scrivere, capire, leggere e ripetere). Le più importanti forme cliniche contemplate da questa classificazione sono:
Afasia globale: con questo tipo di afasia l’eloquio non risulta affatto
fluente, tanto da sopprimere letteralmente le parole e così risulta compromessa anche la comprensione del linguaggio. L’afasia globale viene definita come una grave alterazione del linguaggio, poiché viene intaccata la produzione della parola, l’elaborazione e la comprensione stessa. Si ha questo tipo di afasia specie nel primo periodo dopo un danno cerebrale.
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Afasia di Broca: la scrittura, la lettura e il semplice linguaggio spontaneo
risultano gravemente compromessi. La parlata è quasi telegrafica e le poche frasi sono spesso prive di senso compiuto e mancanti di articoli, preposizioni ed avverbi.
Afasia di Wernicke: il nome deriva dall’area cerebrale compromessa
dalla lesione. Infatti, un danno a livello della regione di Wernicke, genera disturbi della produzione e della comprensione del linguaggio; il paziente infatti, elabora un codice linguistico particolare e tutto suo, talvolta incomprensibile. Ovviamente commette degli errori, ad esempio dicendo
“topo” al posto di “toro (parafasia fonemica) oppure sbagliando completamente dicendo “candela” al posto di “macchina” o “scimmie”
al posto di “piccioni” (parafasia verbale).
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Afasia anomica: è un particolare tipo di afasia fluente che si caratterizza
per l’incapacità da parte del paziente a trovare i termini esatti con cui esprimersi o per completare la frase. La sensazione riferita dai pazienti è come di “avere sempre la parola sulla punta della lingua”.
Per meglio illustrare la grande varietà dei disturbi del linguaggio, ecco qui riportata la descrizione fatta da alcune persone afasiche di una figura che rappresenta una stanza nella quale una donna lavora a maglia, un uomo in poltrona legge il giornale, un bambino gioca con le costruzioni e una bambina guarda la televisione mentre un gatto gioca con il gomitolo di lana:
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a) “Cosa vediamo qua? E la ragazzi la quota perché ho difficoltà qui dove poggiano i bambini che legano le bambine qua che portano le prese quelle per le lampade solite che però non guardano. Le bimbe hanno mosso la vista delle gio gio giovani che passano qui la vista con tutta la presa dei bambini e la chiusura.”
b) “Normerugia dormore sircora mori chiari brava bravo qui nustase dormire doce seluta chelone sosteli iusta questo cocchieri no no nola questi e basta basta.”
c) “Il cane che gioca con… non so come si chiama… della padrona che sta lavorando a maglia. Qui c’è la televisione però è staccato il … come si dice … il dietro insomma … la bambina che guarda e il papà che sta guardando il… qui invece c’è… non mi ricordo come … un’altra cosa dove si tengono i libri ma non mi ricordo come si chiama …”
d) “Nonno leggere giornale, bambina tv, non il nonno, marito!
Maglie, maglia, und gatto, palla, lana.”
Come si vede da questi esempi, la produzione afasica può assumere forme molto diverse e tale diversità è riscontrabile anche nelle difficoltà di comprensione, di lettura e di scrittura.
2.1 Riabilitazione, ruolo del logopedista e prospettive di recupero
Il trattamento riabilitativo può iniziare anche precocemente ma nelle prime settimane dopo l’evento traumatico, il quadro afasico è estremamente variabile ed
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è difficile decidere come intervenire. Dopo 3-4 settimane è possibile fare una valutazione approfondita che può essere utilizzata come punto di partenza per una riabilitazione motivata.
La riabilitazione naturalmente non è qualcosa che può essere “dato” al soggetto afasico che lo “riceve” così come si può dare un farmaco ad un soggetto che ha la polmonite; il farmaco è di per sé efficace indipendentemente dalla volontà del paziente; al contrario, la riabilitazione è un processo che richiede l’attiva partecipazione di tutte le parti in causa. Non vi sono “ricette” sicure; ci sono degli interventi che sono razionalmente collegati al deficit che si vuole trattare.
L’efficacia della riabilitazione dipende da numerosi fattori di cui i più evidenti sono la competenza del professionista, la partecipazione attiva del soggetto afasico e dei suoi familiari, e l’intensità e la durata del trattamento.
Naturalmente, prima di iniziare un trattamento riabilitativo si deve fare una valutazione, il più possibile approfondita, dei disturbi del soggetto da trattare. I risultati della valutazione sono il punto di partenza del trattamento. Alla presa in carico di un nuovo soggetto, il logopedista dovrebbe spiegare ai familiari in che cosa consiste il disturbo afasico del loro congiunto, quali sono le sue specifiche difficoltà e in che modo è possibile migliorarne la comunicazione.
Il logopedista (per una riabilitazione si ha bisogno del logopedista cognitivo che si occupa delle funzioni di memoria e del logopedista del linguaggio che si occupa di afasia, quindi di disturbi della parola) deve ovviamente avere una solida base di conoscenze e sapere come e quando metterle in atto ma la riabilitazione va
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oltre l’applicazione di conoscenze; si esplica in un rapporto tra due persone di cui una, il terapista, guida il rapporto.
Una parte essenziale delle relazioni tra essere umani si esplica nella conversazione che è alla base di quasi tutti i nostri rapporti interpersonali. La maggior parte delle conversazioni infatti, avviene senza intoppi. Parlando con una persona afasica non è invece raro che l’interlocutore non riesca a capire quello che gli viene detto perché la persona afasica non trova le parole, può dire una parola al posto di un’altra o fa altri errori. Per svolgere bene il suo lavoro quindi, è necessario che il logopedista capisca cosa gli vuol comunicare la persona afasica e per capire bene deve saper “ascoltare”.
Capire una frase vuol dire anche capire l’intenzione del parlante, capire perché quella frase è stata detta, cosa intendeva ottenere il parlante con quella frase. Per capire le intenzioni profonde di una persona afasica che ha delle difficoltà ad esprimersi, dobbiamo essere in sintonia con lei e soprattutto ascoltarla con attenzione e interesse per capire cosa intenda veramente dire, mettendosi dal suo punto di vista e mettendo, almeno momentaneamente, il nostro punto di vista tra parentesi. Nulla è più frustrante, anche per una persona normale, di un interlocutore che ascolta distrattamente, pensando ad altro.
Naturalmente il disturbo afasico non colpisce soltanto la persona direttamente interessata ma colpisce anche tutti coloro che hanno dei rapporti con lei proprio perché non è più in grado di usare normalmente il linguaggio per interagire con gli altri. L’impatto dell’afasia sui familiari è devastante, anche perché una persona afasica non è più in grado di dimostrare di non avere difficoltà in altri campi: la
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memoria, per esempio, può essere perfettamente integra ma la persona afasica non è in grado di condividere i suoi ricordi e al familiare riesce difficile valutare se e cosa ricorda. Ci si trova quindi di fronte ad una persona nuova con la quale non si riesce ad entrare facilmente in contatto e non si sa quanto della persona che si conosceva è tuttora presente in questa “nuova” persona. Di conseguenza, la persona afasica, i familiari e il logopedista sono parti attive nel processo di riabilitazione. L’attiva e convinta partecipazione di tutte le parti in causa garantisce la massima efficacia del trattamento riabilitativo.
Non si sa quali caratteristiche del deficit afasico della persona possano influire in modo significativo sul recupero del linguaggio ma coinvolgere la persona afasica in situazioni di conversazione è sicuramente un fatto positivo. Perché questa conversazione risulti utile e non troppo gravosa per la persona afasica bisogna mettere in atto delle strategie:
Per farsi capire ci si deve rivolgere alla persona afasica in modo diretto e sottolineare quello che si dice con dei gesti che in qualche modo
“traducono” in un linguaggio diverso quello che si dice
Cosa importantissima è di non usare frasi troppo lunghe e complesse
Un’altra regola importante è quella di non ignorare quello che il malato dice anche se è sbagliato o incompleto
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La cosa più importante è il tempo: le persone afasiche si confondono se si
parla loro troppo in fretta e necessitano di tempo per trovare le parole.
Occorre quindi fare domande semplici e lasciare alla persona afasica tempo per capire e tempo per formulare la risposta.
Questo disturbo afasico tende comunque, con il passare del tempo, a migliorare spontaneamente nella maggior parte delle persone afasiche. L’afasia tuttavia non regredisce mai in modo rapido e improvviso; il recupero infatti è un processo lento e graduale, di cui è difficile prevedere l’entità. Oggi si ritiene che le possibilità di recupero dipendano essenzialmente dall’estensione della lesione e dalla gravità iniziale di afasia. L’importanza dell’ampiezza della lesione è dovuta al fatto che la parte necrotizzata del cervello non si rigenera. Dopo un iniziale periodo di assestamento, la lesione resta invariata e non si riduce, ma il nostro sistema nervoso centrale ha una certa plasticità, ed è proprio grazie a questa plasticità che è dovuto il recupero funzionale. A volte l’evoluzione è molto favorevole e il disturbo afasico regredisce completamente (o quasi) nel giro di qualche mese; nella maggior parte dei casi, tuttavia, il recupero è solo parziale.
Dopo alcuni mesi dall’evento traumatico comunque, il quadro afasico del malato si stabilizza. Recupero che si ottiene in ospedale e, in parte, anche al di fuori della struttura. È infatti quando il malato torna a casa che si ha un ulteriore recupero che, almeno in parte, è dovuto al fatto che le persone afasiche non vivono in un vuoto linguistico; vivono in una società che parla la loro stessa lingua e, nel corso
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della giornata, vengono sollecitati a parlare o capire quanto loro detto, a leggere e scrivere.
IN QUALE MOMENTO SI PUO’ PRENDERE IN CONSIDERAZIONE LA POSSIBILITA’ DI UN REINSERIMENTO SCOLASTICO E/O LAVORATIVO?
Questo momento varia da caso a caso; in genere comunque si riesce a stabilire abbastanza presto, durante il percorso riabilitativo, se la persona avrà possibilità di riprendere le proprie attività scolastiche e/o lavorative. Bisogna ovviamente ricordare che la possibilità di reinserimento a scuola o al lavoro non dipende solo dalla situazione clinica della persona, ma anche da altri fattori, come il tipo di scuola o di lavoro, la motivazione della persona e il sostegno che essa può ricevere. È necessario che tale momento non sia troppo prematuro, in quanto si rischierebbe di impedire alla persona di sfruttare in pieno le sue potenzialità di recupero. A tal proposito, dottori e logopedisti fanno principalmente riferimento ad alcuni criteri base per la formulazione delle proposte di reinserimento scolastico o lavorativo. Sono infatti da prendere in considerazione:
Le conseguenze che il danno cerebrale ha avuto sulla persona e l’handicap che ne consegue;
Le condizioni di vita e l’equilibrio psichico precedente al danno cerebrale;
Le risorse presenti in quel momento nell’ambiente di vita della persona.2
2 L. Modena, A. Basso: Afasia, la perdita della parola (A.IT.A – Associazioni Italiane Afasici) N. Basaglia, M. R. Magnarella, M. Cosma: Diario di bordo (2° edizione – 2008)
A. Ferri, Il ripristino delle funzioni colpite nelle lesioni cerebrali , (www.laboratorioneurocognitivo.it)
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3. Neuropsicologia clinica dell’identità e psicologia della comunicazione
Dopo una cerebrolesione acquisita possono insorgere “deficit” di svariata natura che caratterizzano i differenti quadri clinici. Essi risultano descritti mediante parole brevi ed incisive: parliamo di termini come afasia, amnesia, agnosia e aprassia. Tale terminologia deriva dalla classicità ed è ormai diventata linguaggio acquisito in tutti i settori della neurologia.
Scopo fondamentale di ogni efficace programma di riabilitazione è quello di supportare la persona e i familiari verso un adeguato recupero dei ruoli sociali al fine di ottimizzare il loro senso di benessere.
Un recente studio basato sulla metodologia della ricerca qualitativa, ha analizzato la questione di come le persone costruiscono il senso di Sé dopo una grave lesione cerebrale. Lo studio mette in luce costrutti della comparazione tra il concetto del Sé pre - lesionale e quello post - lesionale.
In seguito a lesione cerebrale le persone costruiscono il senso del loro Sé sulla base dei significati che attribuiscono alle esperienze vissute e attraverso le attività sociali e pratiche svolte. Il conseguente impatto emotivo che segue ad una lesione cerebrale può ulteriormente influenzare drammaticamente il funzionamento nella vita quotidiana. Ben - Yishay, professionista di indiscussa esperienza e da tempo divenuto punto di riferimento per la riabilitazione nei soggetti traumatizzati cranici, ha descritto questa “reazione catastrofica” come “la manifestazione
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comportamentale di una minaccia alla vera esistenza della persona, dovuta principalmente al fallimento di far fronte alle situazioni di vita”.
Di conseguenza il ruolo del clinico diventa, in primis, quello di rendere il paziente consapevole di quale significato abbia l’evento traumatico subito, nella sua vita passata, presente e futura e di supportarlo nel ricostruire il senso di Sé. Il vissuto emotivo che contraddistingue le esperienze dei pazienti è rappresentato da una discrepanza tra il senso d’identità passata e lo stato di confusione che caratterizza l’identità presente.
A tal proposito, secondo il modello teorico della formazione dell’identità di Erikson3 l’identità si forma lungo tutto l’arco dello sviluppo, in maniera continuativa, attraverso otto stadi, di cui uno relativo alla formazione dell’identità durante l’adolescenza, noto come Identità vs Confusione. Molti altri autori hanno usato il termine Self come sinonimo di identità. Accanto, dunque, ai più ovvi deficit fisici e cognitivi che possono condurre verso significativi cambiamenti nei contesti di vita quotidiana, i disordini della conoscenza di Sé possono rendere ulteriormente più complessi la valutazione che la persona fa riguardo i possibili cambiamenti che investono il suo concetto di Sé (o Self). Le modificazioni della personalità, quindi, hanno ripercussioni notevoli soprattutto sul piano psicologico e sociale.
Il concetto di cambiamento di personalità conseguente ad una lesione cerebrale si riferisce ad un’alterazione o una discontinuità nella condizione di essere umano unico ed irripetibile (cioè quello che gli americani chiamano personhood).
3 Erik Homburger Erikson (15 giugno 1902 – 12 maggio 1994) è stato uno psicologo e psicoanalista tedesco naturalizzato statunitense
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3.1 Dalla neurolinguistica alla neuropragmatica
La principale manifestazione dei disordini del Sé avviene all’interno della relazione comunicativa. La gestione inappropriata degli scambi comunicativi, dovuta alla compromissione delle abilità a comunicare in modo efficace con gli altri, rappresenta la maggiore barriera al reinserimento del cerebroleso nella comunità. I pazienti infatti, presentano sostanziali difficoltà nella gestione delle interazioni all’interno dei contesti di vita quotidiana, dal momento che la comunicazione va oltre la comprensione e la produzione di aspetti lessicali e sintattici corretti. La compromissione comunicativa interessa anche la produzione di atti linguistici comunicativi come per esempio la produzione di richieste corrette o il fornire all’interlocutore informazioni sufficientemente dettagliate.
Non è solo la modalità linguistica che sostiene i severi deficit in seguito a danno cerebrale, ma anche la modalità extra-linguistica, ovvero la capacità di comunicare attraverso i gesti. Durante gli scambi comunicativi, le persone normalmente integrano gli atti linguisti e quelli extra-linguistici con appropriati aspetti para-linguistici. Una lesione cerebrale causa una compromissione nell’elaborazione paralinguistica, con incapacità nel riconoscimento delle emozioni, sia attraverso la voce sia attraverso le espressioni facciali. Ciò potrebbe costituire il fattore causale delle scarse relazioni sociali e dei comportamenti antisociali esibiti dai pazienti.
Queste difficoltà comunicative, dunque, inficiano la competenza relazionale poiché rendono incapace la persona di creare e mantenere relazioni personali stabili e durature.
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Anche il contesto, tuttavia, modella il linguaggio e la comunicazione a livello della dimensione motivazionale, intenzionale, conversazionale e linguistica. Le persone che vivono in un ambiente che manca di stimolazione e contatto sociale, divengono nel tempo progressivamente isolate e depresse. Esse possono manifestare una comunicazione povera di gesti e di parole, precludendo le possibilità di mettere in atto abilità comunicative più efficaci.
La natura interpretativa della comunicazione costituisce il punto di forza essenziale che può determinare la costruzione come pure la rottura dei rapporti interpersonali. Una interruzione nello scambio comunicativo si verifica quando la discrepanza tra il messaggio percepito e il messaggio inteso è molto grande. Il livello comunicativo è inadeguato per mancanza di comprensione (insight). Ne derivano, quindi, tre diversi profili del discorso:
1. Eccessiva loquacità, confusa, inaccurata e confabulatoria;
2. Inopportunità, sia nel prendere l’iniziativa che nell’interazione comunicativa;
3. Linguaggio impoverito, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, attraverso frasi molto brevi e ripetitive o scarsamente informative.
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La sfida attuale, dunque, è rappresentata dalla ricerca neuropsicologica applicata alla comunicazione da cui è lecito attendersi risposte e chiarimenti a campi, finora poco indagati, come i sistemi non-verbali e la comunicazione gestuale.
Nei trascorsi decenni, la filosofia del linguaggio, la psicolinguistica e le scienze cognitive hanno studiato il linguaggio sotto un profilo modulare, considerando il linguaggio e la comunicazione come due domini autonomi. Tutto questo è il risultato di un accostamento della psicologia della comunicazione alla neuropsicologia. È proprio da tale connubio che emerge l’indagine neuro pragmatica, che considera fittizia la dicotomia tra funzioni linguistiche e funzioni comunicative. Proprio quest’ultime presuppongono contesti reali, cioè ambienti conversazionali dove la comunicazione si realizza attraverso la reciproca condivisione dei significati. La comunicazione, pertanto, presuppone l’interazione reale o virtuale di due o più individui. I processi linguistici e comunicativi sono caratterizzati da una molteplicità strutturale e funzionale riconducibile alla complessità di strutture corticali e sottocorticali.
Alle classiche distinzioni degli aspetti linguistici (fonologici, morfologici, lessicali, sintattici, grammaticali), va aggiunto lo studio della pragmatica che attiene ai processi comunicativi attraverso i quali una persona veicola intenzioni, scopi, pensieri ed emozioni. Il livello pragmatico richiede però il possesso di competenze e di capacità di comprensione dei ruoli, cioè, di definire funzioni sociali. Per trasmettere i significati, la comunicazione si avvale dunque di molteplici veicoli comunicativi; oltre alla via verbale, propria del linguaggio, il sistema comunicativo risulta definito dalle componenti gestuali e mimiche.
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La pragmatica inoltre, comprende anche la comunicazione idiomatica, metaforica e ironica, nonché le funzioni discorsive, conversazionali e le competenze di cognizione sociale. Tali aspetti, mediando il rapporto dell’individuo con l’ambiente circostante, configurano il linguaggio e la comunicazione come processi dinamici poiché si svolgono all’interno di progressive negoziazioni e sintonizzazioni.
Con riferimento ai modelli classici la moderna neurolinguistica, supportata dalle tecniche di neuroimaging, sembra prendere sempre più le distanze dalla specificità ed esclusività attribuita alle aree di Broca e Wernicke, e sostituisce al concetto di dominanza emisferica quello di specializzazione funzionale.
L’emisfero cerebrale sinistro, infatti, è stato a lungo considerato come l’esclusivo responsabile per le funzioni linguistiche. Viceversa, nella letteratura scientifica classica, all’emisfero destro sono state attribuite funzioni di modulazione dei processi cognitivi, limitatamente a stimoli spaziali o di tipo visivo non verbale.
Recenti studi e riscontri, fondati su modelli a network, inducono a ritenere che oltre alle due aree siano coinvolti altri sistemi neurali, che partecipano alla produzione e comprensione del linguaggio. Questi sistemi coinvolti nel processo linguistico includono le regioni temporali sinistre e la corteccia prefrontale sinistra.
La neuropragmatica invece, ha indirizzato recenti studi verso l’analisi delle competenze cognitivo - sociali e meta – rappresentazionali. Un diverso livello di analisi della dinamica comunicativa è quello bottom-up che prende in esame l’interazione tra il sistema linguistico, il sistema visivo e quello motorio. La sua peculiarità risiede negli elementi paralinguistici che, distinguendosi dalle
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componenti non verbali di natura extralinguistica, non sono necessariamente legati al contenuto del discorso ma ne influenzano fortemente il significato.
La componente paralinguistica per antonomasia è il sistema prosodico, costituito da una serie di parametri vocali (intonazione della voce, timbro) e temporali (ritmo dell’eloquio, articolazione e pause). La prosodia presuppone abilità e competenze per codificare e decodificare la natura dei significati come nei casi di ambiguità e ironia ed è, altresì, rilevante per la connotazione emotiva del messaggio. La funzione prosodica, inoltre, si distingue in prosodia intrinseca, che attiene al profilo intonativo (affermativo, negativo, vocativo); prosodia intellettiva, che attiene ai significati non letterali della comunicazione; prosodia emotiva, che ci permette di decodificare emozioni come gioia, rabbia, tristezza.
Secondo alcune rilevazioni la prosodia emotiva coinvolge l’emisfero destro, mentre, quest’ultimo ricoprirebbe un ruolo secondario nella prosodia intrinseca ed intellettiva.
3.2 Funzionamento esecutivo e disordini della comunicazione
Perché un atto comunicativo si realizzi è necessario che il soggetto abbia consapevolezza dei significati che intende comunicare, li pianifichi intenzionalmente e metta in atto le strategie per attuare questo intento. Questo processo implica competenze relazionali e competenze sociali, capacità cioè, di rappresentare correttamente il contesto di interazione. Nel modello dello
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psicologo britannico Alan Baddeley4, anche la working memory (memoria di lavoro) svolge un ruolo nella funzione di controllo intenzionale con specifici compiti di tipo linguistico. Ma nei processi linguistici, la memoria di lavoro ha anche un ruolo diretto intervenendo nella produzione e comprensione linguistica e nell’acquisizione del vocabolario.
Occorre inoltre sapere che, accanto a questa analisi e di notevole importanza, possono essere presenti disordini pragmatici che assumono una maggiore rilevanza sociale in tutte quelle casistiche, purtroppo sempre più diffuse, in cui ad essere coinvolti sono giovani adulti, tra i 20 e i 40 anni, proprio nel periodo del ciclo di vita in cui lo sviluppo delle relazioni sociali, come le amicizie, i rapporti affettivi e professionali, costituisce l’essenza dei rapporti umani e la costruzione di una progettualità di vita futura.
La stragrande maggioranza dei deficit che interessano la pragmatica della comunicazione riguardano gli aspetti proposizionali del messaggio connessi alla formulazione, rilevanza e chiarezza del messaggio linguistico. Questi aspetti della comunicazione sono regolati da specifici processi cognitivi che intervengono nell’elaborazione linguistica. La comunicazione, difatti, non è solo parola, ma si fonda su tutta una vasta gamma di aspetti paralinguistici che conferiscono senso e significato alla parola stessa.
4 Alan Baddeley è uno psicologo britannico, professore di psicologia nell’università di York, membro dell’Ordine dell’Impero Britannico e noto soprattutto per il suo modello di memoria di lavoro
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3.3 Livelli di analisi del discorso
I deficit pragmatici possono essere classificati all’interno di due macro - categorie. La prima è rappresentata dai deficit cognitivi che sono responsabili della disorganizzazione qualitativa e quantitativa del contenuto del discorso, la seconda categoria invece è di ordine emotivo e racchiude i deficit a livello dell’espressione e della regolazione dell’emozione.
I livelli del discorso possono essere inoltre dissociati, con riferimento alle differenti regioni del danno cerebrale. A tal proposito, il ricercatore Bloom (1994) ha affermato che la struttura linguistica dei soggetti con danno cerebrale all’emisfero sinistro generalmente si presenta frammentata a livello della frase e della parola, mentre l’interruzione del discorso in soggetti con lesioni all’emisfero destro risiede nell’elaborazione di unità linguistiche più ampie. Si è rilevato inoltre, che le persone con lesione sinistra incontrano problemi all’interno della frase mentre i pazienti con lesioni destre hanno problemi nell’unitarietà del discorso.
I disturbi di ordine pragmatico tuttavia, non si possono interpretare del tutto come deficit linguistici formali, ma le possibili spiegazioni sono da ricercare in competenze comunicative più ampie che rimandano alla complessa relazione tra linguaggio e situazione globale in cui esso viene richiesto.
La comunicazione è, quindi, un processo cognitivo complesso fondato sull’integrazione di varie funzioni cognitive e su un’intricata rete di circuiti neurali. È inoltre, un processo cognitivo tanto complesso quanto delicato e la
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presenza di un deficit comunicativo ne compromette il funzionamento, cosicché atti comunicativi, anche relativamente semplici, divengono di difficile gestione.
Durante gli scambi comunicativi, normalmente gli atti linguistici verbali di base e quelli extra-linguistici non verbali (come asserzioni, domande, richieste o comandi) risultano integrati e arricchiti da appropriati aspetti para-linguistici che ne sottolineano, enfatizzano e modificano il significato.
Una grave Cerebrolesione Acquisita (CA) causa una compromissione sia nell’elaborazione extra - linguistica, con perdita di coerenza delle idee e confusione concettuale, sia nell’elaborazione paralinguistica con un’incapacità a riconoscere le emozioni espresse dalle altre persone.5
4. Il potere della lingua: ripristino delle funzioni colpite da lesione cerebrale, apprendimento delle lingue e relatività linguistica
A parità di condizioni, sappiamo che la gravità della lesione e la presenza di complicanze post - lesionali sono fattori da cui dipende il successo del ripristino delle funzioni cerebrali danneggiate. Un fattore importante che influenza la velocità e la completezza di un difetto è la condizione del cervello
5 M. Zettin, S. La Foresta, M. C. Quattropiani: L’intervento neuropsicologico olistico nelle cerebrolesi acquisite.
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precedentemente alla lesione. Ovviamente si dovrebbe sapere che il cervello di una persona giovane ha maggiori potenzialità di compensare e di ripristinare le funzioni colpite rispetto al cervello di una persona anziana con una circolazione cerebrale difficoltosa e che ha perduto parte della sua plasticità originaria. Le osservazioni condotte sulla compensazione di traumi in ragazzi che hanno subito un danno al cervello, insieme all’analisi dei disturbi di funzione spesso insignificanti, indicano nell’età un fattore importante nel processo della riabilitazione completa post-traumatica.
La gravità e l’ampiezza della lesione cerebrale che ne risulta rivestono un ruolo importante nel determinare il successo del ripristino delle funzioni per mezzo dei processi di riorganizzazione che viene ottenuta tramite la creazione di sistemi funzionali nuovi, a cui partecipano aree del cervello fino a quel momento dedicate a funzioni differenti. I casi in cui ad esempio, le operazioni di calcolo, eseguite in precedenza con la semplice evocazione di abitudini linguistico – motorie cominciano a dipendere da schemi visivi oppure da riferimenti visivi a tabelle ausiliare, potrebbero essere considerati come degli esempi di questa modalità di riorganizzazione. Naturalmente, uno degli esempi più chiari ed evidenti per il recupero è il ripristino del disturbo dell’articolazione del linguaggio (causato principalmente dall’afasia) attraverso l’analisi di tutte le posizioni fondamentali della fonetica articolatoria necessarie per la pronuncia di un determinato suono.
Una volta fatto questo, il prossimo passo sarà quello di riorganizzare, con il tempo, il paziente ad avere una determinata competenza linguistica. Qui entrano
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in scena due linguisti: Edward Sapir e Benjamin Whorf6. La loro ipotesi, quella che con il tempo ha preso il nome di Relatività Linguistica, afferma che lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla.
Nella sua forma più estrema, questa ipotesi afferma che il modo di esprimersi determini il modo di pensare.
Whorf, in particolare, diede a quest’idea una maggiore precisione esaminando i particolari meccanismi grammaticali con cui il pensiero influenzava la lingua, sostenendo:
“La nostra analisi della natura segue linee tracciate dalle nostre lingue madri. Le categorie e le tipologie che individuiamo nel mondo dei fenomeni non le troviamo lì come se stessero davanti agli occhi dell’osservatore; al contrario, il mondo si manifesta in un flusso caleidoscopico di impressioni che devono essere organizzate dalle nostre menti, soprattutto dai sistemi linguistici nelle nostre
6 Edward Sapir (1884-1939) è stato un etnologo, linguista e antropologo polacco. Fu un grande luminare della linguistica strutturale.
Benjamin Lee Whorf (1897-1941) è stato un linguista e antropologo statunitense ed è considerato, insieme a Sapir, il padre della Relatività Linguistica